Di Carlo: «I dolci restano il tallone d’Achille della ristorazione»

leonardo di carlo 2Dopo la cucina, è la pasticceria la nuova passione e il nuovo mito professionale. Ulteriore declinazione del desiderio di esplorare il mondo del gusto che caratterizza questi anni, ha trovato una sponda potente nel moltiplicarsi di trasmissioni tv, fino ai  talent show e ai programmi sulle maggiori reti nazionali. Un boom mediatico e con esso di appassionati e di aspiranti pasticcieri, conquistati da pan di Spagna, ganache, cremosi, croccanti e dalla sottile alchimia che permette di realizzare un dolce perfetto. Un fenomeno che Leonardo Di Carlo conosce bene. Campione del mondo di pasticceria nel 2004, ha scelto di fare il consulente e formatore ed è stato, insieme a Luigi Biasetto e Roberto Rinaldini, giudice del talent di Raidue “Il più grande pasticcere”. sarà docente di due corsi per professionisti all’Accademia del Gusto di Osio Sotto lunedì 30 marzo (“Ristorazione: il carrello dei dolci” – 8 ore) e martedì 31 (“La pasticceria salata” – 8 ore).

Ora tutti vogliono fare il pasticciere, la forza della tv?

«Senza dubbio, anche se si deve ricordare che dietro l’immagine serve sempre la sostanza. È proprio con questo obiettivo che io e i miei colleghi abbiamo partecipato alla trasmissione: far vedere cosa c’è dietro la giacca del pasticciere – ossia preparazione, competenza, sacrificio, confronto – e per valorizzare il più possibile la pasticceria italiana».

A che punto è la nostra pasticceria?

«Io credo molto nella nostra tradizione pasticcera e la mia missione è proprio quella di diffonderla in tutto il mondo. Abbiamo degli ottimi prodotti, delle ottime materie prime, nulla da invidiare al resto del mondo. Si tratterebbe piuttosto di trovare quella competenza e sicurezza necessarie a promuovere le nostre specialità. Anche lo Stato dovrebbe essere più presente, aiutare le pasticcerie, non chiedere solo, ma dare degli incentivi, promuovere l’aggiornamento, perché il pasticcere è un artista, un artigiano, ma anche un imprenditore».

Quali possono essere i prodotti vincenti?

Antonio Castellani Fotografo - 335 5261277 - www.castellani.name

«Penso ai mille modi in cui si può realizzare un tiramisù o una panna cotta e poi i lievitati classici, panettone, colomba, pandoro, i dolci della domenica, anche in formati più piccoli. Ce ne sono di possibilità…».

E il cake design dove lo mettiamo?

«Anche questo fenomeno è stato soprattutto importato in Italia, grazie alla tv! Personalmente lo considero frutto di una esteriorità che in generale abbaglia ma non conquista. Ovvero potrebbe anche essere accostato in pasticceria, ma il pasticcere che adotta il cake design nel suo laboratorio, se riesce a farlo bene, deve anche far pagare il dolce finito al prezzo giusto: tenendo presente che questo tipo di decorazione porta via molto tempo ed il tempo è un costo per l’impresa artigiana, possiamo decidere di far pagare al cliente un prezzo elevato, ma giusto per non rimetterci, o decidiamo di regalare il nostro prodotto, magari anche usando materie prime scarse. Per quanto mi riguarda, amo le decorazioni minimaliste, curate ed eleganti, in grado di catturare l’occhio e di far sognare ancora prima di degustare».

Quali sono, allora, le nuove tendenze?

«La ricerca è verso prodotti un po’ più leggeri, digeribili, attenti anche all’apporto calorico. Non che le pasticcerie debbano diventare delle farmacie, intendiamoci. I dolci sono dolci per definizione e lo zucchero resta uno dei ingredienti principali di tutte le preparazioni. Non va demonizzato, anche perché è un prodotto naturale, ma può essere utilizzato in maniera più accorta, salvaguardando il piacere».

Da consulente e formatore professionale richiestissimo, quali sono le principali criticità che ha individuato nelle pasticcerie?

«Le criticità sono date dall’imposizione fiscale per le piccole/medie aziende artigiane, che opprime con la tassazione e gli oneri. Ciò che si può fare per cercare di mettersi in tasca qualcosa in più è ottimizzare la produzione con le attrezzature necessarie, migliorando i processi e l’impiego della manodopera. Si può fare il dolce più bello del mondo, ma deve essere realizzabile e sostenibile economicamente».

I due corsi che terrà all’Accademia del Gusto sono dedicati alla pasticceria salata e al carrello dei dolci nella ristorazione, due aspetti solitamente poco considerati…

«La pasticceria salata è un’interessante opportunità, nell’ottica dell’ampliamento e dell’integrazione delle proposte, soprattutto ora che molte attività effettuano servizio nell’arco di tutta la giornata ed hanno l’esigenza di offrire prodotti anche per la pausa pranzo o l’aperitivo. Non si tratta di realizzare preparazioni complicate, io sono convinto che la genialità stia nella semplicità, senza però cadere nella banalità, ma occorre credere in quello che si fa e non accontentarsi di seguire gli altri. Sempre nella logica dell’ottimizzazione del lavoro e della fattibilità, ad esempio, da un panetto base si possono realizzare tipologie diverse di panini, aromatizzati con peperoncino, con origano, con olive e noci e altro ancora».

