Raul Montanari, quella volta che Marchesi inventò un piatto sulle mie parole per il Lago d’Iseo

In questi giorni è uscito il suo quindicesimo libro, si intitola La vita finora. Il protagonista è un professore delle medie che accetta un incarico in un paese in cima a una valle, la Val di Scalve. Non è un caso. Raul Montanari, classe ’59, scrittore, autore di racconti, sceneggiature e opere teatrali, traduttore tra i migliori in circolazione in Italia, da molti anni vive a Milano ma è originario di Castro, sul Lago d’Iseo. Un legame mai venuto meno, visto che molti suoi romanzi sono ambientati sul lago e nelle valli vicine. Le sue parole dedicate alla vista del Lago d’Iseo hanno persino ispirato a Gualtiero Marchesi un piatto. L’abbiamo intervistato per conoscere le sue preferenze a tavola e abbiamo scoperto che l’arte culinaria non ha molti segreti per lui.

copertina montanari

Che rapporto ha con il cibo?

È l’interfaccia con il mondo. Non c’è un atto più fisico che prendere un pezzo di mondo e metterlo nel proprio corpo. Da adolescente ho avuto con il cibo una relazione po’ tormentata, poi si è risolta. Il mio rapporto con la tavola è anche legato al piacere di fare da mangiare: cucinare è stato per me il primo gesto di autonomia in famiglia, la preparazione ad andare a vivere da solo. Si è caricato di un valore simbolico molto forte.

È un bravo cuoco?

Da bambino ero sempre con mia mamma e mia nonna in cucina a cercare di capire come preparavano i piatti. Come molti maschi che conosco mi piace cucinare i primi, è più divertente e l’operazione ti mette in contatto con materiali più piacevoli della carne. Penso onestamente di essere bravo a fare i risotti ma so fare un po’ tutto, tranne le paste ripiene, i casoncelli e i ravioli. Ho inventato anche qualche ricetta.

Ce ne dica una…

La più apprezzata sono gli spaghetti con il sugo di tonno, una ricetta che mi ha tramandato mia nonna e che io ho un po’ elaborato. È un modo completamente diverso di cucinare il pesce. Faccio il soffritto con la cipolla e non con l’aglio, unisco mezzo bicchiere di vino rosso, il pomodoro e invece del prezzemolo uso la salvia e alla fine ci va sopra addirittura il parmigiano grattugiato! Ha un gusto insolito, fa impazzire tutti. Hanno provato anche a copiarmela, ma senza successo.

È goloso? 

Non sono un fanatico salutista ma quando posso faccio attenzione. Controllo sempre le calorie e cerco di limitare i grassi animali. Poi magari mangio tanto ma lo so. In generale preferisco il salato. Sto riscoprendo ora i dolci: come chiusura di un pasto amo i dessert leggeri, tutte le variazioni di gelato, i sorbetti. A merenda mi piacciono le torte tradizionali preparate con ingredienti semplici come la farina integrale e quelle molto farinose come la sbrisolona.

Gira l’Italia tenendo conferenze e reading, le capita spesso di mangiare fuori?  Preferisce la trattoria o il ristorante? 

Per molto tempo ho preferito mangiare nelle case. Il ristorante mi sembrava come il cinema, un ambiente che poteva mettermi a disagio e che mi obbligava a una convivenza forzata con persone che non conoscevo. Invece anche grazie allo stimolo della mia compagna ho riscoperto il piacere di cenare fuori e di condividere con gli altri l’esperienza del mangiare. Preferisco comunque ambienti piccoli con luci basse e i tavoli in un angolo. In sale grandi mi sento a disagio. La trattoria e il piccolo ristorante sono le dimensioni perfette per me.

È originario di Bergamo, quindi conosce bene la nostra cucina. Ha un ristorante preferito nella nostra provincia?

