J&F, ecco i costumi che valorizzano il tessile bergamasco

Elisabetta Giazzi e Francesca Fiorini
Elisabetta Giazzi e Francesca Fiorini

Il momento della prova costume quest’anno potrebbe essere un po’ meno drammatico, grazie ad un nuovo marchio tutto bergamasco.

A crearlo due vulcaniche amiche, Elisabetta Giazzi, 32 anni, e Francesca Fiorini, 33, i cui cognomi, in libera versione inglese, sono diventati il brand Jazz & Flower Beachwear.

La collezione del debutto è presente come temporary shop in Galleria Mazzoleni a Bergamo fino al 28 giugno, forse qualche settimana in più, e poi si farà conoscere tra eventi e negozi. Nel frattempo è già riuscita a regalare uno sprazzo di colore in un sabato grigio (lo scorso 23 maggio) con la sua sfilata all’interno del complesso commerciale.

«Dare vita ad una produzione di costumi era il nostro sogno», racconta Francesca Fiorini. «Lavoriamo in altri settori, io negli investimenti, Elisabetta nel marketing, ma ci piace metterci in gioco e siamo sempre pronte a fare qualcosa di nuovo». J&F Beachwear nasce dopo dieci mesi «di duro lavoro» nei quali le due amiche sono andate alla ricerca di tessuti, stilista, modellista e confezione per dare concretezza al loro progetto. «Abbiamo scelto di affidarci alle aziende e alle professionalità presenti a Bergamo – sottolinea Francesca -, dato che sul versante del tessile non siamo secondi a nessuno. È anche un modo per dare un segnale di fiducia al settore, che vive una crisi ma non certo di qualità».

Per i tessuti il fornitore è la Carvico, di Carvico. Il cosa realizzare deriva da una vera e propria passione di Francesca per il mare, le isole e per i costumi, di cui ha una collezione che spazia dai marchi famosi ai modelli trovati in giro per il mondo. «Ogni volta che si è in costume si sta bene – fa notare -. Fare costumi per noi significa proporre uno stile di vita all’insegna del divertimento, dello stare con gli amici».

E se dentro al costume ci si trova a proprio agio è ancora meglio. «I nostri non sono due pezzi per modelle, tanto che la taglia 38 non c’è nemmeno – evidenzia -, si va dalla 40 alla 46. È moda giovane, sì, ma pensata per rispondere alle esigenze delle diverse corporature. Per le taglie prima e seconda, ad esempio, ci sono modelli che valorizzano il seno; salendo di misura ci sono soluzioni per sostenere, ricorrendo anche a tessuti più tecnici e all’allacciatura dietro al collo. Diciamo che è una concezione consulenziale, da boutique, fino quasi al su misura, se serve qualche aggiustamento, infatti, lo realizziamo». «La personalizzazione è facilitata dalla possibilità di comprare un singolo pezzo – aggiunge – . Si possono abbinare il reggiseno di un modello con lo slip di un altro oppure con tre pezzi realizzare due costumi diversi o ancora comprare una parte da abbinare ad un costume che già si possiede: c’è grandissima libertà». A fare il resto ci pensano fantasie, colori e stile, racchiusi in sette linee tutte ispirate ad un’isola.

«Anche il prezzo è un aspetto che crediamo possa fare la differenza – prosegue Francesca -. Per qualità i nostri costumi sono sullo stesso piano di quelli venduti attorno ai cento euro, da noi il prezzo medio è ottanta, e non è poco».

Su Bergamo si è indirizzata anche la scelta dei partner per tutto ciò che completa il costume da bagno da proporre in negozio: la boutique Le Fate di via Broseta per copricostume, cappelli, orologi e accessori spiaggia; per i teli mare Zenoni e Colombi di Albino.

Intelligente è anche l’idea del debutto itinerante. «Dopo il temporary shop abbiamo in programma alcuni eventi, ad esempio nell’estivo allo spalto di San Giacomo e in collaborazione con un negozio di ottica – anticipa –, e poi corner nei negozi, da Città alta a Brescia, alla Costa azzurra, dove ho contatti. Per quanto fantasiose, entusiaste e convinte del nostro progetto abbiamo i piedi per terra e non abbiamo fretta. Anche nei sogni non bisogna esagerare. Abbiamo investito nostre risorse, vediamo come risponde il mercato e poi faremo i passi successivi, come aprire un vero negozio».


Bonetti ai giovani: “Allargate gli orizzonti e perseguite i vostri sogni”

I nuovi progetti imprenditoriali si sviluppano grazie a un reality show. Il format “Shark tank” sbarca su Italia Uno, giovedì 21 maggio, in prima serata. Il programma offre un’opportunità a chi ha una buona idea o un’attività da espandere ed è alla ricerca di un finanziatore che possa aiutarlo.

Ogni aspirante manager deve gettare la propria idea nella vasca, dove ci sono i cinque “squali” o investitori alla ricerca di progetti interessanti. Tra i supermanager c’è Luciano Bonetti, presidente di Foppapedretti e dirigente sportivo. La sua azienda, fondata nel 1946, produce arredi, in gran parte dedicati al mondo dell’infanzia e della casa. Il fatturato nel 2014 si è attestato sui 63 milioni di euro. I dipendenti sono 210, oltre ai 300 nell’indotto.

Alla sede centrale, a Grumello del Monte, si aggiunge quella di Bolgare per un totale di 107.000 metri quadrati, di cui 57mila coperti. L’ingegnere elettrotecnico bergamasco, classe 1948, è da sempre attento all’innovazione. Suo lo slogan “L’albero delle idee”.

