Aimo a Bergamo, in cucina all’Accademia del Gusto

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Aimo Moroni e la moglie Nadia (foto Brambilla e Serrani)

Talmente noto che basta il nome. Aimo (Moroni), insieme alla moglie Nadia, è uno dei miti della cucina italiana, quella che parte dai migliori prodotti della terra. Toscano di origine, a Milano da settant’anni, due stelle Michelin, dal 2012 ha passato il testimone ai fornelli de Il Luogo di Aimo e Nadia (altro nome “in purezza”, per quella trattoria diventata felice punto di incontro tra creatività e arte, memoria gustativa italiana e gesto contemporaneo, oggi guidata dalla figlia Stefania) agli chef Alessandro Negrini e Fabio Pisani, in forza al progetto dal 2005.

Non ha però smesso di trasmettere cultura gastronomica e mercoledì 10 maggio ha condiviso la propria esperienza e visione all’Accademia del Gusto di Osio Sotto, in un pomeriggio dedicato ai professionisti, insieme a Fabio Pisani. Per chi vuole un assaggio del pensiero dello chef, ecco la nostra intervista

Settant’anni di presenza a Milano, una lista di riconoscimenti che continua ad allungarsi: si sente un maestro?

«Io sono un cuoco. Ho dato la vita per la mia idea di ristorazione, di una cucina che fosse esattamente come io la sentivo. Una cucina fatta di passione e amore, in cui la qualità della materia prima riveste un ruolo fondamentale. Non ho mai pensato che il mio lavoro dovesse riempire il cassetto e raggiungere riconoscimenti e stelle. Poi sono arrivati… La prima stella nel 1980, la seconda dieci anni dopo. Non me le aspettavo proprio. Quando arrivò la seconda, quasi svenni. Ma i più grandi riconoscimenti arrivano dall’apprezzamento dei tuoi clienti, quando alla fine della serata vengono in cucina per ringraziarti e dirti che è stata un’ottima cena. Questo è ciò che ti rimane davvero dentro al cuore».

Che cos’è cambiato di più nel mondo del cibo?

«Sicuramente negli ultimi anni si è affermata sempre più la “moda” di cucine etniche. Ben venga la grande cucina di altri Paesi (la grande cucina, però!), ben venga lo street food, ma non dobbiamo dimenticare la nostra cultura gastronomica. Oggi a Milano è più facile trovare un ristorante che prepara sushi piuttosto che uno che cucini un buon risotto alla milanese. Ed è un vero peccato perdere le nostre radici. Perché la cucina è cultura, storia e civiltà».

I suoi piatti hanno attraversato i decenni, qual è il segreto?

«Credo che sia essere sempre stato coerente con una mia idea di cucina e di cucina italiana. Nell’aver creato piatti che nascevano dall’amore e dalla conoscenza del prodotto, interpretati con fantasia e creatività, ma sempre fedeli a sé stessi. Perché, come amo ripetere, la cucina non è ricca o povera, è buona. Quando mi si chiedeva perché non avevo in carta caviale e ostriche ho sempre risposto che il mio caviale era il pane e pomodoro e le ostriche il mio paté».

Ci racconta come è nato un suo piatto famoso?

«Gli spaghetti al cipollotto, nati nel 1965 e ancora oggi uno dei piatti simbolo del ristorante. Volevo fare una variante degli spaghetti aglio e olio, buonissimi, ma l’aglio di questa ricetta inibiva il palato e diventava quindi difficile apprezzare i piatti successivi. Così cominciai a lavorare sul cipollotto. Ci impiegai una settimana, chiuso in cucina, a fare le prove. Quando finalmente sentii il gusto che avevo in mente, mi commossi. Ecco come sono nati gli Spaghetti con il cipollotto fresco di Tropea, peperoncino di Diamante, basilico ligure e un filo di olio crudo della mia terra. Un giornalista scrisse che questo piatto è come la Settimana Enigmistica, vanta più di settanta imitazioni!»

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La squadra de Il Luogo di Aimo e Nadia. Da sinistra, Alessandro Negrini, Fabio Pisani, Nicola Dell’Agnolo, Stefania Moroni e Alberto Piras (foto Sara Magni)

Il suo nome è legato indissolubilmente a quello di sua moglie Nadia. Oggi è vostra figlia Stefania a dirigere Il Luogo. Quanto conta la famiglia in un’attività di ristorazione?

«Nadia ed io abbiamo iniziato a lavorare insieme da ragazzini e siamo stati insieme 24 ore al giorno per tutta la vita. E ha funzionato, ha funzionato benissimo! Alla fine degli Anni 80 nostra figlia Stefania incomincia a lavorare con noi, con iniziative che consentono di diffondere la conoscenza della nostra cucina in Italia e all’estero e avvia la collaborazione con l’artista e scienziato Paolo Ferrari da cui nasce il progetto del Luogo tuttora in progress. Nel 2005 arrivano in cucina Alessandro Negrini e Fabio Pisani, che apprendono e proseguono il nostro lavoro e lo fanno con un nuovo spirito, con una nuova consapevolezza, nuove conoscenze anche tecniche. Oggi la cosa che ci rende più orgogliosi è sapere che tutto il nostro lavoro non è andato perso, ma va avanti con nostra figlia Stefania e Alessandro e Fabio, una vivace famiglia allargata».

Per la sua cucina ha scelto non uno ma due eredi. Ai fornelli la coppia funziona meglio?

«Con noi ha funzionato e sta funzionando benissimo con Alessandro e Fabio. Il dialogo e il confronto arricchiscono. Ognuno di loro ha la propria esperienza, la propria storia e il proprio modo di essere, ma viaggiano entrambi sullo stesso binario, con un’unica visione».

Lei è anche stato consigliere dell’Epam, il sindacato milanese dei pubblici esercizi. Qual è il valore dell’associazionismo?

«L’associazionismo è importante quando diventa non solo un momento di scambio di idee e di confronto su problemi che riguardano la categoria, ma ha anche la capacità di creare un fronte unico su determinate questioni e problematiche comuni».

