Dl Sostegni, dubbi sulla bozza. Meno tetti sui fatturati e platea di destinatari più ampia

Confcommercio auspica misure di ristoro adeguate alle esigenze di diversi settori, professioni comprese, mentre per la Fipe serve un calcolo delle perdite su base annua

“La priorità del decreto Sostegni deve essere quella di aiutare per prime le imprese che sono state costrette a chiudere per lungo tempo a causa delle misure di contenimento del Covid. Poi quelle che hanno potuto lavorare a ranghi ridotti e infine chi ha dovuto fare i conti con i cali dei fatturati. Se non si utilizza questo approccio progressivo, il rischio è quello di lasciar morire chi è in maggior difficoltà”. Così Fipe-Confcommercio, la Federazione italiana dei Pubblici esercizi, commenta le prime bozze in circolazione del dl Sostegni che dovrebbe arrivare in Consiglio dei ministri giovedì.
Confcommercio ribadisce l’esigenza di misure di ristoro adeguate e tempestive perché il provvedimento è articolato e sono ancora molte le tessere del puzzle da ordinare. A pochi giorni dal via libera resta infatti il nodo del limite dei cinque milioni di euro di fatturato per ricevere il contributo da parte delle aziende in difficoltà. Anche qui la richiesta di cambiare passo innalzando il tetto è trasversale. La Lega fa sapere di star lavorando per alzare l’asticella: il rischio è infatti che molte imprese rimangano tagliate fuori, soprattutto nel settore del turismo.

Quanto ai criteri, “resta confermata la necessità di un meccanismo che superi il sistema dei codici Ateco, non introduca tetti rigidi di ricavi e faccia riferimento tanto alle perdite di fatturato annuo, valutandone con attenzione la misura percentuale da individuarsi come condizione di accesso, quanto ai costi fissi. Tutto ciò per rispondere in maniera equilibrata alle esigenze dei diversi settori e delle diverse dimensioni d’impresa, nonché del mondo delle professioni”.

Per la Fipe serve un calcolo su base annua

“Con il giusto superamento del sistema dei codici Ateco, – sottolinea la Fipe – la coperta è diventata corta e sono necessari correttivi puntuali, senza l’introduzione di limiti rigidi sui ricavi. Il calcolo sulle perdite va spalmato su un intero anno, altrimenti si creano iniquità e disparità che rischiano di aggiungere danno ai danni, in particolare alle attività caratterizzate da una forte componente di stagionalità del lavoro”.
“L’altro problema è quello dei tempi – conclude Fipe –. Mentre i nostri imprenditori continuano ad indebitarsi, i ristori attesi con i 32 miliardi di scostamento decisi a gennaio sono ancora in un cassetto. Aspettare ancora potrebbe significare la morte di altre migliaia di imprese”.

Più difficile trovare una sintesi sul capitolo fiscale: l’intenzione di abbonare le cartelle affidate fra il 2000 e il 2015 non convince gran parte del Pd e LeU. Tutti concordano sulla necessità di liberare il cosiddetto “magazzino” dai crediti considerati inesigibili e che impiegano inutilmente risorse dell’Agenzie della riscossione. Da una parte, sul tavolo della discussione ci sono le soglie da applicare: l’ipotesi più probabile è di fissare a 5mila euro il tetto e che costerebbe secondo i calcoli del Tesoro circa 2 miliardi.
Appare certo invece il rinnovato “congelamento” dei versamenti fiscali e delle rate della rottamazione fino a fine aprile, con contestuale ripresa delle notifiche delle nuove cartelle. Dieci degli oltre 30 miliardi del nuovo pacchetto andranno poi a sostenere più direttamente il mondo del lavoro.

Il blocco dei licenziamenti sarà prorogato a fine giugno mentre la cig Covid dovrebbe essere prolungata per tutto l’anno. Allo studio anche il finanziamento con 500 milioni del fondo occupazione e una risposta alle crisi aziendali, tema quest’ultimo su cui è in agenda un incontro tra i Ministeri dello Sviluppo economico e dell’Economia. Sempre legata alle ricadute dell’emergenza covid, in arrivo il rinnovo dei congedi parentali per chi ha figli in Dad (200 milioni), la possibilità di scegliere lo smart working sempre laddove vi siano necessità di cura, e i voucher baby sitter. Misure che puntano a garantire una maggiore equità nella suddivisione dei compiti familiari e quindi a sostenere la parità di genere.

Federalberghi chiede di cambiare il provvedimento

“La scorsa settimana, l’Istat ha certificato che nel 2020 il fatturato dei servizi ricettivi ha subito un crollo del 54,9%. Ci saremmo aspettati che il decreto sostegni tenesse conto di questa tragedia, che mette a rischio la sopravvivenza di più di 30mila imprese e 350mila lavoratori, ma purtroppo non troviamo conferma nelle bozze che stanno circolando e che ci auguriamo vengano al più presto corrette”. Così Federalberghi, secondo la quale “per realizzare l’intento perequativo che più volte era stato annunciato nei mesi scorsi” è necessario che “il calcolo dei ristori venga effettuato considerando il danno subito nell’intero periodo pandemico (marzo 2020 – febbraio 2021)”.

“Inoltre – conclude la Federazione degli albergatori – chiediamo che venga eliminato il tetto di 5 milioni di euro, che taglia fuori molte imprese alberghiere di dimensioni medie e grandi, e che il limite di 150.000 euro venga applicato per ogni singola struttura ricettiva (e non per impresa”.

Federmoda: “Il retail della moda al collasso”

Nonostante i saldi, l’andamento delle vendite di quest’inizio d’anno ha registrato un calo del 41,1% a gennaio e del 23,3% a febbraio, senza lasciare spazi a segnali di recupero rispetto alle enormi perdite del 2020. “Ancora non si comprende il motivo per cui un negozio di abbigliamento o calzature o pelletteria – afferma Renato Borghi, Presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio – debba essere ricompreso tra quelle poche attività commerciali costrette alla chiusura per decreto in fascia rossa, nonostante gli investimenti fatti in sicurezza e per il rispetto dei protocolli”.

“Al nostro settore – prosegue Borghi – serve un sostegno immediato, reale, congruo e proporzionato alle effettive perdite, soprattutto slegato dalla soglia minima del 33% del fatturato perché i prodotti di moda seguono, come noto, le tendenze delle stagioni stilistiche e quindi sono soggetti a rapidissima svalutazione. Abbiamo avuto a disposizione solo mezze stagioni per la vendita e fatto subito notevole ricorso a forti promozioni e a saldi, con l’unico obiettivo di contenere le perdite di fatturato. Una soluzione che ha certamente aiutato i negozi ad avere liquidità per pagare personale, fornitori, affitti, tasse e spese vive, ma ha contestualmente generato una drastica riduzione dei margini, mettendo così a rischio il modello di business e la stessa sopravvivenza dei fashion store. Per questa peculiarità, la soglia di perdita di fatturato coerente per il dettaglio moda risulta, pertanto, del 20%”.
“Resta indispensabile – conclude Borghi – un contributo sulle eccedenze di magazzino, sotto forma di credito d’imposta del 30% delle rimanenze come pure è indifferibile anche un intervento sull’abbattimento del costo dei canoni di locazione”.