In estate mi ritiro sul Lago d’Iseo, a Castro per scrivere e per andare a pesca (ma i pesci li libero). Una tappa immancabile è il ristorante La Campagnola a Lovere. Mi siedo sempre nella stessa sala, allo stesso tavolo. Qui prevale il piacere dell’ambiente e la simpatia travolgente del patron Angelo. Se invece voglio una cucina raffinata e gustarmi il pesce di lago, il ristorante Zù di Riva di Solto, è inarrivabile.

Le piace il vino, o preferisce la birra?

Oggi sono pari come preferenze. Da ragazzo invece bevevo solo birra e non avevo nessuna preparazione sul vino. Negli ultimi anni mi sono preparato e quando esco lo bevo. Ma da ex bevitore quasi esclusivamente di birra ho uno sbilanciamento verso il bianco e i bianchi bergamaschi sono molto buoni, i Franciacorta magnifici.

Negli ultimi anni si è affermata la formula della cena con l’autore. Che ne pensa?

In passato non mi piaceva perché è una situazione contraria al mio desiderio di rimanere appartato mentre mangio. Da un paio di anni mi è capitato di farlo in diverse parti d’Italia e ultimamente sto accettando sempre più questi inviti. In queste situazioni bisogna avere misura. I commensali per un po’ ascoltano con interesse poi vogliono mangiare. A volte scherzo dicendo loro che ascoltarmi è la tassa da pagare per farlo.

Ha un ricordo particolare legato alla cucina? 

Uno molto bello legato a Gualtiero Marchesi, il più innovatore e colto dei cuochi e persona dolcissima. Un giorno si è presentato durante un mio incontro col pubblico e mi ha raccontato di aver preso spunto dalla vista del Lago d’Iseo da Castro e da una mia frase che lo descrive riportata su un leggio, per creare un piatto, una tartare. È stata una delle cose che più mi ha inorgoglito.

C’è un cibo che non sopporta?

La bistecca. Amo invece molto i primi, il pesce e le verdure.

Chi inviterebbe a cena e dove lo ospiterebbe?

Forse un grande scrittore, Cormac McCarthy, scrittore western metafisico di cui ho tradotto quattro libri. Lo ospiterei a casa e in tavola servirei i miei spaghetti al tonno. Abituato com’è alle bistecche sono sicuro che lo stupirei.

Che ruolo ha il cibo nei suoi libri?

Spesso attribuisco le mie ricette ai personaggi. In diversi miei romanzi il protagonista è un giovane che vive solo e cucina. Il mio detective Velardi è un maniaco di cucina cinese; ha sempre con se una bottiglietta di salsa di soia che tira fuori e con cui irrora involtini e riso cantonese nei momenti più inaspettati. Un vezzo gastronomico che mi ha permesso di rendere questo supereroe intelligentissimo un po’ comico. Quando costruisco i miei personaggi compilo su ognuno un questionario di 24 domande. Che rapporto ha con il cibo è una delle prime domande. Poi non è detto che il lettore veda i personaggi mangiare o cucinare ma io lo so e nel ritratto si capisce.

Si riconosce con l’immagine classica dello scrittore che scrive circondato da tazze di caffè? 

Il caffè non mi piace, né mi piace fumare. Bevo il tè ma non mentre scrivo. Mi piace tenere separato lo scrivere dal mangiare

Scrittore, autore teatrale, tra i migliori traduttori italiani, lo scrittore bergamasco, spesso ospite in tv, è un cuoco esperto. Chiedetegli dei suoi spaghetti con il tonno.

Un giorno Gualtiero Marchesi è passato da Castro e si è fermato per ammirare la vista sul lago e la montagna. Ha letto le mie parole incise su un leggio e l’hanno così colpito che la sera ha inventato un piatto, una tartare.

