L’industria dell’auto e la globalizzazione, il nuovo libro dei bergamaschi Ferrazzi e Cassia

auto-ferrazziL’esplosione della domanda cinese e asiatica, rilocalizzazioni produttive dall’Europa occidentale all’Est Europa, alleanze tra costruttori storici, comparsa di nuovi player. E, ancora, car sharing e nuove pratiche nella mobilità, auto elettrica, veicoli che si guidano da soli e molto altro.
Il settore automotive si basa sì su un brevetto del 1886, ma è soggetto a continue innovazioni, sia tecnologiche che manageriali. Negli ultimi dieci anni il settore è stato scosso da impetuosi cambiamenti come mai era accaduto nella sua storia ultracentenaria. Effetto della globalizzazione, dell’innovazione tecnologica e dell’evoluzione dei comportamenti degli utilizzatori.
Ne deriva un quadro complesso con implicazioni per i singoli produttori, per il settore dell’auto nel suo insieme e per i paesi produttori (tradizionali ed emergenti). Di questo e altro ancora si parla nel libro “L’ industria dell’auto. Come la globalizzazione cambia la macchina che ha cambiato il mondo” scritto a quattro mani dai bergamaschi Fabio Cassia, già docente all’Ateneo di Città Alta e ora ricercatore in Economia e Gestione delle Imprese all’Università di Verona, e Matteo Ferrazzi, attualmente manager di un primario gruppo bancario internazionale, dove è stato in precedenza analista e Senior Economist. Il libro prova a fare chiarezza sui cambiamenti in atto, delineando la direzione verso cui si sta muovendo l’industria dell’automobile. Va al di là della mera cronaca della grande trasformazione in corso, offrendo al lettore un quadro d’insieme più vasto: nel corso del lavoro si intrecciano analisi economico-settoriali, elementi di strategia e marketing d’impresa e considerazioni sul futuro ormai prossimo. Il tutto con il supporto di dati, casi, aneddoti e informazioni raccolte sul mondo dell’auto e sui suoi protagonisti.

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Letto per voi / Lara Cardella (“Volevo i pantaloni”), vive a Bergamo da 4 anni. “Insegno al Pesenti, ma ogni anno ho il terrore di dover cambiare”

Lara Cardella è salita alla ribalta della cronaca a soli 19 anni con il suo romanzo più famoso, «Volevo i pantaloni», dove ha descritto le vicende di una ragazza nella Sicilia maschilista di fine anni 80. Un libro che ha fatto il giro del mondo, ha venduto due milioni di copie ed è diventato anche un film. Lara, dopo varie vicissitudini, da quattro anni vive a Bergamo insieme al figlio Junior, 24 anni, e insegna all’Istituto Pesenti. A Bergamo ha detto di sentirsi più libera perché i bergamaschi sono riservati e non interferiscono mai troppo nel privato. Al giornalista bergamasco, Alessandro dell’Orto, conferma questo pensiero in una lunga intervista pubblicata da Libero Quotidiano che qui vi riproponiamo

di Alessandro dell’Orto (Libero Quotidiano)

Lara Cardella voleva che la sua Sicilia fosse meno maschilista. Voleva che ci fossero più biblioteche e consultori familiari. Voleva che le violenze sulle donne fossero denunciate e non nascoste. Voleva tutto ciò e a 19 anni l’ ha raccontato nel romanzo Volevo i pantaloni. Un libro che ha scosso l’ Italia di fine anni Ottanta ed è diventato un fenomeno letterario: traduzioni in dieci lingue e due milioni di copie vendute in tutto il mondo. Ma anche un libro che è diventato motivo di contrasti pesanti tra lei e Licata (Agrigento), città di origine. Ora Lara Cardella vive a Bergamo e insegna. E racconta la sua vita di battaglie e sofferenze, sogni e successi.

«Io fumo. Ne vuole?».

No grazie, niente sigarette. Solo sigari.

«Appunto, io fumo sigari».

Ah. Insolito per una donna.

«Sono abituata a certi sguardi».

Soprattutto in una città un po’ chiusa e bacchettona come Bergamo.

«Io invece trovo che i bergamaschi non siano bacchettoni né chiusi. Anzi. Sono più chiusa io di loro».

A proposito, Lara. Che ci fa qui?

«Insegno all’ istituto tecnico industriale “Pesenti”. È la mia famiglia. Ma ogni anno ho il terrore di dover cambiare».

Non è di ruolo?

«Per sostenere quel concorso infame ho pure spostato l’ intervento, ma…».

…Intervento?

«…ma sono stata svantaggiata: troppo poco tempo per rispondere per chi, come me, non è abituato a dattiloscrivere. E poi chiedono competenze di inglese».

Beh, però sulla scrittura sarà andata benissimo. Perché sorride?

«Mi hanno tolto mezzo punto per errori inesistenti, il che dà il senso di come hanno corretto le prove. Divertente però che reputino che non conosca l’ italiano. Forse perché ero Graziella Cardella e non Lara».

Graziella?

«Il mio vero primo nome. Ci gioco anche quando qualcuno pensa di avermi riconosciuta. «No, no, non sono quell’ odiosa della Lara Cardella».

Buona questa. Curiosità: è una prof severa?

«Vietato andare in bagno durante le lezioni e qualche volta nei voti scappa un “1”. Ma non dimentico mai che quasi tutti gli studenti sono extracomunitari, quindi con più difficoltà nella lingua. Amo i miei ragazzi».

E lei scrive ancora?