E dei dolci al ristorante cosa ne dice?

leonardo di carlo

«Sono sempre stati il tallone d’Achille, spesso non hanno alcuna coerenza con la proposta e passa quasi la voglia di ordinarli. Non è però solo un problema di costi e organico, perché si possono preparare dolci semplici, che non richiedono tante ore di lavoro, ma curati, come crème carmel, dolci da forno, crème brûlée. Non ci sono alibi per non proporre un buon dolce».

La sua filosofia della semplicità è tutto il contrario della corsa all’invenzione che sembra animare la pasticceria di questi tempi…

«Sono sempre stato controcorrente. Non ho mai seguito le mode, ho semmai cercato di crearle, ragionando sui fondamentali. È la stessa visione che ho adottato nel mio libro “Tradizione in Evoluzione”, che ha richiesto quasi quattro anni di lavoro ed ora è alla terza edizione e ha debuttato nella versione inglese da poche settimane. Non è un volume che vuole dimostrare quanto sono bravo, ma dare a chi lo consulta tutti gli strumenti per costruire un proprio modo di lavorare e di evolversi».


Mosler: “I parametri di Maastricht hanno creato solo impoverimento e disoccupazione”

Warren Mosler, economista statunitense,  fondatore – con un’esperienza alle spalle di oltre trent’anni nel mondo della finanza – della Modern Money Theory, sfata i falsi miti dell’economia con cui siamo abituati a interpretare i fattori macroeconomici. La piena occupazione e la stabilità dei prezzi sono scelte esclusivamente politiche, alla portata di qualsiasi stato con sovranità monetaria, basta solo aumentare la spesa pubblica . I parametri di Maastricht che fissano un tetto al deficit degli stati membri hanno imbrigliato le nazioni dell’Eurozona e creato austerità e disoccupazione.

Il recente decreto salva-Roma, le polemiche sui fondi alle aree a statuto speciale e le difficoltà di bilancio dei Comuni di Napoli, Catania e Torino dimostrano che le differenti aree geografiche hanno trattamenti molto diversi da parte dello Stato. A pagare il conto però sono soprattutto Lombardia e Veneto, che – pur subendo pesantemente gli effetti della crisi – sono ancora quelle che permettono di pagare i conti delle altre Regioni. In questo momento di difficoltà è giusto mantenere lo stesso meccanismo di oggi, aiutando il Mezzogiorno e le altre zone disagiate, oppure bisogna favorire la locomotiva lombardo-veneta (anch’essa in difficoltà) in modo che riparta e possa tornare a trainare il Paese e la ripresa?

“Le tasse del Nord non aiutano il Sud e viceversa. E’ solo un giro di soldi nel medesimo contenitore, l’Italia, lontana dalla ripresa con la tassazione insostenibile di oggi. L’unica soluzione per raggiungere l’equità sociale e tasse e prezzi più bassi per tutti è quella di incrementare la spesa pubblica. Per premiare la produttività e l’efficienza di un’area rispetto all’altra si può modificare la spesa pubblica e bilanciare le tasse in ogni area geografica. Bisogna ritrattare i criteri di Maastricht innalzando il tetto del deficit all’8-8,5%”.

Qual è oggi la priorità per rilanciare imprese e lavoro: liberalizzare contratti di lavoro in entrata e in uscita?

“Bisogna partire dal presupposto che, in generale, alla imprese non piace assumere chi è disoccupato, specialmente dopo due o tre anni di assenza dal mercato del lavoro, anche se si è molto qualificati e si hanno competenze elevate. Una soluzione per favorire il reinserimento lavorativo può essere rappresentata dall’impiego di transizione. Questo tipo di impiego facilita la transizione dalla disoccupazione all’impiego nel settore privato, come è stato dimostrato laddove è stata messa in atto. La Banca Centrale Europea potrebbe finanziare un posto di lavoro di transizione per tutti coloro che siano a disposizione per quel lavoro con una retribuzione salariale minima stabilita”.

Un detto popolare afferma che il buongiorno si vede dal mattino. Ma ad oggi, mentre il governo ha dato il via libera all’aumento della Tasi, non si sente ancora parlare di taglio dei costi e delle spese inutili. Per quale ragione in Italia è tanto difficile tagliare le spese? La responsabilità va ricercata nella mancata volontà della classe politica o – per incapacità o mancanza di volontà – nei burocrati che scrivono leggi, decreti legge e decreti attuativi?