 

*Photo credit Raul Montanari: Studio Tarzia Lovere 


Finale- tutto bergamasco- con il botto per la pubblicità virale degli asteroidi

 

Finale con il botto e un protagonista bergamasco per la campagna pubblicitaria del Buondì Motta. Pietro Ghislandi interpreta un sacerdote nell’ultimo capitolo del tanto discusso spot dell’asteroide, già virale con oltre 800.000 visualizzazioni su Youtube e girato da Carlani & Dogana. “Per una scelta dell’azienda lo spot è per ora visibile solo sul web, canale che permette sia una maggiore libertà espressiva, sia una lunghezza che va oltre i limiti imposti dalla tv”, afferma l’attore. Girato in un parco milanese nei pressi del Niguarda, trasformato in cimitero, il filmato di quattro minuti mostra Ghislandi celebrare i funerali delle vittime schiacciate dal corpo celeste, colpevoli di aver detto che “non esiste una colazione in grado di coniugare leggerezza e golosità”, mamma, papà, postino, bambina e il chirurgo che tenta di salvarli, mentre sfilano le immagini delle rispettive lapidi. L’interprete, con il libro dei salmi in mano, pronuncerà la stessa frase, causando la distruzione della terra. “Se partecipi a un film d’autore non hai un successo uguale, appena pubblicato su internet, ho ricevuto centinaia di messaggi, i clic per il corto in due ore erano 80.000 – sorride -. Sono felice di essere entrato in questa storia pubblicitaria.” Ai provini, per le parti del prelato e dell’attore, erano in 300. Ghislandi ha sbaragliato la concorrenza grazie a una recitazione cinematografica, fatta di sguardi e pause dai tempi giusti, non frenetici. Il finale vede il creatore, un nerd annoiato, davanti a un vecchio pc impegnato a riprogrammare il pianeta. “Vediamo, questa volta, quanto tempo impiegano per distruggersi”, dice mentre compare la scritta: “L’umanità riprenderà il più presto possibile sopra l’immagine della brioche. “Ma non è detto che sia la conclusione – afferma Ghislandi -: la creatività degli ideatori è tale che il seguito potrà essere sulla Luna o su Marte”.

 


Addio a Sergio Arrigoni, era il re del Taleggio

Il mondo caseario bergamasco perde uno dei suoi protagonisti. È morto ieri, all’età di 87 anni, Sergio Arrigoni, fondatore della omonima azienda di affinatura e stagionatura di formaggi, la più attività di questo tipo della Valtaleggio. Nato nel 1931 a Taleggio, Arrigoni dopo gli studi al collegio Sant’Alessandro di Bergamo era tornato nel paese natale per aiutare il padre nella gestione dell’azienda di famiglia (fondata nel 1859 dal bisnonno Giovanni) e dell’albergo Eden, attivo a Olda di Taleggio sino a una quarantina d’anni fa. Da quel momento aveva dato il via allo sviluppo dell’attività ampliando la gamma di prodotti e trasferendo uffici e magazzino nella più ampia e organizzata sede di Almè. Oggi la direzione dell’azienda è nelle mani delle tre figlie Carla, Giovanna e Stefania, che dal 2013 avevano ereditato dal padre la gestione dell’azienda.


Giovani imprenditori agricoli, Bergamo è terza in Lombardia per nuove attività

Con 38 nuove imprese agricole under 40 aperte nel primo trimestre 2017, la provincia di Bergamo si piazza terzo posto nel panorama regionale, dopo Brescia con 54 aziende e Pavia con 43. Seguono Sondrio con 35, Mantova con 26, Como con 22, Milano con 17, Cremona con 10, Varese con 9, Monza e Brianza con 7, Lecco e Lodi con 5 a testa. A sottolineare il dinamismo del settore agricolo provinciale è Coldiretti Bergamo,  in occasione della consegna degli Oscar Green regionali che si è tenuta questa mattina all’Acquario Civico di Milano, alla presenza di oltre cento giovani agricoltori di tutte le province lombarde. “I progetti presentati questa mattina – evidenzia Daniele Filisetti, Delegato di Coldiretti Giovani Impresa Bergamo – sono la dimostrazione di come i giovani agricoltori stiano portando creatività e innovazione nel settore. Le novità non riguardano solo gli aspetti tecnologici, ma anche nuovi modi di porsi ai consumatori, di reinterpretare in chiave moderna le tradizioni e la capacità di superare l’individualismo dando vita a progetti di filiera che coinvolgono varie realtà”.