Il commercio alle prese con la lotteria degli scontrini

In attesa di ricevere i nuovi sostegni, i commercianti si stanno intanto adeguando alla novità della lotteria degli scontrini: circa in 300mila, sul milione e mezzo che ha installato il registratore telematico, hanno inviato i dati per partecipare alla prima estrazione mensile, cui concorrono quasi  17 milioni di transazioni valide e circa 4 milioni di cittadini che hanno attivato il codice. E numeri sempre in crescita registra anche il Cashback su cui Pago Pa, ha spiegato il sottosegretario al Mef Cecilia Guerra, sta portando avanti un monitoraggio per arrivare alla correzione delle anomalie (come i micro-pagamenti a raffica segnalati ai distributori di carburanti per ‘scalare’ le classifiche e accaparrarsi i 1.500 euro di supercashback). Ma sarà possibile anche “valutare eventuali modifiche al programma stesso”. Nessuno però, ha assicurato il viceministro Laura Castelli dice “di farlo saltare”.


Come cambia il commercio nelle città. L’indagine sulla “Demografia d’impresa” di Confcommercio

Negli ultimi otto anni a Bergamo in crescita alberghi, bar e ristoranti. Il presidente Zambonelli: “Il futuro è incerto e prevedere quante imprese chiuderanno è impossibile”

Come cambia il tessuto commerciale nei centri storici e nelle città? È la domanda a cui prova a dare una risposta Confcommercio con “Demografia d’impresa nelle città italiane” (sesta edizione), analisi aggiornata sull’evoluzione commerciale nei centri storici rispetto al resto del tessuto urbano tra il 2012 e il 2020. In particolare, oggetto dell’osservazione sono 120 città medio-grandi, cioè tutti i capoluoghi di provincia come Bergamo (ed ex capoluoghi), più 10 comuni di media dimensione. La disaggregazione riguarda 13 aree di attività economica: 9 del commercio fisso al dettaglio, cui si aggiungono il commercio ambulante, l’area dell’alloggio e quella della ristorazione, cioè bar e ristoranti; per completezza c’è anche la voce «altro commercio» che riguarda sostanzialmente le società che vendono online e porta a porta, i distributori automatici e le vendite per corrispondenza.

Dai dati dell’Ufficio Studi sulla demografia d’impresa delle 120 città oggetto dello studio emerge che dal 2012 ad oggi hanno chiuso 77mila attività e nel 2021 si prevede la chiusura di 1 impresa su 4 in ristorazione e alloggio. La riduzione del commercio tradizionale è collegata alla curva in discesa dei consumi (da 1.085 mld del 2012 si è scesi a 969 del 2020 siglando un -10,7%) e nella curva in aumento del commercio elettronico che nel 2020 ha fatto registrare un aumento del 30,7%, passando a livello nazionale da 17,9 miliardi a 23,4 miliardi. Male, invece, i servizi online che hanno registrato una perdita del 46,9%, passando da 13,5 ml a 7,2 ml.
Tra le merceologie più in difficoltà nel periodo compreso tra il 2012 e il 2020 ci sono le librerie e i giocattoli (-25,3%), mobili e ferramenta (-27,1%) e vestiario e calzature (-17%). A crescere sono solo poche merceologie tra cui le farmacie +19,7%.

I dati di Bergamo: in crescita alberghi, bar e ristoranti ma il futuro è incerto

A Bergamo gli esercizi hanno tenuto sia nel centro storico, con un lieve calo pari a -0,2% negli ultimi due anni (2020-2018), sia fuori dal centro storico (-3,1%). Osservando gli ultimi otto anni la diminuzione è stata contenuta (-8,7% nel centro storico e -8,0% fuori dal centro storico) contro la media di -14% nei 120 comuni italiani analizzati.
Tra il 2012 e il 2020 è stata forte la crescita delle imprese ricettive: +178,6% nel centro storico e +114% fuori. Bene anche se più moderata la crescita di bar e ristoranti (+5,6% in centro e + 14% fuori). La nota dolente riguarda gli ultimi due anni: nel centro storico hanno infatti perso sia le imprese ricettive (-7;0%) sia bar e ristoranti (-3,6%) mentre fuori dal centro storico sono cresciute le imprese ricettive (+22,3%) e sono stabili i bar e ristoranti (+0,7%). In questo scenario il fattore immobiliare ha fatto la sua parte: gli appartamenti del centro destinati alle imprese extra-alberghiere sono cresciuti a dismisura, mentre per i bar e ristoranti manca il punto vendita.
In conclusione, tra il 2012 e il 2020, la crescita di alberghi, bar e ristoranti a Bergamo è stata del 20,4% in centro storico e del 21,5% fuori dal centro ed è di quasi tre volte superiore alla media dei 120 comuni di media dimensione dove nello stesso periodo è stata dell’8,8%.

“Questa indagine ci conferma che già prima della pandemia il tessuto commerciale delle città stava cambiando, sia nel centro storico sia in periferia. L’emergenza Covid ha poi aggravato la situazione colpendo duro soprattutto il centro di Bergamo e Città Alta, così come i centri storici delle città metropolitane e multicentriche come Milano, Roma e Napoli – osserva Giovanni Zambonelli, presidente di Ascom Bergamo -. Sebbene le percentuali vedono vicine le tendenze del centro di Bergamo e Città Alta ben diversa è la dinamica di resistenza che vede tenere le imprese più strutturate situate nei centri storici, con la tenuta dell’ecosistema di prossimità della periferia (panettiere, alimentare, macellaio, fruttivendolo, tabaccaio e giornalaio). Ad ogni modo, in questo momento il numero preponderante delle imprese è ben al di sotto della linea di galleggiamento. Prevedere quante di queste chiuderanno è oggi impossibile. Non sappiamo ancora quando e come ripartirà il turismo e come la gente si riapproprierà degli spazi dei centri storici e come una modalità di consumo affermatasi nella pandemia potrà lasciare spazio alle modalità tradizionali”.

E proprio sugli scenari che riguardano il binomio consumi-terziario Oscar Fusini, direttore di Ascom Confcommercio Bergamo, non ha dubbi: “Quello che stiamo registrando è un fenomeno unico che tocca anche il nostro territorio: è quello che la ricerca definisce come possibile “ibernazione” del terziario. Molti stanno tenendo aperto il proprio negozio perché non hanno un reale sbocco alternativo e perché restano in attesa di ristori. Poi chiuderanno e questo avverrà in corso d’anno. Assisteremo, però, alla differenza tra cancellazione e mortalità di impresa. La cancellazione è l’atto formale che nei prossimi mesi potrebbe aumentare ma che non corrisponde alla cessazione di attività perché non appena le condizioni di ripartenza si riproporranno le stesse imprese ripartiranno. Il fenomeno è già chiaramente visibile nelle imprese ricettive extralberghiere che stanno restituendo gli appartamenti ai proprietari ma presto potrebbe toccare anche altri comparti del commercio”.

