“Rosa camuna”, tra i premiati anche l’imprenditrice Rita Melocchi

Rita  Melocchi
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MelocchiOggi, in occasione della Festa della Lombardia, sono stati assegnati i riconoscimenti regionali Premio “Rosa camuna” oltre alle “Menzioni speciali”. La consegna è avvenuta nell’ambito della cerimonia che si terrà al Teatro Dal Verme di Milano. Tra coloro che verranno insigniti della Rosa camuna figura anche l’imprenditrice bergamasca Rita Melocchi. Alla guida della Minifaber di Seriate, azienda specializzata nella lavorazione a freddo delle lamiere e nella progettazione e costruzione di stampi, Melocchi – si legge nella motivazione del premio .- “ha trasformato una piccola impresa artigianale in un’industria modello, dove tecnologia e innovazione si affiancano a una gestione fondata su forti principi etici. Negli anni si è sempre più interessata al miglioramento della condizione lavorativa delle donne e alla conciliazione dei tempi famiglia-lavoro”. 56 anni, Melocchi è è stata anche presidente della Piccola Industria di Confindustria Bergamo. Ha ritirato il premio il figlio.

Sempre oggi sono state assegnate anche le menzioni speciali. Per Bergamo riceveranno il riconoscimento Camminiamo Insieme Onlus e Renato Kaneklin, rappresentante delle Maestranze imprese lombarde Expo per il Padiglione Nepal.


ExpoGelato, in città arriva il campione del mondo

Leonardo Ceschin, classe 1959, potrebbe esse poeticamente definito come il musicista del gelato. Il Campione della Coppa del Mondo della Gelateria 2012 si esibirà oggi a Bergamo, dalle 17,30 alle 19, nel Lab di ExpoGelato (Chiostro di Santa Marta – Piazza Vittorio Veneto) durante l’evento: “Il gelato della musica”. Ceschin non è solo in grado di realizzare un ottimo gelato, ma anche di farlo lasciandosi ispirare dalla musica. Titolare della Gelateria Esquimau di Pordenone, Ceschin ottiene la qualifica di Gelatiere professionista all’inizio degli anni ’80, poco prima di trasferirsi in Germania per due anni e seguire aggiornamenti sull’arte della gelateria. Il suo curriculum è costellato di prestigiosi riconoscimenti, tra i quali la Coppa D’Oro e il Premio dell’Amicizia vinti nel 2011 a Sigep Rimini, il Salone Internazionale Gelateria, Pasticceria e Panificazione Artigianali più importante al mondo. Come tutti i grandi artisti, Leonardo Ceschin è unico e inimitabile, esattamente come le sue creazioni. Oltre all’estro e all’utilizzo delle migliori materie prime naturali del territorio, il gelatiere Pordenonese usa un ingrediente in più: la musica. Il gelato che realizza, con sottofondo musicale, è come la figura retorica che accosta due sensi diversi e li fa convivere armonicamente in qualcosa di nuovo. Gusto e udito condensati in una sinestesia gelata.


Maroni, Radici e Gori al ministro Delrio: “Prioritario il collegamento Orio-Bergamo”

“Oggi inauguriamo il nuovo terminal di Orio al Serio, è un momento molto importante perché con questo nuovo terminal si rafforza il ruolo di Orio nel sistema aeroportuale lombardo e nazionale”. Così si è espresso il presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni, intervenendo, questa mattina, all’inaugurazione della nuova area terminal dello scalo bergamasco.

Orio ha già superato Linate come numero di passeggeri nei primi mesi del 2015. “Dopo quello di Fiumicino – ha sottolineato ancora il presidente – i nostri aeroporti di Orio, Linate e Malpensa, sono i più importanti del sistema nazionale, quelli che hanno il maggior numero di passeggeri. Nel piano nazionale degli aeroporti, approvato pochi mesi fa dal Governo, Malpensa ha il ruolo di aeroporto strategico e Orio quello di aeroporto di interesse nazionale e la Regione Lombardia vuol fare la sua parte, perché il sistema aeroportuale lombardo si sviluppi e si consolidi, cogliendo tutte le potenzialità che abbiamo e siamo assolutamente convinti che anche l’aeroporto di Montichiari debba fare parte di questo sistema: per questo bisogna trovare l’accordo con Verona su Montichiari e sono certo che il Governo saprà cosa fare”.

Vista la presenza del ministro alle Infrastrutture Delrio, non poteva mancare il capitolo del collegamento ferroviario tra Orio e Bergamo, 4 chilometri per un investimento di 170 milioni. “Un investimento utile, perché serve alla città, all’aeroporto e alla Lombardia” ha sottolineato Maroni. Una richiesta avanzata anche dal presidente di Sacbo, Miro Radici, e dal sindaco di Bergamo Giorgio Gori che ha rimarcato come l’opera sia prioritari e pertanto inserita nel dossier di opere infrastrutturali consegnato alcuni giorni proprio a Delrio. “Il Governo – è il pensiero di Maroni – tramite il fondo strategico o la Cassa Depositi e Prestiti, deve trovare le risorse necessarie per questo collegamento così importante. Sono certo che il ministro Delrio saprà trovare le risorse necessarie e la Regione Lombardia è a disposizione per fare la sua parte, anche da un punto di vista finanziario, per la realizzazione di questa grande opera”.