E’ quanto ha fatto il bergamasco Francesco Maroni (della società FINLATT srl) che con alcuni soci ha dato vita a un nuovo modo di far conoscere e degustare i formaggi tipici del territorio e non solo con il “Bù Cheese Bar” aperto nel cuore di Bergamo e che questa mattina durante la premiazione degli Oscar Green ha ricevuto una menzione speciale per l’originalità del suo progetto. Un riconoscimento che va ad aggiungersi a quello di miglior cheese bar ottenuto nel 2016 agli Italian Cheese Awards. “L’idea è nata per valorizzare la produzione della Latteria sociale di Branzi – spiega Francesco – una realtà storica della provincia di Bergamo, ma collaboriamo anche con altre numerose aziende agricole”. Il legame con il territorio e la qualità dei formaggi serviti emerge anche dal nome: “Bù” è infatti un termine dialettale che significa “buono”.

Nella Bergamasca le aziende agricole under 40 sono 605, rappresentano il 12,3 % delle aziende agricole totali e spaziano dall’agriturismo alla coltivazione di frutta e piccoli frutti, dall’allevamento bovino con caseificio aziendale alla viticoltura, dall’allevamento delle capre o degli asini alla coltivazione di antiche varietà di cereali. Coldiretti Bergamo evidenzia che le aziende agricole oggi sono in mano a ragazzi sempre più preparati e motivati, supportati da una grande passione. La maggior parte di loro ha conseguito titoli specifici (perito agrario, agrotecnico, scienze agrarie, viticoltura ed enologia), ma non mancano meccanici, geometri, avvocati, esperti di pubbliche relazioni e ingegneri che nonostante studi non agricoli hanno scelto il “ritorno alla terra”.

In occasione delle premiazioni dell’Oscar Green è stata presentata anche “TerraInnova”, l’applicazione per smartphone rivolta a tutti gli imprenditori agricoli per rimanere sempre aggiornati. “TerraInnova” è fruibile da dispositivi mobili Android e IOS ed è ideata per supportare le attività delle aziende agricole attraverso una serie di specifici servizi integrati in un unico sistema sempre a portata di mano. Tra le varie utilità, oltre agli aggiornamenti sulla PAC e sui listini prezzi, è possibile consultare il meteo, le news e gli eventi del mondo agricolo, mentre una specifica sezione permette agli agricoltori di verificare la fattibilità della propria idea imprenditoriale alla luce delle opportunità offerte dal Programma di Sviluppo Rurale.

 


Letto per voi / Ferrazzi, dal Louvre e ritorno. La manager bergamasca vola da Macron

di Rossella Verga

Parigi chiama (anzi ri-chiama) la direttrice del Marketing territoriale del Comune. Non sono passati neanche tre mesi da quando è stata scelta a seguito di un bando pubblico per promuovere il «marchio» Milano nel mondo che Claudia Ferrazzi, quarantenne con una carriera in rapida ascesa, si prepara a fare di nuovo le valigie. Il presidente della Francia Emmanuel Macron l’ha chiamata per lavorare al suo fianco. Entrerà a far parte dello staff ristretto per occuparsi di cultura. Si chiude così (almeno per il momento) l’esperienza professionale milanese della manager selezionata a Palazzo Marino per uno dei ruoli considerati cruciali dal sindaco Beppe Sala. Claudia Ferrazzi, che si è formata su banchi del liceo classico «Sarpi» di Bergamo, in Città Alta, per poi approdare tra l’altro ai vertici del museo del Louvre di Parigi, all’Accademia di Francia a Villa Medici, a Roma, e all’Unesco, ha formalizzato le dimissioni dal Comune venerdì scorso. Era stata nominata il 3 marzo nella posizione apicale del settore Marketing territoriale. «Il candidato deve avere un’esperienza manageriale, maturata soprattutto a livello internazionale» era stata l’ indicazione di Sala, tradotta poi nel bando pubblico aperto a novembre e rilanciato a gennaio, perché nessun candidato aveva convinto il sindaco, per il quale l’internazionalizzazione di Milano figura tra i capisaldi del mandato.

