Mille modi di servire il caffè. Scatta il concorso on line

espressoÈ il biglietto da visita di ogni locale. Il caffè, la bevanda più amata dagli italiani e uno dei simboli della nostra tradizione nel mondo. Farlo bene però è un’arte così come servirlo e renderlo unico.

Per raccontare i diversi modi in cui bar, pasticcerie e ristoranti danno un tocco in più al proprio espresso, la Fipe, la Federazione dei pubblici esercizi, insieme ad Ica (Associazione Italiana Caffè) con la  collaborazione di Triestespresso, promuove il concorso riservato agli operatori: “Come personalizzi il tuo caffè?”.

È un contest on line gratuito al via da oggi, primo agosto, fino al 9 ottobre 2016. L’evento di premiazione si svolgerà sabato 22 ottobre durante la manifestazione fieristica “Triestespresso” nello stand Fipe – Ica.

Il concorso è aperto a tutti gli operatori di pubblici esercizi che entro il 9 ottobre 2016 compileranno in tutte le sue parti  il form di iscrizione presente sul sito Fipe, allegando una foto in formato JPG, al massimo di 5Mb (non verranno ammessi altri formati), accompagnata da una breve frase che illustri il messaggio dello scatto inviato. Potrebbe essere, ad esempio, un espresso con una tazzina particolare, magari contrassegnata da un logo e accompagnata da un dolce/cioccolatino o altro, con una frase che spieghi il messaggio legato all’immagine.

Il concorso ha un’unica sezione digitale e le foto inviate devono essere strettamente inerenti al tema “Come personalizzi il tuo caffè?”, non devono contenere immagini riconoscibili di persone ed ogni autore è personalmente responsabile di quanto è oggetto delle immagini.

 

La giuria sarà composta da tre componenti. Ogni giurato assegna un punteggio da 1 a 10 ad ognuno dei seguenti criteri: Cortesia (es. un dolcetto o un cioccolatino), Creatività (es. tazzina decorata), Originalità della didascalia (es. “la siesta del caffè”).

Durante Triestespresso, sabato 22 ottobre, si svolgerà la premiazione e tutti i partecipanti al concorso potranno ritirare il loro attestato di partecipazione. I primi cinque classificati vedranno le loro foto, con la relativa frase e l’indicazione del loro locale, esposte nello stand di Fipe-Ica, oltre che pubblicate sui siti degli organizzatori. Al primo classificato sarà, inoltre, riservata la partecipazione gratuita al corso “Sommelier dell’Espresso”.

Il regolamento

Il modulo di iscrizione


Albino, la sagra degli gnocchi ripieni firmata dalla trattoria

Morbidi gnocchi di patate ripieni di prosciutto e formaggio, conditi con burro versato. Sono uno dei piatti più apprezzati della Trattoria Moro da Gigi di Albino, in località Perola, e sei anni fa, in occasione del 50esimo di attività, il titolare Gianluigi Moro ci ha costruito attorno una vera e propria sagra, diventata ormai appuntamento fisso dell’estate.

Quest’anno si tiene da giovedì 14 a domenica 17 luglio, sempre nell’area di fronte al locale. Gli gnocchi fumanti rappresentano il 90% dei primi serviti durante la festa (l’anno scorso ne sono stati preparati 8 quintali), ma chi vuole variare potrà trovare anche la pasta con il ragù di selvaggina e i casoncelli, anche questi fatti a mano in casa. Il locale ha sempre fatto della tradizione e della vicinanza al territorio il proprio marchio distintivo (anche prima dell’affermarsi del concetto del chilometro zero!) e la proposta della sagra segue la stessa linea. Per secondo, quindi, la polenta è preparata sul fuoco da due addetti e si accompagna con i funghi, il cinghiale in salmì o il baccalà. Sulla griglia costata, costine e cosce di pollo. Anche i dolci sono fatti in casa e quest’anno debutterà il “Moroncello“, la ricetta che ha vinto il concorso “Un dolce per il Moroni”, per dare ad Albino il suo emblema goloso. Un dolce che la trattoria prepara anche in una originale versione da portare a casa, in barattolo per conservare al meglio freschezza e fragranza, come fa con altri biscotti e alcuni piatti “take away”, su tutti casoncelli e trippa. Tra le bevande, assolutamente a tema è la birra alla patata.

Non mancano le iniziative collaterali, come l’animazione per i bambini, la presenza di artigiani che eseguono lavorazioni dal vivo del ferro e del legno, i gonfiabili e le prove di softair. Tra le novità la Beer Run (domenica a partire dalle 10.30), una goliardica corsa a cronometro sulla distanza di un chilometro, nella quale i concorrenti devono bersi una birretta alla partenza e dopo il primo giro.

Il programma si apre alle 18.30 giovedì e venerdì, alle 16 il sabato e alle 10.30 la domenica.

http://www.trattoriamoro.it/sagra.html


La sfida di “Francesco”, imprenditore a 22 anni

Si chiama “Francesco” la Gelateria Artigianale Italiana appena aperta a Torre Boldone, in via Donizetti, davanti alla scuola media. È una start up che vede in campo un giovane imprenditore bergamasco di soli 22 anni, Francesco Rampolla. Il quale, con l’aiuto del fratello gemello Stefano, ha deciso di investire sul proprio territorio di residenza. Sì, perché Francesco, oltre ad aver denominato la sua nuova impresa con il proprio nome, ricordando anche quello del nonno, ha voluto – con l’apertura dell’attività – rimarcare il senso di appartenenza al proprio ambito e, in qualche modo, fare da traino per i giovani che, come lui, hanno un sogno nel cassetto. Studi alberghieri a Nembro, tappe nelle cucine stellate dei fratelli Cerea, Da Vittorio (dove impara il rispetto per le materie prime), di Patrick Guilbaud, a Dublino (dove comprende ancor di più il valore dei prodotti italiani) e di Alain Ducasse al Louis XV presso l’Hotel de Paris di Monte Carlo (dove affina il metodo), Francesco, tornato in Italia, decide di focalizzare la sua attenzione sul gelato artigianale, il suo sogno, appunto. E dopo una breve esperienza alla “Romana”, in centro a Bergamo, e in altre gelaterie della provincia, compie il grande passo. Ed ecco “Francesco”. Gelateria_Francesco