«Solo testi teatrali per la scuola. Qui facciamo molte iniziative interessanti, organizziamo spettacoli e manifestazioni per beneficenza. Ora stiamo raccogliendo oggetti personali di vip da mettere all’ asta per raccogliere soldi da dare ai bambini malati di cancro. Mattarella ci ha inviato una cravatta. Abbiamo scritto anche a Renzi e stiamo aspettando una risposta».

Basta libri?

«Non sono una venditrice, scrivo solo ciò che ho dentro. Se un editore mi dice di uccidere un personaggio o cambiare dei nomi per fare più copie lo mando affanculo. Meglio scrivere per me o per il teatro».

Lara, scusi la domanda. E risponda solo le va. Prima parlava di un intervento. Intendeva operazione chirurgica?

«Sì non sto benissimo».

Ne vuole parlare?

«Ho un cancro, a maggio mi hanno tolto una parte di polmone e delle costole: ora mi sto sottoponendo a radioterapia. Però hanno scoperto che ho pure un aneurisma al cervello e a dicembre mi dovrò operare di nuovo. Ma non ho paura, con la morte ho sempre convissuto».

In che senso, scusi?

«Da ragazzina, come tutti i deficienti che lo pensano, ero convinta che sarei morta giovane, intorno ai 30 anni. Ora sono già a 47, quindi sono molto oltre».

Il sigaro però…

«Dovessi stare attenta a tutto non uscirei nemmeno di casa. Vivo alla giornata e l’ unica preoccupazione è mio figlio Junior che ha 24 anni e vive con me. È per lui che non mi posso permettere di morire, ho il dovere di vivere per dargli un futuro».

La malattia l’ ha cambiata?

«Sono ancora più schietta, non ho tempo da perdere con tanti giri di parole. Il cancro mi ha fatto capire chi mi vuole veramente bene: i miei genitori e mia sorella mi sono stati vicini».

A proposito di famiglia, torniamo agli inizi. Lei nasce a Licata il 13 novembre 1969.

«Bambina silenziosissima e osservatrice, inizio a parlare molto tardi.

Ma, anziché con una semplice parolina come tutti i bambini, esordisco con una frase di senso compiuto».

Infanzia?

«Disastrosa, capisco cosa si provava nei lager».

Cioè?

«Alle elementari veniamo picchiati. Una suora, la più cattiva, utilizza un bastone con cui dà botte alla schiena e poi ti obbliga a dire “grazie”. Nasce in quelle occasioni il mio senso di colpa che mi accompagna da tutta la vita».

Perché?

«Provo piacere quando a essere percosso è un altro bambino, perché significa che la suora si stanca e non picchierà me».

Poi?

«L’ adolescenza a Licata è complicata. Vengo considerata una pazza o una puttana perché mi trucco, mangio il gelato e metto le minigonne. Nel frattempo leggo, leggo e leggo e grazie a Moravia scopro che ciò che lì è considerato normale – come usare violenza – altrove non lo è. Capisco che c’ è un altro mondo differente».

E lo denuncia nel romanzo Volevo i pantaloni, storia di un’ adolescente costretta alle restrizioni mentali e culturali della Sicilia di quegli anni. E che subisce le violenze dello zio. Quanto c’ è di autobiografico?

«In realtà racconto la storia di un’ amica che considerava normale essere violentata dal padre».

Come nasce l’ idea del romanzo?

«Il mio sogno a 19 anni è fare la giornalista, non la scrittrice. Non ho nessuna intenzione di pubblicare un libro, ma un giorno il mensile “Cento cose” della Mondadori indice un concorso per esordienti e per vincere una scommessa con un’ amica mi metto al lavoro. In venti notti nasce Volevo i pantaloni. E sa una cosa buffa?».

Dica.

«Nelle intenzioni era una romanzo ironico. Leggevo ogni capitolo a mia sorella e, se rideva, andavo avanti».

Il libro funziona e vince.

«Mi telefonano per comunicarmi l’ esito, ma non credono che sia io la vera autrice: troppo giovane».

È il boom: verrà tradotto in dieci lingue e venderà oltre due milioni di copie. Ma a Licata si arrabbiano.

«A Licata il libro non lo legge nessuno. Però quando vengo ospitata al “Costanzo Show” e racconto le cose che tra ragazzine ci ripetevamo tutti i giorni in piazza, scoppia il caos. Vengo accusata di mentire, di farlo per soldi. La stampa si interessa alla vicenda e un giornalista viene a controllare di persona: mentre passeggiamo nelle vie del centro la gente, a destra e sinistra, mi urla: “Puttana! Puttana!”. La vita diventa un inferno: gente sotto casa, scioperi per togliermi la cittadinanza licatese, amici che spariscono».

Nell’ 89 si sposa e va a Gela con Marco, il fidanzato storico.

«Il rapporto è particolare, di simbiosi assoluta. Di gelosia folle. Gli impedisco di guardare le donne anche in tv e lui mi impedisce di leggere. Vivo segregata in casa: quando esce mi chiude dentro a chiave».

Nel 1991nasce Junior.

«Stravoluto. Ma un anno dopo lascio mio marito».

Perché?

«Si droga, eroina. E un giorno fa cadere Junior. Così mi trovo con due grandi amori che si contrastano e non possono coesistere. Devo scegliere. E scelgo il figlio».

Si trasferisce a Roma.

«Marco viene a trovarci per vedere Junior, ma mi considera ancora una cosa sua anche se non siamo più insieme. Una volta cerca di violentarmi e così lo denuncio. Ora non abbiamo più rapporti».

Nel frattempo lei si gode la fama e conosce la bella vita. Da segregata a Licata a vip nella capitale.

