Ecco perché terrei i musulmani lontano dalle chiese

Ci sono tanti modi di andare a remengo: un attimo prima sei lì ad incazzarti per una multa ed un attimo dopo sei steso in una bara, con le beghine che belano “Io credo, risorgerò…”. C’è chi schiatta esattamente come è vissuto e chi, invece, interpreta la propria morte come una sorta di rivincita: come se, oltre a tirare la gambetta, gli venisse anche il braccio ad ombrello. Ma, tra le millanta maniere di danzare l’ultima giga, la peggiore, la più stupida, la meno, funereamente parlando, sensata, è quella di morire facendosi prendere per i fondelli. E pare sia questa la fine che la civiltà occidentale ha scelto per sé, nei confronti dell’Islam. Per carità, le civiltà finiscono: i Maya come gli Assiri, probabilmente, pensavano di durare in eterno o, più probabilmente, nemmeno si ponevano la questione. Fanno lodevole eccezione gli antichi norreni, che, forse per via del clima, ritenevano caduche perfino le proprie divinità, tanto da farle perire in una specie di gran battaglia finale tra il bene ed il male: il re dei loro dei sarebbe finito tra le fauci del gran lupo Fenrir, e tanti saluti. Però, consentitemi, c’è modo e modo di tramontare: un conto è un bel Götterdämmerung e altro è mettere la testa sul ceppo, sorridendo al mamelucco che affila la scimitarra, mentre canticchia “Noi saremo sempre amici…”. Amici un par di palle!

Da quando l’Islam si è trasformato da religione per beduini in cerca di unità in energia propulsiva, ha sempre cercato di fare le scarpe ai suoi due concorrenti principali: l’ebraismo ed il cristianesimo. Con l’ebraismo, ha avuto vita relativamente facile, dati i numeri: col cristianesimo, dopo una prima, clamorosa, espansione, che ha portato fino in Francia l’insegna verde del Profeta, c’è stato qualche problemino in più. Questo problemino passa per Poitiers, si organizza dalle parti di Clermont-Ferrand, prosegue per Lepanto ed arriva alle porte di Vienna, con qualche intermezzo bizantino. Insomma, sono, più o meno, quattordici secoli che ce le suoniamo di santa ragione, con delle pause di scambi culturali, di reciprochi salamelecchi e di qualche convivenza commerciale: la storia dei rapporti tra Islam e cristianesimo è questa e non altre. La fiaba dell’ecumenismo, del siamo figli dello stesso Dio, del relativismo monoteista, è cosa recente, come Standard & Poors o i Pokemon. E non mi pare che funzioni: da una parte ci sono le pecore e dall’altra i lupi, il che non aiuta a stabilire rapporti basati sulla reciprocità. E dire che la guerra è una cosa, mentre la religione è cosa affatto diversa è, lasciatemelo dire da storico militare, una bischerata inqualificabile: da Gilgamesh in poi, se c’è stato un catalizzatore formidabile per produrre, giustificare e portare a termine delle guerre, quello è stato la religione. La storia, d’altronde, è zeppa di “Deus lo vult”, “Gott mit uns” e “Montjoie!”. La grande novità, a parte questa scemenza sulla religione e la guerra, è che, adesso, per dimostrare che i musulmani sono buoni e ci vogliono bene, li facciamo venire in chiesa ed assistere alla messa: il che mi pare castroneria vieppiù colossale.

Questo per due ragioni: la prima è che, se i  musulmani vogliono dimostrare solidarietà ai cristiani, possono farlo ogni giorno, denunciando gli estremisti, comportandosi da bravi ragazzi e, magari, andando in piazza a manifestare, anzichè in chiesa a girar le spalle al prete o a predicare sure del Corano in arabo ad un pubblico di fedeli al quale, nella lingua del Profeta, si potrebbe anche ripetere “uno, due, tre, quattro”, che sarebbe lo stesso. La seconda, assai più sostanziale, riguarda noi e loro: anzi, noi e il mondo. Perché, vedete, noi europei (e noi Italiani in particolare), veniamo visti dai cittadini del cosiddetto Terzo Mondo come dei perfetti cretini: gente senza palle e credulona, disposta a sorridere benevolmente e a farsi fregare a mani basse. E il Corano, nei confronti di noialtri, infedeli e fessi patentati, prevede, come strumento del tutto normale ed accettato di dialogo, la Taqiyya (anche Kitman), che starebbe, più o meno (anche le parole arabe, spesso, sono ambigue e dal significato bifronte) per una menzogna detta nell’interesse dell’Islam. L’interesse, di solito, consiste nell’infiltrarsi nella Dar-al-Harb (la “casa della guerra, ossia noi), per indebolire le forze del nemico attraverso la dissimulazione. Come dire che si è moderati, che i terroristi non sono veri musulmani, che non si è informati, che si interpreta male e via discorrendo. Intendiamoci, è verissimo che in Occidente regni la più grossolana disinformazione: questo, però, va spesso a vantaggio proprio della Taqiyya, dato che è uno degli argomenti fondamentali usati per confondere le idee all’avversario. Può essere che tutto questo non esista più, naturalmente: che l’Islam sia radicalmente cambiato e che la Taqiyya se ne sia andata in soffitta, insieme ai Mamelucchi e alle scimitarre. Però, può darsi anche di no: può darsi che ci stiano ingannando, sfruttando la nostra bolsa mancanza di energia e la nostra crisi di identità. Io, nel dubbio, almeno dalle chiese li terrei lontani.