 Lei è sembrata invece perfetta. Un curriculum di altissimo livello, tanto è vero che anche Macron l’ha selezionata subito tra i suoi collaboratori più stretti. Con lei, e con il marito francese Fabrice Bakhouche, il presidente Macron ha sempre mantenuto i legami negli ultimi anni, dai tempi dell’incarico della Ferrazzi all’Ispezione generale delle finanze (Igf, 2007-2011), l’organo di controllo, valutazione e consiglio al governo francese. Ma scorrendo il profilo biografico presentato a Palazzo Marino per concorrere al bando si legge anche altro . Claudia Ferrazzi ha avviato la sua carriera nella consulenza in strategia e organizzazione: da Cap Gemini a Boston Consulting Group, fino al 2006, nei rispettivi uffici di Parigi. Dopodiché è iniziata l’esperienza nel settore pubblico, al Ministero francese dell’Economia e delle Finanze con vari ruoli e all’Igf, appunto, dove ha assunto progressivamente funzioni di direzione ed è stata incaricata della gestione amministrativa e finanziaria e della riforma della gestione delle risorse umane del servizio.

Chiamata ai vertici del Louvre, ci è rimasta tre anni. Nel 2013 è tornata in Italia, a Roma, con l’incarico di segretaria generale all’Accademia di Francia. Da qui si sono aperte tante altre porte. Incarichi all’Unesco, nel cda della Galleria degli Uffizi (dal 2015). Una carriera in ascesa, si diceva. Con una partenza chiara dai tempi del liceo in Città Alta: la certezza che non avrebbe mai fatto il medico. «Ah no — ha detto in un’intervista all’Eco di Bergamo — medicina era esclusa da subito, basta mio padre, con quell’esperienza». Claudia Ferrazzi è figlia di Paolo, il cardiochirurgo che con Lucio Parenzan ha effettuato il primo trapianto di cuore agli Ospedali Riuniti di Bergamo. Per lei, invece, università allo Iulm a Milano, relazione pubbliche. E poi tutto in volata. Fino a Macron.

  • dal Corriere della Sera del 22 maggio 2017


Mondo della notte in lutto: è morto Benvenuto Maffioletti, patron del Bobadilla

 

E’ morto ieri sera, nella Clinica Castelli di Bergamo, dove era da tempo ricoverato, Benvenuto Maffioletti, patron del Bobadilla Feeling Club di Dalmine. Avrebbe compiuto 77 anni il prossimo 9 marzo. Da tempo Maffioletti combatteva contro un enfisema polmonare che s’era aggravato negli ultimi tempi, tanto da costringerlo al ricovero già dai primi di gennaio. I funerali sono già stati fissati: si terranno nella nuova parrocchiale di Dalmine martedì, alle 14,30, con partenza dal “Boba” dove Benvenuto sarà trasferito verso mezzogiorno dalla Casa del Commiato di Seriate. Maffioletti lascia la moglie, Anna Marchesi, e i figli Omar e Valter.

Con loro, in questi anni, ha tenuto alto il nome di un locale che ha fatto epoca nella provincia di Bergamo, grazie anche a validi collaboratori come Fabrizio Pirola, “storico” direttore del locale, e Stefano Bertoletti, subentrato negli ultimi anni. Maffioletti aveva scelto come data d’inizio dell’avventura Bobadilla quella del suo compleanno. Il 9 marzo del 1972 nasceva, infatti, sulle ceneri della Cascina Bianca, un locale moderno e funzionale, rilanciato poi negli Anni 90 con il restyling affidato alla firma dell’architetto Ico Parisi. Il risultato è quel che Maffioletti aveva chiaro in mente: una discoteca elegante, innovativa, capace di interpretare al meglio i tempi moderni esaltando anche il ruolo della ristorazione. Un locale che ha fatto tendenza, dove sono passati anche artisti del calibro di Ornella Vanoni, Gino Paoli, Lucio Dalla, Adriano Celentano e Valter Chiari, per citarne alcuni. Album che Benvenuto Maffioletti, amante del jazz, ha arricchito con altre immagini straordinarie, quelle di Dave Holland, Herbie Hancock, Chet Baker Quartet, Gerry Mulligan Quartet e Sarah Vaughan, leggende del jazz che negli Anni 80 si sono esibite al Bobadilla. Benvenuto Maffioletti era un imprenditore con la “I” maiuscola, capace di tenere costantemente alto, per decenni, il livello del suo locale. Non è cosa da tutti. Ecco perché da oggi il mondo della notte è un po’ più povero.