Oggi che si definisce “felicemente pensionato” cucina ancora?

«Oggi cucino per i nipoti e gli amici. Dopo aver trascorso una vita intera con pentole e fornelli, non posso più farne a meno, la cucina è nel mio Dna e a casa continuo a sperimentare, per passione. Non so usare il tablet, ma con una padella in mano riesco ancora ad emozionare gli amici!»

A proposito di clienti, qual è l’episodio che ricorda con più piacere?

«Diversi anni fa, quando eravamo ancora una trattoria e qui intorno a noi era solo campagna, capitarono dai noi un signore ed una signora con autista che si erano persi in una notte di forte nebbia. Suonarono il campanello e ci chiesero aiuto. Avevano fame, preparai loro gli spaghetti al cipollotto. Mi chiesero un doppio bis. Dopo due settimane arrivò da Vienna una bellissima lettera in carta pergamenata che ringraziava e diceva: Carissimi Aimo e Nadia gli spaghetti al cipollotto erano come la nona sintonia di Beethoven. Firmato Rita e Leonard Bernstein, uno dei più famosi compositori del Novecento».

Guide e Tripadvisor, cosa ne pensa? E dei blogger?

«Ho sempre cucinato per il piacere di cucinare e per il cliente. Le Guide sono utili, ma non possono essere il fine. I blogger? Ho un’altra età…».

Guarda i programmi di cucina in tv?

«La cucina mi piace farla, più che guardarla».

La sua è una cucina di prodotto. Dalla terra bergamasca ne ha attinto qualcuno?

«Dai migliori produttori in terra Bergamasca attingo soprattutto i formaggi, lo stracchino, il taleggio, lo strachitunt e il quartirolo della Presolana. Ma anche salami e vini. È una terra le cui eccellenze dovrebbero essere valorizzate di più».


Sul lago Garda è l’ora di Fish & Chef: sei cene d’autore con i prodotti del territorio

fish & chef

I grandi prodotti del Lago di Garda incontrano celebri nomi della cucina italiana contemporanea. Dal pesce d’acqua dolce alla garronese veneta, dai vini delle denominazioni del Custoza e della Valtènesi all’olio extravergine d’oliva Dop del Garda: dal 23 al 28 aprile le eccellenze del Lago torneranno ad essere le protagoniste di Fish&Chef, la rassegna ideata Leandro Luppi ed Elvira Trimeloni, che nel 2017 ha raggiunto l’ottava edizione.

Cinque gli chef cui quest’anno è stata lanciata la sfida di raccontare e valorizzare i prodotti enogastronomici del Lago attraverso un menù degustazione servito in altrettante cene in alcuni dei più esclusivi hotel sulle tre sponde del Garda.

Si comincia domenica 23 aprile con Paolo Trippini del Ristorante Trippini, ospite dell’Hotel Bellevue San Lorenzo di Malcesine, per poi spostarsi sulla riva lombarda lunedì 24 aprile, dove al Grand Hotel Fasano di Gardone Riviera arriverà Silvio Battistoni del Ristorante Colonne. Martedì 25 aprile sarà la volta di Vinod Sookar di Al Fornello da Ricci, ospite dell’Aqualux Hotel spa e Suite di Bardolino, seguito da Andrea Tonola del Ristorante Lanterna Verde, che mercoledì 26 aprile animerà le cucine dell’Hotel Lido Palace di Riva del Garda e da Paolo Donei di Malga Panna, che giovedì 27 aprile si esibirà al Palazzo Arzaga di Calvagese della Riviera.

Il gran finale nella serata di venerdì 28 aprile, quando all’Hotel Regina Adelaide di Garda si terrà la cena realizzata a otto mani da quattro chef del Dream Team del Garda: Leandro Luppi del ristorante Vecchia Malcesine di Malcesine; Stefano Baiocco, chef del ristorante di Villa Feltrinelli di Gargnano; Andrea Costantini del Ristorante Regio Patio di Garda e Matteo Felter del Ristorante Fagiano di Gardone Riviera.

La particolarità dell’evento è anche nel servizio in sala. Per ogni serata uno chef del Dream Team del Garda girerà tra i tavoli raccontando ai convitati i piatti ed i vini scelti in abbinamento a ciascuna portata. La figura del maître di sala tornerà così in primo piano accanto a quella dello chef e, soprattutto, in questo modo verrà sancito il legame che unisce a doppio filo gli chef del Garda ai loro colleghi da tutta Italia. Se a questi ultimi spetterà il compito di interpretare e rileggere con una nuova chiave i prodotti tipici del territorio gardesano, ai primi verrà affidato il compito di raccontare al pubblico i menù proposti. Le novità presentate in anteprima durante le serate sono, infatti, piatti nati dalla commistione della materia prima locale con le diverse esperienze portate dai loro colleghi.

Il costo della cene è di 80 euro. Le prenotazioni per le cene e i pernottamenti devono essere effettuate direttamente negli alberghi.


“Ristoranti Regionali – Cucina DOC”, protagonista anche il Posta di Gromo

Al Best Western Hotel Terme Imperial di Montegrotto Terme, s’è tenuta, di recente, la prima assemblea annuale di “Ristoranti Regionali- Cucina DOC”, associazione no profit che sostiene la valenza culturale dell’enogastronomia regionale. All’insegna del “Piacere di mangiare all’italiana”, questo lo slogan dell’evento, ristoratori provenienti da sei regioni e affiliati al gruppo guidato da Marinella Argentieri, hanno proposto in amichevole confronto le loro specialità. Alcuni riproponendo fedelmente ricette della tradizione, altri creando nuove proposte per valorizzare le eccellenze agroalimentari dei lori territori. Il ricco buffet approntato dall’ hotel, innaffiato dal Bera Brut metodo classico Alta langa DOC, ha dato il via al convegno. La cantina piemontese ha presentato diverse etichette della sua produzione in abbinamento ai piatti proposti. In sequenza sono stati serviti: gli Involtini di bresaola con formaggio di malga di Valbrona, specialità del ristorante Villa Giulia di Lecco; l’Imbrecciata Eugubina, succulenta zuppa di legumi già nota in epoca romana preparata dalla Taverna del Lupo di Gubbio; le quaglie disossate alla veneta, cucinate dallo chef dell’Hotel Terme Imperial, Angelo Colucci; la Treccia Mochena, dolce tradizionale dei Mocheni minoranza linguistica trentina proposto dall’antica Trattoria Due Mori di Trento.