In primo piano anche il capitolo della questione ambientale. Su questa tema il presidente di Sacbo, Miro Radici è stato chiaro: “Siamo ben consci che un aeroporto cittadino come il nostro può creare disagi. da parte nostra stiamo facendo il possibile limitare l’impatto ambientale. Ci auguriamo che la situazione possa migliorare ulteriormente l’anno prossimo, con l’arrivo dei nuovi aerei Ryanair, meno rumorosi del 30%”.

“Ci rendiamo conto che ci sono delle criticità legate al fatto che si tratti di un aeroporto importante, con un numero altissimo di passeggeri, inserito in un contesto urbano – ha commentato l’assessore regionale all’Ambiente Claudia Maria Terzi – ma sono convinta che la fase di interventi per le mitigazioni ambientali che la società aveva iniziato qualche anno fa possa assolutamente proseguire. Le parole del presidente Radici ci fanno ben sperare in un punto di accordo tra le esigenze del territorio e le esigenze dell’aeroporto, che è una risorsa importantissima e, come tale, deve essere considerata”.


Cavalieri del lavoro, Mattarella nomina Silvio Albini

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha firmato il decreto con il quale, su proposta del ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi, sono stati nominati 25 Cavalieri del Lavoro. Nell’elenco figura anche l’imprenditore Silvio Albini, presidente dell’omonimo Cotonificio di Albino.

Membro di una delle più antiche famiglie di Bergamo, Albini ha conseguito il dottorato in Economia all’Università Bocconi di Milano nel 1980. Il maggiore della quinta generazione di industriali, è subentrato al padre e allo zio nel ruolo di Presidente del Cotonificio, azienda specializzata nei tessuti per camiceria di alta gamma. Grazie alla sua determinazione e al suo intuito, Albini ha applicato una visione moderna alla tradizione di 140 anni, arricchendola di tecnologia e ampliandola con attività commerciali internazionali. Al di fuori dell’azienda familiare, Albini è un consulente richiesto da comitati di industriali, associazioni, scuole, che si occupano principalmente di tessile. La sua visione di imprenditore illuminato ha portato anche all’acquisizione di Thomas Mason, il marchio che ha caratterizzato per 200 anni il design tipicamente britannico. Albini è anche presidente di Milano Unica e ha rivestito il ruolo di vicepresidente di Confindustria Bergamo.

Domenica 31 maggio, si terrà l’Open day del Cotonificio. Dalle 10 alle 17, porte aperte a tutti i cittadini che vogliono visitare la realtà industriale di Albino. Per informazioni  info@albinigroup.com

Il video sul Cotonificio e sulla famiglia Albini

Coco Xu è una giornalista cinese che un paio d’anni fa è sbarcata a Bergamo per girare un servizio televisivo sulla famiglia Albini. Ha realizzato un documentario di circa 16 minuti, poi trasmesso dal canale CCTV Cina, che fa il punto sull’attività del Cotonificio Albini, con tanto di riprese all’interno dello stabilimento di Albino, e apre uno spaccato sulla vita privata degli imprenditori, con filmati all’interno della villa di famiglia a Bergamo.

 

 


Bortolotti: “L’economia può e deve umanizzarsi”

Bernardo BortolottiBernardo Bortolotti, professore associato di Economia presso l’Università di Torino e direttore del Sovereign Investment Lab presso il Centro Paolo Baffi sulle Banche Centrali e sulla Regolamentazione Finanziaria all’ Università Bocconi, ha vivacizzato il dibattito che lo vedeva protagonista a fianco di Serge Latouche al Bergamo Festival.  Invitato dal moderatore Marco Marzano, sociologo del’Università di Bergamo, a portare la sua visione dell’economia, l’autore di “Crescere insieme per un’economia giusta” ha risposto al teorico della decrescita, con alcuni dati, non senza una vicinanza alla denuncia di Latouche di crescenti disuguaglianze: «Non è vero che non vi è crescita. Ad esempio, l’economia americana sta crescendo e dal 2009 ha guadagnato 9/1o punti. Ma si tratta di una crescita fortemente legata al tema delle disuguaglianze, che vede la concentrazione del 95 per cento del PIL nelle mani dell’1 per cento della popolazione.  Il problema del nostro paradigma economico è quello della crescita associata alle disuguaglianze. Bisogna cambiare paradigma. Gli economisti dicono che  non si muore di disuguaglianza ma dì povertà ; in realtà la società muore proprio di disuguaglianza. E’ il divario economico il male da curare, quella crescita che crea disuguaglianza».

In Europa tra il 1945 e il 1975 abbiamo avuto trent’ anni di crescita,  ma anche di diminuzione delle disuguaglianze, con società più ricche ma anche più eque. Si può tornare alle vecchie ricette keynesiane ?

