Se sussidio e lavoro non sono compatibili a cosa – e soprattutto a chi – serve il reddito di cittadinanza?

L’avrebbe capito anche mio nonno che sussidio e lavoro non sono compatibili. Questo è il reddito di cittadinanza.

Sempre mio nonno avrebbe detto: se mi dessero la paga per stare a casa, perché mi dovrei spaccare la schiena ed alzarmi al mattino? È proprio quello che sta avvenendo in Italia. Molti (per non dire la maggioranza) di coloro che prendono il reddito di cittadinanza se ne stanno approfittando…e non ci pensano proprio a cercare un posto di lavoro.

Le imprese hanno bisogno di lavoratori, persone volenterose e non geni. Ma non li trovano. La “manna” per qualcuno, e fatica doppia per gli altri.

Un ristoratore incazzato perché non trova il personale

 


Crisi di impresa, ci mancava il Covid a far slittare a fine 2023 una vera e propria presa in giro

Nella nuova legge sulla crisi di impresa di positivo c’è solo il rinvio a fine 2023. Il Covid, almeno per questo è servito a qualcosa.

Perché di pagare un secondo commercialista per dirmi che i miei conti non vanno bene e che rischio di chiudere è una bella presa in giro. Soprattutto perché lo Stato non mette a disposizione un aiuto concreto per sopravvivere a chi è in crisi.

Vogliamo sempre seguire l’Europa senza renderci conto che le imprese italiane sono diverse da quelle degli altri Paesi.

Ce ne renderemo conto quando non ci saranno più.

 

Dino l’acidino


Green pass, ecco servita un’altra corrida all’italiana

Ci risiamo. Come sempre in Italia la questione è prima di tutto politica e non di principio. Per sconfiggere la pandemia occorre vaccinare e quindi sull’obbligo di vaccino parte la “corrida” tra chi sostiene l’obbligo e chi no. Come se si morisse di vaccino e non di Covid.

L’intesa non c’è e allora si gira intorno all’ostacolo. Nessun obbligo di vaccino, ma se vuoi andare allo stadio, prendere l’aereo o mangiare al ristorante devi vaccinarti. “Mezzucci” anche un po’ puerili. Già che ci siamo potremmo mettere il divieto dell’ascensore o del WC. Se l’obiettivo è vaccinare coloro che hanno più di 60 anni non sarà senz’altro il divieto di entrare al ristorante o peggio ancora il divieto in discoteca le soluzioni. Chiesa e farmacia avrebbero più senso.

Senza dimenticare che l’obbligo del green pass al ristorante spaccherebbe le famiglie tra chi è vaccinato e può mangiare fuori e chi non lo è – i figli e non per colpa loro – e dovrà ricorrere all’asporto. In periodo di ferie con i turisti che sono tornati in Italia la potremmo definire una “genialata”. Per di più con l’ennesima discriminazione verso quei servizi che creano socialità e vengono considerati superflui e pericolosi per il contagio, mentre tutti gli altri luoghi frequentati da chicchessia sono indispensabili e sicuri.

Se non ce la facciamo proprio ad obbligare al vaccino usiamo almeno una modalità più efficace e non i palliativi. Lasciamo libere le persone di andare dove vogliono ma escludiamo dal sostegno del Servizio Sanitario Nazionale le spese di cure per Covid, mettendole a carico del diretto interessato che non vuole vaccinarsi anziché degli altri contribuenti.

Qualcosa per me potrebbe succedere.

 

Dino l’acidino

 

 

 


Green Pass, sicuri che la privacy è l’unico problema?

Ma quale privacy? Il problema del “Green Pass” non sarà la gestione dei dati personali (salvo che, come sempre, in Italia non ci si voglia far male da soli). Abbiamo, a colpi di decreto, limitato – forse distrutto – la libertà delle persone e il diritto d’impresa e pensiamo ora di avere dei problemi a toglierci il “falso” problema della riservatezza. Con un decreto in più dei duecento emanati finora. Di quale tutela di riservatezza avremmo necessità? Di far sapere di essere vaccinati, come lo sarà il 95% delle persone, di essere guariti dal Covid come milioni di italiani o di avere fatto un tampone dall’esito negativo? Insomma di far conoscere agli altri che non si è malati di Covid? Che peraltro in periodo di pandemia è un dovere civico, prima ancora che legislativo.