Le bollicine del Trento DOC Ferrari Maximum Brut hanno dato il via alla seconda serata di degustazioni, accompagnando la creazione di Giuseppe Prencipe, executive chef del ristorante Da Pino di San Michele all’Adige: il Turbante di salmerino gratinato con topinambur e salsa all’aglio dolce. Da Gradara, il ristorante “Al soldato di ventura” ha proposto i ravioli di ricotta e radicchio in sugo di sogliola accompagnati dal Rosè di Alghero DOC delle Tenute Sella & Mosca. Il piatto forte del menù è arrivato da Alghero, portando con sé i profumi del mediterraneo: un croccante porcetto al mirto con patate al rosmarino, presentato dal ristorante Da Bruno di Fertilia, e accompagnato dal Dimonios Cannonau di Sardegna DOC riserva di Sella & Mosca. Un delizioso semifreddo all’arancia, preparato dal ristorante Posta al Castello di Gromo, abbinato al Moscato d’Asti DOCG di Bera, ha concluso il convegno enogastronomico.

 


Ristoranti italiani all’estero, l’albinese Belotti tra i top Usa del Gambero Rosso

Michele Belotti copertina Gambero Rosso UsaGiusto il tempo di festeggiare il primo compleanno del suo locale, Belotti Ristorante e Bottega a Oakland, costa est della Baia di San Francisco, che il trentenne bergamasco (di Vall’Alta di Albino) Michele Belotti è stato riconosciuto dal Gambero Rosso tra i “Top Italian restaurants in the world 2017”, la guida ai ristoranti italiani nel mondo che segnala i locali che sanno diffondere la cultura gastronomica e i grandi prodotti made in Italy, finendo poi sulla copertina dell’edizione internazionale della rivista.

In California dal 2011, già apprezzato a San Francisco, aprendo il suo locale Belotti ha bruciato le tappe conquistando giorno dopo giorno i consensi della critica a stelle e strisce. Della sua proposta vengono esaltati la pasta (la migliore dell’East Bay), gli gnocchi, i piatti con il tartufo, i brasati, la polenta. I maestri ai quali riconosce la sua formazione sono gli stellati Paolo Frosio dell’omonimo ristorante di Almé e Ugo Alciati e Luca Zecchin del piemontese Da Guido Ristorante.

In una intervista ad Affari di Gola del dicembre 2015, poco prima di intraprendere la propria avventura imprenditoriale, aveva raccontato anche della speciale passione per i prodotti bergamaschi, dallo stracchino di Vedeseta ai taleggi alla farina di mais Spinato di Gandino. E nel menù, naturalmente, non mancano i casoncelli (secondo la ricetta di mamma) e i tortelli di polenta taragna.

Il premio del Gambero Rosso – Best Trattoria – non fa che legittimare la sua scelta di valorizzare gli autentici sapori della cucina italiana.

 

 


Torna “Caccia in cucina”, per un mese selvaggina in tavola in 22 ristoranti

caccia in cucina - logoTorna «Caccia in cucina», l’evento ormai collaudato che esalta la gastronomia tradizionale venatoria nei ristoranti di Bergamo e provincia. La 15esima edizione si terrà dal 20 febbraio al 20 marzo e anche questa volta vede in campo l’Ascom e l’Anuu Migratoristi. Per un mese, quindi, i 22 locali che aderiscono all’iniziativa integreranno la loro offerta quotidiana con almeno due pietanze a base di selvaggina sia a pranzo che a cena. L’obbietivo è quello di promuovere una tradizione culinaria particolarmente diffusa sul territorio. Rispetto al passato, anche quest’anno – come nella precedente edizione – ci sarà più tempo per gustare le diverse proposte: l’iniziativa dura infatti un mese, anziché una settimana.

I LOCALE ADERENTI

In città

Ristorante Il Circolino, Bergamo Alta (tel. 035218568); Ristorante Ol Giopì e la Margì, tel. 035242366 (chiuso domenica sera e lunedì); Taverna Valtellinese tel. 035243331 (chiuso il lunedì).

In provincia

Ristorante Isola Zio Bruno, Albino, tel. 035 751687 (chiuso il lunedì); Ristorante Locanda della Corte, Alzano Lombardo tel. 035513007 (prenotazione obbligatoria); La Trattoria del Brugo, Alzano Lombardo tel. 3271503032 (chiuso il lunedì, martedì, mercoledì); Ristorante Corona, Branzi tel. 034571042 (chiuso il martedì e mercoledì); Osteria Da Mualdo, Capriate San Gervasio (Crespi), tel. 02 90937077 (chiuso domenica sera e lunedì), Ristorante Pizzeria La Teglia, Castione della Presolana, tel. 034630467; Hotel Ristorante K2, Gaverina Terme tel. 035814262; Trattoria Bolognini, Mapello tel. 035908173 (chiuso il martedì); Ristorante Tandy, Ponteranica tel. 0355292072 (chiuso il mercoledì); Ristorante Bellavista, Riva di Solto tel. 035986034 (chiuso il martedì sera); Albergo Ristorante Poggio d’Oro, Riva di Solto tel. 035969015; Ristorante Albergo San Marco, Schilpario tel. 034655024 (chiuso il lunedì); Ristorante Da Pacio, Spinone al Lago tel. 035810037; Trattoria La Conca Verde, Trescore Balneario, tel. 035940290 (chiuso il lunedì sera e martedì sera); Albergo Ristorante Quadrifoglio, Urgnano (Basella) tel. 035894696; Ristorante Cadei, Villongo tel. 035927565 (chiuso il lunedì e il martedì sera); Albergo Ristorante Da Gianni, Zogno tel. 034591093.

