Una volta credevo nella Giustizia. Poi è successo che….

tribunale di BergamoUna volta, credevo che la giustizia fosse una cosa magnifica e semidivina: ci credevo per davvero. Erano gli anni cupi del terrorismo, ma per me erano anche gli anni belli e spensierati del liceo. La mia morosa storica di allora era figlia di un giudice e, probabilmente, io i giudici me li immaginavo tutti come lui e, con loro, va da sé, la giustizia che essi incarnavano. Il papà della mia fidanzatina era una persona timida e gentile: scrupolosissimo e modesto, andava al lavoro tutte le mattine in filobus, con puntualità assoluta. Potevi regolare l’orologio sul fatto di vederlo fermo ad aspettare il mezzo pubblico, con la sua borsa di pelle floscia. Ecco, allora, per me, la giustizia era questo: un servitore dello Stato che lavorava duro, senza fronzoli e senza indulgere ad alcuna forma di protagonismo.

Col passare del tempo, cominciai a notare che certi magistrati occupavano sempre più spesso le prime pagine dei giornali, fino a diventare ospiti fissi dei telegiornali: al contempo, cominciai a cogliere i primi segnali di una certa tendenza dei medesimi a prendere cantonate clamorose, e fu per questo che votai senza esitare per la loro responsabilità civile, nel 1987. La velocità con cui il Parlamento cancellò gli effetti di quel voto, e la sostanziale truffa ai danni degli elettori, mi convinsero definitivamente che la giustizia, come la vedevo io, non era poi così giusta. E che i giudici, probabilmente, non erano tutti quanti come il padre della mia morosa. Da allora, continuai a nutrire i miei dubbi, ma la cosa rimase, per così dire, allo stadio latente, giacché, per fortuna, non ho mai avuto a che fare con un giudice, se non per una partita a carte o per una conferenza. Recentemente, però, ho dovuto ricorrere alla giustizia, e l’impressione che ne ho tratto mi ha profondamente deluso, così ho pensato di raccontarvi la mia esperienza.

Non pretendo che si tratti della norma: magari sono stato semplicemente sfortunato, però mi pare che la faccenda sia abbastanza significativa, se non altro come apologo. Circa due anni e mezzo fa, un signore che non conosco, per futili motivi (la solita discussione su Facebook degenerata in battibecco), ha pubblicato nel proprio sito il mio curriculum vitae, leggermente, dirò in maniera eufemistica, chiosato dai suoi commenti. Ne derivava un quadretto piuttosto deprimente: io ero un mezzo uomo (sic), un millantatore, un imbroglione, un analfabeta e un cretino. Il tutto detto con una prosa un tantino più colorita ed imbarocchita. Quel che è peggio, tuttavia, è che il sicofante pubblicò anche il mio indirizzo ed il mio numero telefonico, invitando implicitamente suoi presunti sodali a fare giustizia sommaria sulla mia persona. Naturalmente, lo querelai, tramite il mio avvocato, che presentò subito un’istanza urgente per l’oscuramento della pagina incriminata, con tutte le motivazioni del caso. Aggiungo che, nella mia professione, accade abbastanza di frequente che potenziali clienti cerchino informazioni tramite internet: potete immaginarvi la bella impressione che possono trarre nel leggere, come prima cosa, quella simpatica paginetta di insulti e di diffamazioni. Insomma, per dirla chiara, ci ho smenato anche dei bei soldi.

La pratica mi pareva di quelle che possono essere evase in cinque minuti, senza aggravare il già drammatico sovraccarico della giustizia orobica: fai chiudere la maledetta pagina e, per l’udienza ci sarà tempo. Macchè: i mesi passavano e la paginazza era sempre lì, a campeggiare non appena si digitava il mio nome su Google (sono sicuro che qualcuno di voi lo farà subito ed esclamerà: orca, è proprio vero!). Io tormentavo il mio povero avvocato e lui sollecitava, sollecitava: in fondo, sarebbe bastato leggere quel che aveva scritto il tipo balordo per capire al volo che si trattava di una cosa sgradevole e potenzialmente pericolosa. Sono passati due anni e mezzo, e il blog è ancora al suo posto: in due anni e mezzo, questo magistrato, evidentemente, non ha trovato il tempo di scrivere due righe e mettere una firma.

Ecco, questo episodio ha cancellato in via definitiva l’associazione d’idee: papà della morosa-magistratura. Cari magistrati, avete trasformato un vostro ammiratore in un detrattore: bel risultatone! Tra l’altro, il diffamatore è recidivo: ho scoperto che un mio amico di Roma lo ha a sua volta querelato per tutt’altre diffamazioni. Gli auguro miglior fortuna, naturalmente. Si tratta, lo so bene, di un episodio piccolo, minimo, marginale. Ma, per chi lo vive, non è marginale neanche un po’. A volte, qualche magistrato tende a dimenticarselo.

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