«Anni meravigliosi. Sesso, incontri culturali, amicizie».

Partiamo dal sesso. Vero che ha avuto 100 uomini?

«Moltiplichi per tre. Un ragazzo diverso ogni giorno».

E perché non si è mai risposata?

«A me piacciono solo quelli delle altre: l’ importante è che abbiano una compagna».

Qualche incontro importante?

«Ho conosciuto Moravia, Giordano Bruno Guerri e Sgarbi, Berlusconi e la Bertè».

Ne scelga due.

«Un giorno sono con il mio ex marito e arriva Berlusconi. “Cribbio, ecco la nostra grande e bella scrittrice!”. E intanto mi guarda le gambe. Penso: ora mio marito si incazza. Invece niente. Capito? Di fronte al potere anche la gelosia frena».

Il secondo?

«Loredana Bertè mi ha salvato la vita. Un pomeriggio viene a trovarmi nel residence in cui vivo. Mi fa chiamare ma non rispondo. Si preoccupa e convince quelli della reception a buttar giù la porta. Ero in coma: cocktail di farmaci per un errore del medico».

Nel frattempo esce il film Volevo i pantaloni. «Uno schifo, pessima scelta della protagonista».

Poi lei pubblica altri romanzi e diventa pure opinionista di calcio.

«Al “Processo di Biscardi”. Ma dico sempre ciò che penso e questo dà fastidio a molti dirigenti. Così dopo un po’ vengo lasciata a casa. C’ è una causa ancora in corso».

Pian piano sparisce dai riflettori.

«Mi occupo della crescita di mio figlio e nel 2004 mi laureo. E inizio a insegnare, prima in Sicilia e da quattro anni qui a Bergamo».

Ultime domande veloci

1) Canzone preferita?

«”One” degli U2».

2) Film preferito?

«”9 settimane e mezzo”. Mickey Rourke è sempre stato il mio sogno, ma che delusione quando l’ ho incontrato a Roma: era tutto rifatto».

3) Libro preferito?

«Qualsiasi di Umberto Eco».

4) Ultima volta che ha pianto?

«Piango solo di felicità: quando a scuola abbiamo ricevuto la cravatta di Mattarella».

Ultimissima: Lara a 19 anni voleva i pantaloni. Ora cosa vuole?

«Che mio figlio sia felice»

 


Declino italiano, sei incontri a Bergamo per trovare le vie d’uscita

“Il declino italiano – Origini e vie d’uscita” è il titolo del ciclo di incontri promossi dalla Fondazione Zaninoni. La ricerca storica e le analisi dell’attuale crisi italiana convergono nell’individuare alcuni caratteri della nostra vita nazionale, duri a morire, che continuano ad influenzare negativamente la nostra capacità di competere nel mondo. L’esplorazione delle nostre specificità culturali, avviata con la ricerca dell’identità italiana, sfocia inevitabilmente nell’indicazione di alcuni nodi problematici la cui aggressione va oltre i programmi di un singolo governo perché richiedono una comprensione e un impegno capace di coinvolgere alcune generazioni. Si tratta di capire da cosa dipende il nostro declino, ormai riconosciuto ampiamente, e quali possono essere le mosse per arrestarlo cercando di innescare processi virtuosi di sviluppo: una risposta alle sfide che abbiamo di fronte.

Questo il calendario degli incontri:

* Venerdì 21 ottobre – Emanuele Felice (Università di Chieti-Pescara): “L’Italia economica: ascesa e declino”

* Venerdì 28 ottobre – Giuseppe Berta (Bocconi di Milano): “Crisi e trasformazione del Nord Italia”

* Mercoledì 9 novembre – Alberto Vannucci (Università di Pisa): “Il peso della corruzione”

* Venerdì 18 novembre – Gianfranco Viesti (Università di Bari): “Non c’è Nord senza Sud”

* Venerdì 2 dicembre – Antonio Golini (La Sapienza di Roma): “Meno figli, più migranti”

* Venerdì 16 dicembre – Michele Salvati (Statale di Milano): “Occasioni mancate e sfide attuali”

Gli incontri si terranno alla sala Zaninoni del Mutuo Soccorso, in via Zambonate 33 a Bergamo, a partire dalle 18.

 


Addio a Bernardo Caprotti, patron di Esselunga. Lascia un impero da 7 miliardi di fatturato

E’ morto Bernardo Caprotti, patron di Esselunga. Avrebbe compiuto 91 anni il prossimo 7 ottobre. Lo ha annunciato la moglie Giuliana. Per espressa volontà di Caprotti le esequie avverranno in forma strettamente privata e per suo desiderio non dovranno seguire necrologi. Nato a Milano da una famiglia di industriali tessili, diplomato al liceo classico e laureato in Giurisprudenza, al termine degli studi Caprotti parte per gli Stati Uniti, spinto dal padre che punta tutto su di lui per portare avanti il suo lavoro nell’industria del cotone e della meccanica tessile. Il giovane non si risparmia: si rimbocca le maniche e lavora alla catena di montaggio tra carde, filatoi e telai, ma indossa anche la giacca per andare alla borsa cotoni di Wall Street. Un anno di duro lavoro, al termine del quale torna in Brianza e inizia a lavorare nella manifattura di famiglia. La morte del padre, avvenuta nell’estate dello stesso anno, porta Caprotti alla guida dell’azienda. Finché, nel ’57, arriva l’opportunità di salire sugli scaffali della grande distribuzione. Nelson Rockefeller, nipote del celeberrimo fondatore della Standard Oil, vuole aprire una catena di supermercati in Italia. L’uomo d’affari americano prende contatti con i fratelli Brustio, vertici della Rinascente, ma Marco Brunelli e Guido Caprotti, fratello di Bernardo, ascoltano casualmente la conversazione tra Rockefeller e i manager italiani nella hall di un albergo di Sankt Moritz e riescono a soffiare l’affare alla Rinascente, che pretendeva la maggioranza della società nascitura.

