Il salvataggio dei profughi e la geografia trasformata in opinione

canale di siciliaIn Italia, credo di averlo dimostrato abbondantemente, la storia è un’opinione: ormai, si racconta soltanto quel che ci fa comodo, taroccando o cancellando le cose che potrebbero, in qualche modo, intaccare la nostra manicheissima vulgata. Il problema è che, da un po’ di tempo a questa parte, per fini, diciamo così, commercial-umanitari, si sta cominciando a trasformare in opinione anche la geografia. Non ci rimangono che la matematica e l’educazione fisica, immuni da tentativi di manipolazione. Mi spiego, perché, altrimenti, rischiate di pensare che il caldo mi abbia dato alla testa. Dunque, il cosiddetto “Canale di Sicilia”, noto anche come “Canale di Tunisia”, a seconda del lato da cui lo si guardi, è come dice il nome stesso, il braccio di mare che separa la Sicilia dalla costa tunisina: è largo circa 150 km nel suo punto più stretto ed ha una delimitazione che lo definisce, più o meno tra Malta e il Mediterraneo a sud della Sardegna. Quello è il Canale di Sicilia, e non altri bracci di mare: per cui, se qualcuno sente dire che le navi italiane hanno raccolto dei naufraghi nel Canale di Sicilia, deve, per forza di cose, immaginarsi il salvataggio tra Capo Bon e Mazara del Vallo e non, chessò, al largo di Venezia. Questo, perlomeno, secondo geografia.

Invece, i nostri telegiornali, opportunamente imbeccati dai nostri governanti, ci raccontano, ogni tre per due, di formidabili operazioni di salvataggio avvenute nel Canale di Sicilia, a circa 10 miglia dalla costa libica: come dire che un pattino con due turisti norvegesi è stata recuperato nel Mar Ligure, a dieci miglia circa dalla costiera amalfitana. Perché le spiagge del Golfo della Sirte, sulla cui battigia, ormai, avvengono questi salvataggi, distano dalla Sicilia e dal suo canale circa settecento chilometri. Avete capito bene? Settecento chilometri: noi partiamo dall’Italia ed andiamo a raccogliere naufraghi sulla costa della Tripolitania. Un vero e proprio servizio a domicilio, che, oltre a rendere decisamente più confortevole la traversata ai migranti, offre l’indiscutibile vantaggio di favorire in maniera piuttosto clamorosa coloro che lucrano sul traffico di esseri umani. Non fraintendetemi: non sto parlando delle cooperative che, in Italia, si ingrassano grazie al flusso mastodontico di disperati che arrivano da noi via mare. Mi riferisco ai pirati che agiscono alla luce del sole, non a quelli travestiti da crocerossine: parlo dei malandrini che incassano un sacco di soldi dagli aspiranti profughi e, poi, non devono neppure fare la fatica di portarli in Italia, visto che ci pensa la nostra Marina Militare. Come direbbe il Milo Minderbinder di “Comma 22”: così ciascuno ha la sua parte. Gli unici che ci smenano siamo noialtri, ma cosa volete che conti, di fronte all’immane e glorioso progetto di trasbordare un continente?

Insomma, stando così le cose, io proporrei ai nostri governanti di essere realistici: dato il flusso pressoché quotidiano di gente che sbarca in casa nostra e data l’evidente volontà di non mettere alcun freno ad un fenomeno tanto redditizio per qualcuno, perché non istituire un regolare servizio di traghetti, che, un paio di volte al giorno, colleghi il golfo sirtico con i principali porti siciliani? Si tratterebbe, semplicemente, di Realpolitik: un po’ come legalizzare la droga, perché tanto la gente si droga comunque, o abolire certi reati, perché tanto li commettono quasi tutti. In questo modo, la Marina tornerebbe ad occuparsi di cose militari. Le cooperative e le associazioni umanitarie potrebbero pianificare esattamente le proprie entrate ed organizzare investimenti, aumenti di capitale, magari quotarsi in borsa. I giornalisti potrebbero tornare a raccontare panzane sull’economia o la cronaca, lasciando in pace la geografia. Certo, regolarizzare gli afflussi per mezzo di una linea di traghetti significherebbe anche togliere a tantissimi sepolcri imbiancati della nostra politica l’occasione per farci il solito pippone sui morti in mare, sulla guerra e la disperazione, sul nostro dovere di samaritani: ma non è detto che questo, per la collettività, sarebbe un danno.

E, poi, volete mettere lo stile? Anziché dover girare le solite scene del gommone, si potrebbero confezionare dei video sul tipo di quelli delle navi da crociera: ordinate colonne di clandestini, tutti col loro giubbotto arancione e la bandierina italiana in mano, che salgono su qualche candido traghetto della Siremar o della Tirrenia, ci riscatterebbero in un sol colpo da tutti gli Schettino della nostra storia marinaresca! Perché, cari i miei lettori, voi ed io siamo abituati ad essere spremuti come limoni, pur sapendo che i nostri soldi, lungi dal servire ad aiutare chi non ce la fa, finiranno sprecati da qualche mammalucco che si crede Napoleone: sopportiamo tasse inique, servizi scandalosi, ignominiose ingiustizie: però, essere presi per i fondelli anche in geografia, porca l’oca, quello è davvero troppo! Che la chiamino Triton, Syren o Dugongo, questa operazione è geograficamente, prima che politicamente, grottesca: e che ci siano mezzibusti e mezzebuste che, col sorriso sulle labbra o con la peppa di circostanza, ci raccontino che il Canale di Sicilia comincia a Gibilterra e finisce in Egitto, è faccenda sanguinosamente offensiva per i nostri cervelli. Pagare, paghiamo: ma non fateci il torto di trattarci da poveri scemi, perché, il giorno che a qualcuno salterà la mosca al naso e vi butterà a mare, vedrete che differenza c’è tra guadare un fosso ed attraversare un oceano…