Il preside del Sarpi:
«Questi
giovani
con la paura
del futuro»

Parla il preside del “Sarpi”, Damiano Previtali: «Ai nostri tempi l’idea del lavoro era qualcosa di concreto. E le perturbazioni sociali non procuravano angosce individuali, al contrario, un impegno collettivo». Il risultato? «Frequenti difficoltà sull’aspetto cognitivo, sui livelli di attenzione, oltre a disturbi di apprendimento e della percezione»

All’indirizzo classico del “Dante” di Firenze, lo stesso frequentato, nell’ordine, da Giovanni Pascoli, Piero Pelù e Matteo Renzi, lo scorso anno sono entrati solo trentotto ragazzi. Idem al mitico Parini di Milano, dove  sui banchi che furono di Carlo Emilio Gadda e Dino Buzzati, nel passato anno scolastico si sono iscritti in dieci. Se il liceo classico è in agonia in tutta Italia, al Sarpi, dove Giorgio Gori (ma anche Giorgio Jannone) hanno faticato su Seneca e Tucidide, invece, “optima tempora currunt”. A settembre le quarte ginnasio che si sono avviate al quinquennio sono state 8 contro le 6 dello scorso anno scolastico, a fronte di un boom di iscrizioni: 205 nuovi “sarpini” contro i 130 dello scorso anno, con una percentuale di incremento del 60%, affronteranno l’alfabeto greco. Chi pensava che Cesare e i fratelli Gracchi fossero stati definitivamente mansardati dalla generazione Facebook dei ragazzi bergamaschi (in favore delle materie tecniche e scientifiche) ha di che ricredersi. Le lingue “morte” piacciono più di quelle vive, dall’inglese al cinese? Epicuro e Cicerone sovrastano l’informatica e internet? Ergo, qual è il segreto di questo revival “popular” del Sarpi che conta 30 classi e 700 studenti (solo in minima parte figli di chi ha considerato il ginnasio la conferma di uno status di famiglia). Chi lo conosce non ha dubbi:  importante è stato il contribuito del preside Damiano Previtali, classe 1959, un curriculum autostradale (con prestigiosi incarichi di consulenza al Miur) che, da poco più di un anno, ha raccolto un’eredità e una sfida insieme, ma soprattutto ha saputo rivitalizzare le molte competenze e risorse interne alla comunità professionale del Sarpi. Solo sette mesi fa, con un consiglio dei docenti diviso in due, il dirigente scolastico aveva detto: “Questa divisione sarà una ricchezza, e dal momento che i licei classici stanno perdendo iscritti, studieremo delle proposte migliorative”. Che, facendo leva su tre elementi : “L’essenzializzazione dell’offerta, una squadra che funziona, e la messa al centro dello studente”, ha già dato i suoi frutti. “Hic manebimus optime”, direttamente da Tito Livio a Piazza Rosate, potrebbe essere il claim del nuovo preside, a cui piace essere chiamato proprio così e non dirigente scolastico.
Ma come sono questi giovani?
“Il Sarpi ha degli studenti, sia per formazione che per estrazione molto curati, con famiglie alle spalle molto “robuste” sotto più punti di vista…sono uno spaccato di una realtà giovanile che è molto più articolata e che ho avuto modo di conoscere attraverso varie esperienze di direzione didattica e di insegnamento”.
Il refrain è sempre quello…un mondo giovanile che gli adulti stentano a comprendere
“Il cambio generazionale, da Orazio ad oggi, c’è sempre stato…ne parla anche Cicerone, se non ricordo male. Ma in questi anni c’è una frattura che sembra essersi particolarmente accentuata”.
In che senso?
“Sotto vari punti di vista da quello comunicazionale a quello legato al futuro. Quando andavo a scuola io, il futuro non ci spaventava e l’idea del lavoro, per la mia generazione, era qualcosa di concreto. Eravamo in presenza di diverse “perturbazioni sociali”, che portavano anche una certa passione su certi temi, ma che non procuravano angosce individuali piuttosto, semmai, un impegno collettivo. Una situazione che, a cascata, si riflette su una scuola che è in difficoltà”.