“Le condizioni eccezionali degli anni Cinquanta sono anche dovute alla devastazione  di una guerra mondiale, che livella sempre,  distrugge patrimoni e crea scompigli negli asset. Ora siamo in piena guerra culturale ed economica. In quegli anni gli Stati funzionavano, i rendimenti erano crescenti  ed era forte come non mai il desiderio di entrare nella società dei consumi. Gli Stati per agevolare il percorso imponevano politiche fiscali di natura progressiva e funzionavano. Oggi i Governi sono come  secchi bucati che prelevano soldi da tutti che non riescono a redistribuire. I  problemi di oggi hanno una natura sovranazionale  ed è impossibile oggi pensare ad un modello come quello keynesiano del dopoguerra. La crisi non è congiunturale ma profonda e culturale.  È come essere in auto da otto anni con un navigatore che continua a ripetere che sta ricalcolando il percorso. Di fronte all’impoverimento dell’economia gli economisti sembrano aver clonato tutti gli strumenti della fisica per metempsicosi : se sei stato un bravo economista sei un fisico,  sennò se sei uno studioso cattivo sei un sociologo. Oggi si fatica a cogliere la dimensione- globale- dei problemi. E gli economisti continuano a riproporre gli stessi modelli. Ho ancora in mente un discorso di un economista del calibro di Robert Lucas nel 2003, quando annunciò che la macroeconomia, nata come reazione alla depressione, nella storia ha sempre avuto successo, dato che ha risolto tutti i problemi…”

Quali sono le azioni da intraprendere per un’economia più giusta?

“Non ho, a differenza di Latouche, un vero e proprio manifesto. Certamente il cambiamento è un processo che deve partire dal basso e dal profondo.  Bisogna ricucire e ricostruire, ripartire da Adamo, nel senso di Adam Smith. Uno dei padri dell’economia, prima di scrivere “La ricchezza delle nazioni” scrisse nel 1759 “La  teoria dei sentimenti morali”. L’uomo, sosteneva,  è partecipe della felicità altrui, anche se non ne ricava alcun benessere immediato. L’empatia appartiene all’essere umano, come mostrano gli studi sui neuroni- specchio, unitamente a sentimenti di comunione e solidarietà. Il cervello ha una parte emotiva,  mentre  l’uomo economico è tutto razionalità e zero sentimenti. L’empatia non solo esiste , ma è provata dalla scienza. La vera sfida è trasformarla in obiezione al sistema e alle logiche dominanti”.

I consumi stanno cambiando?

“La società  dei consumi sta cambiando, non sempre solo per necessità ma anche per scelta. Assistiamo a nuovi cicli di preferenze, oltre che ad una riscoperta delle dimensioni di convivialità e socialità. Le iniziative di maggior successo hanno alla base la condivisione. Io credo che alcune modifiche  nei comportamenti dei singoli, quindi dei cambiamenti endogeni , non possano che rendere più marginale l’apporto dello Stato”.

Esistono degli esempi di umanizzazione dell’ economia?

“La Big Society proposta da David Cameron va senz’altro in questa direzione. In un contesto inglese dai mille limiti, un certo appeal c’ è, come testimonia la recente vittoria elettorale. Per ora si tratta di una promessa, ma la devoluzione di alcuni servizi non può che essere un primo fondamentale passo in questa direzione. La responsabilizzazione della comunità nella gestione  dei servizi pubblici crea un profondo senso di condivisione. La Germania tiene più di noi perché esiste la co-determinazione delle aziende. I rap­pre­sen­tanti dei lavo­ra­tori sie­dono nel cda delle grandi e medie aziende con pari diritti degli azio­ni­sti: per legge tutti i lavo­ra­tori, iscritti e non iscritti al sin­da­cato, eleg­gono non solo il con­si­glio sin­da­cale di fab­brica ma anche i loro rap­pre­sen­tanti nei con­si­gli diret­tivi delle imprese. La Germania insegna come sia giusto fare cose insieme. Il  mondo della finanza è invece, comunque lo si guardi, aberrante, nonostante regga le fila di tutto. L’ indice delle banche Libor è colluso da sistemi bancari a scapito dei risparmiatori, come del resto ha mostrato la recente penalizzazione di Deutsche Bank. L’unico motore dell’Unione Europea è la Bce, quando esiste invece una cultura europea adagiata nel Medioevo. Lo spirito europeo e la comunione degli Stati dovrebbe essere l’unico vero  collante dell’Unione.


Bonetti ai giovani: “Allargate gli orizzonti e perseguite i vostri sogni”

I nuovi progetti imprenditoriali si sviluppano grazie a un reality show. Il format “Shark tank” sbarca su Italia Uno, giovedì 21 maggio, in prima serata. Il programma offre un’opportunità a chi ha una buona idea o un’attività da espandere ed è alla ricerca di un finanziatore che possa aiutarlo.

Ogni aspirante manager deve gettare la propria idea nella vasca, dove ci sono i cinque “squali” o investitori alla ricerca di progetti interessanti. Tra i supermanager c’è Luciano Bonetti, presidente di Foppapedretti e dirigente sportivo. La sua azienda, fondata nel 1946, produce arredi, in gran parte dedicati al mondo dell’infanzia e della casa. Il fatturato nel 2014 si è attestato sui 63 milioni di euro. I dipendenti sono 210, oltre ai 300 nell’indotto.

Alla sede centrale, a Grumello del Monte, si aggiunge quella di Bolgare per un totale di 107.000 metri quadrati, di cui 57mila coperti. L’ingegnere elettrotecnico bergamasco, classe 1948, è da sempre attento all’innovazione. Suo lo slogan “L’albero delle idee”.

Bonetti, qual è l’identikit dei concorrenti di “Shark tank”?