 


Riva del Garda e Rimini, per i cuochi è tempo di concorsi

Closeup mid section of a chef garnishing food

Giusto il tempo per riprendersi dal superlavoro delle festività e per i cuochi – ma anche gli allievi – desiderosi di mettersi alla prova arrivano i concorsi nazionali promossi dalla Federazione italiana cuochi. Tre gli appuntamenti organizzati nell’ambito di Expo Riva Hotel, salone dell’ospitalità e della ristorazione professionale in programma a Riva del Garda dal 5 all’8 febbraio per la 41esima edizione. 

Jam Cup 2107 è una gara per allievi a tema latte e derivati, organizzata dal compartimento Giovani Fic. È rivolta a tutti i giovani tra i 16 e i 25 anni iscritti alla Federazione nell’anno 2016 e mette in palio il titolo “The Best Jam 2017”, dove Jam sta per Junior Assistant Master. Premierà il miglior piatto realizzato con l’utilizzo come ingrediente principale di latte vaccino o altri tipi di latte di origine animale e/o formaggi e latticini (Il regolamento).

A squadre è invece il concorso dedicato allo streetfood, durante il quale team formati da tre componenti (un caposquadra e due aiuti, tutti tesserati almeno nell’anno 2016) dovranno preparare in loco minimo 150 porzioni di cibi da strada, ovvero facili da consumare in piedi, fatti con ingredienti tipici, in maniera artigianale con un occhio al rapporto qualità/prezzo e all’apporto calorico (Il regolamento).

Riso in Rosa, infine, è il concorso organizzato dal compartimento Lady Chef della Federazione, dedicato alle donne chef, chiamate a cimentarsi sulle innumerevoli possibilità offerte dal riso. La gara prevede 10 concorrenti al giorno per quattro giorni (Il regolamento).

A Rimini dal 18 al 21 febbraio toccherà invece ai Campionati della Cucina italiana, con ben nove categorie, tra concorsi individuali e a squadre, dalla cucina calda e fredda alla pasticceria alle realizzazioni artistiche.

 


Zuppe, due classici per le Feste

Le Feste sono qui ma c’è ancora chi non ha deciso cosa cucinare. Gli impegni sono tanti e trovare una ricetta che accontenti tutti è un’impresa quasi impossibile. Un piatto che può salvare è la zuppa. Sfiziosa, gustosa, facile da preparare, da qualche tempo è ritornata sulla tavola dei grandi chef come pietanza raffinata ed è di grande tendenza.

Le ricette sono infinite, da quelle classiche con le verdure, i legumi e i cereali come l’orzo e il farro, fino a quelle di pesce e carne o di tradizione orientale.

Per il menù di Natale o di capodanno noi vi proponiamo la zuppa di lenticchie e quella di pesce, perché sono buonissime e piacciono a (quasi) tutti. In pochi passaggi vi spieghiamo come realizzarle in modo impeccabile.

La Zuppa di lenticchie

zuppa-lenticchieLe lenticchie, simbolo di denaro e prosperità per l’anno in arrivo, sono un must nel menù delle Feste. La zuppa può essere proposta come primo piatto oppure come aperitivo: basta fare delle mini porzioni al bicchiere e il buffet sarà perfetto.

Si può scegliere tra le lenticchie grandi e quelle piccolissime, rosse, nere, verdi, ce n’è per tutti i gusti. Vista l’occasione importante, evitate le scorciatoie – pur utilissime – offerte dalle lenticchie già lessate e confezionate in barattoli che si trovano nei supermercati e dedicate al piatto un po’ di tempo e cura in più. Noi vi consigliamo le lenticchie di Castelluccio ma anche quelle di Altamaura e del Fucino sono buonissime.

Quale che sia la vostra scelta, ecco i procedimenti giusti per cucinarla.

L’ammollo

Le lenticchie hanno una buccia dura. Per ammorbidirle, il consiglio è di lasciarle in ammollo nell’acqua una notte intera. Questa operazione permetterà anche di eliminare le lenticchie non buone (le riconoscerete perché verranno a galla) ed eventuali impurità. Quando si mettono in ammollo aggiungere all’acqua un pezzetto di alga kombu, le lenticchie saranno più digeribili. Usata anche in cottura renderà la zuppa più saporita.

La cottura

Il giorno dopo, le lenticchie vanno lavate sotto acqua corrente e scolate molto bene. In una pentola di terracotta si fa un soffritto con un filo di olio, aglio, alloro e sedano e si aggiungono le lenticchie. Dopo pochi minuti si procede a bagnare con il brodo caldo facendo cuocere a fuoco basso per un’ora circa o comunque fino a che la cottura è perfetta e dalla zuppa emana un profumo intenso: alla vista la zuppa non deve apparire cremosa e le lenticchie devono essere integre. Quando è cotta va lasciata riposare per 10 minuti lontana dal fornello.

Attenzione a non salare subito l’acqua, perché il sale rende le lenticchie più dure. Il sale si aggiunge a pochi minuti dalla fine della cottura.

La presentazione

La zuppa si serve in ciotole di terracotta con extravergine d’oliva e delle fette di pane tostato. Attenzione: l’olio va aggiunto sempre a cottura ultimata e fornello spento. Se si è preparata la zuppa di lenticchie in anticipo, conviene prima riscaldarla, aggiungendo un mestolino di acqua, e condire solo dopo con sale ed olio.

L’abbinamento

Ideale un buon Frascati o il Malbec oppure una birra Ale.