 


Svolta al Coro Idica, per la prima volta una donna alla guida

Una donna (la prima) alla guida del Coro Idica (Italiano Di Canti Alpini). La nota compagine corale maschile – ininterrottamente attiva da 60 anni, emblema del canto di montagna, con i suoi oltre 2.400 concerti tenuti in ben 32 nazioni del mondo – ieri sera ha eletto all’unanimità il suo nuovo presidente. Simona Visinoni di Clusone – dove l’Idica è nato – un trascorso da presentatrice del Coro tra gli anni ‘80 e ‘90, succederà a uno dei tre fondatori: Cesare Ferrari che – come già annunciato – dopo una lunga e preziosa presidenza, con il sessantesimo anniversario di fondazione, lascerà l’incarico il prossimo giugno quando, al termine del mandato del Consiglio direttivo, gli sarà conferita la carica di presidente onorario.

Il nuovo Consiglio del Coro Idica è così composto: presidente Simona Visinoni; vicepresidenti Giacomo Luzzana e Giuliano Zanoletti; Segretario Omar Balduzzi; Tesoriere Martino Carzaniga; Consiglieri Marco Carrara, Gianni Mazzoleni, Fulvio Ranza e Giampietro Zucchelli. «Mi sento onorata – afferma la neo presidente Simona Visinoni -. Non ambivo a questa carica. Mi è stato chiesto e ho accettato questo ruolo nello spirito di amore e di servizio al Coro che da sempre è nel mio cuore. Spero di essere un presidente capace di raccogliere e proseguire la grande eredità di Cesare Ferrari cui il Coro e io stessa dobbiamo molto. Ci attendono nuove ed entusiasmanti sfide. So che potrò contare sulla collaborazione e la condivisione da parte di tutti, appassionati e sostenitori, che ringrazio per la fiducia e l’accoglienza calorosa».

Coro Idica

La creatività, l’ottimismo, l’amicizia sono tratti distintivi inseriti, quasi una sorta di dna, in tutta la lunga ed ininterrotta attività del Coro Idica, costituito formalmente il 29 marzo 1957, che, in questo lungo periodo, ha integrato con canti presi dal folclore italiano ed internazionale il repertorio di brani popolari, legati alla tradizione e al gusto della gente di montagna, con il quale ha iniziato ad esibirsi. Il suo primo maestro, Kurt Dubiensky ha inoltre composto per il suo Coro numerose canzoni, alcune delle quali hanno raggiunto fama internazionale. A lui si affiancò per lungo tempo il maestro Gian Luigi Bigoni che gli subentrò come direttore 1992 al 2015. Attualmente il Coro è diretto dal maestro Marco Rovaris. Numerosi sono i riconoscimenti collezionati in Italia e nei viaggi all’estero, dagli U.S.A, in Brasile, alla Thailandia, piuttosto che in svariati Paesi d’Europa fino alla Russia. Degli eventi che formano il ricco palmares del Coro Idica (www.coroidica.it) sono testimonianza gli svariati elogi che ricoprono e adornano le sale della prestigiosa sede al pianterreno del Palazzo Marinoni-Barca che ospita anche il Museo Arte e Tempo di Clusone (Bg). Recentemente è stato presentato un volume che ripercorre i 60 anni del Coro Idica che, lo scorso 30 novembre, ha cantato per il presidente della Repubblica Sergio Matterella durante la sua visita a Bergamo.

