I grandi chef da bambini? Ecco cosa mangiavano

immagini 194Non tutti gli chef che portano in alto la nostra ristorazione sono stati delle buone forchette, nonostante i buoni esempi a casa. Di contro ci sono grandi chef cresciuti con cucine non troppo stimolanti che hanno sviluppato sin da bimbi un palato eccezionale: «Da piccolo ero curioso, mangiavo tantissimo ed il momento clou era la domenica, con arrosti, pasticci, antipasti toscani, fritti e tanti dolci – racconta lo chef Enrico Bartolini, due stelle Michelin al Devero di Cavenago -. In settimana era un po’ una sofferenza perché mia mamma, che è una grande mamma, cucinava un così e così. La domenica però ci pensava la zia Emilia. E a volte anche il venerdì, quando faceva la polenta e ogni tanto il baccalà». I suoi, ancora piccoli, mangiano già di tutto: «Giovanni, 2 anni, vivrebbe di patanegra e acciughe, senza contare nei dolci il gelato. Tommaso, 8 anni, mangia di tutto, ma ama soprattutto la pasta ed i risotti».

Daniel Facen A'AnteprimaDaniel Facen, nato in Svizzera ma trentino nell’anima e ormai bergamasco d’adozione, è cresciuto in una casa con pentole e padelle sempre sul fuoco: «Mia mamma Roberta lavorava a servizio di un’importante famiglia milanese prima e poi svizzera, dove sono nato. È sempre stata, anche per lavoro, una grande cuoca: grandi secondi di carne, piatti tradizionali lombardi come la cassoela, gli ossibuchi con risotto e la cotoletta alla milanese, erano solo alcune delle sue specialità, assieme a piatti svizzeri come la raclette». Cresciuto coi manicaretti di mamma, lo chef dell’A’ Anteprima di Chiuduno, una stella Michelin, è sempre stato una buona forchetta: «Un piatto odiato e uno amato? Ho sempre mangiato di tutto, ma ricordo con affetto la semplicità di uova con dente di leone, un piatto che segnava l’arrivo della primavera e della bella stagione. Invece, francamente, la faraona con polenta è un piatto che ho odiato e non amo nemmeno oggi: le carni risultano sempre asciutte. Non sono mai andato al ristorante da bambino e per me l’unica cucina è sempre stata quella di mia madre». Suo figlio non ha mai fatto un capriccio a tavola ed è un grande appassionato di cucina: «Luca, che ora ha 21 anni, cucina davvero bene – dice Facen -, tanto che è quasi sempre lui a mettersi ai fornelli a casa. È sempre aggiornato su tendenze e grandi chef, sperimenta nuove ricette. Anche da piccolo ha sempre voluto assaggiare tutto, con grande curiosità».

Chicco CereaEnrico, detto Chicco, primogenito dei cinque fratelli Cerea ed executive chef del tristellato Da Vittorio a Brusaporto è cresciuto tra pentole fumanti e i profumi di una cucina eccellente come quella di papà Vittorio. «Il palato va istruito, allenato, e tenuto sempre aggiornato – afferma -. È qualcosa che in parte si ha nel dna, ma poi contano ambiente ed esperienze, curiosità e desiderio di sperimentare nuovi gusti. Non sempre sono amori a prima vista e gusto: a otto anni, ad esempio, ricordo che sputai un’ostrica. Oggi ne vado letteralmente pazzo». Ma che bimbo è stato Chicco Cerea? «Sono stato goloso sin da piccolo – ammette -. Ho sempre mangiato di tutto: ricordo ancora quel piacere di affondare il dito in una salsa di pomodoro appena preparata in casa. Ricordo con affetto le merende con mio padre del mercoledì, giorno ancora oggi di chiusura del ristorante. Papà ci veniva a prendere a scuola e andavamo tutti insieme a piedi fino in Città Alta per gustare pane, burro e acciuga o pane, salame e cetriolini alla Trattoria Colombina». Anche i “piccoli” di casa Cerea sono dei gourmet come papà: «I miei tre figli – Beatrice, 20 anni, Maria Vittoria, 17 anni e Vittorio, 15 anni – hanno sempre assaggiato ogni piatto sin da piccoli. Ad ogni ricorrenza abbiamo il nostro rituale: regalarci una cena in un ristorante importante. Ci divertiamo un mondo a scegliere la meta gastronomica, sbirciare i menù, iniziando su internet il nostro viaggio tra i sapori. Devo dire che i miei figli sono stati sempre molto aperti all’assaggio e anche il vino l’ho fatto provare a tutti. Io stesso sono il primo ad accettare ogni loro suggerimento: ad esempio Beatrice che ha vissuto tre mesi ad Hong Kong mi ha consigliato su alcune spezie e mi ha portato nuove ricette dall’Oriente».

Roberto Proto e Maria MorbiRoberto Proto, chef de Il Saraceno di Cavernago, fresco di stella Michelin, è approdato alla cucina dopo aver fatto per un paio di anni il parrucchiere e aver capito che non era la sua strada. Ha respirato sin da bambino l’atmosfera del ristorante nella trattoria di famiglia aperta nel 1976 da papà Salvatore e da mamma Trofimena, che da Amalfi avevano inseguito un lavoro e i loro sogni prima in Svizzera, dove erano stati a servizio come governanti presso un’importante famiglia, e poi a Bergamo, dove avevano aperto il loro ristorante “Da Salvatore”. Nonostante i manicaretti di mamma Mena, Roberto Proto non è stato un bimbo gourmet né ha mai avuto una grande predisposizione all’assaggio: «Il mio universo gastronomico è stato per anni quello della pizza margherita, delle bistecchine e delle penne al pomodoro, senza nemmeno l’ombra di un filo di cipolla». Nemmeno un pesce a guizzare in questo menù ristretto e un po’ ottuso, un fatto quanto meno curioso per uno chef destinato in futuro ad esaltare ogni specialità di mare. «Mia mamma non ha mai smesso di propormi piatti di pesce, che ho scoperto però solo a dodici anni. Prima non c’è stato verso di farmeli provare». Ma è stata solo una questione di tempo. «Oggi mangio davvero tutto, ma se posso evito i peperoni. Il piatto a cui non potrei rinunciare è invece la pasta e fagioli di mia madre, un piatto storico della mia famiglia, tramandato di generazione in generazione». Le bimbe dello chef devono ancora ampliare il loro menù, ma mamma Maria Morbi, con tanto di laurea di psicologia in tasca, è pronta a dar loro tutto il tempo necessario, anche perché – come sottolinea – forzare i bimbi a mangiare è uno dei più grandi errori da fare, per non parlare di punizioni e ricompense. «Le mie bambine, Martina di 9 anni e Giulia di 6 anni, purtroppo non mangiano proprio tutto, a partire dal pesce – allarga le braccia Roberto Proto -. Nonostante le paste e le torte fatte in casa dalle nonne Mena e Lisetta, la cura che mette mia moglie Maria nel proporre loro verdure, riducendole in crema o presentandole al meglio, le nostre bimbe non sono delle grandi forchette. La più piccola oggi, ad esempio, non voleva andare in mensa perché in menù c’era il pesce fritto».

 

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