Baioni 45, elogio della trattoria

Dino Sartirani e Adriana Gadda
Dino Sartirani e Adriana Gadda

Una vita in trattoria. Probabilmente non poteva andare diversamente la storia di Dino Sartirani, 61 anni, originario di Ponte San Pietro, cresciuto nelle trattorie gestite dalle due nonne e dalla mamma e poi con ulteriori significative esperienze professionali, tra le quali l’incarico di aprire due catene di ristoranti di cucina italiana in Israele, dove è stato, a più riprese, dal 1994 al 2007. Tornato in Italia ha diretto alcuni ristoranti sino a quando non si è presentata l’occasione per mettersi in proprio.

Nel febbraio del 2014 Sartirani, con la socia Adriana Gadda, ha aperto in città la Trattoria Baioni 45, che si trova appunto al numero 45 di via Baioni, riavviando un’attività che negli anni precedenti era andata avanti alternando diverse fortune.

«Il locale mi è piaciuto subito – racconta Dino – perché è della dimensione giusta per le nostre esigenze. Cinquanta coperti, e sinceramente preferisco anche quando non è strapieno, ti danno la possibilità di conoscere i clienti, di dialogare con loro e di presentare al meglio i piatti».

Trattoria Baioni - La salaIl locale è piacevole, accogliente nella sua semplicità. Dino si autodefinisce tuttofare e si destreggia in cucina, in sala e nell’addestramento del personale. «Lo diciamo chiaramente che la nostra vocazione è il pesce – prosegue – ma abbiamo anche una serie di piatti bergamaschi per i quali seguiamo le stagioni. Quindi lumache con polenta, rane, funghi porcini, stracotti e i vari ragù di cinghiale e capriolo senza dimenticare i nostri casoncelli per i quali seguo una ricetta della nonna».

Molto comunicativo ed espressivo, il patron ha adottato una linea ben precisa nel locale, che vuole abbia la schiettezza della trattoria. Afferma che non è un locale per tutti, nel senso che chi vuol spendere molto, o comunque di più, per il pesce dovrebbe dirigersi verso altri ristoranti. «Facciamo dei ricarichi minimi sul pesce – spiega -, acquistiamo in pratica ogni giorno e i prezzi ci sembrano corretti visto che facciamo tutto con semplicità. La nostra cucina? Abbiamo spogliato la ristorazione classica di quanto non era fondamentale, per farla diventare più essenziale e adeguata a una trattoria. “Come era una volta” è un po’ il mio motto anche se non manco di ricercare e sperimentare praticamente ogni giorno nuove soluzioni».

E la scelta paga visto che Trattoria Baioni 45, oltre ad avere degli ottimi giudizi su TripAdvisor si è vista pubblicare una recensione su un periodico di lingua inglese di Hong Kong. Il servizio era di una giornalista cinese che aveva pranzato in cinque ristoranti di Bergamo valutando la Trattoria il migliore.

La carta del locale è abbastanza ricca ma viene completata ogni giorno con un supplemento, secondo le disponibilità. Per quanto riguarda il pesce tengono comunque banco i menù a prezzo fisso, da 25 e 35 euro, che comprendono antipasto, primo, secondo e contorno. Solo vino e acqua sono extra e tenuto conto che c’è uno chardonnay della casa a 10 euro al litro si può veramente contenere la spesa. Il menù da 25 euro comprende impepata di cozze, capesante gratinate e insalata di piovra. Il primo è definito una calamarata risottata e si tratta di paccheri corti fatti in casa. Branzino o orata, un gamberone e calamari costituiscono il secondo piatto. Il menù da 35 varia solo per l’inserimento di tre cruditè mediterranee tra gli antipasti.

LA PROVA

Il menù low cost fa il bis a cena

Trattoria Baioni - casoncelliUn aspetto abbastanza inconsueto del menù a prezzo fisso tradizionalmente proposto per la pausa pranzo del mezzogiorno è che alla Trattoria Baioni 45 viene replicato alle stesse condizioni la sera. Una buona occasione quindi per soddisfare, senza eccessive pretese ma con gusto, le esigenze alimentari della cena con la modica spesa di dieci euro.

Dieci euro che comprendono primo e secondo piatto, contorni, vino, acqua e caffè. E si tratta di piatti non banali. Tra i primi troviamo infatti i casoncelli alla bergamasca fatti in casa, gnocchi al pesto, tortellini al pomodoro, mezze penne alla montanara e i pressoché immancabili spaghetti al ragù. Ampia anche la scelta tra i secondi piatti: spiedini di carne mista, arrosti misti, hamburger di chianina, bistecca di manzo, coppa alla griglia, medaglioni ai porcini e magatello di manzo all’inglese. Per per i contorni c’è una varietà di verdure cotte e crude.