”Gli sprechi vanno sempre  eliminati, in modo  che queste risorse possano essere rimesse nell’economia. Con una maggior efficienza di gestione si può arrivare ad  abbassare le tasse. Ma questo non è sufficiente, serve incrementare il deficit italiano. Bisogna guardare al deficit come ad un’opportunità e non ad un limite: da sempre i Paesi che hanno un deficit pubblico elevato sono contraddistinti dalla maggior crescita. Visto che ai politici italiani piace tanto spendere  e spandere, non resta che aumentare la spesa pubblica per far tornare a girare l’economia. I parametri di Maastricht hanno creato solo impoverimento e disoccupazione.  Con la disoccupazione al 12,6% i tagli alle tasse efficaci per far ripartire l’economia dovrebbero arrivare a 100 miliardi di euro, ossia esattamente dieci volte tanto quello che si annuncia di voler fare”.


Addio ad Arzano, una vita tra jazz e giornalismo sportivo

Arzano - CopiaA 87 anni, compiuti da pochi mesi, si è spento Paolo Arzano, una carriera divisa tra la carta stampata e la musica, il jazz in particolare. Nato ad Alba (Cuneo) il 5 novembre del 1927, Arzano ha legato a filo doppio il suo nome e la sua professione alla città di Bergamo, dove il padre, ufficiale dell’esercito, aveva deciso di mettere radici dopo un lungo peregrinare per l’Italia. Un baricentro di vita, il capoluogo orobico, ma anche di professione. “Meglio essere il numero uno a Bergamo che uno dei tanti a Milano” soleva ripetere ai colleghi, ai quali spesso parlava anche dei maestri che l’avevano ispirato: Ugo Cuesta, ex direttore del Tempo di Milano e della Gazzetta di Parma e direttore al Giornale del Popolo; Alessandro Minardi, subentrato al grande Giovannino Guareschi alla direzione di Candido e che sostituì Cuesta al Giornale del Popolo, e, infine, monsignor Andrea Spada, storico direttore dell’Eco di Bergamo. Giornale, quest’ultimo, dove Arzano, giornalista prettamente sportivo, muove i primi passi come collaboratore. Un impegno che affianca a quello di corrispondente di Stadio. Arzano diventa praticante con l’assunzione al Giornale del Popolo. Professionista dal 1956, oltre al lavoro nei quotidiani (dal 1964 passa a L’Eco di Bergamo dove resta per 15 anni, 12 dei quali da caposervizio dello sport) dirige anche diverse testate locali, come il quindicinale Boxe Match (1954), il mensile Bergamo Motori (1957) e il quindicinale Lombardia Nove (1968). Tra le sue creature anche un’agenzia di stampa – l’Alin (Agenzia lombarda informazioni) – pubblicata settimanalmente a mezzo ciclostile. Un’idea mutuata dalle agenzie nazionali di Roma, in pratica un foglio ciclostilato con le notizie più significative della settimana inviato a tutti i cittadini bergamaschi.

Tra le varie esperienze, anche la collaborazione con la Regione Lombardia presieduta da Piero Bassetti (1970-’74). Arzano contribuisce a creare Nuova Lombardia, una sorta di antesignano dei vari ViviMilano e TuttoMilano e la dirige fino al 1975, anno in cui approda a Bergamo Radio (la prima emittente bergamasca) di cui è direttore fino al 1978. Nel 1984 arriva la nomina a condirettore di Bergamo Oggi, mentre qualche anno dopo, dal 1990 al 1995, diventa addetto stampa del Comune di Bergamo, sindaco Giampietro Galizzi. Terminata l’esperienza a Palazzo Frizzoni, dal 1997 al 1999 riveste il ruolo di direttore editoriale del Nuovo Giornale di Bergamo.

Grande appassionato di jazz, Arzano è stato direttore artistico di Bergamo Jazz e ha scritto anche diversi libri, tra i quali “Una storia dell’Atalanta” (con Elio Corbani), “Bergamo da scoprire” (con Pietro Sparaco), “Jazz live in Bergamo”, “Papa Giovanni, missione nei Balcani” (con Maurizio Minardi).


La sfida di Rossi? “Far pensare in grande i Comuni”

Rossi ProvinciaIeri, nella sala consiliare di via Tasso, il presidente della Provincia Matteo Rossi ha ricevuto i 68 giovani alunni delle classi quinte della scuola primaria Capitanio di Bergamo. La vivace e numerosa comitiva ha visitato il Palazzo e, soprattutto, intervistato il presidente. Intervista che ha riguardato innanzitutto l’Ente anche alla luce dei cambiamenti in corso in questi mesi: i bambini infatti stanno studiando l’ordinamento della Repubblica italiana e hanno potuto quindi approfondire il nuovo ruolo dell’ente provinciale e le nuove modalità di elezione del presidente. Ma non sono mancate le curiosità e le domande di carattere più personale: “Il suo lavoro è noioso o divertente?”, “È contento del suo ruolo nella politica?”, “È simpatico il sindaco di Bergamo? Ci ha mai discusso?”, “Quanto guadagna al mese? Guadagna di più di Gori?”, “Si sente importante?”.

