Agenti immobiliari, fare rete e “scambiarsi” gli immobili per contrastare l’abusivismo

Fimaa Bergamo invita a tenere alta la guardia. Il presidente Caironi: “Troppa concorrenza sleale di chi agisce senza titolo e senza iscrizione alla Camera di Commercio”

Stesso mercato, stesse regole. E altolà all’abusivismo. È un invito a tenere alta la guardia quello lanciato da Fimaa Bergamo, la Federazione Italiana Mediatori Agenti d’Affari Bergamo aderente a Confcommercio. Un invito che cade in vista della scadenza del 31 maggio della verifica dei requisiti presso il Registro delle imprese della Camera di Commercio, conditio sine qua non per poter esercitare la professione che mai come in questo periodo, dato il boom delle compravendite immobiliari nonostante la crisi in atto, richiede un salto di qualità. E soprattutto la necessità di fare rete.
“Nei confronti del mercato Fimaa Bergamo svolge un ruolo di tutela della qualità professionale dei suoi 400 iscritti che devono rispondere a severi requisiti – sottolinea il presidente Fimaa Bergamo, Oscar Caironi -. Oggi il mercato sta cambiando e molti player abusivi fanno concorrenza sleale agendo senza titolo e senza nessuna iscrizione alla Camera di Commercio. Si tratta di uno spaccato che assorbe circa il 40% delle compravendite della nostra provincia. Un dato troppo alto che ci deve far unire ancora di più come categoria dato che rappresentiamo circa la metà degli agenti in Bergamasca: tutti uniti per arginare l’abusivismo e ‘pulire’ il mercato”.

Attenzione e vicinanza all’associato sono infatti i binari su cui Fimaa sta orientando la sua linea d’azione nel segno di una nuova etica e trasparenza. “Fare rete rappresenta un punto di svolta, una rivoluzione nel creare azione ed esecuzione e giungere alla profonda conoscenza della materia, considerando che il 70% dei nostri associati sono agenzie mono-proprietario che agiscono in autonomia – afferma Caironi -. Da tempo il nostro obiettivo è quello di costruire un’identità comune affinché ogni agente immobiliare possa identificarsi nella categoria e far parte di un’unica squadra”.

Perché fare rete

Ma se collaborare è fondamentale, perché fare rete? “Per migliorare il servizio ed essere più competitivi, ma anche per creare nuove competenze e facilitare le compravendite tramite il matching tra gli immobili – prosegue Caironi – Essere collegati e ‘scambiarsi” case vuol dire ottenere dei vantaggi economici reciproci e maggiore qualità del servizio ai nostri clienti, senza dimenticare l’assistenza Fimaa in generale: dalle consulenze gratuite alle tariffe vantaggiose per l’assicurazione obbligatoria fino alla comunicazione interna che corre veloce sui social e con una newsletter settimanale”.
Un altro elemento chiave è proprio la formazione per l’aggiornamento costante degli associati: “Nel 2020 abbiamo erogato oltre 250 ore di formazione e quest’anno siamo sulla stessa linea – conferma Caironi -. A settembre inizierà anche nuovo corso di management in collaborazione con l’Università di Bergamo. Sia per chi acquista sia per chi vende, la consulenza immobiliare è un valore aggiunto che fa la differenza per l’investimento: dobbiamo saper mettere davanti la persona e far collimare le sue esigenze con la realtà di mercato, senza creare false aspettative a chi acquista e dando sicurezza a chi vende».

Dall’analisi delle esigenze di acquirente e venditore si entra poi nel merito della valutazione dell’immobile, perno di ogni compravendita. “In questo ambito la conoscenza del territorio è fondamentale e da ben 27 anni Fimaa mette la sua firma sul Listino dei prezzi degli immobili con una commissione di esperti e gli agenti associati, vere e proprie sentinelle del mercato e primi promotori del territorio – conferma Caironi -. Nei prossimi giorni avremo un primo confronto per dare inizio al lavoro di raccolta dati in vista della pubblicazione quest’autunno”.