Le proposte di Confcommercio

Alla luce dei risultati dell’indagine Confcommercio ribadisce che sono necessari modelli di governance urbana che, con il contributo di chi nella città vive e lavora, guardino al medio-lungo termine e siano realmente capaci di dare risposte concrete all’economia reale e alla vita quotidiana dei cittadini e degli imprenditori italiani. In tale mutato contesto, le politiche urbane e territoriali hanno una grande responsabilità nel definire le nuove urbanità e andrà ricercata una nuova capacità di pianificazione, adattiva e meno burocratica, per dare risposte alle nuove esigenze contingenti e arginare la perdita di funzioni nelle città, garantendo la presenza di negozi, servizi, verde e spazi pubblici nei quartieri periferici e favorendo la residenzialità nei centri storici.

Si ritiene utile anche un aggiornamento post-Covid dell’Agenda urbana per rafforzare la resilienza delle città e delle loro economie: a tal proposito, Confcommercio è impegnata affinché parte dell’ingente quantità di risorse mobilitate dall’Unione europea per affrontare la crisi sanitaria, attraverso l’iniziativa Next Generation EU 2021-2024 e il rafforzamento della Politica di Coesione 2021-2027, siano destinate a sostenere progettualità condivise di sviluppo urbano ed economico, definite dagli attori economici e sociali locali con le rispettive Amministrazioni di riferimento.


Ristorazione in profondo rosso Frosio: “Ci sentiamo vittime sacrificali”

La presidenza del Gruppo Ristoratori di Ascom fa il punto sulla crisi in atto tra restrizioni e prospettive incerte: delivery, asporto e ristori del Governo salvagenti di una categoria messa in ginocchio

 

Nel 2020 il mondo della ristorazione è rimasto chiuso in media 160 giorni, mentre le imprese di catering e i locali di intrattenimento hanno di fatto perduto l’intero anno. Secondo la Federazione italiana dei pubblici esercizi nei primi nove mesi del 2020 la ristorazione ha perso 23,4 miliardi di euro. E solo nell’ultimo trimestre dell’anno la contrazione del fatturato è stata del 16,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Un profondo rosso ben visibile nelle strade delle città con saracinesche abbassate, ingressi sbarrati, tavolini impilati e sedie accatastate.
A fare il punto sul mondo della ristorazione tra crisi, restrizioni e prospettive incerte, e delivery, consegne a domicilio e ristori del Governo come unici salvagenti di una categoria messa in ginocchio è Petronilla Frosio, presidente del Gruppo Ristoratori di Ascom Confcommercio Bergamo, e chef del ristorante Posta di Sant’Omobono Terme.

Tra riaperture a singhiozzo proposte dai diversi decreti come giudica le decisioni del Governo prese finora?
“Il mio giudizio non è del tutto negativo perché Conte non ha fatto peggio di altri Paesi. Quello che è accaduto è stato di una gravità immane che non aveva precedenti nella nostra storia recente. La comunicazione è stata il punto carente tanto da generare confusione nei cittadini ma soprattutto nel nostro settore che dalle chiusure è stato maggiormente penalizzato: conferenze stampa notturne, comunicati dei vari organi  (comitato tecnico scientifico, presidenti di regioni, virologi, infettivologi) che si sovrapponevano e a volte erano contraddittori, bozze di Dpcm anticipate dai media, decisioni stop and go sui congiunti, decreti scritti in politichese difficili da interpretare tanto da richiedere migliaia di Faq, illusioni date ma difficili da mantenere data l’imprevedibilità e la non conoscenza del virus”.

Ristoranti sempre chiusi nonostante gli investimenti fatti nei mesi scorsi, mentre molte altre attività aperte: è il caso di dire due pesi due misure?
“Durante il primo lockdown, vista la drammatica situazione, soprattutto nella nostra provincia ce ne siamo fatti una ragione. Le successive chiusure avrebbero dovuto essere meglio spiegate. Ad esempio, ci chiediamo perché è consentito andare nei supermercati superaffollati e non nei ristoranti dove la situazione è più sotto controllo anche grazie alla messa in atto di tutti i protocolli che ci erano stati richiesti, oppure perché in zona gialla si può aprire a pranzo e non a cena. La possibilità di contagio dovrebbe essere la stessa. L’unica spiegazione che mi sono data è che i ristoranti sono l’unico luogo in cui le persone sono senza mascherine. Per questi motivi e per il prolungarsi delle chiusure oggi ci sentiamo ‘vittime sacrificali’”.

Quali sono i costi di un ristorante e del suo indotto? È possibile fare una stima?
“Lo stop and go e le chiusure prolungate hanno generato notevoli perdite nella gestione delle materie prime ma soprattutto in tutta la filiera che lavora con i ristoranti. Inoltre, ogni ristorante è una realtà a sé perché ognuno è diverso dall’altro. Non stiamo parlando di catene standardizzate perché gestire una pizzeria è diverso che gestire una mensa o un ristorante gourmet. Di certo, in questo periodo molti sono stati i costi sostenuti in assenza totale o riduzione sostanziale di entrate. Viviamo nella società degli abbonamenti: contratti annuali di manutenzione, revisione annuale del registratore di cassa che ora dobbiamo aggiornare o cambiare per l’invenzione della lotteria degli scontrini, revisione della caldaia, abbonamento Rai e Siae (piccolo sconto iniziale poi più nulla), per non parlare di energia, gas, telefono, Tari, corsi di aggiornamento obbligatori per titolari e di dipendenti, quota associativa ad associazioni di categoria. La voce più importante rimane comunque l’affitto dei locali, e per molti colleghi l’affitto del ramo d’azienda. A riguardo il governo è intervenuto con specifici aiuti che non hanno soddisfatto appieno visto il malumore che si è venuto a creare”.

 

 I ristori erogati nel 2020 e quelli già approvati per il 2021 sono sufficienti?
“I ristori sono arrivati abbastanza puntuali anche se inizialmente alcuni codici Ateco legati alla ristorazione sono stati ignorati. Se sono congrui è difficile dirlo perché ogni realtà ha caratteristiche diverse dall’altra. Del resto, quando si prendono decisioni in fretta che riguardano una vasta platea di situazioni raggiungere l’equità è difficile. Per il 2021 pare che i ristori saranno calcolati sulla perdita di fatturato del secondo semestre 2020 tenuto conto di quelli già erogati ma non si conosce ancora la percentuale applicata. Banale affermare che più sostanziosi saranno meglio sarà per tutti”.

Che aria tira in questi giorni?
“Il sentimento dei ristoratori è nella voglia che tutto ciò finisca il più presto possibile perché siamo al culmine della sopportazione. Oltre all’importantissimo fattore economico, questa situazione comincia a pesare anche psicologicamente e non solo su di noi ma anche sui nostri dipendenti. Mi riferisco alle incertezze per il loro futuro e all’esasperante e non sostenibile lentezza della cassa integrazione al punto che alcuni ristoratori hanno dovuto anticipare la cassa o addirittura parte del Tfr per aiutarli”.