 


Fimaa assegna il “Premio alla carriera” a Emanuele Prati

È stato consegnato ieri il Premio alla Carriera 2016, il riconoscimento che Fimaa Bergamo, la Federazione degli agenti immobiliari aderenti ad Ascom Confcommercio Bergamo, attribuisce ad un personaggio bergamasco che si è distinto in ambito lavorativo.

Questa seconda edizione è stata un premio alla memoria, in quanto si è voluto ricordare Emanuele Prati, segretario generale della Camera di Commercio di Bergamo, morto improvvisamente lo scorso 13 ottobre. La targa è stata consegnata da Paolo Malvestiti, presidente dell’Ascom Confcommercio Bergamo e della Camera di Commercio Bergamo, e da Luciano Patelli, presidente Fimaa Bergamo, alla moglie e al figlio di Prati, con la seguente motivazione: “Per aver contribuito alla crescita professionale della categoria degli agenti immobiliari bergamaschi”. Prati, infatti, nel corso della sua carriera, ha valorizzato il ruolo degli agenti immobiliari, ha istituito per la categoria i corsi di formazione e ha sempre presieduto le commissioni d’esame.

La cerimonia di consegna è avvenuta ieri nell’ambito del convegno promosso da Fimaa, Ascom Confcommercio Bergamo, Collegio dei geometri di Bergamo, Appe – Confedilizia dal titolo “Fascicolo casa/ Relazione di conformità, certezze e responsabilità” che si è svolto all’Istituto Giacomo Quarenghi.

Davanti ad una platea di oltre 200 geometri e agenti immobiliari è stato presentato il protocollo d’intesa tra Fimaa e Collegio provinciale dei geometri e dei Geometri laureati a tutela del consumatore, che garantisce la regolarità urbanistico-catastale degli immobili.

 


Medaglia d’oro a Muti. Il maestro: “Grazie Bergamo”

unnamed-1Il maestro Riccardo Muti, ospite del Festival Donizetti Opera per il cinquantesimo anniversario del suo esordio a Bergamo, con un concerto in programma stasera al Teatro Donizetti, ha ricevuto oggi pomeriggio la medaglia d’oro da parte del Comune di Bergamo nel corso di un Consiglio straordinario. Presente anche il presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni che ha parlato di “giusto riconoscimento a un grande maestro”. Muti ha ringraziato per il riconoscimento tributatogli dalla città di Bergamo a cui è legato il ricordo della sua prima direzione d’orchestra. mail05tx0038


Gli intollerabili commenti su Fidel tra realtà e nostalgie giovanili

fidel-castroCome ho sempre sostenuto, noi non siamo pronti per la storia: troppo impegnati a fare il tifo, troppo disposti allo schieramento, per avere il senso dell’oggettività storica. Andiamo avanti da settant’anni con gli strascichi di una guerra civile che, in altri paesi, sarebbe stata digerita da almeno mezzo secolo: ancora oggi, in un mondo governato da ben altri meccanismi e con ben altri rischi totalitari, c’è gente che starnazza di fascismo e di antifascismo, accapigliandosi per proibire di qua, celebrare di là, mettere e levare cittadinanze, lapidi, corone di fiori. Siamo immaturi, storicamente parlando: ci manca quella capacità di affrontare sine ira et studio le capriole della storia e le insidie della memoria, tanto collettiva quanto individuale, che, in questo Paese, è una fonte tutt’altro che attendibile. Per questo, quando leggo i commenti di questo o di quel colore alla dipartita di Fidel Castro, una parte di me ridacchia divertita, mentre un’altra parte s’incazza come un bufalo. Il regime di Castro a Cuba, come tutte le dittature del Novecento, è stato un fenomeno complesso, da contestualizzare e da analizzare con pazienza e spirito scientifico: io dico che ci vorranno altri cinquant’anni, prima che lo si possa definire in una maniera storicamente accettabile. Ma che Castro sia stato un dittatore sanguinario e con un culto smodato della propria personalità, questo è sotto gli occhi di tutti: un assassino è un assassino e una viola mammola è una viola mammola, anche se l’assassino combatte contro il gigante Golia.