Una sfida non certo facile, a soli 22 anni e, soprattutto, senza una tradizione di famiglia alle spalle. «Ci voleva coraggio – commenta Rampolla -. Non mi è mancato, grazie al supporto della mia famiglia, ma anche di Fogalco e dei Lions della Valseriana». «La gelateria è “Artigianale” – sottolinea Francesco – perché facciamo tutto in casa, con tanta passione e con prodotti selezionati e di prima qualità. Non a caso, scegliamo noi gli ingredienti al mercato della frutta o dai nostri migliori contadini, cercando di instaurare rapporti solidi che durino nel tempo. È “Italiana” perché voglio valorizzare il nostro territorio e la nostra agricoltura. Per questo abbiamo sposato l’idea del “meno è meglio”, avvalendoci di aziende in sinergia con la nostra filosofia e con le nostre esigenze, come Agrimontana e Domori». Pochi i gusti in offerta – tra questi gli immancabili pistacchi di Bronte Dop e la nocciola Igp del Piemonte – ma tutti all’insegna della qualità, con particolare attenzione anche al mondo vegano e alle intolleranze alimentari. «Produciamo anche torte gelato, semifreddi, ghiaccioli alla frutta e stecchi gelato – evidenzia Francesco -, oltre a ottime cremolate di frutta fresca di stagione. La stagionalità, in effetti, è importantissima per poter offrire la migliore qualità dei prodotti». Provare per credere.

chiccogel.torreboldone@gmail.com


Steak, il regno della tagliata strizza l’occhio al franchising

«Suddivido i ristoranti in categorie: ci sono quelli dei grandi chef, che fanno una classe a parte; ci sono i ristoranti a conduzione famigliare, che hanno le loro caratteristiche ben precise, poi ci sono i ristoranti cinesi. Noi, invece, siamo per il gusto urbano in continuo divenire di piatti e sapori: vogliamo far mangiare bene con prodotti italiani sani ad un giusto prezzo». Così Marina Bongiorno, imprenditrice di successo nel settore dell’abbigliamento e dell’attrezzatura antinfortunistica, interpreta il ruolo dello Steak Restaurant, in via Fermi al numero 10 a Curno, del quale è titolare. «Un bel salto dall’antinfortunistica alla ristorazione? Sì, certamente – ammette -, ma c’è un filo conduttore. Il progetto è nato per caso ma è stato approfondito. Il legame della nostra azienda storica con il mondo della ristorazione è infatti radicato, visto che forniamo divise per il personale di cucina e di sala a diverse realtà in tutta Italia comprese le scuole professionali. I contatti quindi non mancano ad ogni livello per poter attingere informazioni e professionalità con un interscambio di idee».

SteakIl locale, è molto bello con i suoi arredi che uniscono sapientemente stile essenziale e tocchi originali e, soprattutto, accogliente dai colori rosso e nero che risaltano. Altre definizioni sarebbero riduttive, visto che con la professionalità e cordialità del personale di sala ci si sente immediatamente a proprio agio, accompagnati anche da una discreta musica in sottofondo. Come sempre, comunque, l’attenzione maggiore va a ciò che viene servito in tavola, che viene presentato con un originale e curato menù tutto illustrato, quasi per gratificare prima gli occhi e poi il palato. Piatti unici, antipasti, primi, secondi di carne e pesce, pizze, insalatone in crosta di pizza, carta dei dolci, carta dei vini: una proposta completa con un mix di innovazione e tradizione tra cucina italiana ed internazionale a prezzi decisamente equi. I primi vanno dagli 8 ai 12 euro, i secondi di pesce dai 10 ai 17 di gamberi e scampi alla catalana, le tagliate, servite con contorno, da 15.50 a 21 per quella di filetto, senza contare l’interessante soluzione del “Basta un piatto”. La nota in più è che il coperto non si paga mai, altro punto a favore del mettere a proprio agio gli ospiti.

tagliata«Abbiamo quattro cuochi, uno per ogni settore, e non lasciamo nulla all’improvvisazione – spiega la patronne -, usiamo soprattutto materie prime certificate. Il menù cambia ogni sei mesi e per la pausa pranzo abbiamo sempre un piatto del giorno a prezzo economico (primo, secondo e contorno più acqua e caffè a 10 euro, oppure c’è il del piatto speciale a 15 euro ndr.). La nostra è anche una clientela bussiness e il nostro obiettivo principale, come detto, è quello di trovare il giusto rapporto tra prezzo e qualità. Cerchiamo la massima soddisfazione del cliente e non mettiamo certo in gioco la buona reputazione ottenuta nel tempo dalle aziende della nostra attività principale, anzi cerchiamo sempre di migliorarci. Può sembrare un paradosso, ma forse è meglio non essere nati ristoratori, così ci mettiamo più attenzione e curiosità per arrivare a delle novità e comunque a fare bene sempre». Dell’accattivante carta una parte rilevante è dedicata alle tagliate. Ci sono la degustazione del tris di tagliate, la tagliata allo Steak, la tagliata di filetto allo Steak, la tagliata rucola, grana, aceto balsamico e pinoli, la tagliata profumata alla salsa Steak e la tagliata francese. Per non farsi mancare nulla c’è anche la tagliata di pollo con rucola, pomodorini e ricotta salata. «Ebbene sì, siamo specialisti sulle tagliate – ricorda Marina Bongiorno –. Anzi, in verità, non ne facciamo un mistero, ci siamo autoincoronati “re della tagliata” e facciamo il possibile perché questo titolo non venga messo in discussione. Si tratta solo di provare!» Ambiente e cucina meritano senz’altro una visita, a maggior ragione se si considera che il conveniente rapporto qualità-prezzo ricercato dalla proprietà è stato senz’altro raggiunto.