Da mesi il delivery pare essere l’unica valvola di sfogo: come si sono organizzati i ristoratori bergamaschi e ritiene possa aprire nuovi scenari per la ristorazione?
“Molti ristoranti, visto il prolungarsi della prima chiusura, si sono organizzati per asporto e delivery. Quando torneremo alla normalità alcuni continueranno a proporre il servizio perché se ben organizzato può essere un’ulteriore opportunità. Certo, l’asporto è tutt’altra cosa rispetto all’esperienza del ristorante: buon cibo cucinato al momento, accoglienza e socialità mancano tanto a tutti noi quanto ai nostri ospiti per non dire che i margini sono diversi”.

Nei giorni scorsi c’è stata la protesta di “Io apro”: come giudica un’iniziativa di questo tipo?
“È stata un’iniziativa dalla quale, in linea con la nostra associazione, mi sono dissociata pur condividendo i validi motivi che l’hanno ispirata. La scarsa adesione alla protesta si commenta da sola. Abbiamo dimostrato senso civico senza rinunciare a far conoscere il nostro disagio e le nostre ragioni. E, di fatto, le associazioni che ci rappresentano sul territorio il giorno precedente alla protesta hanno organizzato un incontro con i politici bergamaschi per presentare una serie di proposte concrete per superare questo momento ma soprattutto per aiutarci a ripartire”.

A proposito quale è la strada da seguire per risollevare le sorti di una delle categorie più colpite dai decreti?
Staremo a vedere I l mondo della ristorazione e tutta la filiera hanno bisogno di programmazione, certezze e investimenti continui. Le aziende del settore non possono strutturalmente accendersi a singhiozzo e, se non possono lavorare, hanno bisogno di essere aiutate a stare in vita. Nel manifesto promosso da Ascom Confcommercio Bergamo e Confesercenti Bergamo vengono messe in evidenza tutte le richieste del settore da sottoporre al Governo, compatibilmente con la crisi in atto.  Tra i punti chiave spicca la richiesta di ammettere ai ristori, come già accaduto a novembre, anche le imprese con fatturato superiore ai 5 milioni, paradossalmente trascurate dal primo decreto bilancio. Chiediamo anche di mantenere i crediti d’imposta per gli affitti, per le spese di adeguamento di sanificazione dei locali e di trasformazione digitale dell’impresa che consentono, tra l’altro, di investire nel delivery, e di allungare il periodo della cassa integrazione o consentire i licenziamenti prevedendo indennizzi di disoccupazione”.

 


Doccia gelata per bar e ristoranti. Il nuovo decreto è inaccettabile

Il decreto legge entrato in vigore il 7 gennaio è inaccettabile. Non solo perché rappresenta l’ennesima doccia gelata per bar e ristoranti che saranno costretti a chiudere il prossimo fine settimana quando invece avrebbero una forte necessità di poter lavorare. Questo provvedimento toglie speranza e rafforza quel senso di mancanza di prospettiva che il governo, più della pandemia, ha contribuito a diffondere. Ricordiamo la pomposa conferenza stampa nella quale era stato richiesto un grande sacrificio agli italiani e soprattutto ai gestori di bar e ristoranti, oltre che dei commercianti di generi non alimentari, costretti a chiudere nel periodo delle feste con l’auspicio di ripartire dopo l’Epifania.

Il colore arancione assegnato a tutta Italia obbligherà bar e ristoranti alla chiusura e a gestire le disdette delle prenotazioni già ricevute. Non è pensabile che si possano aprire e chiudere attività di impresa come se fossero interruttori. Come si può pensare di muovere e fermare lavoratori, comprare e gestire derrate alimentari senza programmazione? Come gestire imprese senza prospettive? Emerge scarsa competenza e molta approssimazione su questioni delicate. Il risultato è che in questa giungla di decreti e provvedimenti i cittadini e le imprese non ci capiscono più nulla, mentre con questo ennesimo decreto la maggior parte dei ristoranti sceglierà comunque di restare chiusa e lo farà in attesa di conoscere quali prospettive il Governo voglia riconoscere loro.

Il DPCM del 3 dicembre si era dato una proiezione di circa un mese e mezzo, fino al 15 gennaio, per capire come si sarebbe evoluta la pandemia chiedendo agli operatori di pazientare in attesa che i dati epidemiologici avessero riportato le diverse aree geografiche in area gialla. Così è stato per la Lombardia e anche per Bergamo i cui indici, suffragati anche da una ricerca dell’Università degli Studi di Bergamo, avevano evidenziato come nella seconda ondata i numeri della pandemia avrebbero giustificato misure meno restrittive.

Eppure Bergamo ha pazientato prima, con la stragrande maggioranza dei commercianti, l’arrivo della zona “arancione” avvenuta il 27 novembre, poi, con i bar e ristoranti, la tanto agognata zona “gialla” il 13 dicembre. Quel sistema che garantiva quel poco di linfa vitale alle imprese commerciali è durato poco, fino all’antivigilia di Natale. Eppure da quel 3 dicembre, data dell’ultimo DPCM, la situazione sanitaria è nettamente migliorata almeno per quanto riguarda il nostro territorio.

Il Governo italiano ha lanciato prima come novità e difeso pubblicamente poi questa sua impostazione “a colori” che, diciamocelo, ha fatto sorridere l’Europa e mosso l’ironia delle comunità dei social. Peccato che se proprio il Governo ne ha sancito il successo oggi lo sta già sconfessando. Se il Decreto legge del 18 dicembre, quello per il Natale, è stato giustificato dall’Esecutivo dall’esigenza di evitare spostamenti e assembramenti nel periodo natalizio, posizione criticabile perché i pranzi e cene sono state fatte comunque nelle case con rischi anche maggiori rispetto ai ristoranti, l’ultimo decreto legge, quello del 5 gennaio, definito come “ponte” verso il nuovo DPCM, non ha nemmeno una giustificazione plausibile. Noi riteniamo che sia il frutto di quel retaggio mentale di parte del Governo che ritiene siano i bar e ristoranti i luoghi del contagio mentre per molti imprenditori e cittadini rappresenti ormai un pericoloso “accanimento terapeutico” verso la categoria.

Più grave ancora è che il Governo abbia già pronto il cambio di criteri o degli indici per far precipitare interi territori in aree a maggiori restrizioni, arancioni e rosse. Come a dire che quando i sacrifici di pochi hanno portato miglioramenti per tutti allora si cambiano nuovamente le regole. Sempre e solo per quelli. Un “gioco dell’oca” nel quale qualcuno torna sempre indietro. Come è pensabile lavorare in questo modo? Si, perché bar e ristoranti non sono solo un servizio per i cittadini ma un lavoro per molti.