Bonetti, qual è l’identikit dei concorrenti di “Shark tank”?

“Sono per metà donne. Ci sono i ventenni come i cinquantenni. Il Sud batte tutti per creatività. Idee straordinarie sono arrivate dai ragazzi siciliani, pugliesi e campani. A volte, mettono in scena delle presentazioni talmente particolari che sembrano sketch comici al punto che pensavo di essere vittima di uno scherzo televisivo. Ci sono società già avviate e start up. In pochi minuti, noi manager dobbiamo esaminare e valutare le proposte da finanziare di tasca nostra”.

Si sente uno “squalo”?

“Sono il più innocuo di tutti. Quando ho visto il format americano volevo rifiutare di partecipare. E’ spietato e rigido. Gli investitori atterrano in elicottero con mazzette di dollari. Per me lo show deve essere istruttivo, far capire ai giovani gli errori che non devono commettere”.

Qual è lo sbaglio più comune?

“Pensare che se il mercato vale 10 miliardi di euro, c’è l’un per mille per te che conquisti vendendo 10 milioni di biro. Non è detto. A fare la differenza è il modo di fare le cose, e cioè bene. All’inizio, quando presentavo una scala o un asse da stiro che costavano tanto, sentivo solo dei no. Poi però gli stessi venivano a chiedermi se potevano averli”.

Il suo motto, riportato dal sito del programma, è: “Se continui a fare quello che sai fare, resti il coglione di sempre”. Cosa significa?

“Bisogna allargare i propri orizzonti. Mi spiego con l’esortazione di Ulisse ai suoi uomini, ripresa da Dante nell’Inferno: “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguire virtude e conoscenza”. Come l’eroe omerico si spinge al di là del mare, pur essendoci un mondo a lui ignoto, i giovani devono buttarsi. I sogni vanno perseguiti”.

Che valore dà alla pubblicità?

“Mi piace la parola reclame, che non ha una vera traduzione. Se non comunichi, nessuno sa che cosa produci. E’ come una donna che se ne sta chiusa in casa, anche se è bella, non troverà mai un fidanzato. Credo nelle qualità concrete, non nell’iconografia. Il modello è Giovanni Rana che raccomanda gli ingredienti dei suoi tortellini. E sono davvero buoni e genuini. Io faccio lo stesso con l’asse da stiro, mostro come si apre, come si chiude e il risparmio di tempo e di spazio. Senza mentire”.

Nel suo ufficio c’è un quadro che occupa una parete, raffigura Gabriele D’Annunzio, è un suo mito?

“Sì. Lo ammiro perché ha saputo comunicare se stesso più di chiunque altro, ha dato per primo i nomi femminili alle automobili e quello alla Rinascente. E’ stato il primo grande copywriter italiano”.


Latouche: “Si può fare la pace anche attraverso l’economia”

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La decrescita è una delle strade che portano se non alla pace sociale, alla fine della guerra, che si gioca sempre più sul piano finanziario ed economico.  Serge Latouche, economista-filosofo teorico della decrescita e predicatore dell’ “abbondanza frugale” ha portato al Bergamo Festival ieri, 12 maggio,  la sua visione per “Fare la pace”, anche attraverso l’economia. «Il libero scambio è come la libera volpe nel libero pollaio. Ora la volpe è cinese e il pollaio europeo» ha sostenuto senza mezzi termini. E, in pieno semestre dell’ Esposizione, dal palco di Bergamo ha sottolineato: «L’Expo è la vittoria delle multinazionali, non certo dei produttori». L’economista francese ha ribadito come a crescere oggi siano solo le disuguaglianze e la distanza fra chi detiene – e continua ad accrescere- il potere economico  e chi ne viene escluso. Ecco perché, secondo Latouche, la decrescita sarebbe garanzia di una qualità della vita più alta, fatta di riscoperta di valori più autentici da poter estendere a tutti. L’economista-filosofo-  tra gli animatori della Revue du MAUSS, presidente dell’associazione «La ligne d’horizon», nonnchè professore emerito di Scienze economiche all’Università di Parigi XI e all’Institut d’études du developpement économique et social (IEDES) della capitale francese- ha risposto ad alcune delle domande e delle questioni sollevate da Marco Marzano, sociologo e professore ordinario di Sociologia dell’Organizzazione dell’Università degli Studi di Bergamo.

Non si fa che ripetere che, una volta usciti dalla crisi, il mondo non potrà essere più lo stesso. Come cambia la vita sociale dopo la crisi?

Tutte le elite guardano al dopo crisi. La realtà è che la crescita infinita è incompatibile con un pianeta finito. Solo un pazzo o un economista può pensare alla crescita.  La crescita è sparita negli anni Settanta e da allora non è più riuscita a portare maggior benessere rispetto ai suoi costi. Per 30 anni Alan Greenspan, presidente della Fed ha creato una crescita fittizia con speculazioni e bolle immobiliari. Ora si continua a parlare di crescita: peccato che un + 0,4 % non sia affatto crescita e che servano almeno 3 punti percentuali per creare occupazione. E’ evidente che una società di crescita senza crescita non è possibile, anzi è l incubo totale. Significa disoccupazione. E l’Europa impone l’ austerità fino alla morte. Le diseguaglianze crescenti hanno impatto sulla nostra democrazia.

In Europa tra il 1945 e il 1975 abbiamo avuto trent’ anni di crescita,  ma anche di diminuzione delle disuguaglianze, con società più ricche ma anche più eque. Si può tornare alle vecchie ricette keynesiane ?