Per il primo seguiamo un po’ l’onda degli altri clienti che sembrano apprezzare i casoncelli alla bergamasca: scelta più che mai azzeccata perché sono realmente fatti in casa con una ricetta particolare e, non da ultimo, si tratta di una porzione abbondante. Anche per il secondo ci facciamo guidare dal flusso e andiamo con il gettonatissimo hamburger di chianina. Una proposta così, come abbiamo già detto, non sfigurerebbe nemmeno per una cenetta e quindi la valutazione è quella di un rapporto qualità prezzo tra i migliori.

Trattoria Baioni 45

via Baioni, 45
Bergamo
tel. 035 4220033
chiuso il lunedi sera
www.trattoriabaioni45.com


Il bocconiano dice addio all’Alta finanza, «meglio “La Polenteria”»

Da un paio di anni, chi capita nelle strade affollate del quartiere di Soho, a Londra, può vivere l’esperienza di ritrovare i sapori di casa e il gusto tipico bergamasco in un piccolo ristorante chiamato La Polenteria, che, come dice bene il nome, mette in primo piano (e perfino in vetrina) proprio la polenta e in particolar modo quella tutta orobica di Nicoli.

L’idea è venuta a Gabriele Vitali, originario di Pizzino in Val Taleggio, laurea alla Bocconi, il quale, dopo diversi anni trascorsi nella capitale britannica occupandosi di investimenti finanziari in un grande gruppo bancario, insieme all’amico (bresciano) Silvio Vangelisti, che invece era odontotecnico, ha deciso di fare il grande salto nella ristorazione. Ed è subito stato un gran successo. Prima di tutto per la filosofia totalmente “gluten-free” del menù (ed è stato il primo ristorante italiano a proporlo a Londra), poi per l’ambiente raccolto e intimo, da trattoria moderna, e infine per la cucina generosa e ricca, che mette in campo anche altri classici regionali italiani e non solo la polenta. Anche se quest’ultima rimane la vera protagonista, visto che viene proposta negli antipasti con asparagi, scamorza e uova, o nella versione più esotica con una vellutata di menta e la crema di soia. E poi nei piatti principali, con gli Gnocchi di polenta, tartufo e formaggio, e in preparazioni decisamente più azzardate come nel caso degli Gnocchi di polenta con salmone affumicato e crema di avocado o nel Filetto di maiale con salsa di liquerizia e polenta grigliata. E c’è perfino, a fianco della Panna cotta e del Tiramisù, una “Polenta cheesecake” per chi vuole completare il pasto tematico con un dolce.

piatto - la Polenteria - LondraLa polenta rappresenta il 50% del menù, ma non mancano pasta e ravioli fatti in casa con sapori che virano spesso verso un gusto internazionale, anche perché a La Polenteria la clientela italiana rappresenta solo un quinto degli ospiti che si siedono nei 32 coperti del ristorante. I vini in carta sono esclusivamente italiani, con un’attenzione particolare per quelli bresciani (Benaco e Lugana), ma la filosofia vegana e gluten-free che ispira tutta la proposta consiglia anche di sperimentare in accompagnamento i succhi di frutta freschi o, come sembra essere di tendenza negli ultimi tempi, qualche cocktail.

«La scommessa della Polenteria è stata vinta – racconta Gabriele Vitali -, e siamo molto soddisfatti di come sta andando il ristorante. Al punto che potremmo quasi decidere di aprirne un altro in futuro. Gli inglesi, quando siamo arrivati, non conoscevano la polenta ma hanno iniziato ad apprezzarla e ora la richiedono con continuità. All’inizio avevamo solo quella in carta, con pochi riferimenti, ma abbiamo deciso strada facendo di offrire una scelta un po’ più ampia alla nostra clientela, così sono arrivati altri piatti come le Lasagne vegane, la Burrata con rucola, la parmigiana e le Tagliatelle al pesto rosso. Per dare anche qualche tocco della cucina italiana mantenendo fede alla scelta di soddisfare vegani, vegetariani e amanti del senza-glutine».

La Polenteria esterni - Londra


Bù, anche Bergamo ha il suo cheese bar

Non è solo una moda, semmai un “modo” di considerare diversamente il formaggio: i cheese bar nascono proprio per mettere al centro dell’offerta gastronomica il patrimonio caseario italiano. Il fenomeno prende spunto dai “bar à fromage” molto diffusi in Francia fin dagli anni Ottanta, che trovano terreno fertile da noi soprattutto nell’ultimo periodo, prendendo il testimone dalle enoteche che avevano surrogato questa assenza storica sul territorio, con ristoratori esperti che ricoprono anche il ruolo di “divulgatori” del verbo caseario per rispondere alla crescente domanda degli appassionati.

E a Bergamo non poteva certo mancare un locale simile, che in pochi mesi ha già riscosso un forte interesse. Si tratta di Bù, che naturalmente vuol declinare la sfida del buono (in dialetto) in tante componenti. Aperto lo scorso 16 ottobre a un passo da piazza Dante, con un’offerta importante di caci della provincia e non solo, il cheese bar raccoglie in fondo l’eredità di quel progetto, chiamato “Forme”, che aveva animato ad Astino il Fuori Expo, rivendicando il ruolo di Bergamo come capitale dei formaggi d’Europa, forte, anche ma non solo, del primato delle Dop casearie, ben nove complessivamente.