Le ordinanze del Ministro della salute che richiamano al primo punto gli articoli della costituzione sembrano cozzare con quanto sta avvenendo a danno di un intera categoria di cittadini e lavoratori. Questi provvedimenti, che si basano su presunzioni di violazione della legge e sull’incapacità dello Stato o di sue parti di far rispettare la legge e quindi le misure stabilite per mantenere il distanziamento, minano il diritto al lavoro di milioni di addetti, titolari e dipendenti delle imprese commerciali e in particolare del settore della ristorazione. Solo nella nostra provincia il settore conta quasi 5.000 imprese e circa 15.000 occupati.

Allora è giusto ricordare quanto recita la nostra Costituzione nei suoi primi quattro articoli “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro…..La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità….Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge….La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. Ebbene a noi non sembra che in un Paese nel quale tutti i settori produttivi possano continuare a lavorare nel rispetto della legge questo non possa avvenire per alcuni. Ci umilia sentir parlare di misure necessarie per evitare nuovi lockdown perché quello che stiamo subendo è proprio questo. Non lo accettiamo e non ci rassegniamo nella denuncia di quanto sta avvenendo alle spalle di molta brava gente.


Regali di Natale, il 62% non rinuncia allo shopping, spesa media di 174 euro

Il risparmio, le restrizioni e la pandemia condizionano le festività, ma il 62% dei bergamaschi non rinuncerà ai regali di Natale ( dato inferiore alla media nazionale, pari al 74,2%). Tra il 38% che non li farà, oltre la metà – il 53,2%- aveva sempre fatto doni a parenti e amici, anche l’anno scorso. Un sacrificio motivato soprattutto dal tentativo di cercare di risparmiare (28%), dalla mancanza di occasioni di scambio di auguri (25,6%), dal peggioramento della condizione economica (18,1%) e infine, da scelte personali (16%).
Quest’anno la spesa media scenderà comunque sensibilmente rispetto a quella dello scorso anno:  174 euro contro i 185 dello scorso anno (– 5,9%). Il dato è superiore alla media nazionale che si attesta a 164 euro con un calo più contenuto (-2,9%). A Bergamo si spende più che nel resto d’ Italia, ma il budget pro capite previsto scende maggiormente per via della propensione al risparmio che, a queste latitudini, è più spiccata. La spesa da destinare alle strenne natalizie sarà di circa 194,2 milioni di euro contro i 206 milioni di euro di un anno fa, con una perdita in un anno di 11 milioni e 800mila euro. Dal 2009, anno in cui il commercio ha iniziato a soffrire, sono andati in fumo oltre 70 milioni di euro di spesa e il 28,6% di budget destinato ai consumi. Sono queste alcune delle principali evidenze emerse dalla ricerca Ascom-Format Research sui regali di Natale, presentata oggi. 
“Quanto emerge dall’indagine, in particolare il raddoppio di bergamaschi che rinuncia ai regali, è conseguenza della situazione della pandemia e anche delle restrizioni conseguenti- commenta Oscar Fusini, direttore Ascom Confcommercio Bergamo-. Novembre ha evidenziato comunque un crollo delle vendite, che a dicembre non hanno avuto nemmeno il tempo di risollevarsi”. La difficoltà ad accedere alla piattaforma per recuperare il 10% della spesa attraverso il Cashback procede a rilento: “Molti non riescono ad iscriversi alla piattaforma e rinviano gli acquisti- continua Fusini-. Invece di rivelarsi una leva per incentivare lo shopping nei negozi, sta procrastinando le spese”. Lo spettro di nuove restrizioni condiziona lo shopping natalizio: “Nel caso in cui si tornasse zona rossa, il 41,8% di coloro che effettueranno i regali lo farà solo online- sottolinea il direttore Ascom Confcommercio-. Il 34,3% tuttavia li acquisterebbe nei negozi fisici che effettuano consegne. Ma molti negozi non sono ancora attrezzati e per il commercio tradizionale rinunciare al Natale sarebbe una vera catastrofe”.  Gli acquisti a dicembre hanno perso quota anche per effetto di Black Friday e Cyber Monday di novembre che anticipano le spese, ma che quest’anno sono state meno consistenti con la chiusura dei negozi tradizionali. Secondo il dato nazionale la quota di regali acquistati dal 16 al 30 novembre si è ridotta infatti al 20% rispetto al 26% del 2019 e si registra una crescita degli acquisti a dicembre ( 60,9%) contro il 51,3% del 2019. Solo il 15,8% si dedicherà alla “caccia ai regali” per le feste in questi giorni (per la precisione, a partire dal 16 dicembre) e fino al 31 dicembre. 

Come cambiano i regali con la pandemia 

In tempi di crisi la scelta si orienta verso regali utili. In cima alle preferenze cesti, bottiglie e cadeaux gastronomici (il 68% acquista generi alimentari); seguono giocattoli e giochi per i più piccoli (51,2%), libri ed ebook (47,2%), capi di abbigliamento (45%).
Con lo stop a concerti ed eventi, si rinuncia per forza di cose a regalare esperienze, dai biglietti alle visite (-25,9%). Di contro, ci si rifugia nell’intrattenimento domestico: crescono del 10,5% gli abbonamenti a piattaforme streaming (+10,5%). E, della serie “i regali sceglieteli pure voi”, oltre che per scongiurare doppioni o doni poco graditi, tornano in auge i buoni-spesa: carte regalo e voucher crescono del 7,2 %. 

I luoghi d’acquisto  

Il canale online è al primo posto come luogo di acquisto, seppure virtuale, dei regali di Natale. Tuttavia il dato risente del fatto che al momento delle interviste la Lombardia era ancora zona rossa e, con gran parte dei negozi chiusi l’e-commerce era una delle poche opzioni a disposizione. Il 64,4% dei bergamaschi dichiara di voler acquistare i regali di Natale in internet, il 53,3%  nella grande distribuzione, il  39,5% nei punti vendita tradizionali, il 15,5% negli outlet, il 7,3% in punti vendita equo- solidale. I dati evidenziano, come si evince dalle percentuali, scelta multi-canale e risposte multiple. Tra i motivi della scelta dell’acquisto via web prevalgono la comodità (per il 66,5%),  la varietà dei prodotti (per il 57%), la convenienza (55,8%). Ma il 36,7% dichiara di aver acquistato on-line solo per scelta obbligata, con la chiusura dei negozi. Un dato che lascia ben sperare il commercio tradizionale.