I punti di forza della formula

Un’idea nata per essere replicata. Non poteva infatti fermarsi solo a Curno l’iniziativa di Marina Bongiorno con la realizzazione, per il momento, dell’unico Steak Restaurant. È pronto infatti il pacchetto globale degli accordi economicocontrattuali per lo sviluppo di una rete in franchising. E scegliere Steak Restaurant significa poter disporre della certezza di un prodotto di qualità con materie prime certificate e in grado di soddisfare tutti i palati e la sicurezza di un menù capace di esercitare un forte appeal in linea con i trend di un consumo veloce, dinamico ed economico. Cosa chiede Steack Restaurant ai propri partner? La collocazione in aree anche non principali ma centrali, caratterizzate dalla presenza di uffici e zone commerciali che garantiscano un discreto bacino d’utenza anche negli orari diurni e la replica del format del locale originale con sala rossa e sala nera, stile minimalista post industriale, televisori che trasmettono sfilate di moda, oggetti preziosi (troni, cornici d’oro, ecc.), atmosfera intima, sottofondo musicale. I cani sono benvenuti, la griglia è a vista e il menù in diverse lingue. Menù che varia ogni sei mesi e che comprende piatti italiani e internazionali come la famosa tagliata alla francese con salsa Steak, la paella, i primi piatti di pasta fresca e i piatti di pesce. Alla pizza è stato riservato nella carta un trattamento particolare in quanto ad ogni tipo è stato abbinato un famoso Fashion brand. Ecco quindi che la pizza margherita è diventata pizza Prada, la napoletana Dolce & Gabbana e via di seguito. Tutto comunque è molto chiaro nel menù. Steak Restaurant fornirà ai propri affiliati un periodo di formazione di almeno tre mesi per il direttore, lo chef, il pizzaiolo e il responsabile di sala, un manuale operativo in particolare per la preparazione dei piatti e dettagli sulla loro composizione, le norme per l’accoglienza del cliente ed un piano di marketing e attività di comunicazione.

 

Steak Restaurant
via Fermi, 10
Curno
tel. 035 462504
www.steakrestaurant.it
chiuso la domenica

 

 

 


“Premiate trattorie italiane”, nel club entra anche la Visconti di Ambivere

La capacità di trasformarsi senza perdere la propria vocazione ha portato qualche settimana fa alla Trattoria Visconti un importante riconoscimento: l’ammissione all’associazione “Premiate trattorie italiane”, un sodalizio di osti dal Friuli alla Puglia legati da una filosofia comune, la salvaguardia delle tradizioni e lo sguardo al futuro. L’associazione è nata nel 2012 e raccoglie otto osti, premiati – di qui il nome – dal tempo, dalla storia e dalla clientela. Insomma, il gotha delle osterie italiane. Dopo essersi ritrovati per anni a incontri e premiazioni, serate gastronomiche e convivi, hanno deciso di dar vita a questa singolare associazione che ha lo scopo di innovare la tradizione e proiettarla nel futuro. La trattoria di Ambivere si aggiunge a insegne come Amerigo 1934 a Savigno (Bologna), Antica Trattoria del Gallo a Gaggiano (Milano), Antichi Sapori a Montegrosso di Andria (Barletta-Andria-Trani), Caffè la Crepa a Isola Dovarese (Cremona), La Brinca a Ne di Valgraveglia (Genova), Locanda Devetak a Savogna di Isonzo (Gorizia) e La Locandiera di Bernalda (Matera). I requisiti per diventare soci sono rigidi: forte identità gastronomica locale, prodotti poveri del posto, ricerca delle materie prime e del modo di lavorare, impegno a far conoscere il proprio territorio ai clienti. Un altro paletto fondamentale è il prezzo: per le Premiate Trattorie Italiane, un menù della tradizione composto da antipasto, primo, secondo, contorno, dolce, acqua e caffè non deve superare i 50 euro a persona. Per festeggiare il nuovo ingresso bergamasco, i premiati osti si riuniranno nell’annuale cena dell’associazione alla Trattoria Visconti. La cena si terrà lunedì 27 giugno e sarà realizzata, come di tradizione, a più mani da tutti i ristoratori del sodalizio. «Siamo molto felici di far parte di questo gruppo perché ci consente uno scambio di conoscenze con gli altri patron – commenta Daniele Caccia -. Spostandoci di pochi chilometri, abbiamo modo di assaggiare dei piatti diversi, modi di cucinare diversi. È un arricchimento prezioso». «Il nostro lavoro – aggiunge – rimane lo stesso di sempre, cucinare i piatti regionali o locali e valorizzare il nostro territorio. Ogni zona ha delle tradizioni uniche, l’importante che si continuino a cucinare e non vadano perse. È la filosofia dell’associazione che tutti noi condividiamo».

La tradizione si racconta anche sul web

Uno si immagina che le trattorie – quelle vere, che puntano sulla filiera e sul rispetto religioso per la cucina locale – siano l’ultimo baluardo/avamposto, il più tenace, delle tradizioni e quindi le realtà più lontane dall’innovazione. Non è così. L’Ascom, nel corso dell’ultima assemblea annuale, tenutasi poche settimane fa a Bergamo, ha scelto proprio un oste come esempio di imprenditore proiettato al futuro, tra tutti i patron di ristoranti del territorio. «La Trattoria Visconti di Ambivere ha dimostrato che anche il ristorante più legato al passato può aprirsi al futuro senza rinnegare la propria anima ha spiegato il direttore Oscar Fusini. La trattoria, aperta nel 1932, ha conservato lo spirito di un tempo, ma ha saputo cogliere le novità del mercato in evoluzione. Fiorella Visconti e Giorgio Caccia insieme ai figli Roberto e Daniele sono riusciti nella sfida, in apparenza impossibile, di conciliare tradizione e cambiamento. «La prima e vera innovazione – dice Daniele Caccia – è stato andare controcorrente nella proposta, preparare le ricette storiche della Bergamasca e della famiglia in risposta all’appiattimento dei sapori».