La festa è finita. La crescita è uscita dai pozzi di petrolio con la prima crisi petrolifera.  E le disuguaglianze si sviluppano sino in fondo. Nei 30 anni gloriosi ha funzionato un mito della economia, il trickle-down: per effetto dello sgocciolamento, la marea fa salire sia i pozzi piccoli che quelli grandi. Il Genuine Progress Indicator-Gpi, o indicatore del progresso autentico, rileva come il benessere statistico aumenti fino al 2000,  ma evidenzia come i costi siano sempre più elevati. Dallo stress, ai problemi di salute e respirazione per effetto dello smog, giusto per fare qualche esempio. Guadagniamo di più, ma dobbiamo anche spendere di più. Dopo il crollo Lehman Brothers, il benessere vissuto reale crolla inesorabilmente, dalla Grecia al Portogallo, all’Italia. Dal trickle-down siamo passati al trickle-up : così oggi i ricchi continuano a diventare sempre più ricchi. Le nazioni ricche – a costo di essere ripetitivo – devono dimenticare la crescita per salvare il pianeta.

La politica, i sindacati e lo Stato più in generale sono in crisi. Cosa si potrebbe fare se tutto d’un colpo fosse possibile resettare modelli e paradigmi di governance?

La convinzione e il coraggio dipendono dai politici, mentre il consenso solo dal popolo.  A livello teorico è molto  facile uscire dall’Austerità, ma concretamente si devono mettere in atto diverse azioni. Fondamentalmente tre: bisogna rilocalizzare, riconvertire e ridurre. Rilocalizzare significa demondializzare. Con la caduta del Muro di Berlino si sono inaugurati gli anni della onni-mercificazione. Dalla guerra fredda si è passati ad una guerra economica su scala globale, un conflitto che fa sì che,  ad esempio,  migliaia di contadini cinesi siano espropriati dalle loro terre per dragare acqua per l’industria, per quelle fabbriche cinesi che tolgono lavoro anche alle imprese bergamasche. E’ questa una delle ragioni per cui un Paese deve esportare il minimo possibile. Le idee devono superare il più possibile i confini nazionali, ma i capitali per nulla. Non significa cadere nell’autarchia o nel protezionismo, una sorta di vero e proprio tabù,  ma almeno l’80 per cento della produzione deve restare nel territorio. Anche perché per far circolare merci si costruiscono infrastrutture che distruggono il territorio, come  la Tav.
Il secondo punto è quello della riconversione. Bisogna riconvertire l’energia, soprattutto. Oggi dovremmo lasciare tutto il petrolio sotto terra sennò, come annunciano alcuni recenti studi, il 2050 coinciderà con la fine dell’ umanità,  se andiamo avanti a questi ritmi. Quanto al terzo punto, il libero scambio significa lasciare una volpe libera in un pollaio. Ecco, ora la volpe è cinese e si muove liberamente nel pollaio europeo.

Expo ha a tema la sostenibilità: cosa ne pensa?

Expo ha visto le imprese multinazionali prendere  il sopravvento sulle imprese davvero sostenibili, sulle piccole produzioni giuste e pulite, come le definisce l’amico Carlo Petrini. L’agricoltura va riconvertita perché è troppo produttiva. I concimi chimici e i pesticidi distruggono la vita nel suolo. Certo i primi raccolti segnano una sorta di miracolo, come quello della prima rivoluzione verde, ma  poi anno dopo anno si arriva progressivamente alla desertificazione. Solo l’ agricoltura biologica potrà nutrire il pianeta. Bisogna riconvertire l’industria della macchina e della guerra. E poi ridurre. Anche gli orari di lavoro. Lasciando perdere gli slogan irreali della politica, a partire dalla mia francese, del “lavorare meno per guadagnare di più”, totalmente farlocco, io sostengo oggi come non mai di “lavorare meno per lavorare tutti e per vivere meglio e ritrovare il senso della vita”.  Si può inventare un futuro sereno fuori dalla gabbia di ferro dell homo oeconomicus.

La sinistra scettica le contesta spesso di predicare un mondo più povero,  in cui si cerca di fare qualcosa di mai fatto nella storia dell’umanità. La decrescita porta con sè anche una certa nostalgia per il mondo rurale? Magari anche per la sua Bretagna?

Nella critica alla decrescita ne ho sentite di ogni. Il punto è che la povertà è un’invenzione moderna, perchè la povertà suppone l’esistenza dell’ economia. In Africa, ad esempio, prevale la solidarietà. Quello che io sostengo e invoco e l’ “abbondanza frugale”, che – ribadisco – non è un ossimoro. Ci hanno inculcato l’ idea della Affluent Society, ma la  nostra economia è fondata sulla scarsità e sullo spreco elevato. E’ qualcosa che in un certo senso ricorda l’austerità rivoluzionaria di Enrico Berlinguer. C’è un libro , molto interessante, dal titolo “Età della pietra età dell’ abbondanza” in cui Marshall Sahlins ha proposto una visione del tutto diversa: le società di cacciatori-raccoglitori del paleolitico erano società dell’abbondanza, dove poche ore di lavoro al giorno bastavano alla sussistenza mentre il resto del tempo era dedicato al gioco e alla vita sociale. Un giornalista mi ha chiesto se vorrei tornare all’età della pietra. E io gli ho risposto che in realtà mi piacerebbe andare molto più indietro nel tempo rispetto all’età della pietra. Vorrei vivere un’era in cui si fa l’amore e non la guerra, nemmeno, anzi men che meno, quella economica. Una società con meno oggetti inutili significa essere più ricchi di altre cose, tanto per cominciare più acqua pulita e molto più tempo libero.