La polizza assicurativa tra i requisiti

C’è anche la polizza assicurativa a garanzia dei rischi professionali tra i requisiti che un agente immobiliare deve dimostrare per poter esercitare la professione a norma di legge. Periodicamente, infatti, il Registro delle imprese è tenuto a verificare la permanenza dei requisiti di idoneità previsti dalla legge per lo svolgimento dell’attività di agente d’affari in mediazione (artt. 7 e 8 del Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico del 26 ottobre 2011). La procedura interessa tutte le imprese individuali e le società che hanno sede nella provincia di Bergamo e che svolgono l’attività di agente di affari in mediazione da più di 4 anni. Per confermare il possesso dei requisiti, le imprese coinvolte riceveranno una comunicazione all’indirizzo Pec iscritto al Registro imprese e dovranno inviare, entro il 31 maggio 2021, una pratica telematica completa dei moduli di autocertificazione dei requisiti, oltre alla copia dell’ultima polizza assicurativa stipulata.
Per informazioni: Ufficio Ata, tel. 035.4120340 ata@ascombg.it.


Covid-19 “Caporetto” del terziario: in un anno persi 1,5 milioni di posti di lavoro e 130 miliardi consumi

Per la prima volta da 25 anni il terziario ha smesso di spingere Pil e occupazione. Crollano alberghiero, ristorazione, abbigliamento, trasporti e tempo libero

Il coronavirus ha colpito in modo trasversale l’intera società, sconvolgendo la vita quotidiana e colpendo in modo più o meno pesante tutti i settori produttivi ma in particolare quello che fino al febbraio del 2020 era diventato il fiore all’occhiello della nostra economia e che offriva il contributo più “pesante” al Pil e all’occupazione con quasi 3 milioni di nuovi posti di lavoro creati tra il 1995 e il 2019: il terziario di mercato. Quando parliamo di terziario di mercato, ci riferiamo ad una realtà che comprende un universo molto vario di attività: commercio, turismo, servizi di alloggio e ristorazione, traporti , attività artistiche, intrattenimento e divertimento. Per fotografare la crisi ci sono ovviamente i numeri che sono stati declinati nel rapporto dell’Ufficio Studi Confcommercio “La prima grande crisi del terziario di mercato”.

Per la prima volta, dopo venticinque anni di crescita ininterrotta, si riduce la quota di valore aggiunto di questo comparto (-9,6% rispetto al 2019) al cui interno i settori del commercio, del turismo, dei servizi e dei trasporti arrivano a perdere complessivamente il 13,2%; i maggiori cali nella filiera turistica (-40,1% per i servizi di alloggio e ristorazione), seguita dal settore delle attività artistiche, di intrattenimento e divertimento (-27%) e dai trasporti (-17,1%); ma gli effetti della pandemia hanno “impattato” in maniera consistente anche sui consumi con quasi 130 miliardi di spesa persa di cui l’83%, pari a circa 107 miliardi di euro, in soli quattro macro-settori: abbigliamento e calzature, trasporti, ricreazione, spettacoli e cultura e alberghi e pubblici esercizi. Cifre che si traducono in una perdita di un milione e mezzo di occupati.

Sangalli: “Più attenzione al terziario nel Piano Nazionale di ripresa e resilienza”

Commentando i risultati della ricerca, il presidente di Confcommercio ha sottolineato che “per la prima volta nella storia economica del Paese il terziario di mercato subisce una flessione drammaticamente pesante”. “Occorre quindi – ha detto Sangalli – che il Piano Nazionale di ripresa e resilienza dedichi maggiori attenzione e risorse al terziario perché senza queste imprese non c’è ricostruzione né rilancio”.

Secondo il direttore dell’Ufficio Studi, Mariano Bella, “oggi il problema principale è mantenere vivo e vitale gran parte del tessuto produttivo dei servizi alle imprese e alle persone, in primis la convivialità e il turismo, e traghettarne le attività dalla pandemia alla ripresa. Quando i flussi turistici mondiali riprenderanno vigore, se l’offerta italiana non sarà pienamente in grado di soddisfarli, le perdite saranno permanenti”. Dunque, Bella ha evidenziato la necessità per le imprese di ricevere indennizzi e ristori adeguati per farsi trovare pronte nel momento in cui arriverà la tanto attesa ripartenza.