Sos Sostenibilità, con Ascom consulenza per contenere i costi, rinviare pagamenti e accedere a fondi e aiuti

Ascom Confcommercio Bergamo lancia un nuovo servizio per rispondere all’esigenza delle imprese di contenere costi fissi, rinviare pagamenti o rimodulare finanziamenti e accedere a fondi e aiuti messi a disposizione. Lo sportello “Sos Sostenibilità” fornisce agli imprenditori la possibilità di trovare in associazione un unico interlocutore di riferimento in grado di rispondere, con il supporto di varie aree di consulenza, alle diverse problematiche immediate e nel breve e medio periodo, facendo fronte alla situazione d’emergenza e creando i presupposti per la ripartenza, con una riorganizzazione sostenibile da un punto di vista economico. Attraverso l’analisi dei principali indicatori del ciclo finanziario e gestionale dell’impresa, lo Sportello svolge un’azione di verifica e di consolidamento dell’equilibrio finanziario aziendale, individuando le migliori soluzioni per ridurre o rinviare nel tempo, le rate di prestiti in corso, rivedere i contratti in essere, abbattere i costi fissi – a partire dalle utilities- e beneficiare delle risorse messe a disposizione da bandi e altre misure di sostegno alle imprese. “L’idea nasce dall’esigenza di garantire alle imprese una consulenza qualificata su più fronti, per riuscire a superare la crisi più pesante mai vissuta dalle imprese dal secondo dopoguerra e limare ogni possibile voce di spesa- spiega Oscar Fusini, direttore Ascom Confcommercio Bergamo-. Sono diverse le voci che vanno ad incidere sui costi fissi e in molti casi è possibile intervenire, apportando un buon risparmio alle imprese. Mai come oggi è indispensabile concentrarsi sui conti economici e i bilanci, dal flusso di cassa ai costi indiretti, dagli affitti al costo dei finanziamenti”. I dati dell’ultimo Osservatorio congiunturale Ascom -Format Research evidenziano la difficoltà per le imprese del terziario: “Gli imprenditori si stanno indebitando più ora che a marzo- continua Oscar Fusini-. La propensione degli imprenditori del terziario agli investimenti è crollata e il 53% di chi li aveva in programma vi ha rinunciato definitivamente. Calano i costi di istruttoria ma aumentano quelli del finanziamento e soprattutto cresce il costo dei servizi bancari. I tempi in molti casi sono troppo lunghi per le esigenze e la sopravvivenza stessa delle imprese”. Se oltre la metà delle domande di finanziamento è stata accolta, secondo la ricerca,  il 18% ha ottenuto meno di quanto richiesto e il 24,8% delle imprese è ancora in attesa di una risposta.

La Cooperativa di Garanzia Fogalco, impegnata sin dalle primissime fasi della consulenza dello Sportello Sos Sostenibilità, è a disposizione per facilitare l’accesso al credito delle imprese e migliorare le condizioni e i costi bancari, valutare l’opportunità di moratorie e sospensioni rate, oltre a fotografare la situazione finanziaria dell’impresa in base all’analisi di bilancio e a illustrare eventuali opportunità legate a bandi e contributi. 

Per dare  un taglio alle bollette e abbattere costi fissi delle imprese del terziario, dalle realtà più piccole a quelle strutturate, con la garanzia di energia verde, proveniente da fonti rinnovabili, basta un’analisi accurata e un check-up energetico, a cura, nell’ambito del progetto “Sos”, dell’Area Gestionale. La consulenza consente di valutare come e dove risparmiare sulle forniture, a partire dalle accise agevolate di cui alcune attività possono beneficiare ma che non sempre trovano corretta applicazione in fattura, con un risparmio che sfiora il 30% in bolletta. Rivedere i contratti di fornitura è un’opportunità ma anche una necessità visto l’obbligo di passaggio al libero mercato dal 1°gennaio del 2022. 

Grazie al check-up finanziario ed energetico, unito ad un’analisi su misura dell’area fiscale e una valutazione della possibile  rinegoziazione dei canoni di locazione  a cura dell’area Ata-Ascom, gli imprenditori possono avere un quadro completo e fedele della loro attività e mettere a punto opportune strategie per garantire la continuità d’impresa e creare i presupposti ideali per stare sul mercato e competere, guardando oltre la crisi e il blackout finanziario attuale. 

Per richiedere una prima consulenza e valutare le aree di intervento, gli imprenditori possono rivolgersi allo Sportello Sos Ascom Confcommercio Bergamo: sportellosos@ascombg.it 


Turismo, l’impatto del Covid pesa enormemente sul settore

Si conferma l’impatto negativo dell’emergenza sanitaria sugli arrivi e le presenze del periodo giugno – agosto, che registrano rispettivamente un -60,3% e – 53,5% rispetto all’estate 2019.
Il Covid ha inciso profondamente sul peso del turismo italiano e di quello straniero, a vantaggio del primo: il peso del turismo domestico rispetto a quello straniero risulta nettamente maggiore rispetto al rapporto registrato nel 2019 gli arrivi dei turisti italiani passano dal 53,2% nel 2019 al 77% del 2020 e le presenze dal 57,1% al 79,4%. Anche osservando il trend di crescita sia degli arrivi che delle presenze, da maggio a agosto, il turismo domestico ha una crescita maggiore rispetto a quello internazionale.
Complessivamente nel periodo estivo gli arrivi degli italiani calano del 42,6% e quelli degli stranieri dell’80,5% rispetto all’anno scorso; per quanto riguarda le presenze il calo è -35,4% per gli italiani e -77,6% per gli stranieri.
La durata media del soggiorno è però aumentata sia per gli italiani che per gli stranieri: la tendenza è quella di soggiornare più a lungo nella stessa struttura rispetto allo scorso anno: per
gli italiani la media passa da 2,4 giorni di pernottamento a 2,7, mentre per gli stranieri si passa da 2,1 a 2,4 giorni.
Nonostante l’emergenza da Covid anche nell’estate 2020 si conferma il settore alberghiero quello preferito dai turisti (arrivi 60,8%), nonostante il peso del settore extra alberghiero (arrivi
39,2%) risulti in aumento. Rispetto all’anno precedente tuttavia la perdita è maggiore nel settore alberghiero ( arrivi -62,3% presenze -59,2%), rispetto a quello extralberghiero
(arrivi -56,9%, presenze – 45,8%).
L’analisi della distribuzione presenze evidenzia un sostanziale pareggio tra i due settori (49,7% dell’extralberghiero contro il 50,3% dell’alberghiero), grazie ad un importante
avanzamento della permanenza nelle strutture extra alberghiere rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
Per quanto riguarda il turismo nazionale, nelle strutture extra alberghiere i segnali di ripresa del mercato sono evidenti, registrando un dato ad agosto molto simile a quello dello
scorso anno (solo 2,2% in meno rispetto all’estate 2019). Si allungano, da giugno ad agosto, i tempi di soggiorno.
In riferimento al turismo internazionale, gli andamenti dei flussi tra alberghiero ed extralberghiero sono sostanzialmente analoghi. Anche ad agosto, in entrambi i casi si rilevano
perdite oltre il 60% rispetto allo scorso anno.
I territori
Scomponendo il dato del -60,3% di arrivi e -53,5% di presenze si evidenziano notevoli differenziazioni sui territori: le Valli Seriana e Brembana e l’area del Sebino hanno raggiunto
i risultati migliori registrando ribassi più contenuti con una sostanziale tenuta.
Per quanto riguarda gli arrivi la Valle Brembana registra -30,9%, la Valle Seriana -33,7%, discrete anche le performance del Sebino (-38,1% il Basso Sebino e -43,5% l’Alto Sebino).
Per quanto riguarda le presenze, buoni risultati per la Valle Seriana (-35,5%), il Basso Sebino (-35,2%), l’Alto Sebino (-37%) e la Valle Brembana (-38,5%).
Osservando le presenze del turismo nazionale, nell’Alto Sebino si osserva addirittura una crescita dell’11,5%.
Drastica invece la riduzione del turismo in Bergamo città (arrivi – 79,5% e presenze -75,4%) e nella Grande Bergamo (arrivi -67,0%, presenze -64,5%).
In tutti i territori la diminuzione dei flussi turistici colpisce più il turismo internazionale e il settore alberghiero rispetto a quello extralberghiero.
“Registriamo qualche segnale di ripresa dell’estate, grazie soprattutto ai buoni risultati delle nostre valli, tuttavia alla luce dell’attuale quadro pandemico non possiamo
ignorare che la situazione rimanga critica e, per certi aspetti, preoccupante- commenta il consigliere provinciale con delega al Turismo Claudio Bolandrini -La consapevolezza dello
stato di sofferenza che il turismo bergamasco sta attraversando deve pertanto spronare fin da ora le istituzioni e gli operatori a trovare le risorse e le sinergie necessarie per un rilancio del settore,
anche attraverso lo studio e la riorganizzazione di nuovi modelli turistici sostenibili, primo passo per una vera ripartenza”.
“I dati presentati oggi confermano lo scenario che ci eravamo prefigurati, ma ci raccontano anche che la voglia di viaggiare è – se mai – più forte di prima. Lo testimonia la ripresa immediata che
abbiamo registrato post lockdown, anche se relativa ad un mercato diverso a quello a cui siamo abituati – afferma Christophe Sanchez, amministratore delegato di VisitBergamo – . E’ per questo
che, seppure in uno scenario internazionale che si sta nuovamente complicando, credo fermamente nella necessità di continuare a promuovere e comunicare il brand Bergamo e di associarlo ad
immagini di bellezza e di rinascita. Dobbiamo essere pronti per quando ripartirà nuovamente il turismo, soprattutto quello internazionale; per questo stiamo lavorando ad una nuova campagna (Fly To Bergamo) in collaborazione con Ascom, Confesercenti e Sacbo dedicata ad incentivare anche questo tipo di mercato”. 