Non finiremo nella decrescita comunque senza averlo scelto?

Io credo che non si debba aspettare una catastrofe che ci ricordi che ormai è troppo tardi. E’ chiaro che se il potere continua ad andare dritto per una via – sbagliata – sia difficile invertire la rotta. Ma la storia insegna che cambiare si può. Che si può creare una dissidenza più forte del potere, una rivolta dal basso contro il sistema dominante. In Italia esiste un certo dibattito a favore della decrescita. E io dico che siamo ad un bivio, siamo di fronte ad una scelta: o eco socialismo o barbarie. La decrescita non si fa per caso, ma  una scelta di questo tipo si può incoraggiare. Il progetto della decrescita non è ricetta ma un orizzonte di senso. E in questo campo vediamo movimenti come i Gas di quartiere, la stessa Slow -Food che traducono in pratica questa scelta.

Cosa pensa dell’Unione Europea?

E’ una tragedia. Non è facile per Paesi celibi unirsi in matrimonio. L’Ue è sbagliata sin dalle fondamenta: prima bisogna fare un’unione politica e culturale e solo poi economica. Però la fiscalità deve essere unica e anche la legislazione. Sennò ci troviamo di fronte ad un’unione finta come la Jugoslavia di Tito. L’allargamento senza una base solida è impossibile e l’Europa sta diventando un mostro ingestibile. Di certo la moneta unica era l’ ultima cosa da fare. Ora l’Unione può esplodere da un momento all’altro. Un’alternativa potrebbe essere rappresentata dalla creazione di un’Europa Latina.

 

 


La Regione sperimenta il “reddito di cittadinanza”

regione_lombard.jpgVia alla sperimentazione di un Reddito di cittadinanza per tutti i lombardi in difficoltà economica. L’annuncio l’ha fatto il presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni, che, questa mattina, ha partecipato, insieme all’assessore all’Economia, Crescita e Semplificazione Massimo Garavaglia, alla presentazione Por Fse e Fesr 2014-2020.

I due programmi hanno una dotazione complessiva di 1.940 milioni di euro. Rispetto ai Por Fse e Fesr 2007-2013, le risorse destinate a Regione Lombardia sono aumentate di circa 640 milioni di euro. “Questi interventi – ha spiegato il governatore – sostengono un modello di crescita che punta sulla ricerca e sull’innovazione, che sono una delle vocazioni della Lombardia. Sul nostro territorio abbiamo 13 università, 500 centri di ricerca, 18 Irccs, 6 parchi tecnologici, la presenza delle principali società del settore. Insomma, tutte le condizioni ideali affinché la Lombardia possa diventare la Regione d’eccellenza in Europa in fatto di innovazione e ricerca”. Riguardo al Fondo sociale europeo Maroni ha sottolineato come debba avere “anche la capacità di ridurre la povertà. In un momento di crisi economica come è quello che stiamo attraversando, ci sono fasce crescenti di popolazione che soffrono e non hanno la possibilità di raggiungere i requisiti di sussistenza minima. Per questo, per noi, il Fse avrà anche la finalità di ridurre la povertà, l’esclusione sociale e promuovere l’innovazione anche in campo sociale”. “Gli interventi che vanno in questa direzione – ha annunciato – voglio riunirli nel progetto del Reddito di cittadinanza”. “Dell’argomento si parla da tempo, sui giornali e nel dibattito politico: noi avvieremo in maniera concreta la sperimentazione di misure che consentano a tutti i cittadini di essere davvero tali. I lombardi che vivono in condizioni di povertà o di esclusione sociale dovranno essere riscattati da questa condizione. Voglio utilizzare risorse del Fse e del nostro Bilancio regionale, che ci diano modo di far partire presto la sperimentazione sul Reddito di cittadinanza in maniera concreta”.

Maroni ha fatto sapere di aver già dato mandato agli assessori Massimo Garavaglia, Cristina Cantù (Famiglia, Solidarietà sociale, Volontariato e Pari opportunità) e Aprea (Istruzione, Formazione e Lavoro) “di studiare misure che vadano nella direzione del progetto di Reddito di cittadinanza” e ha fatto sapere di voler coinvolgere anche “il terzo settore e il mondo del volontariato”.


“A Bergamo opere subito cantierabili per 130 milioni”

Grand Hotel San pellegrinoL’Ance ha consegnato al Governo la piattaforma di opere rapidamente cantierabili frutto della ricognizione del sistema associativo su tutto il territorio nazionale. Un intenso lavoro, avviato d’accordo con il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio e grazie alla collaborazione delle amministrazioni locali, che ha consentito, di mettere a punto un piano di più di 5mila progetti diffusi in tutto il Paese, per complessivi 10 miliardi di euro. Opere fondamentali per la sicurezza delle città e il miglioramento della qualità della vita. In testa alle segnalazioni ci sono, infatti, interventi su edifici scolastici (20%), opere di riqualificazione urbana (16%), manutenzione delle strade (13%) e contro il rischio idrogeologico (13%). Tutti interventi che non possono essere rimandati, come emerge anche dalle cronache degli ultimi giorni che hanno messo ancora una volta in luce la fragilità del Paese.