“Sono per metà donne. Ci sono i ventenni come i cinquantenni. Il Sud batte tutti per creatività. Idee straordinarie sono arrivate dai ragazzi siciliani, pugliesi e campani. A volte, mettono in scena delle presentazioni talmente particolari che sembrano sketch comici al punto che pensavo di essere vittima di uno scherzo televisivo. Ci sono società già avviate e start up. In pochi minuti, noi manager dobbiamo esaminare e valutare le proposte da finanziare di tasca nostra”.

Si sente uno “squalo”?

“Sono il più innocuo di tutti. Quando ho visto il format americano volevo rifiutare di partecipare. E’ spietato e rigido. Gli investitori atterrano in elicottero con mazzette di dollari. Per me lo show deve essere istruttivo, far capire ai giovani gli errori che non devono commettere”.

Qual è lo sbaglio più comune?

“Pensare che se il mercato vale 10 miliardi di euro, c’è l’un per mille per te che conquisti vendendo 10 milioni di biro. Non è detto. A fare la differenza è il modo di fare le cose, e cioè bene. All’inizio, quando presentavo una scala o un asse da stiro che costavano tanto, sentivo solo dei no. Poi però gli stessi venivano a chiedermi se potevano averli”.

Il suo motto, riportato dal sito del programma, è: “Se continui a fare quello che sai fare, resti il coglione di sempre”. Cosa significa?

“Bisogna allargare i propri orizzonti. Mi spiego con l’esortazione di Ulisse ai suoi uomini, ripresa da Dante nell’Inferno: “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguire virtude e conoscenza”. Come l’eroe omerico si spinge al di là del mare, pur essendoci un mondo a lui ignoto, i giovani devono buttarsi. I sogni vanno perseguiti”.

Che valore dà alla pubblicità?

“Mi piace la parola reclame, che non ha una vera traduzione. Se non comunichi, nessuno sa che cosa produci. E’ come una donna che se ne sta chiusa in casa, anche se è bella, non troverà mai un fidanzato. Credo nelle qualità concrete, non nell’iconografia. Il modello è Giovanni Rana che raccomanda gli ingredienti dei suoi tortellini. E sono davvero buoni e genuini. Io faccio lo stesso con l’asse da stiro, mostro come si apre, come si chiude e il risparmio di tempo e di spazio. Senza mentire”.

Nel suo ufficio c’è un quadro che occupa una parete, raffigura Gabriele D’Annunzio, è un suo mito?

“Sì. Lo ammiro perché ha saputo comunicare se stesso più di chiunque altro, ha dato per primo i nomi femminili alle automobili e quello alla Rinascente. E’ stato il primo grande copywriter italiano”.


Fornelli in tv, il bergamasco Ronzoni nella bolgia di Hell’s Kitchen

mirko ronzoni  hell's kitchenLo chef bergamasco Mirko Ronzoni  è pronto a scendere nella bolgia infernale di Hell’s Kitchen. Le porte della cucina più diabolica e infuocata della tv si apriranno giovedì 21 maggio alle 21.10 su Sky Uno HD e Ronzoni è pronto a lanciarsi tra le fiamme per scontrarsi con altri 15 concorrenti (otto donne ed altri sette uomini)  e cercare di conquistare, a suon di sudore e prove, la fiducia del severo e “spietato” Carlo Cracco.

In palio l’occasione di diventare executive-chef del primo ristorante Hell’s Kitchen nel mondo, all’interno del Forte Village Resort in Sardegna.

Lo chef  bergamasco “prêt- à- porter” – come ama definirsi anche sul nuovo sito web www.mirkoronzoni.it-  e docente all’Accademia del Gusto di Osio Sotto ha già alle spalle, a soli 24 anni, esperienze in Italia e all’estero da Londra a New York. Non può sbottonarsi, ma dell’esperienza della sfida culinaria evidenzia: «Si vive in un loft  isolati da tutto e da tutti, con sveglia anche alle 4 del mattino e due servizi in cucina, sia a pranzo che cena,  al cardiopalma. Tensione e pressione sono sempre alle stelle con Carlo Cracco in cucina e il sistema di ricompense e punizioni previsto dal programma è davvero snervante – spiega il concorrente, originario di Dalmine e diplomato all’alberghiero di Nembro -. A mettere zizzania nelle squadre ci sono poi le nomination, anche se l’ultima parola spetta sempre allo chef Cracco».

Nella prima puntata – come annuncia il sito del programma – Carlo Cracco e il suo staff (Marion Lichtle, chef e pasticcera a “Il pagliaccio” di Roma, e  lo chef Misha Sukyas mentre a dirigere la sala è Luca Cinacchi) mettono alla prova i cuochi per assegnare le giacche dei futuri membri della squadra rossa e della squadra blu. Non tutti gli aspiranti cuochi, però, potranno avere la tanto sospirata giacca e uno di loro dovrà lasciare l’inferno prima ancora di aver iniziato un servizio!

Nel corso delle successive puntate, oltre ai commensali del ristorante, siederanno allo chef table di Cracco alcuni ospiti special, da importanti chef a volti del mondo dello spettacolo. In un susseguirsi di prove ed eliminazioni, bisognerà attendere  l’ottava e ultima puntata per scoprire chi sarà il vincitore, pronto a fare la prima stagione da executive al Forte Village Resort in Sardegna.