La zuppa di pesce

zuppa-di-pesce-2Pur nella sua semplicità, la zuppa di pesce è uno dei piatti italiani più apprezzati nel mondo. Le ricette sono tantissime: c’è la versione toscana (cacciucco), quella adriatica (brodetto), quella delle regioni meridionali, quella ligure (buridda). Variano i nomi e le specie ittiche impiegate, ma il procedimento è più o meno lo stesso. Un mix di pesci di mare serviti su una fetta di pane imbevuta con salsa di pomodoro leggermente piccante e agliata. Per un’ottima zuppa di pesce occorrono aromi (aglio e peperoncino, anche in quantità moderata, sono assolutamente necessari), pomodoro e tante varietà di pesce: scorfano, gallinella, rana pescatrice, triglie, moscardini, seppie, gamberi, vongole e scampi. Il primo consiglio quando si è davanti al banco del pescivendolo è di non darsi alle spese pazze: il risultato della zuppa è eccellente anche con i cosiddetti pesci poveri.

La preparazione del pesce

Anche se il procedimento richiede più tempo, tutto il pesce va pulito, eviscerato e sfilettato. Se non si ha tempo o voglia, si può chiedere al pescivendolo di fare queste operazioni, ricordandosi però di farsi dare testa e lische. I molluschi vanno fatti aprire a parte, in una pentola senza condimenti. Poi si filtra l’acqua che rilasceranno e la si aggiunge al brodo, per arricchirne il sapore. Anche gli scarti scarti del pesce non vanno buttati ma utilizzati per preparare il brodo, che va passato e aggiunto poi al soffritto di cipolle, carote e sedano per far cuocere il pesce.

La cottura

La pentola perfetta per cucinare la zuppa di pesce è quella in coccio. Il pesce va cotto per pochi minuti e inserito nella zuppa in momenti diversi, mai insieme: prima quelli con carni più solide, poi quelli più teneri e delicati, per evitare che si sfaldino durante la cottura. Quindi, prima seppie e moscardini, dopo qualche minuto gallinella, scorfano e rana pescatrice. Poi triglie, molluschi e per ultimo crostacei. Basta avere pazienza e aggiungere il pesce in base ai tempi di cottura, per non ritrovarsi con un polpettone stracotto nel piatto (se siete al ristorante o ospiti da amici è il pesce è ridotto in poltiglia significa che la zuppa è stata riscaldata).
Lasciate cuocere il pesce nel suo vapore senza mai usare il mestolo. Fate attenzione a sfumare bene il vino, in modo che non resti un eccesso di acidità sul palato. Il soffritto si fa con aglio, carota, cipolla e sedano tritati con un filo d’olio extravergine.

La presentazione

Le zuppe si servono sempre calde con una spruzzata di prezzemolo fresco e del pane casereccio, anche raffermo. Per un sapore più deciso, dopo aver fatto scaldare il pane in forno lo si può sfregare con con dell’aglio. Per preparare i crostini si fa a pezzettini o listarelle il pane e si mette in forno per 10 minuti (si possono anche friggere ma la zuppa così diventa più calorica). Attenzione, il pane dev’essere abbrustolito molto bene per evitare che si spappoli subito a contatto con la parte liquida della zuppa. I crostini vanno posti sul fondo del piatto (come prevede la ricetta classica), in questo modo rendono la zuppa ancora più buona. Oppure serviti in una ciotola a parte.

L’abbinamento

Il vino ideale da abbinare alla zuppa di pesce è il Sauvignon. In alternativa una birra Porter o una Kolsch.

I segreti di una buona zuppa

Al di là delle singole ricette, ci sono consigli che valgono per tutte le zuppe. Perché – attenzione – la zuppa è un piatto semplice da cucinare, ma nasconde insidie ed è un attimo commettere errori che ne compromettono la bontà. Per realizzare una zuppa impeccabile basta seguire poche regole. Primo segreto il brodo, ma anche la selezione degli ingredienti è decisiva.

Fare il brodo in casa

Un brodo di buona qualità è il primo segreto e l’ingrediente indispensabile per fare una buona zuppa e senza dubbio quello fatto in casa è il migliore. A seconda degli ingredienti, si può preparare con la carne, con il pesce o con le verdure. In questo caso il consiglio è di arrostire prima per qualche minuto le verdure al forno, renderanno la zuppa più saporita.

Non introdurre tutti gli ingredienti nello stesso momento

Gli ingredienti di una zuppa richiedono diversi tempi di cottura. Le lenticchie, devono essere aggiunte all’inizio, mentre il pesce a seconda della varieta e consistenza.

Insaporire con le spezie

Utilizzando spezie, erbe aromatiche, concentrato di pomodoro si può ridurre la quantità di sale. Attenzione però a non esagerare con il piccante. Se avete messo troppe spezie, per attenuare l’eccesso di piccante, aggiungete una sostanza acida che ne annulli l’effetto come il limone, lo yogurt, l’ananas o l’aceto.

Non farla bollire

La zuppa non va fatta bollire, ma solo lentamente e cautamente sobbollire. Non è una pignoleria, solo con il controllo della temperatura si consente di rilasciare i sapori degli ingredienti, il che garantisce un ottimo risultato. Potete scegliere di lasciarla più liscia o renderla più corposa frullandone una parte a fine cottura.

Preparare brodo in abbondanza

Una zuppa troppo fitta è impresentabile. Cucinando una zuppa, gli ingredienti tenderanno ad assorbire il brodo, alcuni più di altri, quindi è consigliabile prepararne un po’ di più rispetto a quello preventivato.

zuppa-genericaSalare solo alla fine

Aspettate la fine della cottura, assaggiando prima e valutando il sapore. Se salate all’inizio della cottura, la zuppa risulterà troppo salata. Questo perché il brodo e gli altri ingredienti tendono a rilasciare i sali minerali e interpretano già il ruolo di “insaporitori”.

Attenzione alla temperatura dell’olio

Preparare gli ingredienti prima di aver messo l’olio in padella per evitare che l’olio si scaldi troppo. Se fuma significa che si è scaldato troppo con il risultato che avrà un sapore sgradevole e che può essere dannoso per la salute.

Il tocco finale

L’olio extravergine di oliva va sempre messo a freddo per completare il piatto.