Diciamocelo. Il problema non è la privacy ma è sempre lo stesso in Italia, chiunque governi. Annunciamo la novità e la castriamo subito dopo. Complichiamo le cose semplici con la burocrazia e alla fine cadiamo sempre sulle stesse cose, indipendentemente dal colore politico. Giusto per essere bipartizan: penso all’appalto del sistema informatico, come la piattaforma cashback nazionale o la piattaforma regionale per la prenotazione dei vaccini, e sulla incapacità di muovere la macchina pubblica per un pezzo in più di lavoro.

Partendo da queste ipotesi, forse dovremmo essere più semplici e attendere il pass europeo senza complicazioni. Per richiamare il turismo straniero sarebbe forse sufficiente togliere questi benedetti colori alle regioni che frenano gli stranieri che nemmeno li capiscono, oltre ad eliminare il coprifuoco, che è l’aberrazione del contrasto alla pandemia, salvo che qualcuno ci spieghi perché a mezzanotte il virus si propaga più che a mezzogiorno. Questo sì che sarebbe il miglior passepartout per aprire i ristoranti definitivamente.

Concludendo, quello che serve e che hanno capito tutti è il sacrosanto controllo del rispetto delle regole, sistemi informativi e “olio di gomito”….guarda caso l’atavico e citato problema italiano.

 

Dino l’acidino


Zona gialla, c’è chi si prende il merito (per cosa poi?) E chi come noi esercenti è alla canna del gas

Torniamo in zona gialla e ripartiamo. A leggere il giornale il merito è del sindaco Gori, maestro della comunicazione che cavalca da tempo l’informazione nelle diverse fasi della pandemia, sia pur con qualche sbavatura iniziale.

Quando si va in zona gialla, si prende la scena (e quindi i meriti) e si predica prudenza, giusto. Ne va della salute pubblica. Quando, invece, si arretra in zona arancione o rossa si lascia spazio a chi si lamenta, attribuendo le colpe ai comportamenti scorretti dei cittadini (persone disattente o menefreghiste che attentano alla salute loro e dei loro familiari, pochi imbecilli che rischiano sanzioni pesanti) ma non certo agli studenti in classe insieme, stipati sui mezzi di trasporto, o ai pensionati assembrati a fare la spesa. No, non sono loro i colpevoli della diffusione del virus (anche perché forse non ne avrebbero tutte le colpe…).
Peraltro, tutto questo succede in un Paese nel quale il piano pandemico non era aggiornato da anni, l’approvvigionamento di vaccini ha perso mesi e in cui la macchina organizzativa sanitaria, anche regionale, fa ancora acqua da tutte le parti. Giusto per evidenziare di chi sono le colpe, altro che dei quattro imbecilli.

Ma questa è un’altra fase che speriamo non torni più. Da domani siamo in zona gialla. È il momento dei paladini e dei sacrifici di tutti. Tutti chi? Di chi rinuncia al calcetto e alla palestra o di chi deve limitare i suoi spostamenti? O di chi è in smart working? Non sono questi coloro che sostengono i veri sacrifici della pandemia. Sono quelli che per il Covid da oltre un anno stanno rinunciando al loro lavoro e ai loro guadagni, e che ora sono alla canna del gas: commercianti, baristi, ristoratori, gestori di impianti sportivi, palestre, piscine. Imprenditori che stanno fallendo e lavoratori che “campano”, quando la prendono, di cassa integrazione.

Di qualcuno di questi, dal sindaco Gori o dall’assessore al Commercio del Comune di Bergamo, ci si aspettava almeno una menzione.

 

Dino l’acidino


Aprire. Ma quando? E come? Siamo stufi dell’approccio superficiale di chi non sa cosa vuol dire avere un locale

Aprire. Da quando? Come? Nel leggere giornali e social non si capisce quando i bar e ristoranti potranno riaprire. E nemmeno come lo potranno fare. C’è chi sostiene che l’orario massimo sarà quello delle delle 15, solo se seduti, solo se in tavoli all’aperto. Fossimo a primavera di un anno fa, forse, potremmo capirlo, ma oggi non è assolutamente giustificabile. Politici e membri del CTS che rilasciano queste dichiarazioni dovrebbero vergognarsi, quanto meno perché non è pensabile governare o imporre restrizioni senza conoscere i punti di sostenibilità del lavoro.