La Supermarkets Italiani Spa apre il suo primo supermercato in un’ex-officina di viale Regina Giovanna, a Milano. La catena di punti vendita avrebbe preso presto il nome di Esselunga. Oggi è una realtà valutata fra i 4 e i 6 miliardi di euro, con 152 supermarket in Lombardia, Toscana, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Liguria e Lazio, oltre 22mila dipendenti e un fatturato di 7,3 miliardi di euro. La vendita potrebbe in qualche modo risolvere il problema della successione. Fino all’ultimo è rimasto aperto lo scontro di Caprotti con i figli del primo matrimonio, Giuseppe e Violetta, estromessi nel 2011 dal controllo della società: la causa di merito è in Cassazione, anche se con Violetta c’era stato un riavvicinamento, e gli era al fianco anche negli ultimi momenti in clinica.

Un’altra battaglia che lo ha segnato è stata quella con le Coop, che accusava di illecita concorrenza e scorrettezze. Nel 2007 pubblicò il libro «Falce e carrello. Le mani sulla spesa degli italiani» edito da Marsilio. I suoi collaboratori lo ricordano come un vero Capitano d’industria, con l’azienda nel sangue. È andato in pensione a 88 anni. Per dare l’annuncio riunì i dipendenti della sede centrale di Limito di Pioltello: «Ho dato le dimissioni» annunciò prima di smorzare la commozione con la sua burbera ironia: «Ma quello in pensione sono io, voi tornate al lavoro!». Finché ha potuto, cioè qualche mese fa, ha portato il badge, ha partecipato alle riunioni, ha pranzato in mensa ed è andato in giro per i negozi per assicurarsi che tutto funzionasse bene. “Se ne va un uomo particolare, un uomo che emozionava. Se ne va uno dei più grandi imprenditori italiani. Ma il Dottore vivrà ancora nella sua straordinaria impresa” ha commentato Pier Luigi Bersani.

 

 


Un ristorante a Ibiza, la nuova vita della cantante Yu Yu

La rinascita di Yu Yu è partita dal cibo. Sì, proprio quello stesso cibo dal quale parecchi anni fa si era fatta divorare cadendo nel vortice dell’anoressia e che oggi, invece, dà linfa vitale alla sua esistenza. A Santa Eulalia del Rìo, sull’isola di Ibiza, c’è infatti un delizioso localino che offre appetitose bontà mediterranee. Si chiama Margherita, proprio come la più famosa delle pizze italiane, e a gestirlo ci sono la cantante franco-bergamasca Giuditta Guizzetti, resa celebre dall’orecchiabile motivetto “Mon petit garçon”, e il marito Piermario Martucci. Lui ai fornelli, lei in sala, in questo locale di calle San Vincente servono piatti italiani apprezzatissimi, dai taglieri di prosciutti e formaggi al girello di vitello alle due salse tonnate, dalle tagliatelle di zafferano e gamberoni agli gnocchi di cacao e patate con crema di zucchine e vongole. Richiestissime anche le insalatone, le pizze e le focacce farcite con ingredienti di qualità. Sfiziosi anche gli appetizer ispirati alla tradizione italiana: polpette di salsiccia con cuore di fontina (Aosta), pane fritto con pomodoro fresco e parmigiano (Napoli), baccalà con salsa della casa (Roma), focaccia con la crescenza (Recco), salumi e formaggi con gnocco fritto (Emilia Romagna). E con l’arrivo dell’autunno, il ristorante è solito inserire nel menù confortanti zuppe di fagioli, di ceci e funghi o di lenticchie e salsiccia.

Margherita è anche un piacevole connubio tra cibo e musica. Qui si possono infatti ascoltare concerti acustici di artisti spagnoli (ma non solo) e così, non di rado, capita che anche l’affascinante Yu Yu rispolveri il suo passato di cantante e inizi a intonare qualche motivetto per i suoi clienti. Il fugace successo discografico ottenuto nel 2002 con “Mon petit garçon” e poi ancora con “Bonjour bonjour” è ormai un ricordo lontano. In mezzo ci sono stati anni di crisi per Giuditta Guizzetti che arrivò a pesare solo 36 chili e fu ricoverata, debole e sciupata, alla Casa Francisci di Todi. Ma l’amore, la maternità e il suo nuovo lavoro oggi le hanno ridato la silhouette perduta.

ristorante-margherita-ibizaIl suo corpo, negli ultimi anni, si è nutrito con il cibo dell’anima, quello che non riempie solo lo stomaco ma che colma anche i vuoti più reconditi. «Sono scappata per disperazione: se non avessi toccato quel livello di dolore, non sarei mai fuggita», ha ammesso Yu Yu che ora è una quarantenne appagata e serena. Centomila residenti in inverno, milioni di turisti in transito d’estate, Ibiza ha subito incantato la ex pop star. Prima di aprire il ristorante Margherita, Giuditta ha trovato lavoro in uno dei concept store più rinomati dell’Isola delle Baleari. Poi è arrivato l’amore, quello di Piermario. Insieme hanno avuto una figlia, Nina. «La maternità è sempre stata il mio sogno, ma mi ero rassegnata all’idea che non avrei mai trovato il principe azzurro: tant’è che quando ho conosciuto Piermario mi ero da poco informata sul percorso da seguire per fare l’inseminazione artificiale a Barcellona», ha raccontato. Ma la vita, si sa, è imprevedibile. E così succede persino che, dopo aver trascorso anni a lottare contro una bestia nera chiamata anoressia, la ex hostess adesso si ritrova per ironia della sorte al timone di un ristorante di successo.