Rossi ha risposto stringe la mano all’insegnante fuori dal PalazzoIl presidente Rossi ha saputo stare “sotto torchio” e rispondere a tutti i quesiti che gli sono stati posti. Alla domanda su come è organizzata la giornata del presidente ha risposto: “Al mattino non sono qui, svolgo il mio lavoro, che è il più bello del mondo, quello dell’insegnante. Il lavoro da presidente inizia invece alle 14 nel mio ufficio e la sera la dedico a girare il territorio, a incontrare le persone e a ascoltare i problemi. A volte il sabato e la domenica ci sono momenti belli, inaugurazioni, celebrazioni, a cui il Presidente viene invitato”.

L’incarico più complicato? “Trovare i soldi per realizzare i nostri progetti. Compito della mia carica è anche vivere giorni come questo di oggi, cioè, incontrare le persone e ascoltarle. Quelli sono i momenti migliori, i più piacevoli. Per chi ha scelto di fare politica, stare in mezzo alle persone è la cosa migliore che può capitare. Se ciò non ti piace è inutile fare politica”.

Cosa ha in progetto? “Le due cose che lasceremo in eredità: la prima aiutare i Comuni a lavorare insieme (abbiamo fatto il primo passo con il nuovo Statuto). La seconda, riuscire a farli pensare in grande, su misura europea”.

Alla fine dell’incontro, Rossi ha salutato i ragazzi, uno per uno, e ha donato loro, come ricordo della giornata, un gioco educativo sul mondo rurale e un plico con la storia dello stemma della Provincia.


E’ Gualtiero Marchesi l’Ambassador dell’Expo

MarchesiGualtiero Marchesi è diventato Ambassador di Expo Milano 2015. Lo chef milanese, conosciuto e apprezzato in tutto il mondo, entra così a far parte della grande famiglia dell’Esposizione Universale. Le sue creazioni culinarie daranno un tocco di classe e qualità a un evento che fa dell’alimentazione sana e consapevole il suo punto di forza. In occasione del suo ottantacinquesimo compleanno, Marchesi dimostra di credere fermamente in questa straordinaria avventura: “Expo è una grande occasione per dimostrare quello che possiamo fare. Sottolineo possiamo, perché basta che questo Paese lo voglia ed è capace di superare qualsiasi ostacolo. Solo così ritroveremo l’Italia che si fa rispettare”.

Ed è significativo il prodotto scelto dal Maestro per rappresentare la sua cucina: “Io amo il grano e lo scelgo come emblema, perché appartiene alla prima grande rivoluzione umana, quella neolitica, dopo, ben inteso, l’essere scesi dagli alberi. I greci usavano una bellissima metafora, chiamando gli uomini: mangiatori di pane, il contrario di bruti. Anche se furono gli arabi a inventare i maccheroni, prima del Mille, a Palermo, la pasta è l’ingrediente che più ci caratterizza”. Un elemento imprescindibile per Marchesi è la formazione, fondamentale per essere competitivi in ogni settore, quindi anche per preparare degli chef di alto livello: “Non c’è crescita sociale e personale senza il tempo dello studio e del sacrificio. Chi parla di cucina, parla a vanvera se non chiarisce che la creatività e l’improvvisazione possono nascere solo da un lungo tirocinio, dalla perfetta conoscenza della materia prima e delle cotture”. “E’ un onore poter annoverare tra i nostri Ambassador un maestro della cucina italiana come Gualtiero Marchesi – commenta Giuseppe Sala, commissario unico delegato del Governo per Expo Milano 2015 – Siamo certi che le sue doti sapienti nel saper miscelare ingredienti e sapori, unite ad una cucina legata alle tradizioni ma fortemente innovativa rappresenteranno un valore aggiunto prezioso in grado di esaltare il Made in Italy. Quella di Marchesi è un’arte che parte da prodotti di prima scelta e proprio per questo potrà fornire un importante contributo, capace di stimolare riflessioni sul tema Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”.


Settanta alunni “mettono alle strette” il presidente della Provincia

Matteo RossiDomani, alle 14, settanta alunni di quinta elementare – per l’esattezza le tre classi della scuola primaria Capitanio di Bergamo – andranno in vista alla Provincia e incontreranno il presidente Matteo Rossi. L’obiettivo degli scolari, che stanno studiando l’ordinamento della Repubblica italiana, è quello di “vederci chiaro” su cosa fa la Provincia e come è stato eletto il Presidente, quali sono i suoi compiti e i suoi progetti. Ebbene, guardate le domande che hanno spedito e che il presidente  ha postato sul proprio profilo facebook!!! Rossi si è detto già in ansia. A leggere le domande precise e incalzanti c’è da credergli.

 

Su cosa si basa il suo lavoro?

A cosa serve?

E’ facile coordinare la regione e i comuni?

Il suo lavoro è impegnativo e pieno di responsabilità?

Qual è il suo incarico più importante/la funzione più importante del suo lavoro? Quale quello più complicato?

Qual è il compito più piacevole della sua carica?

Come gestisce il suo lavoro?

Quali priorità dà ai suoi compiti?