Latouche: “Si può fare la pace anche attraverso l’economia”

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La decrescita è una delle strade che portano se non alla pace sociale, alla fine della guerra, che si gioca sempre più sul piano finanziario ed economico.  Serge Latouche, economista-filosofo teorico della decrescita e predicatore dell’ “abbondanza frugale” ha portato al Bergamo Festival ieri, 12 maggio,  la sua visione per “Fare la pace”, anche attraverso l’economia. «Il libero scambio è come la libera volpe nel libero pollaio. Ora la volpe è cinese e il pollaio europeo» ha sostenuto senza mezzi termini. E, in pieno semestre dell’ Esposizione, dal palco di Bergamo ha sottolineato: «L’Expo è la vittoria delle multinazionali, non certo dei produttori». L’economista francese ha ribadito come a crescere oggi siano solo le disuguaglianze e la distanza fra chi detiene – e continua ad accrescere- il potere economico  e chi ne viene escluso. Ecco perché, secondo Latouche, la decrescita sarebbe garanzia di una qualità della vita più alta, fatta di riscoperta di valori più autentici da poter estendere a tutti. L’economista-filosofo-  tra gli animatori della Revue du MAUSS, presidente dell’associazione «La ligne d’horizon», nonnchè professore emerito di Scienze economiche all’Università di Parigi XI e all’Institut d’études du developpement économique et social (IEDES) della capitale francese- ha risposto ad alcune delle domande e delle questioni sollevate da Marco Marzano, sociologo e professore ordinario di Sociologia dell’Organizzazione dell’Università degli Studi di Bergamo.

Non si fa che ripetere che, una volta usciti dalla crisi, il mondo non potrà essere più lo stesso. Come cambia la vita sociale dopo la crisi?

Tutte le elite guardano al dopo crisi. La realtà è che la crescita infinita è incompatibile con un pianeta finito. Solo un pazzo o un economista può pensare alla crescita.  La crescita è sparita negli anni Settanta e da allora non è più riuscita a portare maggior benessere rispetto ai suoi costi. Per 30 anni Alan Greenspan, presidente della Fed ha creato una crescita fittizia con speculazioni e bolle immobiliari. Ora si continua a parlare di crescita: peccato che un + 0,4 % non sia affatto crescita e che servano almeno 3 punti percentuali per creare occupazione. E’ evidente che una società di crescita senza crescita non è possibile, anzi è l incubo totale. Significa disoccupazione. E l’Europa impone l’ austerità fino alla morte. Le diseguaglianze crescenti hanno impatto sulla nostra democrazia.

In Europa tra il 1945 e il 1975 abbiamo avuto trent’ anni di crescita,  ma anche di diminuzione delle disuguaglianze, con società più ricche ma anche più eque. Si può tornare alle vecchie ricette keynesiane ?

La festa è finita. La crescita è uscita dai pozzi di petrolio con la prima crisi petrolifera.  E le disuguaglianze si sviluppano sino in fondo. Nei 30 anni gloriosi ha funzionato un mito della economia, il trickle-down: per effetto dello sgocciolamento, la marea fa salire sia i pozzi piccoli che quelli grandi. Il Genuine Progress Indicator-Gpi, o indicatore del progresso autentico, rileva come il benessere statistico aumenti fino al 2000,  ma evidenzia come i costi siano sempre più elevati. Dallo stress, ai problemi di salute e respirazione per effetto dello smog, giusto per fare qualche esempio. Guadagniamo di più, ma dobbiamo anche spendere di più. Dopo il crollo Lehman Brothers, il benessere vissuto reale crolla inesorabilmente, dalla Grecia al Portogallo, all’Italia. Dal trickle-down siamo passati al trickle-up : così oggi i ricchi continuano a diventare sempre più ricchi. Le nazioni ricche – a costo di essere ripetitivo – devono dimenticare la crescita per salvare il pianeta.

La politica, i sindacati e lo Stato più in generale sono in crisi. Cosa si potrebbe fare se tutto d’un colpo fosse possibile resettare modelli e paradigmi di governance?

La convinzione e il coraggio dipendono dai politici, mentre il consenso solo dal popolo.  A livello teorico è molto  facile uscire dall’Austerità, ma concretamente si devono mettere in atto diverse azioni. Fondamentalmente tre: bisogna rilocalizzare, riconvertire e ridurre. Rilocalizzare significa demondializzare. Con la caduta del Muro di Berlino si sono inaugurati gli anni della onni-mercificazione. Dalla guerra fredda si è passati ad una guerra economica su scala globale, un conflitto che fa sì che,  ad esempio,  migliaia di contadini cinesi siano espropriati dalle loro terre per dragare acqua per l’industria, per quelle fabbriche cinesi che tolgono lavoro anche alle imprese bergamasche. E’ questa una delle ragioni per cui un Paese deve esportare il minimo possibile. Le idee devono superare il più possibile i confini nazionali, ma i capitali per nulla. Non significa cadere nell’autarchia o nel protezionismo, una sorta di vero e proprio tabù,  ma almeno l’80 per cento della produzione deve restare nel territorio. Anche perché per far circolare merci si costruiscono infrastrutture che distruggono il territorio, come  la Tav.
Il secondo punto è quello della riconversione. Bisogna riconvertire l’energia, soprattutto. Oggi dovremmo lasciare tutto il petrolio sotto terra sennò, come annunciano alcuni recenti studi, il 2050 coinciderà con la fine dell’ umanità,  se andiamo avanti a questi ritmi. Quanto al terzo punto, il libero scambio significa lasciare una volpe libera in un pollaio. Ecco, ora la volpe è cinese e si muove liberamente nel pollaio europeo.