Trippa in barattolo, il take away nostrano della trattoria Moro

Niente scatole di cartone, ma comodi vasetti di vetro da tenere in frigo. Sono gli originali contenitori scelti dalla trattoria Moro da Gigi di Albino per il proprio take away dal sapore nostrano.

Qui infatti piatti prelibati come gnocchi, sottaceti, casoncelli e biscotti non si gustano solo al tavolo ma si possono anche portare a casa. E da qualche tempo il titolare Gianluigi Moro ha pensato di travasare in barattolo persino la trippa per realizzarne una versione da asporto: «Da ottobre a maggio la trippa viene spesso inserita nel menù del giorno – spiega Moro –. La cottura e la preparazione sono lunghe e non sempre il piatto è di largo consumo. E così un paio di anni fa ho pensato di pastorizzarla e di travasarla in barattoli di vetro da portarsi a casa. Ogni vasetto contiene 7,5 etti di zuppa. Con soli 6 euro si ha una trippa in brodo per due persone. Tra gli ingredienti ci sono anche fagioli e carote che possono fermentare, quindi per conservare la trippa al meglio ho pensato di pastorizzarla. In questo modo può essere conservata in frigo per tre mesi. Tanti clienti la acquistano per avere la cena pronta, altri la regalano ai genitori anziani che magari non hanno occasione di venire al ristorante ma che hanno voglia di ritrovare i sapori antichi della loro giovinezza».

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Sulle tracce della trippa

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È una delle zuppe più tipiche e succulente della tradizione orobica. In brodo, in umido, con una spolverata di parmigiano o accompagnata da una fetta di polenta, la trippa è un gustoso misto di frattaglie, verdure e spezie che di recente sta tornando in voga sulle tavole di molti ristoranti. Piatto unico per eccellenza fin dai primi del Novecento, questa pietanza nel corso degli anni ha vissuto alterne fortune. Già, perché l’idea di mettere sotto i denti le viscere di un bovino di certo non piace a tutti. Se da un lato le vecchie generazioni non hanno mai smesso di apprezzarla, dall’altro c’è anche una folta schiera di giovani pronti a storcere il naso appena ne sentono pronunciare il nome.

Eppure, superato lo scetticismo iniziale, anche i più schizzinosi dopo il primo cucchiaio si convertono irreversibilmente al gusto tondo e confortante della trippa. Negli anni del boom economico questa minestra del quinto quarto è stata accantonata dai ristoratori orobici che la ritenevano troppo povera e di non facile preparazione nell’era frenetica del benessere. Da qualche tempo, però, la trippa è tornata timidamente a farsi viva, soprattutto in quei locali che hanno scelto di rispolverare le radici attraverso i piatti tipici della tradizione. Osterie valligiane, trattorie di città ma anche ristoranti stellati la propongono sempre più spesso, nel menù del giorno o da asporto, nei periodi più freddi dell’anno. Persino rinomati chef internazionali, come il britannico Gordon Ramsay e il suo omologo in “Cucine da incubo” Antonino Cannavacciuolo stanno cavalcando la crociata della trippa servita nelle sue molteplici varianti, da un ruspante panino fino a una più raffinata trippa di agnello con tempura di gamberi rossi. E così da piatto nazional-popolare di sagre e feste di paese, questa specialità d’altri tempi si è tramutata in un piatto intrigante, che mette d’accordo tutti, o quasi.

LA TRADIZIONE

trippa-la-ciotolaAll’inizio del Novecento erano soprattutto gli uomini che frequentavano le osterie di paese con cucina casalinga a richiedere la trippa. Nelle trattorie della Bergamasca erano ammessi solo clienti maschi e sposati che, dopo le nozze, erano soliti fare un salto al ristorante per ricevere una sorta di investitura assaggiando un cucchiaio di trippa. Le donne invece in osteria entravano soltanto per riempire la pentola e portare a casa il cibo.

Ancora oggi in tante case e ristoranti dell’alta Valle Brembana, la vigilia di Santa Lucia equivale al pentolone di trippa, la cosiddetta büsèca, che bolle sul fuoco dal primo pomeriggio. All’agriturismo Ferdy di Lenna, per esempio, questa specialità non manca mai in inverno. La preparano tagliata a pezzetti con piedino di vitello disossato, fagioli bianchi e pomodoro fresco. Può essere servita come minestra oppure come secondo piatto, accompagnata da un contorno di polenta bergamasca.

O SI AMA O SI ODIA

ol-giopi-e-la-margiLa trippa è una zuppa di verdure miste e frattaglie costituite dall’apparato digerente dei bovini, fra l’esofago e lo stomaco. Per questa ragione la sola descrizione la rende assai poco appetibile ed anche l’autorevolezza di molte buone forchette fatica a convincere ad un assaggio i più restii. Come spiega Alioscha Foglieni, co-titolare del ristorante Ol Giopì e la Margì di via Borgo Palazzo: «Noi serviamo la trippa da oltre vent’anni. Non la toglieremo mai dal menù perché amiamo valorizzare le tipicità bergamasche e la trippa fa parte dei sapori tradizionali della nostra cultura. La prepariamo con sedano, carote, cipolla, pomodoro, patate e fagioli. Per farla conoscere anche ai più scettici abbiamo pensato di proporla come antipasto all’interno di una selezione di cinque assaggini misti del nostro territorio. Così molti clienti dopo averla provata ne rimangono colpiti e ci chiedono di averla come piatto di portata. Anche i turisti la provano e la apprezzano».