A cosa sta pensando per migliorare la Provincia?

Che cosa c’è già in progetto?

Se sbaglia qualcosa, quali sono le conseguenze?

Come si svolge la sua giornata tipo?

Passa molte ore in ufficio?

Quante ore lavora al giorno per la Provincia? Da che ora a che ora?

Lavora tutto l’anno?

Incontra tante persone?

Le persone le fanno diverse richieste?

Chi sono i suoi collaboratori e quanti sono?

Come ha fatto a scegliere la giunta provinciale?

Può modificare le leggi regionali? Se si, lo fa spesso?

È stato lei il primo Presidente della Provincia a essere eletto dai sindaci?

Ha dei progetti per il futuro della Provincia? Quali?

A fine mandato si può ricandidare?

Quanti sono i comuni della provincia di Bergamo?

Quante valli ha la provincia di Bergamo?

Quanti abitanti ha la provincia di Bergamo?

Qual è il significato del simbolo della Provincia?

Quante stanze ha il palazzo della Provincia?

Da quanto tempo è Presidente?

Le piace il suo lavoro?

Si è sorpreso quanto le è stato affidato l’incarico?

Prima è stato Sindaco? È necessario essere Sindaco prima di diventare Presidente della Provincia?

Il suo lavoro è noioso o divertente?

È contento del suo ruolo nella politica?

Prima di essere un politico, che lavoro faceva?

Perché ha deciso di candidarsi alle elezioni? Perché proprio in Provincia e non in qualche altro ente?

Perché ha deciso di fare questo lavoro? Da piccolo voleva fare questo lavoro o voleva fare altro?

Secondo lei sta facendo bene il suo lavoro? È soddisfatto di ciò che sta facendo?

Il suo obiettivo è quello di accedere ad altre cariche Statali? Ha mai pensato di diventare presidente della Repubblica?

Ha mai incontrato il Presidente della Repubblica?

È simpatico il sindaco di Bergamo? Ci ha mai discusso?

Quanto guadagna al mese? Guadagna di più di Gori?

Nel suo tempo libero le capita di essere fermato dalle persone per sottoporle dei problemi?

Che studi ha fatto per diventare ciò che è ora?

Si sente importante?

Da piccolo si intendeva di politica?


Littizzetto a Bergamo parla di affido

littizzettoDopo due anni di lavoro, si è concluso nel mese di febbraio 2015 il progetto “Mi accolgo, ti accolgo” che il Comune di Bergamo – in partnership con l’Ambito territoriale 1, l’Asl di Bergamo, il Consorzio Sol.Co Città aperta, l’Istituto Palazzolo – ha realizzato grazie al finanziamento della Fondazione Cariplo di Milano.

Martedì 31 marzo l’Auditorium di piazza della Libertà sarà scenario dell’evento di chiusura del progetto: madrina della giornata sarà la celebre Luciana Littizzetto che, intervistata da Max Pavan, narrerà la sua esperienza d’affido. Sarà il culmine del lavoro di sensibilizzazione all’affido e all’accoglienza che il Comune di Bergamo ha avviato in modo integrato negli ultimi due anni proprio grazie al progetto Mi accolgo, ti accolgo.

Il progetto si è occupato dell’istituto giuridico dell’affido familiare in modo originale ed innovativo, promuovendone la conoscenza e la diffusione e stimolando la riflessione sulle possibilità e sulle potenzialità di accoglienza che le famiglie e le comunità possiedono. Grazie al progetto, il Comune di Bergamo ha potuto inoltre raccogliere la disponibilità all’accoglienza leggera di 37 nuove famiglie, essere contattato per informazioni da 58 famiglie e coinvolgere 43 nuove famiglie in percorsi di carattere informativo, costituire due gruppi di famiglie affidatarie che si sono incontrate regolarmente – 10 incontri all’anno per ciascun gruppo – durante tutta la durata del progetto e avviare un Servizio Affidi e Accoglienze Familiari di Ambito comprendendo oltre al Comune di Bergamo, i comuni di Orio al Serio, Ponteranica, Torre Boldone, Sorisole, Gorle. Questi obiettivi sono stati raggiunti grazie al lavoro di rete tra le diverse realtà coinvolte, pubbliche e del privato sociale. La collaborazione e la sinergia tra i diversi attori, la sensibilizzazione ai territori, il sostegno alla genitorialità, la formazione degli operatori, il sostegno dato all’emergere delle risorse di cui le famiglie sono portatrici, sono stati i fattori che hanno garantito i positivi esiti del progetto.


Gori: “Lega e destra tra i primi a mettere in difficoltà il territorio”

Giorgio GoriIl sindaco di Bergamo, Giorgio Gori,

è intervento all’evento “Comuni fra tagli,

riforme e ripresa” promosso dall’Anci a Bergamo.