Expo ha a tema la sostenibilità: cosa ne pensa?

Expo ha visto le imprese multinazionali prendere  il sopravvento sulle imprese davvero sostenibili, sulle piccole produzioni giuste e pulite, come le definisce l’amico Carlo Petrini. L’agricoltura va riconvertita perché è troppo produttiva. I concimi chimici e i pesticidi distruggono la vita nel suolo. Certo i primi raccolti segnano una sorta di miracolo, come quello della prima rivoluzione verde, ma  poi anno dopo anno si arriva progressivamente alla desertificazione. Solo l’ agricoltura biologica potrà nutrire il pianeta. Bisogna riconvertire l’industria della macchina e della guerra. E poi ridurre. Anche gli orari di lavoro. Lasciando perdere gli slogan irreali della politica, a partire dalla mia francese, del “lavorare meno per guadagnare di più”, totalmente farlocco, io sostengo oggi come non mai di “lavorare meno per lavorare tutti e per vivere meglio e ritrovare il senso della vita”.  Si può inventare un futuro sereno fuori dalla gabbia di ferro dell homo oeconomicus.

La sinistra scettica le contesta spesso di predicare un mondo più povero,  in cui si cerca di fare qualcosa di mai fatto nella storia dell’umanità. La decrescita porta con sè anche una certa nostalgia per il mondo rurale? Magari anche per la sua Bretagna?

Nella critica alla decrescita ne ho sentite di ogni. Il punto è che la povertà è un’invenzione moderna, perchè la povertà suppone l’esistenza dell’ economia. In Africa, ad esempio, prevale la solidarietà. Quello che io sostengo e invoco e l’ “abbondanza frugale”, che – ribadisco – non è un ossimoro. Ci hanno inculcato l’ idea della Affluent Society, ma la  nostra economia è fondata sulla scarsità e sullo spreco elevato. E’ qualcosa che in un certo senso ricorda l’austerità rivoluzionaria di Enrico Berlinguer. C’è un libro , molto interessante, dal titolo “Età della pietra età dell’ abbondanza” in cui Marshall Sahlins ha proposto una visione del tutto diversa: le società di cacciatori-raccoglitori del paleolitico erano società dell’abbondanza, dove poche ore di lavoro al giorno bastavano alla sussistenza mentre il resto del tempo era dedicato al gioco e alla vita sociale. Un giornalista mi ha chiesto se vorrei tornare all’età della pietra. E io gli ho risposto che in realtà mi piacerebbe andare molto più indietro nel tempo rispetto all’età della pietra. Vorrei vivere un’era in cui si fa l’amore e non la guerra, nemmeno, anzi men che meno, quella economica. Una società con meno oggetti inutili significa essere più ricchi di altre cose, tanto per cominciare più acqua pulita e molto più tempo libero.

Non finiremo nella decrescita comunque senza averlo scelto?

Io credo che non si debba aspettare una catastrofe che ci ricordi che ormai è troppo tardi. E’ chiaro che se il potere continua ad andare dritto per una via – sbagliata – sia difficile invertire la rotta. Ma la storia insegna che cambiare si può. Che si può creare una dissidenza più forte del potere, una rivolta dal basso contro il sistema dominante. In Italia esiste un certo dibattito a favore della decrescita. E io dico che siamo ad un bivio, siamo di fronte ad una scelta: o eco socialismo o barbarie. La decrescita non si fa per caso, ma  una scelta di questo tipo si può incoraggiare. Il progetto della decrescita non è ricetta ma un orizzonte di senso. E in questo campo vediamo movimenti come i Gas di quartiere, la stessa Slow -Food che traducono in pratica questa scelta.

Cosa pensa dell’Unione Europea?

E’ una tragedia. Non è facile per Paesi celibi unirsi in matrimonio. L’Ue è sbagliata sin dalle fondamenta: prima bisogna fare un’unione politica e culturale e solo poi economica. Però la fiscalità deve essere unica e anche la legislazione. Sennò ci troviamo di fronte ad un’unione finta come la Jugoslavia di Tito. L’allargamento senza una base solida è impossibile e l’Europa sta diventando un mostro ingestibile. Di certo la moneta unica era l’ ultima cosa da fare. Ora l’Unione può esplodere da un momento all’altro. Un’alternativa potrebbe essere rappresentata dalla creazione di un’Europa Latina.

 

 


Malvestiti: “Passati anni difficili, ma il nostro tessuto imprenditoriale ha tenuto”