I piatti della tradizione e le ricette di bisnonna Ida negli ultimi anni sono state affiancate da un menù vegano. La cantina si è allargata dai vini blasonati, alle etichette più nuove sino alle birre. Al ristorante si è aggiunto un orto di erbe. Infine, l’innovazione più grande: la trattoria ha portato la sua tradizione in rete. Tre mesi fa ha fatto debuttare un nuovo sito web (il quinto), facilissimo da gestire. Grazie alla collaborazione con la start up bergamasca Onlime, infatti, le news del sito si aggiornano automaticamente dai post sulla pagina Facebook. Il sito web si propone come una vetrina del ristorante: dà la possibilità di entrare nel locale, pregustare i piatti, conoscere i volti di chi lavora in sala, in cucina, sapere delle novità di stagione, ma anche di prenotare e di regalare un cena con pochi click. «Ci mettiamo la faccia, indichiamo chi siamo e cosa facciamo» dice Caccia che avvisa: «Sul web occorre dare le informazioni che interessano di più, come orari, giorno di chiusura e soprattutto i prezzi. Noi facciamo i casoncelli con la ricetta della bisnonna Ida e diciamo che costano 10,50 euro. Chi va sul sito è contento di sapere quanto sono buoni, ma lo è ancora di più se sa quanto spende». Per ora il sito propone soprattutto testi e immagini ma la trattoria è decisa a puntare sui video «perché sono quelli che funzionano di più». Il filmato della patron Fiorella che prepara i casoncelli e spiega ingredienti e passaggi in dialetto bergamasco, con sottotitoli in italiano ha avuto un successo clamoroso ed è diventato presto virale registrando più di 30mila visualizzazione e 250 condivisioni.

 

 

 


Arlecchino, da mezzo secolo protagonista della ristorazione bergamasca

C’è aria di festa al ristorante-pizzeria Arlecchino di Bergamo. Il locale di piazza Sant’Anna, indirizzo storico della ristorazione orobica che ha ospitato generazioni di bergamaschi, domenica spegnerà 49 candeline e segnerà una altra tappa del suo cammino fatto di cibo e ospitalità. L’anniversario è importante due volte perché coincide con la storia della pizza a Bergamo.

Il segreto di tanta longevità sta in una formula che, nonostante sia passato quasi mezzo secolo, non è mai cambiata. Il sorriso che ti accoglie ogni volta che vai, l’accoglienza mai artefatta, il tono famigliare e la cucina semplice e essenziale che si fa valore.

A Bergamo “l’Arlecchino” lo conoscono tutti, ci sono passate generazioni di bergamaschi: ragazzi, famiglie, politici, sportivi, professionisti, attori.

La storia inizia il 12 giugno 1967 quando Franco Previtali, insieme all’amico e collega Orazio Lazzari aprono il loro ristorante. Franco ha 23 anni, è la prima pizzeria gestita da bergamaschi in città e ad aiutarli ci sono le mogli, Emilia e Lucia.

Originario di Bianzano, Franco, classe ’43, energia, simpatia e piglio deciso, ha una preparazione poliedrica: ha imparato il mestiere sul campo, al forno delle pizze, al bar, in cucina, in sala, in gelateria. Prima di aprire il ristorante lavora al Pianone, al Dell’Angelo in via Borgo Santa Caterina e alla Marianna, dove conosce il futuro socio. Sono anni d’oro, quelli, e giorno dopo giorno Franco intreccia la vita con la cucina senza mai perdere di vista l’unica cosa che per lui conta davvero: «far stare bene la gente».

Altri tempi, anche se l’idea di convivialità è rimasta la stessa. Franco Previtali è stato uno dei primi bergamaschi a credere nelle potenzialità della pizza. L’intuizione di far scoprire ai bergamaschi questo piatto e, anni dopo, la decisione di proporre tra i primi il piatto unico, segna la storia del locale trasformandolo in pochi anni in uno degli indirizzi più apprezzati da chi ama la buona pizza e la buona cucina.

Il sodalizio con Orazio Lazzari dura 29  anni. Dal ‘96, dopo la scomparsa del socio, Franco conduce il ristorante affiancato dalle figlie Enrica, Francesca e Patrizia e dal genero Gianfranco Rotini. Nel 2007, a suggellare l’impegno di 40 anni di attività, arriva il “Riconoscimento al lavoro per il progresso economico” da parte della Camera di Commercio.

Oggi come un tempo l’anima del locale rimane Franco e l’Arlecchino è uno dei punti fermi della ristorazione bergamasca. Un porto sicuro per chi vuole mangiare bene. La simpatia e la professionalità del patron e dei suoi collaboratori sono in parte il segreto del successo dell’Arlecchino. Molti dei dipendenti sono qui da oltre vent’anni, come lo chef Tiziano, il pizzaiolo Domenico detto Baffo e Rosario e Battista, impeccabili in sala.

Il resto lo fanno la semplicità, l’entusiasmo, la volontà oggi come ieri di accogliere al meglio i clienti e i piatti “storici”:  l’insalata esotica, le zuppe, la cassoeula, la ribollita, il fagotto, farcito di mozzarella, prosciutto crudo, pancetta e peperoncino rosso, e le pizze: Arlecchino con carciofi, bresaola, quartirolo, radicchio rosso e mozzarella e Lambada a base bianca con mozzarella, cipolle rosse, peperoncino e pancetta.


Kanton, a Capriate il cinese che non t’aspetti

Tra i tanti ristoranti orientali che ormai propongono una cucina standardizzata, iperscontata (con la formula dell’all you can eat) e con l’utilizzo di materie prime non sempre ineccepibili sotto il profilo qualitativo, capita anche di incontrare degli indirizzi che, invece, è bene segnare sul proprio taccuino. Ed è il caso del Kanton a Capriate San Gervasio (al civico 17 di via Gramsci), a due passi dalla provincia milanese e inaugurato un paio di anni fa sulle ceneri di una pizzeria che aveva lo stesso nome e che a sua volta aveva rimpiazzato un altro ristorante anche esso orientale e chiamato Il Giardino di Giada.