Bella ha poi sottolineato un altro aspetto molto significativo che ha determinato il mancato “rimbalzo” che tanti si aspettavano nel primo trimestre del 2021: “Tra gennaio e marzo 2021, come nei peggiori frangenti dell’anno passato, è mancata la componente della domanda più importante, i consumi. Le nuove chiusure di marzo e aprile hanno, però, tolto vigore a quella pure minima spinta potenzialmente presente nei risparmi in eccesso accumulati dalle famiglie”. In gioco, secondo il direttore dell’Ufficio Studi “non c’è solo la ripresa, peraltro già mutilata da un primo trimestre 2021 piuttosto deludente. C’è il tasso di crescita dell’economia italiana nei prossimi dieci anni e quindi il benessere, l’inclusione e la provvista delle risorse per le varie rivoluzioni intraprese: da quella digitale a quella verde”.

Alloggio e ristorazione i più colpiti

Uno degli elementi più significativi che emerge dal rapporto, è il calo di oltre il 40% dei servizi di alloggio e ristorazione che hanno avuto una perdita di prodotto otto volte superiore a quella del 2001 nel periodo successivo all’attentato alle Torri Gemelle di New York dell’11 settembre.  Il settore più penalizzato subito dopo quelli legati al mondo dei movimenti turistici è quello delle attività artistiche, intrattenimento e divertimento che hanno registrato un calo rispetto al 2019 di oltre il 27%.  Fino all’arrivo della pandemia, tra il 1995 e il 2019 l’agricoltura ha perso 433mila unità di lavoro, l’industria 877mila mentre l’Area Confcommercio ha guadagnato 2,9 milioni unità di lavoro contribuendo all’intera crescita dell’occupazione del sistema economico (+1,5 milioni circa).


Divieto di consumazione al banco nei bar. La Fipe chiede con urgenza un intervento del Mise

Anche Ascom Confcommercio Bergamo si associa alla richiesta della Fipe: in Bergamasca la misura “pesa” su oltre 2.600 bar

La circolare del 24 aprile con cui il ministero dell’Interno ritiene che il DL “Riaperture” vieta ai bar la possibilità di effettuare la somministrazione al banco è giuridicamente incomprensibile e non ha alcun fondamento di sicurezza sanitaria. È quanto sostiene la Fipe secondo cui si tratta di un attacco al modello di offerta del bar italiano che si differenzia da quelli degli altri Paesi proprio perché basato sul consumo al banco. Per dare voce agli oltre 2.600 bar del territorio, Ascom Confcommercio Bergamo si associa alla richiesta del presidente Fipe, Lino Stoppani, per un intervento urgente da parte del Mise, perché ormai il tema della salute pubblica non può essere separato da quello della tenuta di un intero settore produttivo.

Si tratta, infatti, di un’interpretazione che nessuno si aspettava considerando che il decreto non esclude espressamente il consumo al banco ma, al contrario, ha voluto specificare con quali modalità può avvenire il consumo al tavolo (esclusivamente all’esterno fino al 31 maggio). D’altra parte, dopo 14 mesi di blocco delle attività di ristorazione, almeno l’aspettativa di una regolamentazione puntuale non dovrebbe essere tradita: in zona gialla i bar hanno sempre avuto la possibilità di effettuare la somministrazione al banco anche in virtù del fatto che si tratta di un consumo veloce, che non implica una lunga permanenza all’interno degli esercizi.

“È un attacco al modello di offerta del bar italiano che si differenzia da quelli degli altri Paesi proprio perché basato sul consumo al banco – dichiara Giorgio Beltrami, presidente del Gruppo Bar, Caffè e Pasticcerie di Ascom Confcommercio Bergamo, e vicepresidente regionale del coordinamento di Fipe Lombardia-. Un provvedimento punitivo ingiustificato anche sotto il profilo scientifico sui rischi sanitari che si corrono. Anzi la scienza continua a sostenere che il rischio di contagio cresce con l’aumento del tempo di contatto”. In attesa di aggiornamenti, Ascom Confcommercio Bergamo sta invitando gli associati a esporre la locandina dedicata.