Sede Ascom

«Bisogna tornare a guardare con realismo alle proprie capacità e potenzialità imprenditoriali. Nel commercio e nel terziario occorre ponderatezza e un’elevata qualificazione, non è più tempo di improvvisazioni».
La sfida del commercio per il futuro si vince anche così. Ne è convinto Paolo Malvestiti, presidente di Ascom Confcommercio Bergamo, che lunedì illustrerà lo scenario di quest’ultimo anno del terziario nel corso dell’assemblea annuale dell’associazione.
«Questi anni di difficoltà – dice il numero uno dei commercianti bergamaschi – ci hanno permesso di far emergere questa esigenza di guardare con serietà e realismo alla nostre imprese e di abbandonare quel desiderio “malato” di avere “tutto subito”, magari senza neanche le possibilità economiche adeguate come è successo in anni pre crisi; che non significa non osare ma valutare e ponderare bene che cosa si può e non si può fare, affidarsi quindi alle capacità di pianificare e di sostenere finanziariamente gli investimenti oltre alla necessità di formarsi e qualificarsi».
La crisi ha portato anche a un’altra necessità, quella di fare rete.
«Le difficoltà che insieme abbiamo attraversato ci hanno spinto a guardare con simpatia a tutti i tentativi di aggregazione che sono nati in questi ultimi anni, sulla spinta di un disegno lungimirante di Regione Lombardia. Penso in particolare ai distretti del commercio e ai distretti dell’attrattività, per cui la nostra Associazione ha speso tante risorse. A ben guadare si è trattato di un cambio di passo, di un sorta di “rivoluzione” e dell’introdursi di una diversa mentalità nel mondo del commercio da sempre caratterizzato da un forte individualismo. Tanti passi sono stati fatti, anche se la strada è ancora lunga».
Qual è, ad oggi, il bilancio dell’esperienza dei distretti e quali saranno gli sviluppi nei prossimi mesi?
«Nella nostra provincia abbiamo una realtà diffusissima che è da esempio a livello regionale in questo senso:  28 distretti del commercio che coinvolgono 174 comuni e più di 10mila attività imprenditoriali. Inoltre con il bando dei distretti dell’attrattività la Regione ha premiato 9 progetti orobici così che nella Bergamasca sono arrivati ben 3 milioni 240mila euro. Un tesoretto non da poco che permette alla nostra provincia di partecipare ad Expo in modo ancora più competitivo e di costruire un unico “pacchetto turismo”  fatto di 166 comuni con oltre 700mila abitanti, 7.200 negozi, 3.400 tra bar e ristoranti, 400 strutture ricettive».
Crede che l’aggregazione tra negozi, e tra privato e pubblico, sarà una leva importante per il futuro?
«Ne sono convinto. I distretti si sono dotati della presenza di una figura manageriale e di un sistema di governance ben definito e questo ha permesso ai nostri imprenditori di fare un salto di qualità in tema di comunicazione e marketing. Stanno nascendo i primi gruppi d’acquisto in tema di energia elettrica, gas, telefonia, assicurazioni; si sono sviluppate iniziative di promozione con carte fedeltà, comunicazioni online, siti internet, app. In alcuni comuni si è persino arrivati a ottimizzare le risorse del territorio con la messa in comune delle attrezzature e degli strumenti per la realizzazione di eventi e manifestazioni; e, forse, una delle novità più assolute sta nella possibilità, in alcune realtà, di collegare i propri sistemi di videosorveglianza privati ai sistemi di pubblici di proprietà dei Comuni. Queste sinergie non possono che far bene alle oltre 20mila imprese del terziario che hanno radici nel nostro territorio e che sono costrette a fare i conti con l’evoluzione dei consumi che ha caratterizzato tutta la nostra storia e soprattutto questi ultimi anni».
Come sta oggi il commercio bergamasco?
«Abbiamo passato anni difficili, ma il nostro tessuto imprenditoriale sostanzialmente ha tenuto».
L’Assemblea di lunedì in Fiera sarà anche l’occasione per festeggiare un importante anniversario: i 70 anni dell’Associazione. Anche qui il bilancio è positivo?
«È un traguardo significativo perché siamo una delle poche Ascom che hanno contribuito a costituire la confederazione a livello nazionale. In questi 70 anni, mi sento di poter dire con orgoglio che noi la nostra parte l’abbiamo fatta e che continuiamo a farla. La responsabilità che ci sentiamo addosso è la sfida più grande dell’oggi, perché ci permette di guardare con sicurezza e speranza verso il futuro, anche se a volte sembra incerto. Festeggiare questa ricorrenza significa celebrare la storia dell’associazione ma soprattutto quella di tante imprese e di tanti imprenditori che hanno vissuto con passione e impegno l’associazione e che ci lasciano un’eredità importante».
Come sono cambiati in questi settant’anni i consumi delle famiglie?
«Nel 1945 i consumi delle famiglie erano rivolti per circa l’80% a generi alimentari e bevande quando negli anni prima della guerra erano intorno al 54%. Già nel 1955 si sono diversificati e la quota di consumo dei beni e servizi aveva raggiunto il 39%, mentre i generi alimentari scendevano al 50%. Questa tendenza negli ultimi 60 anni si è progressivamente accentuata. Oggi, in una società post-industriale e fortemente terziarizzata, il consumo di beni e servizi non alimentari supera il 75%, mentre la spesa per i prodotti alimentari rappresenta meno del 20%».
Anche il commercio si è trasformato molto. Quali sono le ultime novità?
«
In 70 anni anche il sistema distributivo è fortemente cambiato, anche per una minore disponibilità di spesa. Dai negozi di vicinato nei centri storici e nei borghi e dal proliferare del commercio ambulante, negli ultimi trent’anni – nella nostra provincia come nel resto d’Italia – si è passati ai grandi centri e parchi commerciali extraurbani. Oggi assistiamo a un terza polarità rappresentata da esercizi di medie e grandi dimensioni, anche per i ristoranti, che trovano spazio nelle aree omogenee sulle strade principali».
C’è il rischio che la città perda ulteriore attrattività per il commercio?
«Ci auguriamo che questa tendenza basata sull’attrazione delle polarità extraurbane possa mantenersi per volumi e addetti, ma lasci spazio al risveglio della città, che ha il vantaggio di essere il luogo in cui si incrociano cultura, formazione e turismo, e dove nuovi di canali di mobilità leggera potranno spostare comodamente le persone nel fare acquisti».
Anche per l’associazione ci saranno importanti cambiamenti. Dopo i lavori di ristrutturazione delle sedi di qualche anno fa, nel 2016 sarà inaugurata la sede nuova. Perché questa scelta, in un momento di contrazione economica come questo?
«L’intendimento non è di creare un palazzo più grande e prestigioso ma di trovare nuova funzionalità e maggiore efficienza nei servizi dell’Associazione, seguendo standard che in questi anni sono stati testati e sono risultati efficaci nelle nuove sedi periferiche dell’Ascom. La ristrutturazione è un passaggio fondamentale per la riorganizzazione dei servizi dell’associazione che portino al centro l’associato e soddisfino i suoi bisogni, che oggi sono ancora più grandi e stringenti rispetto agli anni scorsi. L’accoglienza ed il trattamento del cliente rappresentano fattori che determinano la qualità della prestazione e il grado di soddisfazione dell’utente. Per questo abbiamo puntato sulla ristrutturazione dell’ingresso, sullo sviluppo di un’area accoglienza e su un sistema che favorisca l’accompagnamento e la fidelizzazione degli associati, da un’area ad un’altra dell’Ascom senza compartimenti stagni».