La proprietà, ai tempi, era della famiglia Zhu, originaria della Cina, e lo è ancora oggi, ma vede farsi avanti prepotentemente la nuova generazione di giovani ristoratori, con il trentenne Weikun e la moglie Meiling a gestire un team affabile e ben preparato, capace di dare una svolta definitiva sia all’ambiente che alla cucina. Il locale ha subito un restyling e il Kanton gode ora di una sala moderna e di un arredo che unisce intuizioni zen a un design contemporaneo, ma è soprattutto la proposta al tavolo ad aver spiccato il volo.

Scordatevi sushi e sashimi o piatti che ormai figurano in ogni rappresentazione gastronomica dell’Oriente (vedi gli onnipresenti involtini primavera), perché qui si entra a contatto con la cucina cinese più autentica, che pesca nella tradizione cantonese con qualche deriva nella regione del Sichuan (e le differenze non mancano, visto che nel Sichuan i sapori sono più decisi e speziati), ma sempre attualizzata e vicina allo stile e alle indicazioni della cucina contemporanea. Marinature, affumicature, preparazioni al vapore, l’utilizzo dell’aceto di riso, le acidità che si mescolano a dolcezze.

kanton - salaLa cucina del Kanton è una scoperta e una sfida del palato, perché presuppone un impegno da parte dell’ospite che vuole entrare in contatto con un mondo forse in buona parte ancora sconosciuto. Per fortuna ci pensa il titolare Weikun, che si divide tra sala e cucina (dove i cuochi arrivano tutti dalla Cina) e spiega con dovizia di particolari e in un italiano perfetto (lui è arrivato a Capriate quando aveva 14 anni e non si è più mosso) la filosofia di ogni piatto, i richiami alla tradizione, il giusto abbinamento con un tè o con un vino e indirizza verso i sapori che si stanno per sperimentare in bocca.

Kanton - Capriate San Gervasio - piatto«All’inizio non è stato semplice – dice Weikun – perché la clientela italiana non era abituata a spingersi verso nuove esplorazioni gustative, ma dopo poco tempo ha subito prevalso la curiosità, la voglia di conoscere meglio la millenaria tradizione della cucina cinese e così al Kanton si vedono soprattutto italiani, oltre a qualche orientale di passaggio che vuole sentirsi a casa».

Il menù prevede, tra gli altri, curiosità come la Medusa (proveniente dalla Malesia) con funghi Jinzen e salsa Saoxin, la Mazzancolla scottata e all’aroma fiorito (con una salsa di menta e pugne cinesi), i classici Dim Sum con la Polpetta in crosta di patate e funghi o i Cannelloni sbagliati (preparati con la sfoglia di riso), ma anche il Ramen in brodo di manzo, il Filetto di branzino affumicato, l’Ombrina (arriva dalla Cina, è essiccata e poi viene reidratata come per lo stoccafisso), l’Anatra laccata e il delizioso Pollo croccante con basilico d’Oriente, aceto di Xi-an e olio di sesamo.

Nel futuro, secondo i progetti a lunga scadenza di Weikun, c’è anche l’idea di aprire un secondo indirizzo sul capoluogo lombardo, ma prima ancora la volontà è quella di rendere il menù del ristorante a Capriate sempre più dinamico e vario.

Kanton - Capriate San Gervasio - lo staffKanton Chinese Restaurant

via Gramsci, 17
Capriate San Gervasio
tel. 02 90962671
chiuso il lunedì
www.kantonrestaurant.it


Domenica tornano i castelli aperti, i nostri consigli per una sosta golosa

È un’iniziativa di successo quella organizzata dallo Iat Bassa Bergamasca con l’aiuto delle Pro Loco. Una giornata al mese in cui ben otto castelli, palazzi e borghi – Brignano Gera d’Adda, Cologno al Serio, Malpaga, Martinengo, Pagazzano, Romano di Lombardia, Torre Pallavicina e Urgnano – aprono i battenti al pubblico, che si può facilmente immergere in epoche passate e apprezzare una programmazione ricca e variegata, con molti eventi collaterali. L’ultima data del calendario primaverile è fissata domenica 5 giugno, una bella occasione per passare una giornata diversa con gli amici o la famiglia, senza tralasciare il piacere di sedersi attorno a una buona tavola.

Si può partire con Malpaga, nel comune di Cavernago, facilmente raggiungibile da Bergamo. Un bellissimo borgo antico, un luogo bucolico immerso nelle fertili campagne, diversamente da molti altri castelli e fortezze, costruite sulla cima delle colline. La figura che ha reso grande la struttura è quella di Bartolomeo Colleoni, che il 29 aprile 1456 acquistò il castello ormai in stato di abbandono dal Comune di Bergamo. Il condottiero vi si stabilì con la moglie, ospitando personaggi di grande calibro e importanza. Ora è di proprietà della Malpaga spa e l’obbiettivo è quello del far rivivere il borgo medievale, con attività economiche artigianali. Ecco che nel luglio del 2013 apre la “Locanda dei Nobili Viaggiatori”, il nome subito celebra gli importanti ospiti che Bartolomeo Colleoni accolse al castello. «Il ristorante è stato ricavato in una struttura del 1400, nei locali adiacenti il castello – racconta Alice che, con il papà Bruno, gestisce il ristorante –. Lo stile è moderno, nordico, con la cucina a vista ed è proprio questo che crea un contrasto di gusto con la struttura antica, bello da vedere e da vivere». Alice lavora in sala e si occupa dell’accoglienza e dei servizi di banqueting, mentre Bruno è lo chef. «Tutte le nostre paste sono preparate in casa – continua Alice –, la nostra cucina è un mix tra la creatività di mio padre e la cucina tradizionale bergamasca. Mia nonna aveva un hotel a Castione della Presolana».

Malpaga locanda nobili viaggiatori - Filetto Garronese 180g con polenta di Malpaga e patate al rosmarinoIl consiglio è di assaggiare i piatti preparati a partire dalle materie prime locali: la polenta di Malpaga, preparata con la farina di mais prodotta dall’azienda agricola Malpaga, nei terreni del borgo, e i cappellacci dello chef ripieni di ricotta e Surfin dei Quattro Portoni con carciofi e ristretto di birra Orobia. I giorni di chiusura sono il lunedì e la domenica sera. Il ristorante è aperto in pausa pranzo. Il prezzo medio per una cena è va dai 30 ai 45 euro. La Locanda dispone anche di cinque stanze, chiamate con i nomi dei nobili e passati ospiti del castello.