In Lombardia, sono stati individuati 433 progetti (8% del totale del piano) per circa 307 milioni di euro. In Provincia di Bergamo si tratta di un totale di circa 130 milioni di euro per progetti richiesti da ben 63 enti (nell’elenco figura anche il restauro del Grand Hotel di San Pellegrino). “Con questo piano è possibile centrare un doppio obiettivo, ovvero soddisfare le esigenze dei cittadini e svolgere un immediato ruolo anticiclico. Buona parte degli interventi segnalati sono, infatti, già in avanzato stato progettuale, quindi pronti a diventare cantieri in tempi rapidissimi, dando un impulso positivo all’economia e al lavoro”. – ha dichiarato il Presidente di Ance Bergamo, Ottorino Bettineschi, presente oggi all’iniziativa dell’Ance nazionale -. Peraltro, come è evidente dall’elenco delle opere, molti lavori riguardano operazioni di protezione e messa in sicurezza del suolo sul fronte del dissesto idrogeologico che nella nostra provincia lo scorso anno ha procurato notevoli danni, in particolare nel periodo estivo. A livello meteorologico, le precipitazioni definite come “bombe d’acqua” sono e saranno sempre più frequenti: la possibilità di procedere velocemente con le cantierizzazioni serve proprio ad evitare che si ritorni a parlare di dissesto solo dopo una triste conta dei danni, quando la prevenzione è possibile e a questo punto necessaria”.

ANCE – L’elenco delle opere cantierabili in provincia di Bergamo


Mosler: «I nostri leader? Promuovono la privazione»

MoslerImprese & Territorio ha ospitato il grande economista americano Warren Mosler, autore di numerose pubblicazioni, visiting professor di Economia Monetaria all’Università di Bergamo, già relatore del convegno organizzato da Ascom e Federmoda lo scorso anno presso la sede dell’Ateneo bergamasco. L’incontro, svoltosi lunedì 20 aprile presso l’Auditorium di Confartigianato Bergamo in Via Torretta, in collaborazione con l’Università di Bergamo ha avuto come tema l’evoluzione dell’economia mondiale in relazione all’attuale contesto geopolitico ed economico. Il principale oppositore mondiale dell’Austerity ha fatto il punto sull’attuale situazione economica: «La nostra economia non sta soffrendo per una carenza di risorse reali: la crisi non è dovuta all’ esaurimento di risorse naturali, alla scarsità di persone da mettere al lavoro o da limiti nelle tecniche produttive. La nostra economia sta soffrendo di una crisi della domanda di beni e servizi, “mancano i soldi da spendere”. Una crisi dovuta all’Austerità». Le politiche di Austerità cercano di diminuire il deficit pubblico riducendo i risparmi ed i redditi di famiglie ed imprese attraverso l’aumento delle tasse e/o la diminuzione della spesa pubblica.«Ciò riduce la spesa totale nell’economia, in primis i consumi e dunque i ricavi delle aziende- ha affermato il professore americano-. Non vi è alcuna giustificazione nè scientifica nè empirica per le politiche di Austerità oggi in vigore. Vi sono più risorse reali ora che in qualsiasi altro momento della storia dell’umanità; non abbiamo mai avuto una capacità produttiva inutilizzata così grande. In mezzo a grande abbondanza i nostri leader promuovono la privazione. Senza l’artificiosa asfissia dell’Austerità che restringe l’impiego delle risorse materiali, umane e tecnologiche gli standard di vita delle persone e la salute dell’economia sarebbero enormemente migliori». La spesa a deficit è la politica economica che tramite riduzione delle tasse ed aumento della spesa pubblica incrementa reddito e risparmio di famiglie ed imprese. La spesa a deficit lascia che la spesa totale nell’economia, dunque le vendite, aumenti attivando più processi produttivi e creando lavoro.«Non vi è alcuna legge naturale che impedisca allo stato di spendere a deficit. I soli limiti possibili alla spesa a deficit sono di natura politica ed istituzionale. Il deficit pubblico, quello realizzato dal settore governativo, corrisponde al surplus del settore non governativo (famiglie ed imprese). É la situazione in cui famiglie ed imprese guadagnano più delle tasse da pagare il che è sinonimo di un aumento di risparmio privato, e dunque, di potere d’acquisto. Per questo un aumento di deficit pubblico rimuove le restrizioni per consumi ed investimenti, ergo per la crescita del settore privato. A maggior ragione in un momento di contrazione dei consumi a fronte della quale le banche diffidano dall’erogare credito, specialmente alle imprese. Il deficit pubblico è la risposta appropriata per uno scenario caratterizzato da calo dei consumi e restrizione del credito. Per esempio uno Stato che spende 100 e tassa 90, cioè immette nel settore di famiglie e aziende 100 e preleva solo 90, realizza un deficit pubblico di 10 e questo 10 rimane nell’economia come di risparmio».  In questo momento l’economia è cattiva: le persone non spendono abbastanza e le vendite sono basse: «Consumi ai minimi significano pochi posti di lavoro e quindi redditi inferiori al necessario- ha sottolineato senza troppi giri di parole Mosler-. Il livello di spesa dell’economia è molto basso e la disoccupazione è oltre il 12%.  Qualsiasi sia la valuta utilizzata la realizzazione di un deficit pubblico sufficientemente grande consente l’espansione dell’economia fino al livello di piena occupazione. Dall’altro lato l’Austerità ha gli stessi effetti sia se attuata con l’Euro sia con un’ipotetica nuova Lira.  Meno tasse corrispondono a maggiore potere d’acquisto e una maggiore spesa pubblica a più soldi in tasca. Tutti gli economisti lo sanno. Quindi qual è il problema?».