Brebemi e l’intruglio mediatico targato Raspelli

Raspelli sulla BrebemiDopo l’inno di Elio e le storie tese alla Brebemi “bellissima perché vuota”, la direttissima Brescia-Bergamo-Milano si è meritata l’attenzione del giornalista enogastronomico Edoardo Raspelli che, annunciando l’apertura delle due aree di sosta Adda nord e Adda sud all’altezza di Caravaggio, ha comunicato la sua volontà di mettersi in prima persona ai fornelli di quella che sarà l’area ristoro (al momento ci sono solo piazzole di posteggio con servizi igienici e distributori automatici in strutture prefabbricate inaugurate lo scorso 10 aprile).

Il “cronista della gastronomia” si è diffuso in particolari succulenti, tali da invogliare ad imboccare l’autostrada anche solo per poter godere di una tale proposta. Raspelli dice infatti che sarà affiancato da «un cuoco del territorio: Graziano Bianchi, che con l’aiuto della famiglia manda avanti quel gioiellino affascinante di campagna che è Le Giare, a Monticelli d’Ongina, tra Piacenza e Cremona». «Il duo ricalcherà sulla Bre. Be. Mi. – dettaglia il giornalista – il menù del localuccio piacentino: piatti del territorio come pisarei e fasoi (gnocchetti con i fagioli) e cotechino, ma anche la cucina del mare, soprattutto quella del Sud. In autostrada si troveranno, quindi, grandi alzate di crostacei e conchigliacei crudi, tagliolini e spaghetti con filetti di sogliola, scampo, branzino e gambero, zuppe di pesce insaporite di aglio (non dimentichiamo che la zona tra Castelvetro Piacentino e Monticelli d’Ongina è una delle patrie italiane di aglio e scalogno!), fritti misti, spigola all’acqua pazza, catalana, orata al forno…».

Sorpreso da un tale annuncio, il ristoratore ha confessato di non sapere nulla dell’iniziativa ed ha ipotizzato un pesce d’aprile da parte dell’amico Raspelli. «Raspelli è un amico, questo sì – ci ha spiegato Bianchi -, ma non ci siamo mai confrontati in alcuna occasione su un’idea simile, anche perché siamo piacentini, un po’ fuori zona… . L’unica ipotesi è che si tratti di uno scherzo ed è questo ciò che abbiamo detto anche al presidente della Brebemi Francesco Bettoni che ci telefonato incuriosito per la notizia». Ad avvalorare la supposizione l’abbondanza di portate di pesce nel goloso comunicato e, naturalmente, la data di diffusione: lunedì 30 marzo con l’embargo della notizia fino al mercoledì, appunto il primo aprile, che non viene citato per non destare sospetti.

Il mistero non si svela del tutto nemmeno interpellando il diretto interessato. «Ho dato in esclusiva ed anteprima la notizia dell’apertura delle due Aree di Posteggio a Caravaggio (Adda Nord ed Adda Sud) – risponde Raspelli -: l’apertura del “mio” ristorante a base di… sogliole e … branzini… era ed è una mia aspirazione. In bocca alle balene».

Nel comunicato “incriminato”, il critico precisava anche perché, a suo parere, la direttissima A35 è particolarmente comoda e sicura, regalava un elenco ristoranti di preferiti ora per lui più facilmente raggiungibili grazie al nuovo collegamento (per la Bergamasca, San Martino di Treviglio, Caffè Rubini di Romano di Lombardia, Tre Lanterne di Martinengo, Saraceno e Giacomo di Cavernago) e annunciava – ci risiamo? – che nelle due aree di Caravaggio, Adda Nord ed Adda Sud, «sarà in parte ambientato il film che vedrà tra i protagonisti Edoardo Raspelli».

Insomma, più che un pesce d’aprile un intruglio mediatico.