Ma come si può pensare di far partire solo chi ha tavoli all’aperto lasciando morire di fame gli altri, senza pensare che la rabbia sociale sarebbe incontrollabili? Oppure che non è lo Spritz che trasmette il contagio e nemmeno l’ora del consumo? È ora di far ripartire questo Paese. Non sopportiamo più chi rilascia queste dichiarazioni perché anziché cercare di individuare, per rimuoverle, le cause dei ritardi nelle campagne vaccinali – che dovrebbe essere il loro lavoro – pensano che sia possibile giustificare i ritardi nell’imporre sacrifici sempre agli stessi.

Con l’approccio superficiale che meno si apre e comunque meglio è. Meglio per chi? Forse per loro. Non certo per chi deve riprendere a lavorare per pagare i debiti, che è quella parte dell’Italia che paga il loro lauto stipendio a scarico delle responsabilità.

Un barista incazzato

 


Sai cosa faccio a Pasqua? Vado alle Canarie

Sai cosa faccio a Pasqua? Vado alle Canarie. All’estero. Non vedo l’ora. Mi hanno sempre detto che a Pasqua puoi stare con chi vuoi mentre ora mi vietano di stare dove vuoi. E allora starò con milioni di italiani che sceglieranno come me.
In Italia non mi lasciano andare a mangiare al ristorante (solo asporto), a fare la gita fuori porta (solo motoria), perché da casa non si esce, mentre con la famiglia, essendo in quattro, non potremo nemmeno andare dai nonni che abitano a 200 metri da casa.

Che Paese strano. Alle Canarie invece troverò il clima buono, la sera potremo uscire e vuoi mettere l’aperitivo e cena in spiaggia. Anche la gente sarà contenta di vedermi. Ringrazio Draghi che ci consente questa possibilità. Con due semplici tamponi. L’anno scorso Conte lo vietò. Si vede che c’è stato un cambio di passo.

Sai cosa faccio? Sto già prenotando anche per l’estate. Andrò in Grecia. Perché leggo sui social che le isole saranno “covid free” mentre l’Italia, come dice Speranza al mondo, è piena di Covid.

 

Manega de barlafus

 


Stezzano, il paese dei record. Ma in negativo

Alla fine il Comune di Stezzano ce l’ha fatta. Mancava solo l’aumento delI’Imu per vincere il premio del paese bergamasco più esoso.

Con l’ultima manovra sull’imposta sugli immobili, del resto, Stezzano non primeggia solo in Bergamasca ma si sta giocando la leadership anche a livello nazionale. Competere con molti paesi del Sud Italia dove le tasse sono fissate ad aliquota massima perché le pagano solo i non residenti non sarà facile. Stezzano sbaraglierà tutti perché è nella provincia di Bergamo (terra efficiente per antonomasia) e perché il nuovo salasso lo sosterranno i suoi cittadini residenti (e i loro malaugurati inquilini a divenire con l’aumento dei canoni d’affitto).

Dopo la “brillante” amministrazione targata Poma, tra i primi sindaci italiani ad introdurre la tassa di soggiorno giustificando che Stezzano era attrattiva quanto Venezia e Roma capitale (pur senza i marciapiedi per i turisti vedi hotel Mercure di Stezzano), pensavamo di migliorare. La Poma giustificò la tassa di soggiorno come l’alternativa all’aumento dell’Imu e questo la rese meno antipatica agli occhi dei cittadini che morivano dalla voglia di veder pagare da turisti e operatori delle imprese (che lasciano risorse al territorio e creano posti di lavori) l’ennesimo rifacimento di piazza Libertà.

Ora è arrivata la nuova Giunta comunale presieduta dal sindaco Tangorra. Di marciapiedi per i turisti, oppure di navette da e per l’aeroporto che aiuterebbero (e aumenterebbero) i turisti (e la tassa di soggiorno) non se ne parla proprio. Iin compenso si aumenta l’Imu, portandola a livelli record raschiando l’ultimo fondo del barile del ventaglio erariale. L’aumento è al 10 per mille contro il 10,60 per mille di aliquota massima ma, visto l’andazzo, il tempo per sbaragliare anche questo record non mancherà.