Invece, forse perché Castro, con la sua appendice, altrettanto sanguinaria ma assolutamente iconica, rappresentata da Ernesto “Che” Guevara, è stato il supereroe buono di tanti sogni adolescenziali di quelli che oggi fanno informazione in questo Paese, a leggere i giornali sembrerebbe che stessimo parlando di Batman e Robin. Facciamo a capirci, signori giornalisti: un conto è la nostalgia per i vostri formidabili vent’anni e altro è la realtà. Un conto è il vostro individuale e collettivo delirio dietro a bufale politiche come il Nicaragua, il Vietnam o Cuba ed altro è la sofferenza dei popoli, il massacro degli oppositori, la repressione della libertà. Io capisco che possa essere consolatorio illudersi di essere stati belli e puri, e di avere avuto ragione: ma avevate torto marcio, quando sostenevate alcune tra le più buie dittature del XX secolo, come avete torto marcio oggi a fare finta di essere tutti anime candide. Così, le rievocazioni dei barbudos che uno contro mille vincono, perché i buoni vincono sempre, viva la revoluciòn, hasta la victoria siempre, non raccontano che un pezzettino mignolo mignolo della Cuba di Castro: quello più presentabile, più accattivante.

Certo, il nano caraibico che sfida l’embargo del gigante americano fa simpatia: ma non si può trasformare questa istintiva simpatia in una formidabile fetta di salame sugli occhi. E dire che la sanità cubana è la migliore del mondo, tenendo conto dell’embargo e della condizione generale dell’isola, è una stupidaggine colossale: sarebbe come dire che il clima della Mauritania, tenendo conto della sfiga di avere un deserto proprio da quelle parti, è l’ideale per chi soffra di reumatismi. Insomma, esaminiamo pure la storia personale e politica di Fidel Castro con tutta la benevolenza possibile ed immaginabile, ma non trasformiamo il dato storico in una pochade: questo non può essere tollerato. Non lo si può fare per rispetto delle migliaia di persone che Castro ha fatto uccidere, scomparire, incarcerare: per gli oppositori, gli omosessuali, la gente qualunque che ha passato anni nelle carceri di cui, all’inizio, il responsabile era proprio il santo laico Guevara, e che non è mai uscita o ne è uscita per venire ammazzata. Esiste un pudore della storia, una dignità degli storici: oltre un certo limite non si può andare, perché sarebbe indecente farlo.

Giustificare i lager, i gulag, i laogai sarebbe indecente: giustificare Castro rientrerebbe nello stesso tipo di indecenza. Dunque, studiamola, questa rivoluzione cubana, facciamo confronti, collochiamola nel giusto contesto: ma celebrare un dittatore o, peggio, far finta di ignorare o dimenticare gli aspetti drammaticamente crudeli della sua dittatura, come hanno fatto tanti politici, scribacchini, mezzibusti e perfino il Papa, quello, lasciatemelo dire, è intollerabile. Dovrei pensare, allora, che tanta gente colta, preparata, importante, è talmente collusa con la sporcizia del potere da mentire per la gola: da assolvere un dittatore e condannarne un altro, in base al colore della dittatura? Non voglio crederlo: preferisco immaginare che, a caldo, prevalga la nostalgia per la propria stupidità giovanile, che ammettere di vivere in mezzo a tante carogne. E, infine, ho notato, sempre fra il divertito e l’incazzato, il necrologio di Castro pubblicato da “L’Eco di Bergamo” su mandato dell’associazione Italia-Cuba, come se fosse morto Bige Ramella, valente beccaccinista. Mi sono detto che, certamente, la pecunia, come dicevano i latini, non ha odore: ma, qui, di odori ne circolano altri, e tutti piuttosto intensi quanto a fragranza.