Se ci si sposta verso sud, lungo il corso del fiume Serio, si arriva a Martinengo, altro comune con un borgo storico fortificato che è stato denominato “castello”. Anche in questo caso Bartolomeo Colleoni fu un personaggio importante, infatti è attribuita a lui la paternità della grande torre a pianta quadrata. L’interno della torre è praticamente vuoto, fatta eccezione della parte basale di forma ovoidale che ospitava una ghiacciaia.

La sosta golosa consigliata a Martinengo è al ristorante “Tre Lanterne”, nato nel 1962 da Vincenzo Nozza e Anita Vecchiarelli. «Poi nel 1974 – ricorda Gianpietro Nozza, nipote di Vincenzo e attuale gestore – continuarono lo zio Giuseppe e la zia Marisa, con mio padre Angelo e mia madre Rita e poi sono arrivato io: la terza generazione. Il fascino del mondo culinario mi ha spinto a continuare con passione e dedizione questo mestiere servendo nel mio ristorante una cucina mediterranea raffinata, con l’aggiunta di prodotti bergamaschi. Serviamo inoltre pizze rigorosamente schiacciate preparate a partire da lievito madre, con la possibilità di scegliere tra un impasto classico, kamut e di avena con germe di grano». Il ristorante possiede un grande spazio esterno.

«La portata per cui molti vengono nel nostro ristorante – svela Nozza – è il nostro piatto unico: gli spaghetti allo scoglio. Buoni e golosi!». La proposta è ben descritta nel vasto menù alla carta, in cui è possibile scegliere tra piatti ricercati a base di pesce oppure carne. Il prezzo medio, bevande escluse, si aggira attorno ai 35-40 euro.

Proseguendo lungo la sponda ovest del fiume, si incontra Romano di Lombardia, caratterizzata dalla rocca viscontea in centro al paese, composta da quattro torri e un cortile interno. Prima utilizzata solo come struttura di difesa, poi adibita a scopo abitativo, è molto suggestiva, soprattutto di sera, grazie all’illuminazione esterna. All’interno del cortile invece riemergono alcuni affreschi, mentre la torre di sud-est porta la testimonianza del passaggio del Colleoni, che vi fece aprire una loggetta che conserva delle decorazioni geometriche realizzate ad affresco.

ROMANO hotel mariet (1) Dopo la visita alla rocca, una tappa all’Hotel “Mariet” è d’obbligo. L’hotel e il ristorante si trovano nel centro storico di Romano di Lombardia. «L’insegna deriva dal soprannome di mia bisnonna, la signora Mariet – spiega Andrea Giassi, attuale gestore – perché aveva vissuto come emigrante in Francia. Io sono arrivato qui dopo aver studiato alla scuola alberghiera e dopo alcuni anni di esperienza in giro per il mondo, lavorando come barman, poi in sala e in cucina. Per questo motivo, conoscendo bene tutto ciò che ruota attorno alla realtà ristorativa, coordino il ristorante dalla cucina alla sala». Il menu è basato sulla stagionalità delle materie prime e sull’utilizzo di alcuni prodotti considerati “fusion” come il miso, le alghe kombu, il mirin o il sake, senza però stravolgere la grande tradizione culinaria Italiana. Molti i piatti in carta, tutti da assaggiare, ma il consiglio di Andrea è di non perdere la tartare di ricciola con avogado, cipolla rossa e pomodoro e, successivamente, l’insalata di astice al vapore e salsa citronette. È possibile farsi guidare dal menù degustazione di carne oppure pesce a 35 euro, compresi i vini in abbinamento. Mentre il prezzo medio di una cena alla carta è di 65-70 euro.

TORRE PALLAVICINA Trattoria dell'Angelo (3)Ora ci si sposta ai confini della provincia di Bergamo, per arrivare a Torre Pallavicina, una zona agricola limitrofa alla sponda est del fiume Oglio. Il paese possiede un piccolo gioiello architettonico: il Palazzo Barbò, tutt’ora di proprietà dei Conti Barbò, costruito in seguito alla Pace di Lodi del 1453 tra il Ducato di Milano e la Repubblica Veneta. Il Palazzo è inserito in un parco immenso costellato da alberi secolari, silenziosi testimoni della storia di questi posti. Visitando il palazzo è facile lasciarsi affascinare dai bellissimi soffitti a cassettoni, dai preziosi affreschi e dai camini in marmo sparsi nelle numerose stanze e nei saloni.

La storia e la tradizione di questa zona è facile percepirla anche alla “Trattoria dell’Angelo”, aperta da prima del 1865 e sempre gestita dalla famiglia di Simonetta Consolandi, che oggi porta avanti l’attività con l’aiuto del marito Andrea Bonetti e del figlio Claudio, entrambi al lavoro in cucina. «Qui cucinavano i piatti caserecci della tradizione rurale come i ravioli, preparati abitualmente a Ferragosto – afferma Simonetta – oppure il lesso o la gallina bollita. È possibile assaggiare dei salumi nostrani locali, prodotti e selezionati da noi, così come i formaggi». Un posto sincero, una vera trattoria, in cui ritrovare i sapori di casa, con i bolliti e gli stufati che, nel periodo estivo, lasciano il posto a piatti come le carni alla brace. Simona consiglia di non perdere i ravioli, preparati rigorosamente in casa con il ripieno di stufato. Nulla a che vedere con i classici casoncelli. È una ricetta tramandata di generazione in generazione, più simile al raviolo mantovano. Il prezzo medio per un pasto è va da 25 a 40 euro, in relazione alla scelta del vino.