Al via la campagna “Sicurezza Vera” I pubblici esercizi come presidi di legalità contro la violenza di genere

Siglato protocollo d’intesa tra la Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato, la Fipe e il Gruppo Donne Imprenditrici di Fipe-Confcommercio

È stato firmato oggi un protocollo d’intesa tra la Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato, la Fipe-Confcommercio (Federazione italiana Pubblici esercizi) e il Gruppo Donne Imprenditrici di Fipe-Confcommercio, rappresentati, rispettivamente, dal Prefetto Francesco Messina (a capo della Direzione Centrale Anticrimine), dal Presidente Lino Enrico Stoppani e dalla Presidente Valentina Picca Bianchi. La finalità del protocollo è quella di promuovere iniziative di formazione, informazione e sensibilizzazione a livello territoriale, idonee a diffondere la conoscenza e l’approfondimento delle tematiche afferenti alla violenza basata sul genere ed agli strumenti di tutela delle vittime, comprese le misure di prevenzione del Questore e i dispositivi di pronto intervento adottati dalla Polizia di Stato.

L’intesa è nata dalla comune esigenza di incrementare i livelli di sicurezza delle donne, individuando modalità nuove ed efficaci per diffondere la cultura di genere, nel solco già tracciato con la campagna della Polizia di Stato “Questo non è amore”, attiva dal 2016, raggiungendo in maniera sempre più capillare le donne non solo nella sfera privata ma anche nel luogo dell’attività lavorativa e nei luoghi pubblici, tutti temi al centro del seminario webinar “Gestire il rischio di violenze sul lavoro: la convenzione Ilo e la legge 4/2021” organizzato questa mattina dall’Ente bilaterale territoriale del Terziario e dall’Ente Bilaterale per il settore Alberghiero e Pubblici Esercizi (entrambi costituiti da Ascom Confcommercio Bergamo e dalle organizzazioni sindacali di categoria Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl, Uiltucs-Uil) che ha visto tra i relatori anche Valentina Picca Bianchi, presidente delle Donne imprenditrici di Fipe-Confcommercio.

Il protocollo prevede che saranno sviluppate incisive modalità di diffusione della cultura di genere, promuovendola anche all’interno dei pubblici esercizi con iniziative rivolte sia al personale femminile che alle clienti. L’obiettivo è contribuire a incrementare i livelli di sicurezza delle persone e degli stessi esercizi, nel quadro di aggiornate strategie di prevenzione di eventi illegali o pericolosi connessi a forme di violenza basata sul genere.

La programmazione di incontri, convegni formativi e divulgativi, iniziative di sensibilizzazione, da oggi fino al 2023 vedranno impegnati, insieme, gli imprenditori associati alla Fipe e la Polizia di Stato nella campagna denominata #sicurezzaVera. Dopo una prima fase sperimentale su 20 città verrà esteso il modello a tutti gli esercizi pubblici che rappresentano da sempre la più ampia rete di presidio territoriale di cultura, socialità e tradizione presenti in Italia: 1 esercizio pubblico ogni 250 abitanti, 1 bar ogni 400 abitanti.

 


Ristoranti e bar aperti con dehors: le regole da seguire tra orari, spazi, servizio mensa e consumo al banco

Tutte le novità per la ristorazione del nuovo decreto Legge integrato con le disposizioni del Dpcm del 2 marzo 2021

Torna la zona gialla da oggi, 26 aprile, con nuove regole per bar e ristoranti, aperti a pranzo e a cena purché all’aperto. La novità, fermo restando il coprifuoco alle 22, riguarda le regioni gialle -da Lombardia a Lazio, da Emilia Romagna a Veneto, da Campania a Toscana- che rappresentano la zona più ampia d’Italia. Le regole prevedono che si possa stare soltanto seduti al tavolo, massimo quattro persone, a meno che non si tratti di conviventi. La distanza è fissata a un metro. Dal primo giugno, soltanto in zona gialla, i ristoranti potranno restare aperti anche al chiuso dalle 5 alle 18. Si potrà stare soltanto seduti al tavolo, massimo quattro persone, a meno che non si tratti di conviventi.