Tiberio Tesi nuovo dg di Confindustria Bergamo

Su proposta del presidente Ercole Galizzi, il Consiglio di presidenza ha nominato Tiberio Tesi nuovo direttore generale di Confindustria Bergamo a decorrere dal prossimo novembre. Tesi, 52 anni, di Varese, laurea in Scienze  politiche e attualmente Chief Operation Officer CEE alla SAS Institute Italia, dopo esperienze in HP, Compaq e SAP, succede a Guido Venturini, che ha svolto questo incarico dal 2008 e che manterrà rapporti di collaborazione con la presidenza di Confindustria Bergamo seguendo in particolare la nuova sede progetta al Kilometro Rosso. A nome della Presidenza e di tutti gli associati, il Presidente ha ribadito il più sentito ringraziamento per quello che in questi anni Guido Venturini ha fatto e per quello che continuerà a fare per le imprese bergamasche e ha rivolto a Tiberio Tesi gli auguri di un pieno successo per il suo nuovo incarico.


Protezione civile, Claudia Campana alla guida del CCV di Bergamo

Da una decina di anni è in prima linea a sostegno della prevenzione dei rischi, nel soccorso delle popolazioni colpite, nel contrasto e superamento delle emergenza insieme ad altri volontari. La seriatese Claudia Campana, iscritta dal 2007 nel Gruppo comunale di Seriate di Protezione civile, che coordina dal 2011, è la neo eletta presidente del nascente Comitato di Coordinamento del Volontariato su scala provinciale. Denominato CCV di Bergamo, comprende 120 realtà tra gruppi comunali e associazioni volontarie di Protezione civile, per un totale di circa 5 mila persone. Scelta tra una rosa di 22 candidati da tutta la provincia, in corsa per la nomina di delegato, Campana afferma: «Mi metto a disposizione insieme agli altri 10 delegati dell’esecutivo del Comitato per supportare la Provincia di Bergamo nella mitigazione dei rischi e nella gestione dei volontari, persone in gamba che si spendono con anima e cuore per gli altri. Credo molto nella collaborazione tra gruppi e volontari e mi adopererò per questo». Nel c orso delle elezioni per la nomina dell’esecutivo del Comitato di Coordinamento del Volontariato su scala provinciale, la carica di vicepresidente è andata a Marzio Moretti, presidente dell’Associazione Orobie Soccorso di Endine Gaiano. Come Segretario è stato nominato Diego Suardi, coordinatore del Gruppo comunale di Torre Pallavicina.

 

 

 


Bergamo, i Vip si raccontano a frigo aperto

La versione contemporanea del “dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei” è la fotografia del frigorifero. Sulle quantità, il tipo di alimenti, la disposizione dei prodotti e l’organizzazione c’è chi ha tracciato profili psicologici e mappe sociologiche (anche la Bbc ci ha costruito un’inchiesta) o creato percorsi artistici. È del resto piuttosto immediato farsi un’idea dello stile di vita e dei gusti di una persona e di una famiglia sbirciando tra gli scomparti e se riflettiamo su cosa c’è nei nostri potremo altrettanto facilmente renderci conto di quale piega abbia preso la nostra esistenza in determinato momento. Un gioco che quattro personaggi della nostra Bergamo hanno accettato di fare con simpatia, raccontando se stessi attraverso quella bottiglia tenuta in fresco, l’ingrediente irrinunciabile o la tentazione golosa.

La foodblogger

Vatinee, «all’interno due anime, una thailandese e una bergamasca»

Per una foodblogger, il frigorifero è in pratica uno strumento di lavoro. Tanto più se è tra le promotrici di una community come Bloggalline e la responsabile di un portale da un 1,3 milioni di contatti unici al mese e 3 milioni di pagine visitate, iFood, nato solo un anno fa dalla volontà di fare rete delle stesse blogger e già capace di proporsi come «la risposta dal basso a Giallo Zafferano». Lei è Vatinee Suvimol, thailandese cresciuta tra Singapore, Germania e Italia, approdata a Bergamo nel 2000, dove ha messo su famiglia e il suo studio di avvocato.

Abita a Colognola ed ha voluto un frigorifero non solo perfettamente inserito nella moderna cucina, ma anche efficiente e funzionale. All’interno due anime. «Io mangio quasi sempre thailandese – racconta –, è strano perché ho vissuto in Thailandia solo fino a sei anni, ma quando torno a casa dal lavoro, nel tardo pomeriggio, mi preparo quasi sempre un piatto orientale, anche una semplice zuppetta con noodle. Sarà il richiamo delle radici, non so, comunque mi fa stare bene». E così nel cestello delle verdure non manca mai il lemongrass, uno degli ingredienti che hanno reso famose le sue ricette. «È la citronella – spiega -. Ha uno stelo simile al porro, si affetta la parte bianca e si utilizza per il soffritto, ad esempio. Ha un sapore agrumato, vicino anche allo zenzero, quel che basta per dare il tocco thailandese che mi serve». Nel frigo si trovano anche melanzane thailandesi, differenti per forma e gusto da quelle occidentali, cavolo cinese, salsa di soia o di pesce e altri prodotti esotici, che non fatica a trovare in città, al negozio di via Angelo Maj, per la precisione.