Difficoltà di che tipo?
“Tanto per cominciare sull’aspetto cognitivo, registriamo difficoltà di attenzione, disturbi di apprendimento e della percezione che, anche solo 20 anni fa non  esistevano. Insieme ai disagi linguistici che in certe zone arrivano a percentuali consistenti e non dipendono dall’individuo. Sono dati oggettivi che rivelano chiaramente come le cose siano cambiate”.
Ma quanto conta l’estrazione famigliare nella formazione di un ragazzo?
“La famiglia incide molto di più della scuola, questo è fuori discussione, anche nell’apprendimento più dei professori contano i genitori”.
Che, invece, la pensano esattamente al contrario…
“Si colpevolizza la scuola di non assumere il ruolo che, come ho detto, compete alla famiglia. E’ un paradosso, ma in molti casi si manifesta anche l’incapacità di comprendere, da parte del genitore, il rendimento su alcune materie”.
Un tre in greco è più colpa di un ragazzo che non studia o di un professore che non sa insegnare la materia?
“Questo è un altro aspetto, gli insegnanti tendono a non mettersi mai in discussione”.
Sono le aspettative dei genitori a rovinare i figli? Una scuola come il Sarpi alimenta grandi attese…
“Il classico garantisce un piano di formazione completo e, anche se non si possono generalizzare aspettative e tipologie di genitori, questo è vero”.
E’ per questo poi che, ad un certo punto, non ce la fanno più e compiono gesti insani…
“Le chiavi di spiegazione di certi gesti non sono univoche, ma certo indicano una premeditazione che implicano disagi forti, non facilmente decifrabili”.
Studenti infelici?
“Gli italiani direi proprio che non lo sono. La miglior “scuola scolastica”, per così dire è quella della Corea che sforna gli studenti migliori al mondo, ragazzi ambiziosi e con grandi competenze ma che manifestano disagi profondi. Non è il caso della scuola italiana che accoglie proprio tutti”.
Che futuro si aspetta per loro?
“Potenzialmente potranno raccogliere dei risultati positivi anche nella vita, in virtù di una situazione solida alle spalle”
E chi non ce l’ha?
“Sempre più anche in Italia, come ha detto Draghi, la divaricazione tra povertà e emarginazione sociale si determina in chi ha situazione famigliare difficile e studi bassi. Qui al Sarpi si verifica esattamente il contrario. Saranno gli italiani che se la caveranno, almeno in percentuale, nella quasi totalità, statisticamente parlando”.
Che tipo di dialogo ha con i suoi studenti?
“Un bellissimo rapporto, anche perché, e non lo dico sottovoce, a mio avviso sono migliori di noi. Li trovo competenti, capaci, multidisciplinari, con potenzialità enormi rispetto alle nostre. Sono più capaci di argomentare e di assumersi le responsabilità”.
Ad esempio?
“Ci sono studenti che hanno avuto gravi disturbi alimentari che si sono fatti promotori di un’opera di sensibilizzazione sulla problematica proprio interagendo con i compagni e con i professori. Sono stati loro stessi ad individuare il problema, ad argomentarlo, razionalizzarlo e metterlo in circolo”.
Facile fare il preside in una scuola così…
“E’ vero, la prima regola cui bisognerebbe attenersi è: “primum non nocere”, lasciamo che i ragazzi vadano avanti da soli. Vale anche per i professori”.
Che cosa saranno questi Sarpini per Bergamo? Andranno all’estero?
“La globalizzazione conta, ma poi a Bergamo ci torni, le tue radici sono qui”.
Telefonini in classe?
“Lo scorso anno me ne sono arrivati un paio, tutto qui. La regola è che i telefonini non devono essere accesi né ci devi smanettare”.
Sono proprio bravi…
“Sì a non farsi beccare mentre ci smanettano. Scherzi a parte. No, non riesco mai a sospendere nessuno. Non ho neanche questa soddisfazione”.