A seguire il testo integrale

 

“Di questi tempi, ammettiamolo, il governo non è particolarmente popolare tra i sindaci. Che il bonus degli 80 euro sia stato in parte finanziato a spese dei Comuni – 9,6 milioni di euro il calcolo per quelli bergamaschi – non è stato apprezzato, per usare un eufemismo. E l’opposizione – segnatamente la Lega – su questo prova a costruire una vera e propria campagna di “rivolta dei sindaci” contro il Governo Renzi. Personalmente ritengo non ne abbia alcun titolo.

Per quanto riguarda i comuni, i numeri sono infatti inequivocabili.

 

Le manovre dal 2008 in avanti valgono, cumulate, 13,8 miliardi nel 2015. Di questi, la gran parte (8,7 miliardi, pari al 62% del totale) sono ascrivibili alle manovre del governo Berlusconi sostenuto dalla Lega Nord; altri 4,1 miliardi al governo Monti; 275 milioni al governo Letta; 863 milioni al governo Renzi, che però – va detto – ha attribuito ai comuni risorse significative per l’edilizia scolastica (sotto forma di contributi e/o di allentamenti del patto) e ha rifinanziato e stabilizzato molti fondi sociali destinati agli enti locali, a partire dal fondo nazionale politiche sociali.

Non credo quindi che i nostri amici della Lega e della destra possano intestarsi una battaglia per la difesa del territorio, quando sono stati i primi che l’hanno messo in fortissima difficoltà.

E’ vero che il governo Renzi ha ridotto le risorse locali con il DL 66 e con il taglio del fondo di solidarietà della Legge di stabilità 2015, ma ha anche allentato come mai era avvenuto prima il patto di stabilità.

Il problema, semmai, è COME questo allentamento viene declinato.

Attenzione amici dell’Anci!

La riforma del Patto di stabilità sfociata nell’intesa del 19 febbraio scorso in Conferenza Stato-Città e autonomie locali introduce nuovi criteri per il calcolo del patto di stabilità, del tutto sconnessi dagli elementi di virtuosità fino ad oggi sperimentati.

Già nella versione definitiva della legge di stabilità il promesso sollievo del 70% sul patto di stabilità per i comuni è stato abbassato (con l’accordo dell’ANCI) al fine di non penalizzare i comuni che presentavano residui attivi di dubbia o nulla esigibilità in misura notevole (e questo per un comune virtuoso che non ha in bilancio residui attivi “fasulli” ha significato una penalizzazione).

Nella nuova intesa la capacità di riscuotere i crediti e le entrate con puntualità viene ridotta nel peso nella determinazione dell’obiettivo (conta per il 40%), mentre viene introdotta una correzione a favore degli enti che nel periodo 2009-2013 (o 2012, a seconda della disponibilità del dato) hanno ridotto la spesa corrente.

Ora, è chiaro a tutti che livello di spesa è collegato ai servizi a favore dei cittadini e alla capacità di finanziarli. Ridurre la spesa corrente non è dunque un criterio di merito, in assoluto. Accade così che un comune attento a riscuotere le proprie entrate e con buone capacità di fornire servizi si trovi ulteriormente penalizzato.

Per il Comune di Bergamo, questo si traduce in un peggioramento dell’obiettivo di patto da 3,5 a circa 7 milioni di euro: il doppio.

…anche qui, purtroppo, col placet dell’ANCI.

Ma andiamo avanti. Perché oggi, più che dei Comuni, vorrei che si parlasse delle Province.

Come credo tutti sappiate il quadro in questo caso è drammatico.

Le manovre dal 2008 in avanti valgono, cumulate, 5,5 miliardi nel 2015. Di questi, 2,3 miliardi (42% del totale) derivano dal governo Berlusconi; 1,7 miliardi dal governo Monti; 69 milioni dal governo Letta; 1,5 miliardi (che salgono a 2,5 miliardi nel 2016 e 3,5 miliardi nel 2017) al governo Renzi.

A fronte di questi tagli, l’ultimo, quello introdotto dall’ultima legge di Stabilità, le Province sono tutte condannate al dissesto – se non quest’anno certamente nel 2016 o l’anno successivo.

Lo dico senza giri di parole: la manovra sulle province e città metropolitane è senz’ombra di dubbio il punto più critico della Legge di stabilità 2015 e rischia di compromettere l’attuazione della riforma Delrio, con pesantissime conseguenze sui servizi essenziali rivolti ai cittadini.

C’è un problema Lombardia, in particolare.

Se in altri casi si è scelta la strada della restituzione alle Regioni di tutte le precedenti deleghe – al netto delle funzioni fondamentali fissate dalla legge -, per poi contrattare con le Regioni i nuovi affidamenti, in modo che a ciascuna delega corrisponda adeguata copertura finanziaria, in Lombardia scontiamo la melina della Giunta Maroni, che nel suo lasciare tutto “com’era” si sta assumendo la responsabilità di portare dritte al default le province lombarde.

I tagli della legge di stabilità non sono infatti conciliabili con il lasciare “tutto com’era”. E’ una scelta cinica e opportunistica, che saranno i cittadini a pagare.

Io credo che i Comuni lombardi non possano assistere a tutto questo senza farsi sentire.