Proprio la Latteria Sociale di Branzi, che con Francesco Maroni era stata l’“anima” di Forme, è ora la stessa che ispira questo progetto di ristorazione, con la collaborazione di tante altre realtà agroalimentari del territorio, che fin dalle prime settimane ha incassato un gradimento importante, tra l’altro con una trasversalità assoluta della clientela, che va dai giovani agli adulti che hanno come denominatore comune la passione per l’assaggio e la cultura casearia, ai turisti alla ricerca di un’offerta gastronomica tipica di qualità, fino alle coppie decise a sperimentare locali innovativi, senza contare tutti coloro che affollano il locale in pausa pranzo, per un break sfizioso durante il lavoro. Ad accoglierli è Jacopo Bravi con il suo staff, ragazzi giovani e preparati che stanno sul pezzo 7 giorni su 7 (non è previsto alcun giorno di chiusura) dalle 7,30 del mattino alle 2 di notte.

«La vera novità che ha introdotto Bù – spiega Bravi, 33 anni bergamasco, con alle spalle esperienze nella ristorazione e nell’alberghiero – è quella di proporre l’intera filiera del latte e non solo il prodotto finito. Per questo abbiamo creato in loco un mini caseificio, in cui produciamo, “live”, dagli yogurt alle creme, al burro chiarificato, fino alla lattica, che poi andranno ad arricchire la nostra offerta nel menù». La didattica e la trasparenza al potere, quindi, per far conoscere a tutti i segreti della trasformazione, che alla sua base ha come arma vincente il latte della montagna bergamasca, vero punto di forza del locale.

Poi naturalmente ecco sua maestà il formaggio declinato in tutte le maniere possibili: dai ricchi taglieri alle raclette, agli orologi “in purezza”, fino alle verticali, come quella del Formai de Mut solo d’alpeggio, con annate che vanno dal 2012 ad oggi. L’offerta vanta oltre 40 caci, con tutti i campioni locali: il Branzi naturalmente gioca in casa, ma poi ci sono taleggio, salva cremasco, stracchino all’antica, agrì, quartirolo, gorgonzola, senza contare i contributi di altre maison, come l’erborinato Rosso Imperiale di Casa Arrigoni affinato nelle vinacce o i superbi caprini della Via Lattea. A proposito di Branzi, c’è anche quello con latte di sola Alpina Originale, razza che si era ormai estinta in Italia, ma che è stata recuperata dalla Svizzera e che nel locale trova anche spazio nell’offerta degli hamburger, molto gettonati dai teenager.

E scorgendo il menù (accompagnato da oltre 50 etichette, dai migliori vini bergamaschi a una buona selezione lombarda e nazionale) scopriamo che un po’ tutte le portate (anche se con le dovute eccezioni) ruotano attorno al mondo

caseario: dai primi (consigliato il risotto al radicchio trevigiano con fonduta ai formaggi d’alpe o i paccheri cacio e pepe), ai secondi (con la meravigliosa cotoletta al Branzi) fino ai dessert (dalla pannacotta ai budini fino alle golose brioches alle creme prodotte con il latte della casa). Senza dimenticare il take away di alta qualità, per una spesa davvero “bù”…


Il rifugio più “goloso”? Lo gestisce una bergamasca

In Val di Fassa, sulla Sella del Ciampaz, a quota 2.283 metri, nel mezzo del gruppo del Catinaccio, Roberta Silva, 43 anni, di Bergamo, ha creato un rifugio da sogno. Si chiama “Roda di Vaèl” (come il nome della montagna) ed è considerato uno dei rifugi più amati d’Italia. L’anno scorso i lettori della rivista Dove l’hanno eletto al quinto posto della classifica dei rifugi italiani più belli, ma sono i numeri, più di tutto, a dirlo: 3mila ospiti a stagione.

Anche la stampa l’ha più volte premiato: lo scorso anno ha campeggiato in prima pagina su una guida ai rifugi del Nord Italia ed è stato protagonista di un video promozionale dei rifugi del Trentino che ha realizzato più di 200mila visualizzazioni, tra l’Italia e l’Estero. Quest’anno è stato uno dei pochissimi rifugi segnalati dal magazine tedesco ADC Reisemagazine in uno speciale sulle Dolomiti.

L’ambiente è accogliente e familiare, la cucina offre piatti locali accompagnati da simpatia e cordialità e ci sono 60 posti letto, un’ampia terrazza e un solarium. Roberta gestisce il rifugio con l’aiuto della sua “famiglia Vael”, uno staff di 12 ragazzi, molti dei quali sono con lei da tanti anni. La natura intorno è un incanto, si possono intraprendere escursioni, vie ferrate della Roda di Vaèl o del Majarè o scalate.