Ritornando verso il fiume Serio, oltrepassandolo e risalendo verso la città, si raggiunge Cologno al Serio, con il suo borgo antico ricco di fascino. Stradine strette da percorrere a piedi, vicoli e scorci mozzafiato. La fortezza è stata ricostruita nel 1200 e attualmente è stata oggetto di un restauro conservativo. Il borgo antico è circondato dal fossato e dalle mura, dalle quattro torri e dalla rocca. Tutt’ora l’accesso è consentito attraverso i quattro portoni, non più muniti com’è ovvio che sia dal ponte levatoio. Internamente il castello ha perso le caratteristiche originarie, convertito attualmente in una struttura residenziale.

Cologno dista pochi chilometri di castelli di Brignano Gera d’Adda e di Pagazzano, anch’essi tappe del circuito delle “giornate aperte”. Dopo le visite a questi siti, una tappa consigliata è il “Convento dei Neveri” di Bariano, un’altra struttura storica che da poco più di sei anni è diventata un ristorante molto particolare. «I tavoli – chiarisce la signora Antonella, proprietaria e gestrice – sono disposti nelle vecchie cellette dei frati, abbiamo celle da 2 a 8 posti. Inoltre, c’è un soppalco e vi sono altre sale per l’accoglienza dei nostri ospiti». L’offerta del ristorante è di due tipologie: “Il Braciere”, in cui vengono servite principalmente carni alla brace, ma anche bruschette, taglieri e piatti della tradizione, preparati con cura e ricercatezza. «Nel convento – dice Antonella – diversi decenni fa c’era una signora che si chiamava Ninì che aveva una trattoria. Abbiamo voluto richiamare questa cosa, offrendo una cucina simile a quella delle vecchie osterie e trattorie». Il prezzo di un menù va da 30 a 50 euro.

“Il Ristorante” è caratterizzato invece da una cucina mediterranea che punta sulla stagionalità delle materie prime, sulle verdure fresche e su una proposta gastronomica orientata principalmente al pesce e ai prodotti ittici. Qui il prezzo è compreso tra 70 e 100 euro, con la possibilità di scegliere un menù degustazione da cinque portate a 60 euro e da sei portate a 75 euro.

Infine, risalendo ancora verso Bergamo, si incontra Urgnano che ospita il Castello Albani, nato strategicamente all’incontro di due importanti vie di comunicazione: la strada “Francesca”, proveniente da Milano verso Brescia, e la strada “Cremasca”, che unisce Bergamo e Crema. Un castello a pianta quadra e con le tipiche quattro torri, costruito interamente in cotto come vuole la tradizione viscontea. Al suo interno è possibile visitare il cortile e il giardino pensile, che contiene nove statue nane caricaturali, tipiche del grottesco del Settecento. Sono molti gli eventi organizzati nella rocca.

URGNANO Il frate (2)Per proseguire in bellezza, merita un pranzo o una cena al ristorante “Il Frate” di Urgnano: «È un ristorante storico ubicato nel centro del paese – esordisce Lorenza Sala – aperto dai miei genitori Elia e Mariuccia e io sto continuando questa attività. Mio padre faceva il fornaio, quindi ha iniziato con la pizzeria. All’epoca non ce n’erano molte, poi negli anni Ottanta abbiamo ristrutturato in modo importante il locale ed è diventato solo ristorante. Siamo conosciuti perché proponiamo una cucina tradizionale piacentina, viste le nostre origini». Pane e focacce sono fatte in casa, ma anche le paste fresche tipiche della tradizione emiliana. Dove mangiare dei buoni Pisarei e fasò? Questo è il posto giusto! Il prezzo per un pasto è di 35–50 euro.

Per le informazioni sui castelli e le iniziative www.bassabergamascaorientale.it


Ad Albino anche la pizza sposa il “chilometro zero”

«Volevamo unire le esperienze e costruirci un futuro». Così sintetizza la nascita della Nuova Brasserie, ad Albino, il maggiore dei tre fratelli, Matteo Gualdi, 28 anni, che con David, 26, e Monica, 24, nel 2014, partendo da Vertova, ha deciso di iniziare non un’avventura ma un’impegnativa esperienza imprenditoriale. Alle spalle, regista segreta ma non troppo, la mamma Cosetta, 52 anni, che proviene da una lunga dinastia di ristoratori e sovraintende alla cucina.

Per il nome del locale i titolari hanno ripreso quello del pub molto in voga una decina di anni or sono aggiungendo solo “Nuova”. Ma molte cose sono cambiate.

albino - la nuova brasserie - internoCon l’ingresso dei nuovi proprietari, il ristorante pizzeria è stato completamente ristrutturato nella parte edilizia e rinnovato nell’arredamento. Ora le due sale, una al piano terra l’altra al primo piano, si presentano curate ed essenziali con la capienza per un centinaio circa di coperti. Ed essere cambiata non è però solo la struttura. «Avevamo un nostro progetto quando siamo partiti – continua Matteo – e sotto un certo profilo possiamo anche definirlo un locale polivalente visto che periodicamente facciamo musica dal vivo, karaoke e ogni mese ospitiamo la mostra di un artista diverso, che si tratti di pittori, scultori o fotografi. Ma siamo un ristorante pizzeria, non ce lo dimentichiamo, e quindi queste sono comunque iniziative di contorno».

Per capire gli obiettivi forse è meglio rifarsi al passato dei nostri protagonisti. Matteo proviene da un altro settore mentre David e Monica hanno sempre lavorato nelle pizzerie d’asporto. «Ho iniziato come pony pizza – interviene David – e con gli anni sono arrivato sino al forno maturando una buona esperienza. Anche Monica ha una robusta esperienza alle spalle, è lei la nostra pizzaiola principale». Se ne deduce che il cavallo di battaglia della Nuova Brasserie è la pizza, ma c’è un denominatore comune che caratterizza il lavoro sia della cucina sia della pizzeria e cioè la valorizzazione dei prodotti locali.