Il resto della famiglia preferisce i sapori nostrani. «Mia figlia Sofia, sette anni, è thailandese di aspetto, ma “bergamasca” in fatto di gusti, mangerebbe solo polenta, cotoletta, spaghetti – svela – e mio marito ha sempre assaggiato tutto ma solo in Thailandia, salvo poi proporsi come perfetto intenditore di quella cucina quando abbiamo ospiti a cena». «Non mangiamo carne di maiale per scelta alimentare – prosegue -, in frigo ci sono quindi pollo, tacchino e manzo, verdure. Il pesce preferisco cucinarlo appena comprato». Cosa manca? «Spesso e volentieri il latte. Beviamo latte di soia, ma quello vaccino serve in molte ricette di dolci, che sono tra quelle più frequenti e apprezzate del mio blog (A Thai Pianist ndr.) e così mi ritrovo il più delle volte senza». Il prodotto che invece finisce con l’essere dimenticato è il coriandolo. «Mi piace tantissimo, ma ne basta poco in ogni piatto e così il mazzetto resta a lungo in fondo al cassetto del frigo».

Vatinee suvimol (3)Da brava blogger, inoltre, Vaty viaggia, scopre, gusta e si porta a casa tante chicche gastronomiche. «Se la cucina thailandese è quella del cuore, non vuol dire che non apprezzi quella italiana, tutt’altro – precisa -. Mi vengono in mente un bel piatto di spaghetti alle vongole, un filetto o le tante specialità regionali». E il successo dei suoi piatti sta proprio nella contaminazione. «Talvolta sono ricette della tradizione thailandese riproposte con ingredienti italiani – evidenzia -, in altri casi prodotti e piatti tipici di quella italiana con un accento esotico, come l’incontro tra porcini e curry, apprezzato dalla rete, o i paccheri di Matera abbinati a uno spezzatino di vitello preparato con curry e latte di cocco, con il quale ho vinto un contest nazionale. L’ultima tendenza, sul versante dei dolci è il tè macha, un tè giapponese che dà un colore verde intenso alle preparazioni».

Il calciatore

Bellini, «qualche sfizio c’è, birra e gelato su tutti»

Quanto al frigorifero, ha fatto un bel salto la bandiera dell’Atalanta Gianpaolo Bellini, un’intera carriera con la maglia nerazzurra e un commovente addio al calcio giocato, con tanto di rigore trasformato, nell’ultima partita al Comunale di quest’anno, contro l’Udinese. Nella sua vita da single il frigo era quasi un optional. Ci metteva acqua, birra e qualche piatto pronto surgelato, da riscaldare in caso di emergenza. «Stavo poco a casa e mangiare da solo non mi piace», ricorda.

Oggi invece, che è sposato con Cristina ed ha due bambini piccoli, due anni il primo, pochi mesi il secondo, nella sua casa di Mozzo di frigoriferi ne ha ben due «e sono sempre belli pieni – svela -. Soprattutto delle pappe e dei prodotti per i bambini, ma anche di tutto il resto. Preferiamo la carne al pesce, anche se il nostro primo bimbo ne è golosissimo e ci sta portando a consumarne di più. C’è la verdura, meno la frutta, che non amiamo molto. La spesa la facciamo insieme, mia moglie ed io, perché sono sempre carichi importanti».

I ritmi e le scelte sono quelli di una giovane famiglia che non ha molto tempo per cucinare, ma non rinuncia al gusto e alla qualità. «Il congelatore è sempre ben fornito, però i piatti pronti non ci sono più, se non qualche busta di risotto – dice il calciatore -. Facciamo scorta di carne e la surgeliamo perché è più comodo e ci permette di organizzarci meglio. Prepariamo piatti semplici, ma cerchiamo sempre di assaggiare anche qualcosa di particolare».

Come la mette uno sportivo con le tentazioni? «Qualche extra c’è – ammette Bellini – dei dolcetti, cioccolato, qualche bibita gassata e nel freezer sempre il gelato, anche d’inverno. Mi concedo un piccolo sfizio prima di andare a letto, come anche un bicchiere di birra la sera, la preferisco al vino. In fresco comunque teniamo sempre una bottiglia di bollicine per quando abbiamo ospiti e stare a casa con gli amici ci piace». È goloso anche di formaggi, «una fetta a fine pasto ci scappa, anche perché dei parenti hanno un allevamento e ci riforniscono di prodotti nostrani». E c’è pure il fratello Gianmarco che porta avanti l’attività dei bisnonni al ristorante Ai Burattini di Adrara San Martino, inserito nella guida Osterie d’Italia di Slow Food: «Quando andiamo da lui – afferma – spazzoliamo sempre tutto, per il frigo di casa non avanza niente».