Riportiamo qui il report_estate_2020


Ascom su nuova stretta Regione: “Agiamo sul rispetto delle regole, non sulle chiusure”

Ascom Confcommercio Bergamo esprime il suo disappunto e non nasconde la propria preoccupazione di fronte a quella che ormai sembra una decisione già presa da parte della Regione di un coprifuoco a partire dalle 23 alle 5, oltre alla chiusura di centri commerciali e medie superfici di vendita nei week-end, che dovrebbero entrare in vigore già a partire da giovedì 22 ottobre. “Bisogna valutare le situazioni territorio per territorio, non può pagare tutta la Regione per Milano- commenta Oscar Fusini, direttore Ascom Confcommercio Bergamo-. La pandemia non si risolve chiudendo solo il commercio. Il pregiudizio è che il commercio e il turismo siano settori di serie B, anche se coinvolgono migliaia di imprese e di lavoratori nelle nostra provincia. Non siamo solo critici, formuliamo anche una proposta: nei territori che mantengono un numero basso di contagi – come, al momento la nostra città e provincia – chiediamo che si possa continuare a lavorare. Chiediamo di agire sul rispetto delle regole e non sulla paura di non essere capaci di farle rispettare”. L’anticipata chiusura alle 23 penalizza ulteriormente un settore, come quello dei pubblici esercizi, già in grossa difficoltà: “Dopo aver colpito duramente i locali serali e il settore dell’intrattenimento, ora arriva una nuova mazzata per la ristorazione: le 23 è un orario che limita fortemente le cene fuori casa. I locali non avrebbero i tempi necessari per offrire un servizio adeguato e le prenotazioni si concentrerebbero così in primissima serata” continua Fusini. La chiusura di centri commerciali e medie superfici preoccupa tutto il commercio: “Tra le medie superfici rientrano anche attività che contano su grandi spazi espositivi, penso a concessionarie e mobilifici, che non portano certo ad assembramenti- continua il direttore Ascom-. Inoltre la chiusura dei centri commerciali mette a rischio centinaia di punti vendita e migliaia di lavoratori”.


Discoteche, siglato il protocollo per un divertimento sicuro

Ascom Confcommercio Bergamo, attraverso il Gruppo Sale da Ballo, è tra i firmatari del protocollo per un divertimento sicuro voluto dal Ministero dell’Interno. 

ll documento è stato siglato nella mattinata di martedì 14 luglio in Prefettura, alla presenza dei vertici provinciali delle forze di polizia, dal prefetto Enrico Ricci, dal direttore generale di Ats Massimo Giupponi e dai rappresentanti delle organizzazioni rappresentative delle categorie dei gestori delle discoteche e dei servizi di controllo nei locali di pubblico spettacolo
Il protocollo recepisce, dandone attuazione a livello locale, i contenuti dell’accordo-quadro nazionale, siglato il 21 giugno 2016 dal ministero dell’Interno con le Organizzazioni maggiormente rappresentative delle citate categorie nonché quelli dell’intesa programmatica sottoscritta il 12 luglio 2019 con i presidenti delle associazioni rappresentative del settore Silb-Fipe, Asso Intrattenimento e Fiepet Confesercenti.

L’obiettivo dell’intesa è la promozione di una più stretta collaborazione tra le forze di polizia e gli operatori del settore, finalizzata a rafforzare le strategie di prevenzione di situazioni di illegalità e comportamenti violenti all’interno o in prossimità delle discoteche. Con la firma del protocollo le parti si impegnano a realizzare campagne informative e di sensibilizzazione rivolte ai giovani e, più in generale, a tutti fruitori delle attività di intrattenimento, sia all’interno sia all’esterno dei locali da ballo per prevenire l’uso di sostanze stupefacenti e psicotrope, l’abuso di alcolici, contribuendo ad orientare i giovani verso forme di divertimento e stili di comportamento sani.

I gestori assicureranno l’impiego di personale autorizzato ai sensi del Decreto del ministero dell’Interno 6 ottobre 2009, come modificato dal D.M. Interno 24 novembre 2016, l’installazione di apparati di videosorveglianza e garantiranno la salubrità e la sicurezza degli ambienti destinati alle attività di intrattenimento. Massimo, inoltre, sarà l’impegno per il contrasto delle organizzazioni illegali di trattenimenti danzanti e di spettacoli da parte di soggetti non autorizzati.

“L’accordo rinnova l’impegno della nostra categoria per promuovere un divertimento responsabile- sottolinea Paolo Visinoni, presidente Gruppo Sale da Ballo, Ascom Confcommercio Bergamo-. Il protocollo permette anche di contrastare il fenomeno crescente dell’abusivismo e dei locali “improvvisati”, che oltre a danneggiare i locali in regola mette a rischio anche gli utenti”. 