Roberta, com’è iniziata questa avventura?

«Mi sono trasferita in Val di Fassa nel 2002 con mio marito, come istruttrice di snowboard. Qualche anno dopo, nell’estate del 2005, abbiamo avuto la possibilità di prendere il rifugio e così l’abbiamo fatto».

Era un suo desiderio?

«In realtà, è stata una decisione legata a mio marito, che già da anni gestiva un rifugio, il Re Alberto I alle Torri del Vajolet. Ma la montagna mi è sempre piaciuta. Non avevo mai pensato di farlo, ma oggi non farei un lavoro diverso».

Com’è la vita da rifugista?

«La stagione da noi comincia a fine maggio e finisce a fine ottobre. Mi trasferisco al rifugio per sei mesi poi torno in paese e gli ultimi due mesi fremo per tornare su. Il rifugio ti dà la possibilità di incontrare tante persone, di confrontarti con culture diverse: è un contatto unico. Una cosa che trovo fantastica nella filosofia della montagna è che camminando sui sentieri, entrando nei rifugi, salendo lungo le ferrate, non ci sono confini, non ci sono differenze, la montagna è uguale per tutti e tutti sono uguali quassù e questo lo si vede tantissimo proprio all’interno dei rifugi dove alla sera tutti sono semplicemente degli amici e persone che stanno vivendo esperienze simili. Questo è il quinto anno che gestisco il rifugio da sola. Nel 2011 è venuto a mancare mio marito in un incidente. Quello che è successo mi ha avvicinato tante persone».

Che turismo avete?

«Vengono tantissimi turisti. Per il 70% sono stranieri, austriaci, svizzeri, ma ospitiamo anche bergamaschi, qualcuno torna apposta per venire a trovarci. Da qualche tempo abbiamo anche ospiti giapponesi».

Qual è il segreto di tanto successo?

«La cordialità. È una qualità che ci riconoscono. Gestisco il rifugio come una grande famiglia. Molti dei miei ragazzi sono con me da 9-10 anni. Accolgo io ogni ospite, gli stringo la mano. È come se entrassero in casa mia. Inoltre apprezzano la cucina».

Che piatti proponete?

«Facciamo una buona cucina, senza fare alta gastronomia, piatti semplici, tipici trentini, come i canederli che abbiniamo al goulash, taglieri di speck e formaggi, poi minestroni, tagliatelle ai funghi porcini, secondi a base di polenta e salsiccia, formaggio fuso, funghi, capriolo. Tra gli stranieri il piatto più richiesto è l’uovo con speck e patate. I dolci sono tutti fatti in casa, piace molto la Frittata del re, preparata con l’impasto dell’omelette, spezzettata e saltata con mele e uvette, è quasi un piatto unico. Due anni fa ho inserito i prodotti per celiaci».

Niente piatti bergamaschi?

«Certo che ci sono. Ho portato con me le mie origini: i casoncelli, il Valcalepio Rosso e il Moscato di Scanzo. La polenta c’era già, ma deve essere buona, noi la facciamo fresca tutti i giorni».

Lei ha due bimbi piccoli, come vivono questa esperienza?

«La bimba ha 4 anni e il maschio ne avrà 7 a luglio. Nella bella stagione passano il loro tempo libero all’aperto. Quando il grande gioca a carte con i bimbi stranieri non si capiscono ma ridono da matti. Nei rifugi tra i bambini le distanze sono completamente azzerate e anche se di nazionalità diverse questi corrono e giocano come se fossero amici da sempre. Hanno un’intesa incredibile nonostante praticamente gli scambi verbali siano ridotti al minimo».

Per la nuova stagione ha dei progetti?

«Da qualche anno ospitiamo un gruppo di astrofili che vengono a osservare le stelle. Quest’anno raddoppierò gli appuntamenti. Inoltre all’apertura della stagione organizzeremo una giornata di yoga e cena vegana per iniziare all’insegna del benessere».

Cosa farà il primo giorno in rifugio?

«Quello che faccio tutti i giorni quando sono lì: mi sveglio presto e faccio le foto all’alba. È sempre un’emozione diversa».

Rifugio Roda di Vaèl - Val di Fassa - canederli


Una “Scaletta” che si tuffa nel Mediterraneo

A La Scaletta Cafè di Capriate San Gervasio la paella non è né alla catalana né alla valenciana ma di Filippo ed è il piatto più gettonato: quello per il quale il locale è famoso. La specialità spagnola è stata rivisitata da Filippo Coglitore, 57 anni, chef che con la moglie Luisa Barrecchia, 46 anni, in sala, conduce il ristorantepizzeria. Il loro sodalizio lavorativo è iniziato nel 1989. «Non è stato per eccesso di protagonismo – spiega Filippo – ma ormai le varianti sulla base della paella valenciana erano diventate tante e così ho voluto dare un messaggio chiaro, in modo che si capisse che c’era qualcosa di diverso. Ad esempio io ci metto l’astice e poi la serviamo in un contenitore particolare che ne esalta anche l’aspetto. Oltre che buona, insomma, è bella anche a vedersi».