Le cinque proposte per uscire dall’Impasse

1. Dare un ultimatum all’Unione Europea affinché aumenti il limite sul deficit pubblico dal 3% all’8% .
Se l’UE rifiuta di aumentare il vincolo sul deficit allora si può scegliere di rimanere comunque nella zona Euro e continuare a vedere le cose peggiorare.
In alternativa:
2. Cominciare a spendere e tassare nella nuova Lira realizzando il deficit pubblico necessario per la piena occupazione.
3. Non realizzare la conversione forzosa dei depositi bancari da Euro a Nuova Lira.
4. Il Governo Italiano tramite la sua Banca Centrale garantisce il 100% dei depositi.
5. Il Governo Italiano finanzi un “Piano di Lavoro Transitorio” per chiunque possa e voglia lavorare.
Tracce-guida di un possibile piano di spesa a deficit potrebbero essere l’abolizione dell’Iva, delle tasse sul lavoro e sugli investimenti combinata ad un aumento della spesa pubblica in settori strategici. Questi ultimi, oltre a porre le basi di un percorso di sviluppo economico, inducono direttamente – tramite il loro indotto – la crescita dell’economia privata.
Dove e come diminuire le tasse ed aumentare la spesa pubblica dovrebbero essere le questioni al centro del confronto politico.


Il bimbo? Non lo perdi più con il braccialetto made in Bergamo

tapmychildrenMamme e papà avranno tra poco una sicurezza in più, quella di rintracciare con facilità il proprio bimbo se, trovandosi in un grande spazio e magari anche affollato, lo hanno perso di vista. Succede grazie ad una start up bergamasca, TapMyLife, con sede operativa in via Pignolo, che ha realizzato un braccialetto in grado di segnalare la posizione di chi lo indossa allo smartphone collegato e avvisare se si allontana troppo. È questa una declinazione dei prodotti dall’azienda, nata nell’aprile dello scorso anno e specializzata in soluzioni per la localizzazione all’intero degli spazi chiusi, dove la tecnologia Gps non funziona.

La versione TapMyExpo for children, ovvero con braccialetto e app per individuare le attrazioni a misura di bambino e famiglia, ha partecipato al bando della Regione Lombardia “Start Up per Expo”, classificandosi tra i primi 60 progetti e ad un soffio (25esima) dai migliori 24, che si sono aggiudicati la possibilità di presentarsi sul “palcoscenico” dell’esposizione milanese. «La novità sta proprio nella possibilità di sfruttare le tecnologie di posizionamento in uno spazio chiuso – evidenzia Manuel Ronzoni, sales manager di TapMyLife – e quindi grandi ospedali, aeroporti, stazioni, musei, fiere e centri commerciali», dove è importante tanto quanto all’esterno, e forse anche di più, potersi orientare e raggiungere con facilità le mete di proprio interesse.

In un ospedale, ad esempio, il navigatore permette di raggiungere il reparto, l’ambulatorio o il paziente ricoverato, se questo ha condiviso la propria posizione. E che dire dell’impresa di ritrovare l’auto nel parcheggio di un grande centro commerciale? Basterà affidarsi al proprio smartphone per dire addio all’incubo di passare in rassegna file e file di posteggi perché ci si è dimenticati di numero e colore del proprio. Negli aeroporti TapMyLife mette anche a disposizione sullo smartphone un’assistenza con informazioni personalizzate sul proprio volo, guidando dal banco del check in all’imbarco, al ritiro bagagli, a come proseguire il proprio viaggio fuori dal terminal.

Oltre ad offrire questi servizi al pubblico, le strutture che adottano la tecnologia possono poi impostare campagne mirate di marketing, segnalare eventi (ad esempio nel corso di una fiera) e studiare i flussi, riuscendo perciò ad organizzare di conseguenza i percorsi. Senza dimenticare l’aspetto ludico, come l’organizzazione di giochi in discoteca o nei villaggi turistici.

Per il braccialetto che “tiene d’occhio” i bambini «l’idea è che venga messo a disposizione della struttura come servizio aggiuntivo – spiega Ronzoni -, ma non è detto che non possa diventare un gadget, visto che ha un costo basso, da regalare alle famiglie, che quindi lo potranno utilizzare anche in altre occasioni. La stessa modalità può inoltre essere utilizzata per persone con Alzheimer o per sapere sempre dove si trovano apparecchiature e strumenti, ad esempio macchinari ospedalieri che vengono spostati da un reparto ad un altro».

TapMyLIfe app-mapQuanto ai tempi per vedere all’opera i sistemi, «la nostra è una start up che non ha solo messo a punto un’idea, ma l’ha già anche realizzata – evidenzia il direttore commerciale -. Le applicazioni e i dispositivi sono operativi e tra non molto saranno adottati in alcune grandi strutture bergamasche». Fare nomi al momento non è possibile, visto che il lancio avverrà d’intesa con i clienti, ma considerando il campo di applicazione – ospedali, aeroporti, centri commerciali – non sembra difficile intuire dove TapMyLife potrà debuttare. «Abbiamo scelto di partire con realtà presenti a Bergamo, anche perché la nostra provincia più vantare tante strutture complesse che si fregiano del primato di essere le più grandi nel proprio settore e che possono, quindi, fare da apripista nell’utilizzo di questa tecnologia». Ed è un modo anche questo di contribuire all’innovazione del proprio territorio.

Per quanto start up e innovativa, e come tale presente nel Registro delle imprese, TapMyLife non incarna lo stereotipo dei quattro amici in garage intenti a progettare la propria idea imprenditoriale. I soci, in effetti, sono quattro, ma non proprio alle prime armi. «L’esperienza nella gestione d’impresa c’è già – dice Ronzoni -. Proveniamo da settori differenti ed ognuno ha portano nella società le proprie competenze, nella comunicazione, nello sviluppo dei software, nell’analisi dei flussi. Per la ricerca collaboriamo anche con un’Università e siamo orgogliosi di poter proporre soluzioni nate e prodotte in Italia, cosa che non capita così spesso. In alcuni casi ci avvaliamo di tecnologie già esistenti, in altri sono nostre, come, appunto, il braccialetto che funziona negli spazi chiusi».