Il protocollo, come ha sottolineato il Ministro Matteo Salvini, segna l’inizio di un cammino che impegna lo Stato ad essere vicino a chi gestisce il divertimento dei giovani, garantendo loro la sicurezza anche nelle serate di svago. L’obiettivo è quello di contrastare l’abusivismo e dare il bollino blu ai locali del divertimento sicuro.

L’intesa prevede, su base volontaria dell’istituzione presso le Prefetture di un Albo, dei gestori delle discoteche sicure che, anche attraverso la sottoscrizione di appositi protocolli, si rendano disponibili a collaborare con le Autorità competenti, per innalzare i livelli di sicurezza nell’ambito delle attività di intrattenimento”

Importante novità anche per i “buttafuori” con l’”istituzione presso le Prefetture, su base volontaria, di un Albo dei “referenti” per la sicurezza, indicati da ciascun gestore, aventi requisiti predefiniti;

Per quanto riguarda la questione abusivismo, ci saranno maggiori controlli e sanzioni per le improvvisate feste in stabilimenti non idonei e non destinati alla funzione, come spesso avviene in molte città, con particolare riferimento a quelle balneari e lotta anche alla somministrazione abusiva di alcolici all’esterno dei locali. A tal proposito, sarà eliminato il divieto di somministrazione delle bevande alcoliche dopo le 3 del mattino.

Ecco alcuni dei punti salienti dell’accordo: diffondere la cultura del “divertimento nella legalità”, rafforzare ulteriormente  il contributo dei gestori dei locali da ballo attraverso azioni complementari preventive, contrastare ogni forma di trattenimento danzante posta in essere fuori dal quadro autorizzatorio e di sicurezza, favorire incontri periodici per fare il punto in ordine all’efficacia e all’incisività degli strumenti di collaborazione sperimentati, anche al fine di poter individuare nuovi meccanismi operativi e, se del caso, nuove progettualità.

I gestori si impegnano a :

 promuovere ogni utile iniziativa per rendere sempre più le “discoteche sicure”;

 favorire la realizzazione di campagne informative e di sensibilizzazione rivolte ai giovani e, più in generale, a tutti fruitori delle attività di intrattenimento, sia all’interno sia all’estero dei locali da
ballo, in particolare per prevenire l’uso di sostanze stupefacenti e psicotrope e l’abuso di alcolici, contribuendo a orientare i giovani verso forme di divertimento e stili di comportamento “sani”;

 favorire la formazione specifica del personale addetto, per una maggiore professionalizzazione degli stessi operatori e, in particolare, di quelli impiegati nell’attività di somministrazione di bevande alcoliche, anche al fine di prevenirne l’abuso;

 sensibilizzare i gestori e gli operatori del settore a collaborare con le Forze dell’ordine nei casi e secondo le modalità concordate localmente e, in particolare, a segnalare tempestivamente situazioni di illegalità o di pericolo per la sicurezza e l’ordine pubblico di cui vengano a conoscenza presso gli esercizi, valorizzando la “rete” delle Associazioni di categoria per incrementare il flusso informativo verso le competenti Autorità;

 promuovere l’installazione, all’interno dei locali e agli ingressi, in caso di obiettivi e persistenti elementi di rischio, di apparati di video-sorveglianza gestiti dai titolari degli esercizi tramite i citati
addetti ai servizi di controllo, ovvero affidati ad istituti di vigilanza privata, nel rispetto delle norme stabilite a tutela della riservatezza;

 osservare le vigenti disposizioni di legge a tutela dei minori, con particolare riferimento al divieto di somministrazione di bevande alcoliche


Riaprono le discoteche con sale all’aperto Ascom invita a “Divertirsi responsabilmente”

Scatta il conto alla rovescia per la riapertura delle discoteche, chiuse poco dopo Carnevale. Venerdì 10 luglio riaprono in tutta la Lombardia i locali con sale all’aperto. Si torna a “fare serata” dopo oltre quattro mesi, nel rispetto delle regole imposte dall’emergenza sanitaria. Saranno dopo-cena comunque all’insegna del divertimento, con un richiamo a maggiore responsabilità e consapevolezza: “Siamo tra le ultime categorie a riaprire, dopo quasi 140 giorni di chiusura- sottolinea il presidente del Gruppo Gestori sale da ballo Ascom Confcommercio Paolo Visinoni-. Sono stati quattro mesi e mezzo difficili per il settore, in particolare per i costi di affitti, personale e operatori dello spettacolo. È fondamentale ripartire con responsabilità per non annullare i sacrifici di questi mesi. Da parte nostra abbiamo messo in campo tutti gli accorgimenti possibili per garantire la massima sicurezza di tutti, senza rinunciare al divertimento e alla voglia di evasione, che non mancano dopo mesi di lockdown”. Le serate saranno infatti preferibilmente su prenotazione (via App o whattsapp) e con un limite prefissato di partecipanti (con una riduzione della capienza per alcuni locali anche fino al 50%). Grazie all’utilizzo di apposite App, adottate da molti locali, gli utenti potranno dichiarare le loro condizioni di salute, velocizzando l’accesso ai locali (il termoscanner sarà comunque presente nelle discoteche). La maggior parte dei locali ha scelto di affidare a ditte specializzate la sanificazione, oltre a ricordare con appositi cartelli informativi il corretto uso di mascherine e dispositivi di protezione individuale. Per evitare assembramenti e mantenere il distanziamento, la maggior parte dei locali ha modificato la pista da ballo. E’ questa una delle principali novità che si vedranno in discoteca:“Per garantire il rispetto delle disposizioni abbiamo posizionato i tavoli nella pista da ballo – continua Visinoni- . Ognuno avrà così il suo tavolo in discoteca, un tempo appannaggio di pochi, e potrà godersi la serata e il proprio drink, servito direttamente dal barman, ascoltando buona musica e magari alzandosi a ballare la hit preferita”. La scelta di modificare i locali con arredi- da tavoli e sedie- è stata già adottata con successo in altre regioni e consente di garantire il rispetto della normativa, senza rinunciare del tutto alla voglia di ballare o alla desolazione di trovarsi davanti ad una pista vuota. “Saranno serate dopo-cena di spettacolo e buona musica, diverse da quanto siamo stati da sempre abituati, ma non per questo ingessate- conclude Visinoni-. L’importante è che tutti rispettino le norme per la tutela della sicurezza di tutti. E per evitare che i gestori debbano ritrovarsi a gestire situazioni-limite”.

Per ricordare il rispetto della normativa, i locali hanno lanciato la campagna “Divertiti responsabilmente”, che rivolge cinque inviti alla clientela: prenota la tua serata, indossa la mascherina, aspetta il tuo turno al termoscanner, certifica il tuo stato di salute con le app messe a disposizione per evitare assembramenti, goditi musica e drink al tavolo. 

Ecco il vademecum