Piccole trasgressioni a parte, resta un atleta che con il cibo non ha mai esagerato. «Ho però ho capito solo attorno ai trent’anni quanto è importante l’alimentazione per essere in forma, avere energia e vivere meglio – riflette -. Bisognerebbe farlo da giovani, le prestazioni sarebbero migliori e i risultati più duraturi. Prima però non ci pensi e mangi senza farti troppe domande». Oggi il suo “credo” alimentare lo attinge da sua suocera: poco di tutto. «Servono equilibrio, moderazione e variare il più possibile perché ogni alimento ha proprietà diverse – sottolinea -. Ho anche imparato a bere molta acqua, dà una grande mano, anche a chi non è sportivo». E se lo dice l’ex capitano…

Il provveditore

Graziani, «quella volta in cui ci dimenticai le chiavi di casa…»

Non si illudano gli studenti bergamaschi. Nel frigorifero della dirigente dell’Ufficio scolastico provinciale – l’ex Provveditorato, per chi i banchi li ha lasciati già da qualche tempo – non ci sono scheletri. Patrizia Graziani rispetta i principi di quella corretta alimentazione che la scuola cerca di insegnare sin dalla più tenera età per favorire l’adozione di stili di vita consapevoli e salutari. Nel frigo di casa sua, a Mantova, ad occupare lo spazio maggiore sono verdure e frutta di stagione. «Ce n’è una varietà infinita – racconta -. In particolare gradisco le verdure cotte al vapore o grigliate che, da buona mantovana, condisco con Parmigiano Reggiano, senza olio. Poi c’è il pesce, che cucino alla griglia per lo più, e talvolta della pasta fredda. Non mangio carne, invece».

Semplicità non significa rinuncia: «Sono piatti che appagano il palato e poi qualche trasgressione ogni tanto ci sta». Quella che ci confessa, per soddisfare la voglia di dolce, è per la Coca Cola e le bibite gassate, anche se le sceglie “light” o “zero”. Ma la meglio ce l’ha il vino. «Mi piace accompagnare il pasto con un buon bicchiere – afferma -, in particolare amo i rossi piemontesi. In fresco invece tengo le bollicine della Franciacorta, che fanno sempre festa». E non dimentica il territorio. «Pur partendo da ingredienti spesso poveri, la cucina mantovana è molto ricca, tanto da essere detta “la cucina dei principi” – spiega -. I tortelli di zucca sono un emblema ed ho la fortuna di avere una mamma che li fa in casa. Sono però un piatto prevalentemente invernale, così come i cotechini e gli zamponi, che preparo per mio marito». Della Bergamasca apprezza i funghi, la polenta taragna e i formaggi: «Branzi, Taleggio e alcuni stracchini li compro a Bergamo perché sono particolari».

Coerente con i suoi gusti è il reparto surgelati. «Sono pochi – rivela Patrizia Graziani – e semplici, come gli spinaci, il misto di pesce per preparare il risotto o i gamberetti, che mi piace aggiungere alle insalate». Niente piatti già pronti, invece. «Anche se si ha poco tempo, è molto meglio una pasta in bianco fatta al momento con un po’ di Parmigiano – dice -. Se gli ingredienti sono di qualità il risultato è comunque ottimo». Attenta è anche la sua gestione delle scorte. «Ritengo lo spreco un peccato – rileva -. Cerco di misurare gli acquisti e di non lasciare scadere i prodotti, il compito, del resto, è facilitato dal fatto che, con mia figlia che ha ormai preso la sua strada, siamo solo in due in casa».

«Non sono tra quelle persone che con il cibo hanno un rapporto simbiotico – riflette ancora -. Non mangio in grandi quantità e infatti sono molto magra, ma apprezzo i piaceri della tavola, la qualità dei prodotti, scoprire sapori particolari e percorsi». Quando si tratta di spezzare la tensione, però, sgranocchiare qualcosa aiuta e si lancia sui pomodorini Pachino, «sono gustosi ed hanno l’effetto delle ciliegie, uno tira l’altro». E qualche defaillance domestica l’ha avuta anche lei. «È ormai diventata una barzelletta di famiglia quella volta che nel frigorifero ci ho dimenticato le chiavi di casa: così almeno le ho ritrovate, sarebbe stato peggio averle perse», ricorda divertita.

Il cantante

Il Bepi, «è il frigo di un single che non sa cucinare e non ha voglia di lavare i piatti»

Ci mette poco Il Bepi a passare in rassegna il contenuto del suo frigo: affettati confezionati e piadine, formaggio, sempre per farcire la piadina, birra, vino bianco (ché quello rosso non va al fresco), frutta, della quale si dice molto goloso, e poi mozzarella, insalata e pomodori, le uniche verdure che trovano posto negli scomparti. «In verità ho visto esempi ben più desolanti», si smarca il cantautore e conduttore tv di Rovetta, al secolo Tiziano Incani, che del dialetto e delle radici ha fatto la sua cifra espressiva. «Il mio è il frigorifero di un single che non ama e non sa cucinare e che non ha nemmeno voglia di lavare troppi piatti, tanto meno padelle – spiega -. Se somiglia al Bepi? Direi nell’essenzialità, nella scelta di cibi semplici che non vuol dire di scarsa qualità e valore. Preferisco sfuggire invece al luogo comune del personaggio tutto “salàm de fèta zo” (il rito di affettare il salame intero ndr.): mi piacciono i salumi, ma anche le insalatone col tonno e non vado certo in crisi d’identità per questo».

Pur se gli capita spesso di mangiare fuori («soprattutto pizza o kebab»), non sono rare le occasioni in cui si gode, a orari umani, la sua cena ideale – a base di piadina o insaltona, appunto – felice di starsene da solo, «sul terrazzo nell’una o due sere di tutta l’estate in cui la temperatura a Rovetta concede di stare all’aperto». «Il vero dilemma della cena è se accompagnarla con il vino o la birra – confessa -. Dipende un po’ dall’umore, dalla giornata, dalle sensazioni, sono due piaceri diversi. Non sono di quelli che rifuggono l’acqua ai pasti – precisa -, non mi dispero se c’è, ma con una birretta è un’altra cosa». La sua preferenza nel tempo è passata dai sapori particolari delle rosse ad alta gradazione alle più fresche e leggere bionde tedesche o alle più amarognole e agrumate Ale. Quanto ai salumi, «quello che si trova più facilmente in frigo è lo speck – racconta -, sono amante di tutti i prodotti dell’Austria e del Tirolo, ad eccezione dei crauti. Poi c’è il prosciutto cotto, che va sempre bene se c’è qualcuno a cui offrire un boccone, e la coppa». «Forse non è proprio un’alimentazione sana – gli viene il dubbio -, ma in fondo alterno spesso con le insalatone», si rasserena.