Intanto perché sono loro gli azionisti dei nuovi organismi di Area Vasta. E poi perché dividere il destino di comuni e province è impossibile. I cittadini che rischiano la vita per colpa delle buche che la provincia non ripara sono i nostri cittadini, sono nostre le famiglie degli studenti disabili e nostri i lavoratori che rischiano di vedersi tagliato il trasporto pubblico per mancanza di fondi. Per fare solo qualche esempio.

Con le province ad un passo dal dissesto chi rischia di pagare un conto altissimo è il territorio, che tra tagli ai comuni e alle province, riforme delle camere di commercio e delle banche locali rischia di vedersi privato di asset e risorse fondamentali.

E’ fuori discussione che le scelte promosse dal Governo, dalla Delrio alle riforme delle istituzioni territoriali, sono figlie delle cattiva amministrazione di molti territori (non questo) e della miopia di classi dirigenti locali che troppo spesso si sono arroccate in difesa rifiutandosi di promuovere e governare a tempo debito processi seri di autoriforma. Vale per le province, così come per le camere di commercio o i piccoli comuni o le banche popolari: tutti nodi su cui stiamo pagando gli eccessi di conservatorismo del passato.

Ma l’idea di un cambiamento che indebolisce i territori non ci convince.

Se leadership nazionale e leadership locali agissero di concerto potrebbero cambiare davvero, in profondità, il nostro Paese. Temo al contrario che l’indebolimento del territorio possa in qualche misura minare il processo di riforma che a livello nazionale abbiamo ambiziosamente intrapreso.

Se tutto questo è vero, il punto è come ciascuno di noi si pone, ognuno per il suo ruolo, di fronte al dissesto quasi inevitabile dei nuovi enti di Area vasta e le relative conseguenze per i cittadini.

Io non ho la risposta, ma credo che una risposta vada rapidamente trovata, se non vogliamo che questa cosa ci caschi addosso come una slavina.

Non è più, per capirci, un problema dell’UPI: è un problema dell’ANCI, anzi, IL PROBLEMA principale che l’ANCI ha davanti a sé.

E non solo dell’ANCI. Tra gli enti locali e governo c’è il Parlamento.

La rappresentanza lombarda alla Camera può contare su quasi 50 deputati e questo potrebbe essere uno dei momenti più opportuni per far valere congiuntamente e trasversalmente il loro peso.

Sanzioni per lo sforamento del patto, personale, risorse: c’è bisogno di misure urgenti che arginino il tracollo dei bilanci delle Province.

C’è bisogno di indirizzi generali, che sottraggano ai governi regionali la discrezionalità che consente loro di applicare la nuova normativa a proprio esclusivo vantaggio.

E’ c’è bisogno di un orizzonte, che per quanto riguarda questo territorio, esattamente come quello di Brescia, non consente di immaginare la scomparsa di un livello di governance intermedio, tra la sterminata frammentazione dei nostri Comuni e gli uffici di Palazzo Lombardia.

Per me, per molti di noi, questo livello – NECESSARIO – si chiama area omogenea, a condizione che si tratti di un livello istituzionale vero, con funzioni, risorse e adeguati meccanismi di governance – con la Provincia in ogni caso investita del compito di coordinamento delle aree omogenee e delle essenziali, inevitabili, funzioni di area vasta.

L’alternativa è il caos.

Queste cose nella Delrio non ci sono, o meglio ci sono per le sole province montane, il che rende l’omissione ancora più inspiegabile e paradossale. Ma si tratta di mancanze che la politica, se vuole, può correggere.

So che non è facile, ma chiedo all’ANCI e alle nostre rappresentanze parlamentari di non dare per persa la partita, di non alzare bandiera bianca. Il fallimento delle province è una minaccia GRAVE per i comuni e per i cittadini, soprattutto per quelli lombardi.

Mi auguro che se ne prenda adeguata consapevolezza e si agisca di conseguenza.”

 

Giorgio Gori, sindaco di Bergamo


Cracco: “Sono uno chef ammirato. Eppure a scuola non ero tra i più bravi”

carlo-cracco1Intervenuto alla Fiera del libro a Calusco d’Adda per presentare il suo volume “Dire, fare, brasare”, edito da Rizzoli, Carlo Cracco, chef televisivo giudice a Masterchef ha offerto la sua ricetta per vivere bene la tavola: “Dobbiamo mangiare meglio, formare i ragazzi già nelle scuole, spiegando loro cosa ci sia dietro a un piatto. Tutti sanno che una melanzana è più buona se gustata nella sua stagione, ma bisogna considerare anche di chi lavora nelle serre. Sono tanti, insomma, gli aspetti legati all’alimentazione”.

“La cucina – ha aggiunto – è come il calcio, appassiona. Ognuno sceglie il suo giocatore, tifa e si va anche oltre”. Gli ingredienti per diventare un grande chef ? “Forza di volontà, umiltà e capacità di sacrificio. A scuola non ero certo uno dei più bravi, mi sono iscritto all’istituto alberghiero senza provenire da una famiglia di ristoratori né conoscere la differenza tra fare il pasticcere, il panettiere o il barman. L’ho capita a 15 anni, stando ai fornelli, che la pratica conta molto di più dello studio”.