La “storia” di Filippo è come quella di tanti ristoratori partiti dal sud. Nel ’74 ha lasciato la Sicilia con la classica valigia di cartone per fare esperienza nelle piazze turistiche più importanti come Madonna di Campiglio, Portofino, Forte dei Marmi ed infine è approdato a Milano. Sempre in cucina ad apprendere i segreti degli chef più esperti. «Nell’87 ho aperto il mio primo ristorante a Milano in città – racconta – e nel ’95 sono venuto a Capriate alla mia prima Scaletta a poca distanza da quella attuale, mentre qui ci siamo dal 2007. Ho avuto anche altre esperienze perché per due volte ho gestito contemporaneamente due locali, sempre a Capriate la Rosa Verde e a Bergamo la Taverna del Gallo in via San Bernardino».

La Scaletta Cafè è un locale arredato con gusto con la capienza di un centinaio di coperti all’interno. Molto utilizzato però è l’ampio dehors (80 posti) che viene sfruttato sia in inverno, riscaldato, sia in estate rinfrescato da getti di acqua nebulizzata. C’è anche un ampio parcheggio privato. Il costo medio di un pranzo varia tra i 35 e i 40 euro. La struttura è anche bed and breakfast, con tre camere e altre tre in arrivo.

«Che cucina facciamo? Più che descriverla bisognerebbe provarla – suggerisce il titolare – perché trovo difficile rendere con le parole i nostri sapori. Diciamo che si tratta della base di una cucina mediterranea, ampiamente personalizzata. Il riferimento rimangono il pesce e la cucina siciliana. Dedichiamo lo spazio necessario anche ai piatti di terra, tagliate e filetti per quanto riguarda la carne, alcuni risotti e i salumi affettati. Per ogni portata abbiamo anche un piatto vegano».

La scaletta cafè - capriate san gervasioData la lunga presenza, il locale ha consolidato una buona clientela e Filippo e Luisa seguono molto i dettagli, che a volte possono fare la differenza, come le eleganti mise en place ed il pane e le focacce che vengono preparati ogni giorno nel forno della pizzeria. C’è un listino che ricalca il menù principale per il servizio take away e per compagnie si organizzano anche tavolate di giro pizza. Ci sono poi cinque menù fissi, che comprendono dolce, acqua e caffè e che vanno dai 20 ai 35 euro. «Tra questi – afferma il titolare – quello al quale sono più affezionato è quello etneo con il richiamo alla mia terra d’origine. È un bel “viaggio” e fa capire un po’ la filosofia della mia cucina. È composto da una tartare di tonno con salsa agli agrumi, pesto di mandorle e salsa di soia, come antipasto. Per primo piatto sono previsti gli spaghetti con finocchietto selvatico e sarde, poi c’è un involtino di spada alla messinese e si finisce con un cannolo siciliano».

LA PROVA

Due aspetti colpiscono a La Scaletta Cafè di Capriate San Gervasio ancora prima di sedersi a tavola per il menù a prezzo fisso del mezzogiorno: un buffet molto assortito (con arancini e pizza, tra l’altro) e tovagliati in stoffa che ormai si incontrano sempre più raramente. La lista è al centro del tavolo, stampata, con le portate e l’indicazione che nei dieci euro del prezzo sono compresi oltre al primo e al secondo, buffet, servizio, acqua, vino e caffè e poi sono segnalati i costi per gli extra. Tra i primi, lasagne, casoncelli alla bergamasca e pasta al ragù o al pomodoro ci sono tutti i giorni così come tra i secondi l’arrosto al forno, il vitello tonnato, la bistecca ai ferri e l’insalata di mare rappresentano una costante.

Le portate che variano giornalmente vengono invece indicate a voce ed in occasione della nostra visita c’erano gli spaghetti alla caprese, i pizzoccheri, le costine alla brace con purè, le insalatone e il fritto di calamari e sarde fresche. Sul retro della lista ci sono i menù definiti “business special” che vanno dagli 11 euro ai 19 per il filetto di manzo ai ferri sempre tutto compreso. C’è anche un piatto vegano, il cous cous di verdure con salsa allo zafferano e ceci che costa 12 euro.

La nostra scelta non è molto razionale ma le proposte ci stuzzicano e passiamo quindi dal primo piatto di pizzoccheri all’insalata di mare per secondo. Dallo strano abbinamento scaturisce un commento molto positivo per un ottimo rapporto qualità-prezzo.

Ristorante Pizzeria
La Scaletta Cafè
via Bergamo, 38
Capriate San Gervasio
tel. e fax 02 90964826
www.lascalettacafe.it
aperto tutti i giorni


Una serata a tutta birra. Artigianale e bergamasca

Una serata dedicata alla birra artigianale bergamasca. La propone l’Associazione di promozione sociale Avalon, che si occupa di gusto, musica e incontri e si trova in via Angelo Maj 35/C a Bergamo.