Giustificazioni addotte? Il buco di bilancio della precedente amministrazione e l’aliquota allineata a molti altri Comuni. Geniali, perché originali. Secondo il Sindaco la scelta è dolorosa in tempi di pandemia. Eccome, ma sembrano le classiche lacrime di coccodrillo.

Forse bisognerebbe fare una seria analisi dell’efficienza dei servizi, per ridurne i costi e verificare la qualità per migliorarla, giustificando questi pesanti aumenti. Guardando i Comuni che hanno aliquote più basse e non quei pochi (e peggiori) che hanno aliquote più alte. Chiedere, a riprova, a cittadini e imprenditori che queste imposte le dovranno pagare.

Einstein

 


La paura per il vaccino AstraZeneca è l’alibi perfetto per la politica. Sarebbe meglio parlare meno e agire di più

Mentre si discute se il siero sia sicuro la campagna vaccinale prosegue a singhiozzo e in ritardo rispetto ai proclami trionfalistici di Regione Lombardia e Ministero della Salute.

La paura per il vaccino AstraZeneca è l’alibi perfetto per la politica italiana. Mentre si discute se il siero sia sicuro, alcune cose ci balzano all’occhio. La prima è che la campagna vaccinale prosegue a singhiozzo e in ritardo rispetto ai proclami trionfalistici di Regione Lombardia e Ministero della Salute.

Tutti vaccinati entro giugno, no entro luglio. Ci accontenteremmo di molto meno ma con più certezza. Gli inconvenienti possono succedere, come il fermo di AstraZeneca, perché con la salute non si scherza. Gli errori, molti, commessi invece dalla macchina organizzativa andrebbero limitati. Forse sarebbe meglio parlare meno e agire molto di più.

L’altro aspetto su cui riflettere è che anche nella campagna vaccinale l’ideologia la fa da padrona. Dietro l’alibi di non togliere il vaccino “ai fragili” per riservarli ai “ricchi”, che poi dopo questa pandemia tanto ricchi non sono, si nascondono pregiudizi e culture ottocentesche.

Si vaccina prima il personale delle scuole perché la scuola è un’istituzione ed è importante che riprenda il prima possibile. Peccato che gli studenti siano a casa da qualche settimana e forse che non torneranno nemmeno più a scuola quest’anno. I professori, senza studenti, possono lavorare a un chilometro di distanza l’uno dall’altro. La cosa più imbarazzante è che della scuola si vaccinano tutti, proprio tutti, anche il personale amministrativo e non docente, alcuni a casa in smart working da mesi.

In piena terza ondata non sarebbe meglio vaccinare il personale dei negozi che giornalmente affrontano la pandemia in prima linea? Commesse, cassiere, banconieri, magazzinieri, gente umile, né ricchi né “padroni”. Persone che lavorano tutto il giorno a contatto con il pubblico e che la sera tornano a casa dai propri familiari.

Forse li si ritiene non fragili perché per malattia si assentano di rado.

 

Dino l’acidino


9 marzo, un anno dopo. Siamo tornati al punto di partenza o vediamo la luce?

È passato un anno dal lockdown del 9 marzo 2020. Sembra ieri, eppure è trascorso tanto tempo e siamo ancora qui. Abbiamo sofferto molto e questo non è bastato perché ci sentiamo nella stessa situazione di dodici mesi fa.

La paura della malattia resta forte, come l’incertezza di quello che sarà del futuro della nostra società. Cosa sarà del nostro lavoro, della nostra impresa e dei nostri figli? Domande forti e ingombranti, che ci accompagnano da un anno a questa parte. Ciò nonostante, i sentimenti sono distinti. Un anno fa non sapevamo cosa avremmo affrontato, ma pensavamo che si sarebbe risolto in fretta. Ora, invece, siamo consapevoli di quanto è lungo e pesante questo percorso. Ma vediamo la fine.

Non so cosa sia peggio: essere forte all’inizio di un tunnel senza vederne la fine oppure sentirsi stremato, forse in fondo, e vederne la luce? Speriamo sia l’ultimo miglio e quindi realmente l’uscita, perché oltre non riusciremo a procedere.

Un commerciante come tanti altri