Emergenza energetica e fiducia a picco, sono 1900 le imprese del terziario a rischio chiusura

I costi fuori controllo frenano l’affannosa corsa per il recupero post Covid che durava da due anni

Precipita la fiducia delle imprese del terziario bergamasche nell’economia italiana, che subisce questo autunno un duro colpo. L’indice scende da quota 36 a 26, perdendo ben10 punti. E la previsione è di un’ulteriore caduta a 24 per marzo 2023. Frena così bruscamente l’affannosa corsa per il recupero post Covid, che durava da due anni. La crisi energetica rischia così di avere riflessi molto più pesanti rispetto alla pandemia, basti pensare che l’indicatore nazionale medio della fiducia si presenta più basso rispetto al periodo del lockdown più duro, a marzo 2020.  Peggiora anche la fiducia nell’andamento della propria impresa: l’indicatore scende a 40 (3 punti in meno rispetto a marzo 2022). I bergamaschi sono più pessimisti rispetto alla media degli italiani che si presenta con un indice a 43. Tuttavia la previsione in vista dei prossimi mesi migliora, andando a recuperare 3 punti entro marzo 2023 (43).  Anche l’indicatore occupazionale delle imprese del terziario orobico è in lieve peggioramento rispetto a marzo 2022 ed è passato da 48 a 47. Il dato è più basso di quello nazionale, che è a quota 50, anche se è previsto in diminuzione a 45 per marzo 2023.
Sono queste alcune delle principali evidenze emerse dall’Osservatorio Congiunturale Ascom Confcommercio Bergamo – Format Research con focus su clima di fiducia e aumento dei costi dell’energia, presentato oggi.  In un quadro di grande preoccupazione per il terziario, il settore dei servizi e le imprese sopra i 10 addetti sono più fiduciosi nella loro capacità di attraversare indenni anche questa nuova crisi, mentre commercio e turismo e soprattutto micro e piccolissime imprese non nascondono la loro rassegnazione. Le ripercussioni allo stato di fatto della crisi energetica sono preoccupanti: se la situazione persiste saranno a rischio circa 1.900 imprese del terziario (1.100 pari al 6% del commercio, 600 pari al 10,5% del turismo e 200 pari allo 0,9% dei servizi) e oltre 5.800 posti di lavoro. Già attualmente circa 500 imprese dichiarano che potrebbero essere costrette a chiudere a causa dell’aumento dei costi dell’energia e dei prezzi praticati in generale dai fornitori, aumentati per l’82% degli intervistati.

Le ricerche nel dettaglio

Clima di fiducia

In linea con il quadro nazionale, le imprese del terziario bergamasche registrano un crollo del clima di fiducia: l’indicatore scende da 36 a 26 e la previsione è di un’ulteriore caduta entro marzo 2023 a quota 24. Il dato è tuttavia migliore rispetto alla media nazionale, che attualmente presenta un indice a 21, con la previsione di un’ulteriore caduta a 19 entro marzo 2023. Il dato nazionale sia attuale che previsionale per i prossimi mesi si presenta addirittura peggiore di quello rilevato durante il lockdown più duro, a marzo 2020, quando era a quota 28 (a Bergamo tuttavia nel cuore della pandemia l’indicatore in quel periodo sfiorò i minimi storici con un abissale 7). Il sentiment resta positivo per il solo settore dei servizi e per le imprese sopra i 10 addetti, mentre è nettamente al di sotto per il commercio e il turismo fino ai 9 addetti.
La crisi si ripercuote anche sulla fiducia nell’andamento della propria impresa: l’indicatore scende di tre punti a 40 (era appunto 43 a marzo 2022), ma prevede un miglioramento, a 43,a marzo 2023. Come per l’andamento dell’impresa, anche l’indicatore relativo ai ricavi subisce un calo (era 46 a marzo 2022 e scende a 43), in linea con il dato nazionale. È tuttavia previsto un recupero, a quota 46 per i prossimi mesi (marzo 2023); in questo le imprese bergamasche appaiono più pessimiste rispetto al futuro della media nazionale che confida invece in un recupero a quota 51 nei primi tre mesi dell’anno prossimo.
Stabile la situazione occupazionale delle imprese: l’indicatore è pari a 47 (era a 48 a marzo 2022), ma è lievemente inferiore a quello nazionale, che attualmente è a 50, ma prevede un abbassamento a 46. Quest’ultimo dato, relativo ai prossimi mesi, vede sostanzialmente allineata anche la nostra provincia, a quota 45. L’aumento abnorme dei prezzi non riguarda solo i costi energetici ma anche i prezzi praticati in generale dai fornitori: 8 imprese su 10 lamentano un aumento diffuso dei costi e dei prezzi praticati dai fornitori . La crisi in atto si ripercuote anche sui tempi di pagamento: il 32% delle imprese lamenta un ulteriore allungamento dei termini. L’indicatore congiunturale sui tempi di pagamento è a 34 e la previsione è a 32.