Lombardia, Maroni va alla “guerra” contro Roma

“Io voglio fare della Lombardia una Regione a Statuto Speciale. In questo sono confortato da un sondaggio molto interessante fatto da Swg. Su questo obiettivo, nel 2013 il consenso era il 41%, nel 2014 è passato al 58%. Questo per un motivo molto concreto: ogni anno vantiamo un credito nei confronti dello Stato di 54 miliardi, cioè la differenza fra quanto paghiamo di tasse e quanto riceviamo indietro. Lombardia a Statuto speciale vuole dire che ci terremo i nostri soldi”. Lo ha detto il presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni, intervenendo alla diretta streaming del quotidiano online ‘Affaritaliani’.. “Nessun passo indietro sulla questione del 75% delle tasse. Ma se vado a Roma a chiedere di concedercelo, il governo si mette a ridere. Per questo ho deciso di fare ricorso al popolo sovrano. Perché se vado a trattare avendo alle spalle il consenso di 10 milioni di lombardi, le cose cambiano. Per questo abbiamo deciso di fare il referendum consultivo su questo tema”. Il Governatore ha osservato che non si tratta “di una battaglia di una sola parte politica”, ricordando che il Consiglio regionale, la consultazione è stata approvata “anche con il sostegno di un importante movimento politico di opposizione”. Posto che “sentire l’opinione del popolo, non è un costo, ma un esercizio democratico che sta alla base della Costituzione repubblicana, Maroni ha garantito che il referendum sull’autonomia verrà fatto risparmiando rispetto al costo inizialmente preventivato. Lo faremo, ha spiegato, “in due modi: introducendo il voto elettronico e saremo la prima Regione a fare una sperimentazione del genere in Italia. Inoltre – ha aggiunto – porteremo i lombardi al voto insieme ad una tornata amministrativa, quando già sono allestiti i seggi. In totale – ha concluso – spenderemo molto meno dei 30 milioni previsti”.


Cornici, vasi, braccialetti, giocattoli: le stampe 3D dei bergamaschi

Un tempo erano fabbri e falegnami, oggi le botteghe del su misura si affidano a scanner e stampanti 3D. Il commercio che cambia ha anche il volto di questi nuovi negozi, dove di scaffali colmi di merce non ce ne sono, ma basta arrivare con un file, un modello o semplicemente un’idea per uscirne con l’oggetto che si voleva, nella forma, nelle dimensioni, materiali e colori desiderati. L’esatto contrario delle produzioni di massa che disseminano il medesimo articolo in ogni angolo del globo.

Anche a Bergamo stanno sorgendo queste nuove attività che uniscono alla vendita di stampanti 3D il servizio di stampa di oggetti (ma anche di scansione e modellazione nel caso il cliente non disponga già del progetto digitale), il tutto accompagnato da corsi e consulenze. E non si propongono come studi o laboratori per professionisti o addetti ai lavori, ma si affacciano con le loro vetrine sulle vie della città, strizzando l’occhio a chi passa e mostrando nel concreto le potenzialità di questa tecnologia nella vita di tutti i giorni.

3D garage - Linda Mapelli e Stefano Reale

In via Pignolo  10/a, 3D Garage è aperto dallo scorso novembre. A guidarlo è Linda Mapelli, architetto 35enne, affiancata dal marito Stefano Reale, anch’egli architetto che si occupa di ricerca. Appassionati a questa tecnologia, vi hanno visto la possibilità di una svolta professionale. «La stampa 3D è il futuro – spiega Linda -. Non siamo ancora al punto che ognuno abbia in casa la propria stampante per realizzare da sé i propri oggetti, ma oggi i prezzi sono già accessibili: si possono trovare a 500 euro, il costo di uno smartphone, ed è probabile che si diffonderanno». Nell’attesa ci si può rivolgere ad un negozio che stampa per noi, un po’ come accadeva ai tempi delle copisterie e delle cartolerie nell’era bidimensionale. «Le applicazioni sono infinite – evidenzia –, da qui l’ampia gamma delle richieste che riceviamo».

Premesso che è prima di tutto un sistema utilissimo in ambito tecnico e professionale «perché abbatte i tempi di realizzazione del prototipo di qualsiasi oggetto», non manca chi ne approfitta per creare un articolo personalizzato. «Abbiamo stampato anche un mezzo busto di Vasco Rossi per un regalo – ricorda Linda Mapelli – e poi armi fantasy, addirittura un’armatura medievale, dei fermalibri che riproducevano una macchina fotografica d’epoca cara alla committente, e ancora un braccialetto con ciondoli a tema per una ragazza con la passione per la moto, la navicella spaziale di Star Wars, … non ci sono davvero limiti». «Abbiamo stampato il pezzo che mancava ad un appassionato di modellismo – aggiunge – e si rivolgono a noi anche orafi e designer».

I materiali sono in prevalenza termoplastiche, ma anche gesso e metalli. Il costo del pezzo è fissato al centimetro cubo. «Ragionando su oggetti per i privati, possiamo dire che un articolo stampato in 3D costa il 20-30% in più di un prodotto con le stesse caratteristiche fatto in serie – rileva -. La cosa che però conquista è il fatto che il cliente è, in pratica, l’artefice del prodotto». Oltre alla fantasia dei bergamaschi nell’ideare oggetti, stupisce anche la trasversalità dell’interesse per la disciplina. Tra i primi corsisti di 3D Garage c’era anche un ingegnere in pensione di 83 anni.