BERGAMASCA, MA NON SOLO

Veneta, romana, toscana o genovese, quasi ogni regione e provincia ha la sua ricetta per la trippa. Si va dalla trippa di Brescia in brodo di verdure alla “busecca” alla milanese, passando attraverso la trippa calabrese “ara carvunara”, solo per citarne alcune. Paninozzi croccanti con lampredotto o fette di pane sciocco e trippa solleticavano i palati dei fiorentini già ai tempi di Lorenzo de’ Medici. In provincia di Torino c’è persino la Confraternita della trippa che vanta origini trecentesche. La versione originale della trippa alla Bergamasca è in brodo. Tuttavia ogni cuoco ha la sua ricetta. «Per una trippa perfetta – spiega Ferdinando Testa, titolare con la sorella Antonella del ristorante La Ciotola di viale Papa Giovanni – consiglio di utilizzare interiora di qualità e un mix di verdure di stagione e spezie. La cottura dev’essere lunga e lenta: servono circa tre ore. In generale più la trippa cuoce e meglio è. I nostri nonni dicevano che il giorno dopo è ancora più buona».

UN GUSTO INTERNAZIONALE

In antichità i greci cucinavano la trippa alla brace, i romani invece la utilizzavano per preparare salsicce. Ma anche oggi questa pietanza è presente nelle cucine tradizionali di tutto il mondo. Al nord della Francia, in Normandia, si fanno la Tripes à la mode de Caen o la Tripes en brochette de la Ferté-Macé mentre al sud c’è il Pieds et paquets, una gustosa specialità marsigliese. La trippa si trova anche in Romania, sia in umido (Chkémbè tchorba) che in brodo (Ciorba de burta), e in Medio Oriente (İşkembe). C’è poi il ristoratore bergamasco Venanzio Poloni che è riuscito a portare la trippa alla bergamasca fino a Medjugorie: apprezzatissima dai pellegrini, è diventata una delle pietanze di punta del suo Hotel Stella Maris insieme al capù di verze. Anche Ferdinando Testa conferma la propensione degli stranieri per questo piatto tipico: «Per molti anni la trippa era scomparsa dal nostro menù – evidenzia -. Il nostro è un locale di grande passaggio turistico e ci si era convinti che un piatto così non avrebbe funzionato. Di solito era più ricercato nelle trattorie tipiche bergamasche. Tuttavia da un anno a questa parte abbiamo deciso di rivoluzionare il nostro menù andando alla scoperta delle pietanze della tradizione, trippa compresa. È stato un successo – rivela -. A ordinarla sono soprattutto i clienti dai cinquant’anni in su che vanno alla ricerca dei sapori della loro infanzia, mentre i giovani restano molto scettici. La trippa è molto amata anche dagli stranieri, soprattutto da chi proviene dai Paesi nordici, inglesi ma anche dai francesi, che in fatto di zuppe la sanno lunga».

IN CUCINA

Ai fornelli ogni chef ha il suo stile nel preparare la trippa. Celebre è per esempio il foiolo del ristorante Lio Pellegrini di via San Tomaso accompagnato da una fetta di polenta grigliata. Rispetto ad altre preparazioni tradizionali, la ricetta di Giuliano Pellegrini è più leggera. Per iniziare niente aglio, pancetta o lardo ma solo olio d’oliva e due piccole cipolle anziché il mezzo chilo di un tempo. Anche la cottura cambia: due ore anziché quattro. Vincenzina Salvi, cuoca dell’albergo Centrale di Fino del Monte punta invece sul gusto delle verdure e degli aromi. Per quanto riguarda la carne, oltre allo stomaco della mucca, la cuoca mette il ginocchio di maiale per dare più sapore: «Una buona trippa dev’essere fresca. La carne va fatta bollire bene con una spruzzata di acqua e aceto. Poi metto in pentola a freddo tutti gli ingredienti. Con gli ortaggi di stagione e le erbe ci si può sbizzarrire. Personalmente metto di tutto tranne i piselli o le carote perché sono troppo dolci. Nella mia trippa c’è anche il ginocchio di maiale, un’aggiunta che nella ricetta originale non è prevista. Infine metto la passata di pomodoro, salvia, rosmarino, prezzemolo e alla fine regolo con il sale, ma senza esagerare perché più la zuppa bolle più diventa saporita. A tavola c’è chi la aggiusta la trippa con il pepe, il peperoncino, i crostini di pane o il parmigiano. Io consiglio di consumarla al naturale, senza formaggio perché rende la trippa più acida falsandone il sapore».

IL PIATTO DEL GIORNO

Per lo chef Walter Brembilla della trattoria “Come una volta” di Desenzano Albino preparare la trippa per i clienti è una gioia, come conferma la titolare Susi Assolari: «Da sei anni a questa parte abbiamo scelto ottobre come il mese della trippa. È un piatto molto particolare, non piace a tutti, quindi non lo teniamo nel menù tutto l’anno ma solo per un periodo limitato, sia a tavola che da asporto, in concomitanza con la festa della Beata Vergine del Miracolo della Gamba. Quando c’è, però, la ordinano in molti. Grazie al passaparola arrivano da noi parecchi clienti soltanto per assaggiare la trippa. Se qualcuno ce lo chiede con anticipo al momento della prenotazione, gli possiamo preparare la trippa su richiesta. Il nostro chef adora cucinarla anche se il procedimento è lento e lungo». All’albergo Centrale di Fino del Monte la trippa non manca mai, nemmeno nei mesi caldi: «Preparo trippa in umido tutti i giorni, estate e inverno – conferma la cuoca Vincenzina Salvi –. Qui da noi è sempre disponibile nel buffet e la si può mangiare a volontà. Piace moltissimo».

FRESCA O PRECOTTA

In lattine, tetrapak o bustone surgelate, tra gli scaffali del supermercato o nel banco frigo spuntano parecchie confezioni di trippa adatte a chi non ha tempo di mettersi ai fornelli. Bastano pochi minuti al microonde per ottenere una zuppa fumante come al ristorante. Metodi culinari rapidi che tuttavia piacciono poco a Fabio Magri, titolare della macelleria Magri di Chiuduno: «C’è stato un momento storico in Italia in cui abbiamo perso la tradizione delle nostre nonne e abbiamo optato per una cucina veloce. Si è progressivamente affermato un predominio della tecnologia alimentare di stampo industriale sui metodi più tradizionali. Per molti cucinare è diventato soprattutto l’atto di scaldare qualcosa di già pronto e surgelato. Con il cibo in scatola è un altro pianeta, ci sono troppi conservanti. Per fortuna da qualche tempo la gente sta ritornando alle radici, prestando più attenzione agli ingredienti sani».