Crisi energetica

La quasi totalità delle imprese(93,3%) ritiene che le spese energetiche della propria impresa nel 2022 aumenteranno. Se questo può sembrare un dato ovvio, tra queste il 22,2% stima un aumento in bolletta superiore al 100% rispetto all’anno precedente. Più di 7 imprese su 10, il 74%, saranno costrette ad affrontare le difficoltà legate all’abnorme incremento dei costi delle materie prime energetiche per restare attive. Il dato provinciale è migliore rispetto a quello nazionale, dove l’82,3% prevede sacrifici per stare sul mercato. Del 74% delle imprese che saranno costrette ad affrontare le difficoltà legate all’abnorme incremento dei costi delle materie prime energetiche per restare attive, il 46% ritiene del tutto insufficienti le misure prospettate per ridurre l’impatto economico del caro energia (spegnere le insegne luminose, regolare la temperatura ambientale dell’attività nell’ottica di contenere i consumi, etc.). Per tamponare l’aumento dei costi le imprese saranno così costrette a rivedere i propri prezzi (59,8%)  e ad adottare politiche per una significativa riduzione dei consumi energetici (57%).  Il 20,9% provvederà alla chiusura di alcuni locali dell’attività (stanze inutilizzate piani di alberghi dismessi, etc.), il 10,9%  dovrà ridurre gli orari dei turni di lavoro, il 9,5%  ridurrà il numero di giorni lavorativi nella settimana e il 4,5% sarà costretto alla riduzione dell’offerta di prodotti/servizi.
Se otto imprese su dieci non avevano pianificato alcun investimento per i prossimi sei mesi, del 16% di imprese che li avevano messo a budget, più della metà (l’8,9%) rinuncerà a quanto programmato. Gli investimenti riguardano: formazione (48%), immobili (32%), sostenibilità (23%), ristrutturazione locali 21%, marketing e pubblicità 14,3%, digitalizzazione 13%.
Dall’indagine risulta che l’1% delle imprese ha già stabilito la chiusura, l’11% diminuirà la sua attività, il 24% resterà aperta con molte difficoltà e il 39% resterà aperta con qualche difficoltà. Solo il 25% afferma di restare aperta senza difficoltà .

Format Research afferma che se la situazione di crisi persiste saranno a rischio circa 1.900 imprese del terziario (1.100 pari al 6% del commercio, 600 pari al 10,5% del turismo e 200 pari allo 0,9% dei servizi) e oltre 5.800 posti di lavoro. Già attualmente circa 500 imprese dichiarano che potrebbero essere costrette a chiudere a causa dell’aumento dei costi dell’energia. “La crisi energetica rischia così di avere riflessi molto più pesanti rispetto alla pandemia- commenta Giovanni Zambonelli, presidente Ascom Confcommercio Bergamo-. Gli imprenditori ritenevano quella una catastrofe passeggera, mentre la crisi energetica è percepita come strutturale. Quanto fatto finora dal precedente Governo e dalle diverse azioni di tutti gli enti coinvolti è ritenuto poco più di un palliativo per affrontare il problema che appare ora in tutta la sua drammaticità.  Il caro bollette richiederà cambi organizzativi legati all’apertura e ai turni di lavoro e di fatto la crisi energetica ferma più della metà degli investimenti programmati dal settore del terziario, con inevitabili ripercussioni anche sul futuro.”

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