Non è però goloso di dolci e sul cibo non ha un atteggiamento compulsivo. «Sono vanitoso quanto basta per frenarmi, non mi piace l’idea di vedermi grasso – dice Il Bepi -. Con l’alimentazione ho un rapporto garbato, non viscerale. Quando poi mi voglio viziare scelgo con cura locali dove mangiare e bere bene». Per quanto poco assortito, il suo frigo non è mai vuoto. «Il cibo è comunque conforto, consolazione – annota – e non mi va di tornare a casa, magari dopo una giornata impegnativa, e non trovare niente». Se le sue cene da single lo appagano, il problema di essere da solo in casa si manifesta con gli omaggi gastronomici che riceve. «A volte mi regalano vasetti di salsine sfiziose – evidenzia -, le utilizzo una volta o due, ma poi è inevitabile che vadano a male, servirebbero delle confezioni più piccole. È lo stesso motivo per cui non compro maionese o salsa tonnata. E poi ci sono i salumi. Se mi offrono una pancetta che faccio? La regalo a mia volta, anche se, per la verità, mi piacerebbe almeno assaggiarla».

Un’altra controindicazione dei suoi pasti casalinghi è che può capitare di “rilassarsi” un po’ troppo. «In una di quelle sere che avevo deciso di dedicare a me stesso – ricorda – ho fatto onore a un buon bianco. Proprio quella sera un vicino aveva scoperto chi fossi e deciso di farmi visita per conoscermi. Credetemi, ho cercato ogni modo per far sì che la conoscenza non si approfondisse in quella circostanza…».


Bergamo, cittadinanza onoraria a Simone Moro

Oggi, alle 18, nella sala Consiliare di Palazzo Frizzoni, Simone Moro ha ricevuto la cittadinanza onoraria di Bergamo. L’unico alpinista nella storia ad aver scalato in prima invernale quattro vette oltre gli ottomila metri ha tenuto una lezione di 30 minuti sulla montagna durante un Consiglio Comunale straordinario aperto al pubblico e a ingresso libero. E’ stato il sindaco Gori a leggere le motivazioni che hanno portato alla decisione di conferire la cittadinanza onoraria a Moro e a consegnare la pergamena.


Cavalieri del Lavoro, Mattarella nomina Pierino Persico

pierino persicoC’è il bergamasco Pierino Persico tra i 25 nuovi Cavalieri del Lavoro nominati dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha firmato quest’oggi il decreto, su proposta del Ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda.

Nato ad Albino l’8 ottobre del 1947, è dal 1976 alla guida della Persico Spa, oggi conosciuta in tutto il mondo per gli stampi e i prodotti all’avanguardia nei settori automotive, nautico e industriale. Il riconoscimento arriva nel 40esimo dell’attività, nata come modelleria in legno, in un sottoscala ad Albino – come ama ricordare -, e diventata simbolo di innovazione, capacità imprenditoriale ma anche profondo attaccamento al territorio.

Gli altri Cavalieri del Lavoro

  • BEDESCHI Guglielmo – Industria meccanica – Veneto
  • BOSCAINI Sandro – Industria vitivinicola – Veneto
  • BUCCI Massimo – Industria meccanica – Emilia Romagna
  • CANDELA Alberto Armando – Industria cancelleria e belle arti – Lombardia
  • CASELLI Ettore – Servizi finanziari/Credito – Emilia Romagna
  • CESARONI Alvaro – Industria meccanotronica – Marche
  • CLEMENTI Gabriele – Industria elettronica – Toscana
  • COLOMBO Roberto – Industria tessile/abbigliamento – Piemonte
  • COPPO Pierluigi – Industria complementi d’arredo – Lombardia
  • COZZANI Francesca – Industria manufatti in metallo – Liguria
  • DALLARA Giampaolo – Industria automobilistica – Emilia Romanga
  • DI AMATO Fabrizio – Servizi di ingegneria – Lazio
  • FARINA Maria Bianca – Servizi finanziari/assicurazioni – Lazio
  • FAZIOLI Paolo – Artigianato/fabbrica di pianoforti – Friuli Venezia Giulia
  • MARENZI Claudio – Industria tessile/abbigliamento – Piemonte
  • MOLTENI Carlo – Industria arredamento – Lombardia
  • MONTIPO’ Fulvio – Industria meccanica – Emilia Romagna
  • MOSCHINI Massimo – Industria metallurgica – Campania
  • NOCENTINI Paolo – Industria spedizioni/logistica – Toscana
  • PATANE’ Luca Pietro Guido – Industria turismo – Lombardia
  • PEYRANI Alberto – Industria elettromeccanica – Piemonte
  • PINO Nicola Giorgio – Attrezzature da trasporto – Campania
  • TABACCHI Ermenegildo Dino – Industria occhialeria e ottica – Veneto
  • VILLA Daniela – Industria chimica/cosmetica – Lombardia

Il discorso di Pierino Persico all’assemblea di Confindustria Bergamo del 2014 ospitata nello stabilimento della Persico 

L’intervista a sua moglie Isa Colombi, l’altra metà dell’impresa