Nella serata di martedì 5 aprile sarà di scena il birrificio Via Priula di San Pellegrino con il suo mastro birraio Giovanni Fumagalli che illustrerà i metodi di produzione della birra artigianale bergamasca, racconterà le ricette del birrificio e condurrà la degustazione.

Si assaggeranno 6 birre di cui 2 di tipologia light, 2 medie e 2 strong. Su tutte, la novità di casa, la Maiz, fatta con diversi tipi di mais (Spinato di Gandino, Rostrato Rosso di Rovetta, Nostrano dell’Isola) provenienti da piccole realtà agricole locali. In abbinamento salumi e formaggi tipici. Il costo è di 30 euro.

Prenotazioni tel. 3201832220 – info@vinomediatica.it


Verdure come strumenti musicali, al ristorante arriva il “Conciorto”

Anziché artisti, si definiscono “ortisti” e naturalmente la loro performance non è un concerto ma un “Conciorto”. Già, perché oltre a flauti traversi, sax e chitarre, suonano anche melanzane, carote, zucchine, cetrioli, grazie alle nuove tecnologie (ototo, l’interfaccia arduino-based) che permettono di trasformare oggetti di uso quotidiano in strumenti musicali.

A proporre il singolare spettacolo sono Biagio Bagini, autore di programmi radiofonici per Rai Radio2, e Gianluigi Carlone, leader della Banda Osiris, che saranno di scena a Bergamo venerdì 18 marzo al ristorante culturale In dispArte di via Madonna della Neve 3.

conciorto 2L’orto è lo spazio di riferimento a cui guardano i due suonatori, perché è il luogo dove la parola è come un seme. Che poi getta foglioline che sono note. Che poi diventano piante in forma di canzone. Qui crescono canzoni pop, rock e moderne che raccontano i vissuti di melanzane, peperoni e zucchine, e parlano degli stati d’animo dell’orticoltore, oltre a raccontare le storie di orti di personaggi famosi. Il Conciorto sfrutta il proprio terreno a fini elementari di divertimento intensivo e danno vita a un concerto sostenibile, un vero “live in the garden”.

L’inizio del concerto è alle 21.30. Il costo di ingresso 10 euro.


Caffè perfetto e stuzzichini da chef, due corsi per dare una marcia in più ai bar

bar - barista - caffèPer baristi e professionisti del settore wine, l’Accademia del Gusto di Osio Sotto propone due corsi per migliorare e meglio caratterizzare il proprio locale: il primo è in calendario giovedì 17 marzo con il titolo “Stuzzichini al bar: stupire con poco”. Il seminario dura 3 ore, dalle 15 alle 18, ed è pensato per i barman che non dispongono di un laboratorio di cucina e vogliono apprendere l’arte di progettare un menù aperitivo suggestivo, utilizzando solo una piastra a induzione e un microonde. Lo scopo di questo corso è trasmettere un metodo per sfruttare prodotti semplici rendendoli sfiziosi con l’aiuto di pochissima attrezzatura e tanta fantasia. In cattedra la chef Francesca Marsetti, che spiegherà come realizzare ricette semplici, ma di grande effetto.

Da lunedì 21 a giovedì 24 marzo (dalle ore 14 alle ore 19) la scuola di cucina di Ascom Confcommercio Bergamo firma invece “La caffetteria: dalla preparazione del caffè alle decorazioni”, un laboratorio tecnico-pratico per apprendere l’arte, i segreti, i profumi ed i sapori della caffetteria. In 20 ore – questa la durata complessiva del corso – si apprendono le tecniche di preparazione di caffè espresso, cappuccino e altre bevande a base di caffé. Il laboratorio è connotato in senso pratico, per favorire l’acquisizione di competenze tecniche e manualità, ma soprattutto per imparare a preparare prodotti di caffetteria di eccelsa qualità. Tra i temi trattati: cenni di botanica della pianta del caffè, la miscela, il macinadosatore, la gestione e l’uso della macchina, l’espresso e il cappuccino, la montatura del latte, le tecniche classiche di decorazione con il latte (latte art), le tecniche di decorazione con il caffè e con la cioccolata. In cattedra ci sono gli esperti di Cefos Bartender School.

Per informazioni: Accademia del Gusto – tel. 035 4185706-707 – info@ascomformazione.it – www.ascomformazione.it.


Asian Mix, la mediatrice culturale che fa scoprire il gusto dell’Asia

In un momento in cui l’imprenditoria cinese nel settore della ristorazione sta occupando sempre più spazio anche nella nostra provincia con abbinamenti di cucine sempre più fantasiosi (si passa dalla cinese alla giapponese per giungere all’italiana e alla brasiliana), è abbastanza singolare, almeno così riteniamo, incontrare una giovane bergamasca che si è data alla ristorazione cinese e giapponese, con forti presenze di piatti vegetariani e vegani in linea con la tendenza attuale.