3d studio lab -Stefania Boyer e Marco Misiani

A febbraio ha aperto invece i battenti al pubblico 3D Studio Lab, in via Broseta 76/E, nei locali di Noris Foto, dove la stampa era di altro tipo. Coetanei – 42 anni –, i due soci sono la grafica Stefania Boyer e l’architetto Marco Misiani, che sono cresciuti in zona ed hanno scelto di restare nel quartiere, anche se l’attività non è certo di vicinato. Marco aveva già virato nel commercio aprendo un negozio di sigarette elettroniche, Stefania si era appassionata alla realizzazione manuale di piccoli oggetti in plastiche polimeriche. Nella stampa 3D hanno visto una nuova prospettiva, dove far convergere le proprie esperienze e la propria creatività.

«Per la vendita delle stampanti su larga scala – dice Marco – i tempi non sono ancora maturi, ma il service di stampa ha già ingranato». Designer, architetti, ingegneri, piccole aziende per la prototipazione e studenti (ad esempio quelli che devono realizzare un plastico), sono i clienti tipo, ma non manca chi vuole fare un regalo speciale, portarsi a casa un oggetto personalizzato o rimettere in sesto un pezzo al quale si era affezionati realizzando il ricambio ormai introvabile. «Farlo è piuttosto semplice – racconta -. Su Internet ci sono siti che mettono a disposizione gratuitamente prodotti già modellati. Si possono poi decidere dimensioni, spessori, colori e creare l’oggetto che si ha in mente, che diventa un pezzo unico. In alternativa si possono scansionare oggetti per poi riprodurli».

Appendiabiti, cornici, giocattoli, vasi di design, contenitori, cover per smartphone sono solo alcuni esempi. E poi c’è tutta l’area della decorazione, dei gadget e della comunicazione, «ad esempio una wedding planner ci ha contattato per segnaposti e bomboniere». Il materiale più utilizzato è il Pla, una plastica vegetale biodegradabile, poi l’Abs, più resistente e il Pla flex, gommoso, ma c’è anche una stampante che utilizza argilla, ceramica e porcellana. Il costo varia in base al tempo necessario per la stampa ed è di 10 euro all’ora più Iva.

«La scelta di aprire un negozio vero e proprio – dicono – è perché vogliamo far conoscere questa tecnologia e il modo migliore è mostrare cosa realizza e come funziona». E l’attitudine creativa di Stefania promette poi di dare vita oggetti disegnati in proprio. «Non è comunque un mestiere facile – precisano –. Servono formazione e poi ore e ore di esperienza e tentativi per trovare la giusta alchimia tra macchina, materiale e geometria del pezzo».


Il regalo di Valeo Studio alle aziende. In palio tre premi per decollare sul Web

Prende il via oggi il progetto Valeo Gift 2015, ideato dalla web agency Valeo Studio di Bergamo in favore degli imprenditori della città non ancora in grado di sfruttare le potenzialità di internet e del web marketing per il loro business. Un mese di tempo per presentare il proprio progetto e sottoporlo alla valutazione della giuria composta da Davide Corna, amministratore unico di Valeo Studio, Marco Manzoni, presidente del Gruppo Giovani di Confindustria Bergamo e amministratore e vicepresidente di Nuova Termostampi spa, e Daniele Lo Sasso, presidente di Confartigianato Giovani Bergamo e amministratore unico di Sidip World srl. In premio 18mila euro in servizi, tra strumenti web e web marketing, che saranno suddivisi tra il primo (10mila euro), secondo (5mila euro) e terzo classificato (3mila euro). Per tutti i progetti sarà sviluppata un’analisi completa di business online e verranno valutati tenendo conto dei seguenti parametri: innovazione di prodotto, di servizio o di fornitura e possibilità concreta di far sbocciare l’idea di business attraverso gli strumenti web. I servizi compresi nel regalo costituiranno un panel completo delle attività svolte da Valeo Studio, ad esempio lo sviluppo del sito internet, l’implementazione di strategie SEO on site e off site e l’avvio di azioni legate al Social Media Marketing.

Logo Valeo StudioValeo gift 2015 è un’idea che vuole premiare le realtà aziendali ammirevoli nate, cresciute e presenti a Bergamo. Il progetto arriva nel 17° anno di attività di Valeo Studio, azienda che è riuscita a crescere per merito di professionisti del settore, ma anche grazie alla città madre: Bergamo. E’ un riconoscimento quindi verso il territorio che ha permesso questo consolidamento aziendale e un incentivo rivolto ai piccoli e medi imprenditori che giorno dopo giorno contribuiscono alla crescita sociale ed economia della città. Tutte le aziende interessate possono presentare il proprio progetto attraverso il sito www.valeo.it entro il 30 aprile 2015. I vincitori saranno comunicati entro il 30 maggio 2015.

“Valeo Gift 2015 – sottolinea Davide Corna – è un regalo che rivolgiamo alle aziende e agli imprenditori di Bergamo desiderosi di mettersi in gioco sfruttando a pieno tutte le potenzialità del web. Grazie al nostro contributo, essi potranno finalmente avvicinarsi ad un mondo che può contribuire il larga misura al loro successo aziendale. Fare parte di una comunità significa agire tenendo conto del suo benessere, ed è proprio quello che vogliamo”.