I nomi e le preparazioni

trippa-per-box-nomiBUSECCA: dal tedesco Butze, è il nome lombardo, perlopiù milanese, usato anche in Bergamasca. Prevede l’utilizzo di tutti i tagli dei prestomaci, dello stomaco e perfino della prima parte dell’intestino (quello che i romani chiamano pajata).

CUFFIA: altro nome del reticolo, di forma globosa.

FOIOLO: (detto anche millefoglie o libro) identifica l’omaso, ovvero la parte che molti ritengono la migliore sia in cottura sia per il gusto delicato. I piatti che ne prevedono l’utilizzo esclusivo ne prendono il nome.

LAMPREDOTTO: nome fiorentino della trippa ricavata dall’abomaso, ovvero lo stomaco. È un tipico cibo da strada, ideale per farcire panini. Prende il nome dalla lampreda, un’anguilla primordiale di cui ricorda la forma e il colore.

RICCIA: è il nome più diffuso della trippa ricavata dalla parte più pregiata dell’abomaso (detto anche gala). È caratterizzata dalla presenza di creste violacee che conferiscono alla trippa un sapore più intenso.

Qualche indirizzo dove gustarla

In città: La Ciotola (viale Papa Giovanni) – tutto l’anno; Ol Giopì e la Margì (via Borgo Palazzo) – tutto l’anno; Trattoria Lozza (via Madonna del Bosco) – da ottobre a febbraio.

In provincia: Trattoria Moro da Gigi (Desenzano di Albino) – da ottobre a maggio nel menù del giorno e da asporto; Trattoria Come una volta (Desenzano di Albino) – nel mese di ottobre in occasione della festa della Madonna della Gamba e su prenotazione durante l’anno; Hosteria del Vapore (Carobbio degli Angeli) – piatto del giorno da settembre a marzo; Antica Locanda (Clusone) – una volta al mese come piatto del giorno; Albergo Centrale (Fino del Monte) – tutti i giorni dell’anno; agriturismo Ferdy (Lenna) – nei periodi freddi e in occasione di Santa Lucia; Al Platano da Gira (Foresto Sparso) – piatto del giorno nei periodi più freddi dell’anno; Polisena “L’altro agriturismo” (Pontida) – nel menù autunnale; Albergo ristorante Da Gianni (Zogno) – serate a tema nel mese di novembre.

Le sagre: Festa della trippa di San Pellegrino (Santa Croce) – settembre; Sagra del Casoncello d’autunno a Strozza, con sfida tra casoncello, trippa e pizzoccheri – metà ottobre.

 


Francesca Marsetti, dalla “Prova del Cuoco” alle cene a domicilio

Fa la spesa al posto del cliente, prepara le basi nel suo laboratorio a Clusane, arriva nella casa un paio d’ore prima e cucina sotto gli occhi degli invitati come se stesse tenendo uno show cooking. Se i commensali sono tanti, si porta le stoviglie. Non importa la distanza, ma soddisfare i palati più esigenti, da Nord a Sud. Il talento di Francesca Marsetti, nata a Calcinate, ma residente a Iseo, si fa conoscere nelle case degli italiani sia grazie alla sua presenza alla “Prova del Cuoco”, sia per la sua professione di chef a domicilio. A ricorrere ai suoi manicaretti è la più svariata tipologia di cliente. Anche fidanzati pronti a chiede alla dolce metà di convolare a nozze.

Marsetti è presente sul web con il sito raggiungibile all’indirizzo Francichef.it. I menù spaziano dalla tradizione del lago alla cucina mediterranea, da quella tipica bergamasca al sushi. A volte, le richieste sono le più stravaganti. «Un ragazzo per una festa di compleanno mi ha commissionato piatti esotici, io ho preparato il sea bass, una spigola che si trova nei mari del Sud Africa, guarnita da frutta», svela.

Francesca può cucinare da sola se impegnata per due/quattro persone, in caso contrario, con compagnie di 15-20 ospiti si avvale di collaboratori. Il costo della cena varia dai piatti al numero di invitati e parte da 60 euro a testa (o 70 per un menù dagli occhi a mandorla), esclusi i vini, il gettone dello chef o eventuali spese in caso di lunghe trasferte. Nonostante la mamma sia cuoca e il papà abbia gestito una macelleria a Grumello del Monte con un’esperienza che si tramanda da generazioni, la famiglia l’ha messa in guardia fin da subito sulle difficoltà che avrebbe incontrato. «Lavorare in cucina è massacrante. I miei avrebbero preferito un mestiere più leggero, ma io sono testarda», ammette Marsetti.

A soli 12 anni Francesca era già iscritta alla scuola Le Cordon Bleu di Bergamo, poi si è diplomata all’Alberghiero di San Pellegrino, cimentandosi ai fornelli del ristorante bistellato “Da Vittorio”. «È l’esperienza più importante. Ero l’unica donna tra 21 uomini. Comunque, se sei brava, conquisti il tuo posto, l’importante è non assumere atteggiamenti maschili», dice.

A Raiuno è approdata dopo essere stata selezionata tra i componenti della Nazionale Italiana Cuochi. Oggi aiuta i concorrenti della sfida settimanale nelle prove. L’anno scorso, nel programma di Antonella Clerici ha anche vinto il torneo “I Primi siamo noi” con i casoncelli. Docente all’Accademia del Gusto di Osio Sotto, la chef ha anche firmato le trofie al pesto per “My cooking box”: scatolette, in vendita in aeroporto o in eleganti gastronomie, dove si trova tutto il necessario per preparare un piatto da gourmet. Ma se fosse lei a dover conquistare con una portata, cosa preparerebbe? «Spaghetti al pomodoro, se vinci nella semplicità, vinci sempre».