Bottacini (Pneumax): «Il sistema illogico ha prodotto questa giungla fiscale»

Pneumax, l’azienda con base a Lurano specializzata nella componentistica e apparecchiature per l’automazione ad aria compressa e che fa capo alle famiglie Bottacini e Beretta, ha ospitato la scorsa settimana un dibattito su tasse e burocrazia, con relatori di fama nazionale, come Giulio Sapelli, professore ordinario di Economia Politica e Storia Economica dell’Università Statale di Milano. “Di tasse si può anche morire” sottolinea Roberto Bottacini – amministratore delegato della Pneumax Spa e presidente della Pneumax Holding – che invita però gli imprenditori a guardare a chi, nonostante i tempi non siano dei migliori, sa reinventarsi e rimettersi in gioco.

Tra novembre e dicembre, secondo la Cgia di Mestre, saranno 25 le scadenze fiscali da onorare, una ogni due giorni. Le tasse da pagare sono un centinaio tra addizionali, bolli, canoni, cedolare, concessioni, contributi, diritti, imposte, maggiorazioni, ritenute, sovraimposte, tasse e tributi. Le imprese stanno morendo di tasse?
«Sicuramente siamo tutti in seria difficoltà, soprattutto le piccole medio imprese. Siamo sommersi da una giungla fiscale che non ci consente di lavorare con serenità, tenuto conto che  le regole cambiano di giorno in giorno e spesso capita che gli effetti siano addirittura retroattivi, andando persino contro gli assunti costituzionali. Per non citare la costante proliferazione di norme che da un giorno all’altro possono sconvolgere anche gli obiettivi a medio termine che gli imprenditori cercano di anticipare (basti pensare al Ddl di Stabilità che leggiamo nella stampa odierna, il quale prevede un succedersi di incrementi delle aliquote Iva dal 22% al 25,5%…). Forse è troppo chiedere un sistema fiscale chiaro e sopportabile? Non so se un giorno potremmo dire che pagare le tasse è bellissimo, ma quantomeno ho la speranza che se ci si adoperasse in tal senso si potrebbe affrontare ogni adempimento con uno spirito più costruttivo».

Quali sono i problemi che ogni giorno vive da imprenditore tra imposte e burocrazia?
«L’incertezza nel programmare le attività dell’azienda, dovendo sottostare a norme che non sappiamo come evolveranno nel breve termine e quale “costo” determineranno».

Quanto pesano tasse e ritardi burocratici nell’ordinaria amministrazione aziendale?
«Moltissimo. Definire quanto pesano tasse e burocrazia nell’ordinaria amministrazione, significa quantificare quanto “pesano” gli oneri amministrativi che da essa ne derivano. E che si traducono in un aggravio di costi, dispendio di risorse a tale gestione dedicate che quotidianamente non possono permettersi di sottrarre tempo alla lettura della stampa specializzata cercando di “rallegrarsi” per i colpi inferti. Ulteriore problema è che non ci si ferma alla prolificazione quotidiana delle norme; si devono attendere le Risoluzioni e le Circolari che interpretano le norme. Tutti costi e tempi sottratti alla crescita e allo sviluppo. L’ordinaria amministrazione aziendale, propriamente definita, dovrebbe essere dedicata ad altro. Spesso ci vengono richiesti adempimenti che sono pura formalità, non hanno alcuna effettiva utilità pratica, e spesso si traducono in richieste di dati che già sono stati forniti».

Le è capitato di vivere episodi o situazioni assurde e kafkiane legate a imposte e altri cavilli?
«Sì, se pensiamo al “Il Castello” di Kafka ne potremmo trarre molti spunti. In un sistema governato da una burocrazia tanto illogica quanto lenta, credo che nessuno ne sia esentato».

A pesare sulle imprese sono sempre più le imposte locali tra maggiorazioni, aliquote e addizionali. Quali azioni crede vadano intraprese a salvaguardia della ricchezza del territorio che è composta dalle imprese e attività che vi operano?
«Noi non facciamo distinzione fra “Tasse dello Stato e Tasse locali”. Sempre tasse sono. Derivano dalla necessità che anche gli Enti Locali hanno di dare copertura al loro fabbisogno, dato che lo Stato ha sottratto loro risorse. L’unica via percorribile consiste nell’aumentare la ricchezza prodotta e nel contempo ridurre al limite del necessario le spese di Provincie e Comuni».

Esistono esempi virtuosi o buone prassi da prendere a modello?
«Sono tutti quegli imprenditori che, nonostante tutto, continuano a  mettersi  in gioco, cogliendo ogni giorno la forza e la determinazione di reinventarsi. Sono molti ed è su di loro che dobbiamo contare per mantenere viva la nostra economia. Sono aziende che innovano, creano opportunità di lavoro, internazionalizzano il loro business e … pagano le tasse».