Il prefetto “snobba” il Ducato
di Piazza Pontida. Strali dal Giopì

La storia insegna che la convivenza tra sistemi politici è sempre complicata: furono dei federati romani a far cadere l’impero e furono dei feudatari inurbati a sconfiggere il Barbarossa: in piccolo e, per fortuna, soltanto su questioni, diciamo così, formali, lo stesso sta avvenendo a Bergamo, tra la nobile confraternita feudal-gioppinoria del Ducato di Piazza Pontida e la massima autorità repubblicana presente nella nostra provincia, vale a dire il Prefetto di Bergamo. Sfogliando le pagine del “Giopì” del 30 giugno, ho notato, infatti, che, in margine alla descrizione della cerimonia di consegna a 46 bergamaschi delle onoreficenze al merito della Repubblica, il giorno in cui la Repubblica compiva gli anni, c’erano alcuni accenni ad un persistente clima di freddezza tra il Ducato ed il prefetto di Bergamo, dottoressa Francesca Ferrandino. Siccome non è la prima volta che noto, negli articoli del glorioso periodico, dei cenni piuttosto espliciti ad una sorta di ‘detachment’ diplomatico tra le autorità repubblicane e quelle ducali, credo sia il caso di spendere due righe sull’argomento. Tanto per cominciare, confesso di essere dispiaciuto per questo raffreddamento tra il Prefetto Ferrandino e l’antico sodalizio di Piazza Pontida, che, proprio quest’anno, compie 120 anni. Non conosco la dottoressa Ferrandino, ma il Prefetto rappresenta lo Stato, e lo Stato dovremmo essere noi: proprio per questo, mi farebbe piacere che l’osmosi tra autorità e territorio fosse la più completa, cordiale e proficua possibile. Conosco, invece, benone il Ducato, che, in altro modo, rappresenta anch’esso la nostra comunità, attraverso quella che si chiama “difesa dell’identità”. Per spiegare il senso di questi due ambiti, possiamo prendere in prestito il concetto tedesco di ‘Heimat’ e di ‘Vaterland’: la prima è la piccola patria, magari strapaesana, con i sui difetti e le sue virtù, il campanile, la piazza, il fiume e i giardinetti, mentre la seconda è la Patria con la P maiuscola, quella che regge e governa, che provvede ed amministra tutto il territorio dello Stato. Io credo che, per essere una comunità coesa, ci vogliano entrambe le cose: come Giuseppe Giusti, ho un’idea progressiva della Nazione, che parte dall’amore per la propria casa per arrivare alla cittadinanza d’Europa. Non si può essere buoni cittadini europei se non si amano fortemente le proprie radici e tradizioni. Ovvio, dunque, che questa sorta di guerra fredda piccola piccola non mi piaccia: anzi, mi dispiaccia. Credo di poter dire che questa piccola crisi diplomatica si debba al fatto che entrambi gli attori siano partiti, come si dice, col piede sbagliato: la signora Ferrandino è stata nominata Prefetto di Bergamo alla fine di novembre dell’anno scorso e, praticamente da subito, i rapporti tra lei e il Ducato hanno preso una brutta piega: in occasione degli auguri alle autorità cittadine, che i vertici ducali fanno ogni anno, con una piccola sfilata e la declamazione di alcuni versi propiziatori da parte del Duca, il Prefetto non si è fatto vedere. Per la verità, non ha neppure mandato un vicario, come invece ha fatto il Presidente della Provincia: questo deve aver pizzicato l’amor proprio dei vertici ducali, che non hanno mancato di sottolineare la cosa, con una certa enfasi. Per carità: capita. La dottoressa Ferrandino era nuova degli usi orobici, provenendo da Agrigento e deve aver pensato che si trattasse di una sorta di boutade folkloristica o poco più. Il che è verissimo: il Ducato non è mica un feudo vero, ma è semplicemente un gruppo di persone che cercano di tener viva una tradizione, un modo di vedere la vita. E, spesso, anche le manifestazioni che organizza, viste dal di fuori, possono sembrare delle gioppinate: carri allegorici, costumi, declamazioni, talvolta possono apparire delle carnevalate prive di senso. O, come diceva l’illustre agrigentino Pirandello, delle pupazzate, delle fantocciate. Che, se ci fate caso, vuol dire esattamente la stessa cosa, tanto a Girgenti quanto a Bergamo, visto che ‘gioppino, in bergamasco, sta anche, estensivamente, per marionetta. Dunque, il Prefetto ha elegantemente evitato la cerimonia degli auguri: apriti cielo! In Piazza Pontida l’hanno presa malissimo: e, forse, forse, hanno un filo esagerato, dimostrando una pelle troppo sensibile, rispetto ai nostri antenati, che ce l’avevano bella spessa. Quindi, la replica o, meglio, il commento, anziché conciliatorio, è stato decisamente sul piccato. Non so dirvi se la signora Ferrandino l’abbia letto o meno: non ho idea se, tra le molteplici attività di un Prefetto vi sia anche quella di compulsare sistematicamente la stampa locale. Certo è che, se l’ha letto, non deve averlo gradito: se, invece, non l’ha letto, mi pare di poter dire che il nostro Prefetto nutra una certa qual idiosincrasia istintiva per le cerimonie pubbliche, stante la fugacissima apparizione, il 2 giugno scorso, alla consegna dei cavalierati e delle commende repubblicane. In ogni caso, si tratta di una situazione spiacevole: la terra bergamasca sta vivendo un momento storico molto delicato e complesso. Da territorio ricchissimo e privo di problemi sociali o quasi, è diventata, in breve tempo, una provincia afflitta da disoccupazione, chiusura di fabbriche, immigrazione massiccia: e, quando le cose cominciano a girare per il verso sbagliato, la gente tende a prendersela con le tasse, con la Polizia, con la Finanza. Insomma, con lo Stato. Per questo, se non si vuole offrire la guancia ai separatismi, bisogna che lo Stato faccia sentire ai cittadini di non essere solo un occhiuto gendarme, che fruga nelle loro tasche, sibbene l’espressione più alta della comunità nazionale: anche nelle piccolissime cose, come queste. Proprio per questo, forse, un piccolo gesto distensivo del Prefetto potrebbe aiutare a creare un clima più collaborativo.  Sono i grandi che dovrebbero venire incontro ai piccoli. Io ci spero vivamente.

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