Il cognome Cukon ne tradisce l’origine straniera ma lei, Angelica, figlia di genitori croati, è nata a Seriate 29 anni or sono. Laureata in lingue orientali, con particolare riferimento a quella cinese, oltre a continuare a svolgere l’attività di mediatrice culturale in alcune scuole della nostra provincia, dal novembre del 2014 ha aperto con il marito il take away Asian Mix in città, in via Palazzolo 40/42.

«Ho viaggiato a lungo, per studio e lavoro, tra l’Italia e la Cina ed ho frequentato molto i ristoranti cinesi e così mi è nata questa passione per la cucina cinese che non può comunque intendersi come un unico stile di preparare il cibo – racconta -. In effetti in Cina, come del resto avviene anche in Italia con le nostre cucine regionali, ci sono delle differenze anche sostanziali a seconda della collocazione geografica. A Bergamo ho incontrato quello che sarebbe poi diventato mio marito, Lin Haijin (38 anni ndr.), che aveva alle spalle una notevole esperienza come cuoco sia in Italia sia all’esterno, ed è nato il nostro progetto».

Asian Mix funziona come un take away ma offre allo stesso tempo la possibilità di consumare sul posto i piatti scelti: si ordina, le posate e gli accessori per la tavola sono a disposizione su un bancone, ci sono i distributori di bevande e le portate arrivano in tavola nella sobria saletta adiacente che può ospitare 22 coperti. Naturalmente c’è anche il servizio di consegna a domicilio.

composit - asian mix (2) composit - asian mix (1) composit - asian mix«Cercavamo un locale in centro – prosegue Angelica – ed abbiamo trovato questo che ci è piaciuto ma era troppo grande per il solo asporto e troppo piccolo per il ristorante. Abbiamo quindi escogitato questa via di mezzo e la soluzione funziona. C’è chi prenota per telefono e poi passa a ritirare il cibo in modo di non fare code e c’è invece chi preferisce accomodarsi in saletta. Per la sosta di mezzogiorno portiamo diversi piatti negli uffici vicini. La nostra clientela? Oltre al personale degli uffici abbiamo imprenditori, studenti, artisti, attori, Giorgio Pasotti ad esempio è un nostro affezionato cliente. Spesso alla sera abbiamo anche sportivi, soprattutto di arti marziali, che cenano dopo aver concluso gli allenamenti. Facciamo anche serate a tema ed eventi con associazioni di vegetariani e vegani»

Per quanto riguarda la cucina, «cerchiamo di attenerci il più possibile all’originale – spiega – anche se certi piatti abbiamo dovuto adattarli per forza al palato degli italiani. Abbiamo scelto quelle che ci sembravano le proposte migliori nel gran panorama delle diverse cucine territoriali cinesi cercando di salvaguardare al massimo la tradizione. Con mio marito abbiamo recuperato anche delle ricette cinesi con dei sapori particolari».

Le portate sulla carta, che è anche il volantino pubblicitario del locale, sono in totale 174, delle quali 32 possono essere richieste in versione vegetariana o vegana. Zuppe, antipasti, riso e spaghetti, pollo, manzo, maiale, anatra, gamberi e frutti di mare, tofu, verdure e contorni sono proposti in vari sapori nel menù cinese, mentre il menù giapponese conta una decina di piatti particolari di questa cucina oltre alle più conosciute combinazioni di sushi, sashimi e tempura.

LA PROVA

La struttura del menù fisso di mezzogiorno all’Asian Mix è abbastanza particolare. A seconda del prezzo, si può scegliere un piatto o abbinarne due dei 95 della carta della cucina cinese con l’esclusione di alcune portate più costose.

Si parte dal costo minimo di 6 euro per un secondo a scelta accompagnato da riso bianco. Con 8 euro si possono avere un primo e un secondo di carne o verdura mentre con 9 euro non ci sono limiti sul costo dei piatti e quindi, sia per il primo sia per il secondo, la scelta è estesa alle portate con frutti di mare o anatra. È compresa l’acqua minerale. Per le proposte della cucina giapponese, in particolare per sushi e tempura, il prezzo è di 10 euro bevande escluse.

Abbiamo scelto gli spaghetti di soia ai frutti di mare ed il pollo al curry. Poiché apprezziamo questo tipo di cucina possiamo ritenere il rapporto qualità-prezzo molto buono.

ristorante Asian Mix - Bergamo - sala Take away Asian Mix
via Palazzolo, 40/42
Bergamo
tel. 035 0279274
chiuso la domenica
asianmixbergamo.com


“La Tana”, l’arte di valorizzare il formaggio

I fratelli Roby e Alex Rodeschini

 

Bravi sono bravi da tempo: basta vedere il continuo afflusso di appassionati, con tantissimi turisti che l’hanno eletto tra i “luoghi del cuore” (e del palato) di Città Alta. Ma che il ristorante La Tana si trasformasse in una sorta di “laboratorio”, dove, accanto ai piatti della tradizione bergamasca e a quelli della grandeur italiana, nascono felici intuizioni, da aggiungere in un menù tutto da scoprire, ecco questa è la vera sorpresa. Che diventa doppia quando scopriamo che i due patron, i fratelli Rodeschini, Alessandro, 35 anni, sommellier Ais e direttore di sala, e Roberto, 27 anni, chef creativo diplomato a Nembro (c’è un terzo fratello, Dario, che fa il pasticcere a Stezzano: un trio addestrato da quella cuoca sopraffina di mamma Isa), sanno esaltare quello che in provincia è il protagonista assoluto: sua maestà il formaggio.