La carta propone sette pizze a chilometro zero ma anche i taglieri di salumi e formaggi sono locali e l’impasto della pizza contiene anche mais Spinato di Gandino. La cucina si fa rispettare con una carta sobria che segue le linee fondamentali di una proposta classica molto curata. Ecco quindi che chi ama i prodotti di terra può confezionarsi un buon menù con un tagliere di salumi, gli immancabili casoncelli alla bergamasca e una tagliata, ad esempio. Si possono trovare anche una tagliata di pecora o degli gnocchetti speciali sempre con ingredienti locali.

albino - la nuova brasserie - piattoTra i piatti di pesce si possono scegliere un tris fumè di tonno, spada e salmone, gli spaghetti allo scoglio o ancora del pesce spada o la piovra tiepida. La maggior parte dei dessert è fatta in casa e la lista viene completata con prodotti artigianali di pasticceria e gelateria.

«Dal punto di vista delle materie prime – conclude Matteo – ci rivolgiamo maggiormente ad aziende piccole e locali cercando di far conoscere e diffondere i loro prodotti. Proponiamo anche delle serate a tema. Recentemente ne abbiamo realizzata una che abbiamo definito “Cinquanta sfumature di ovino” con la carne proveniente da un’azienda agricola di Clusone. Per quanto riguarda la clientela, visto il tipo di locale, abbiamo una frequentazione giovane ma ci rivolgiamo in particolare alle famiglie che possono trascorrere una serata in pizzeria diversa, per la qualità della pizza e l’ambiente raffinato e tranquillo».

Nuova Brasserie Pizzeria Ristorante

via Provinciale, 94
Albino
tel. 035 752923
chiuso il martedì


Fudbox, ecco il regno degli hamburger

Sono andati fino in America per apprendere i segreti dell’hamburger perfetto, ma poi sono tornati in patria per tradurre quella ricetta con le migliori materie prime della tradizione italiana: così è nato FudBox, fenomeno che sta prendendo piede tra i giovani e non solo, di Bergamo.

L’hamburgeria di piazzale Oberdan, intesa come chiosco da strada e non come locale (la filosofia è molto diversa) nasce nel 2014 come punto d’incontro di una coppia diversissima eppure affiatata: da un lato Andrea Cologni, diplomato geometra con la passionaccia per la cucina, ma soprattutto preciso e organizzato, e dall’altra Ylenia Agate, creativa e scompigliata food designer. Coppia nella vita e nel lavoro hanno saputo unire conoscenza, creatività e… “gavetta” prima di trasformare il sogno in realtà, con la trasferta a San Francisco che ha fruttato loro un bagaglio di esperienza inestimabile sul fronte food.

«Degli americani – spiega Andrea – c’è sicuramente da apprezzare la rapidità d’esecuzione e la grande organizzazione in cucina, oltre alla capacità di marketing anche su piccola scala: di questi aspetti abbiamo sicuramente fatto tesoro, anche se sul fronte delle materie prime le nostre restano decisamente superiori. Io ho lavorato nel quartiere finanziario di “Frisco” in una caffetteria italiana e devo dire che gli americani hanno un vero e proprio culto per i prodotti italiani. Per questo ci siamo resi conto di avere un grande potenziale che poi avremmo sfruttato, tornando in patria».

«A San Francisco – aggiunge Ylenia – ci ritroviamo a sfatare un mito: la scarsa qualità degli hamburger. Mangiamo spesso in piccoli localini dove ci vengono serviti hamburger qualitativamente superiori con ingredienti freschi, così decidiamo quale sarà la nostra strada: ricercare l’eccellenza nel burger. Torniamo in Italia con un’idea fissa: aprire un locale tutto nostro dove sperimentare e condividere. E così è stato».

Il posto giusto per realizzare il loro sogno? «Un caratteristico chiosco direttamente in strada – spiegano loro -, come in Europa, in pratica in braccio alla città. Lo trasformiamo completamente, lavoriamo con colori e grafiche tutto fatto da noi, in tre settimane un chiosco di kebab diventa Fudbox, la nostra magica scatola di cibo».

hamburger - fudboxSi comincia con uno stuolo di ragazzini che divorano cheeseburger (o cisburger come lo chiamano loro) semplici e doppi e hot dog, due classici dello street food che non mancano mai, per poi scoprire che, a distanza di settimane e poi di mesi, l’età media della clientela continua ad alzarsi: c’è il liceale, l’universitario, persino qualche professionista, fino al passo strategicamente decisivo: la conquista dell’intera famiglia. «Dopo qualche tempo dall’apertura sono cominciati ad arrivare interi nuclei familiari – ricorda la coppia -, significa che avevamo passato la prova qualità, che i genitori si fidavano di noi e addirittura mangiavano il cibo prediletto dai loro figli perché lo ritenevano anche qualitativamente appagante».

Da allora la premiata ditta Fudbox non si è più fermata: ha sfornato decine di burger creativi, alternando sempre materie prime d’eccezione. «Il nostro segreto? Facciamo la spesa per il locale, dove ci riforniamo anche per noi: abbiamo il macellaio di fiducia per la carne, verduriere doc e panettiere che ci fa il pane su misura di vari formati, perché anche il pane di qualità è una componente fondamentale nella nostra offerta».

Una delle provocazioni di Andrea è l’hamburger senza… carne. «Era da tempo che studiavamo un panino vegetariano – spiega Cologni –, dopo diversi tentativi alla fine è nato il “Vege Burgher”, con melanzane, Salva cremasco, pomodori confit e pesto di basilico e pomodoro. Non è il classico Veggie Burgher di soia o di ceci ma un impasto di melanzane cotte alla piastra. In città non si trova un hamburger vegetale artigianale, ma noi abbiamo accettato la sfida. Vista l’ottima accoglienza, per noi questa è la dimostrazione che la qualità vince, con la soddisfazione di esserci fatti nuovi clienti anche tra i vegetariani che di solito se ne stanno alla larga dalle hamburgerie».

Andrea e Ylenia si stanno strutturando anche per il servizio catering, ma accanto ai banchetti tradizionali, con eventi già realizzati per banche e società, hanno varato la formula “fudbox a casa tua”, per feste di compleanno dei ragazzi, seguendo la nuova scia molto gettonata degli chef che cucinano live nelle case private: «Anche in questo caso il lavoro non manca – dicono loro – anche perché ai ragazzi che sono piaciuti i nostri burger, basta un attimo, con sms e WhatsApp, a mettere in circolo un passaparola formidabile».