E di chicche casearie, i due, ne hanno scovate in questi anni davvero tante: l’ultima, in Piemonte (un po’ la loro seconda patria, se consideriamo le sempre abbondanti scorte di carne e vini che arrivano da lì in via San Lorenzo) una celestiale forma di Maccagno che hanno proposto “in purezza” alla clientela. Ma gli amori caseari partono naturalmente dai “tesori” di casa nostra: «Bergamo è davvero un giacimento di grandi formaggi, più o meno conosciuti – spiega Alessandro -: a noi il compito di esaltarli attraverso assaggi mirati con gli appositi taglieri, ma anche ideando ricette originali che arricchiscono il loro utilizzo in cucina».

Ecco allora che i due fratelli si mettono spesso prima a tavolino e poi ai fornelli e sfornano idee a ripetizione. Così sono nate le due ricette create appositamente per Affari di Gola e che dal 1° marzo entreranno ufficialmente in menù: «Ci piaceva stupire con qualcosa che andasse al di là del solito risotto o sformato – aggiunge lo chef Roberto -. Ci auguriamo che possano piacere a chi verrà a trovarci».

La Tana - Creme bruleeIl primo piatto è una Creme Brulée salata, sorta di fonduta in tazza, con sopra un crumble croccante di nocciola Tonda gentile del Piemonte Igp, che al posto della fontina vede protagonista assoluto l’Alben, vaccino a latte crudo della Val Taleggio, pasta cotta, stagionatura media, gusto asciutto e dolce, che i fratelli Rodeschini hanno deciso di “adottare”. «In cucina l’Alben è un formaggio dalle grandi potenzialità ma poco conosciuto anche dai bergamaschi – spiega Alessandro -: l’intento della ricetta è anche divulgativo, nel senso che chi lo assaggerà sarà invogliato a saperne di più di questa nostra piccola chicca brembana». Una entrée raffinata, abbinata al delizioso Cru piemontese, Rossi Contini, nettare vellutato tra i principi della famiglia dei Dolcetti.

La Tana - MillefoglieLa seconda proposta è ancora più intrigante: una millefoglie di grano saraceno e caffè “Quintessenza” Mogi (altra gloria locale, che ormai spopola anche Oltreoceano) con mele saltate al burro, menta e soprattutto Agrì di Valtorta.

È proprio il formaggino di Valtorta, presidio Slowfood a rendere questo piatto sorprendente e originale al tempo stesso, equilibrando con la sua acidità e sapidità le note dolci delle mele brembane e del miele di robinia, mentre i croccanti anelli biscottati sono senza glutine e quindi consumabili anche dai celiaci. «Piatto più complesso – aggiunge Alessandro – che però diventa centrale in un menù per le sue caratteristiche nutritive, esaltate da un Agrì che è una delle perle del nostro patrimonio caseario, originalissima chicca che in molti ci invidiano e che il mondo Slowfood ha contribuito a riportare agli onori delle cronache».

E a proposito di cronache, il locale di Roby & Alex trova ammiratori anche dall’altra parte del globo, se è vero che la rivista Food&Travel, diretta da Michelle Koh Morollo, giornalista e scrittrice specializzata in food and beverage, con redazioni a Singapore e Hong Kong, è stato recensito nel numero dello scorso dicembre. Ma il respiro internazionale viene anche incoraggiato fin dal momento di sedersi al tavolo, grazie alle tovagliette con ricette stampate in italiano e inglese e gli abbinamenti con i grandi vini. È facile capire perché qui gli stranieri si sentono a casa: l’edificio è storico (sedicesimo secolo), c’è il fascino delle pietre antiche, del camino sempre acceso, col braciere in cui grigliare a piacimento tagliate, filetti, costate e fiorentine. Ma prima antipasti sfiziosi con titoli ammiccanti sul menù come quel “Spagna-Italia 1-1” che mette a confronto in una sorta di derby culinario polenta bergamasca e acciughe del Cantabrico. E ancora la sfilata di paste e risotti: il più convincente ha come protagonista un altro grande formaggio di casa nostra, quel blu di bufala, qui abbinato al mosto di uva fragola, che Bruno Gritti de I Quattro Portoni esporta ormai ad ogni angolo del pianeta.

Ristorante La Tana,
via San Lorenzo 25,
Bergamo Alta
tel. 035 213137
www.tanaristorante.it