Ecco tutte le novità per la ristorazione (bar e ristoranti) del nuovo decreto Legge n. 52 del 22 aprile 2021, integrato con le disposizioni del Dpcm del 2 marzo 2021 che restano in vigore. Le attività si svolgono infatti sempre nel rispetto dei contenuti dei protocolli e delle linee guida dell’allegato 9 del Dpcm.

Modalità di consumo al tavolo, delivery e orari dei servizi

Per tutte le attività della ristorazione bar, ristoranti pasticcerie cod. Ateco 56:

  • il servizio al banco è ammesso nel rispetto del numero massimo di persone che possono accedere e della legge (dalle 05,00 alle 22,00);

  • il consumo al tavolo è ammesso solo all’aperto e con il massimo di 4 persone al tavolo, salvo che siano tutti conviventi (dalle 05,00 alle 22,00);

  • il servizio delivery è ammesso sempre;

  • l’asporto può essere effettuata solo fino alle ore 22.00, con divieto di consumazione sul posto o nelle adiacenze. Tuttavia, per gli esercizi che svolgono come attività prevalente una di quelle identificate con codice Ateco 56.3 (bar e altri esercizi simili senza cucina) è confermato l’obbligo di sospendere il servizio di asporto alle 18.00.

Resta consentita senza limiti di orario la ristorazione negli alberghi e in altre strutture ricettive limitatamente ai propri clienti, che siano ivi alloggiati.

Spazi all’aperto: urgono chiarimenti

La definizione “all’aperto” resta controversa: l’interpretazione di Fipe si rifa all’interrogazione parlamentare di ieri dell’On. Andreuzza, dove si ritiene che possano essere equiparabili agli spazi aperti le c.d. Sun Room, ovvero le parti di edificio dotate di serramenti completamente apribili in altezza su uno o più lati (ovviamente i serramenti devono essere aperti). Quindi, secondo Fipe, via libera anche a verande/terrazze/dehors completamente aperti su uno o più lati per il consumo al tavolo. Questa interpretazione verrà sostenuta dal Ministro Garavaglia e sarà oggetto di specifica faq. Ascom Confcommercio Bergamo consiglia di chiedere al proprio Comune un assenso a questa interpretazione.

Servizio mense ancora attivo (all’interno)

Secondo la Fipe è ammesso il servizio mensa (all’interno) con il servizio ristorante all’aperto, purché si segnali con un cartello che il servizio interno è solo di mensa e ci sia separazione della clientela. Anche in questo caso, se necessario, si consiglia un passaggio preventivo con il proprio Comune.

Feste vietate anche all’aperto

Resta in vigore l’art. 16 del Dpcm del 2 marzo 2021 che vieta le feste nei luoghi al chiuso e all’aperto, ivi comprese quelle conseguenti alle cerimonie civili e religiose. Non è vietato però che una persona inviti altre persone al ristorante nel rispetto delle norme e del posizionamento al tavolo.

Servizi igienici disponibili

Nella zona gialla non vale la sospensione dell’obbligo della disponibilità del servizi igienici per i clienti (stabilita solo per le zone arancioni e rosse). Quindi servizi igienici sempre disponibili.

Cartello obbligatorio

Permane l’obbligo per tutti gli esercizi commerciali e tutti i locali pubblici e aperti al pubblico di esporre all’ingresso del locale un cartello che riporti il numero massimo di persone ammesse contemporaneamente al suo interno, sulla base dei protocolli e delle linee guida vigenti.

Niente consumo al banco

Riguardo al consumo al banco, infine, una circolare del ministero dell’Interno introduce una limitazione ulteriore che non esisteva nel Dpcm del 2 marzo, al quale peraltro l’ultimo decreto di aprile fa riferimento. Nella circolare, infatti, c’è scritto “Fino al 31 maggio p,v, pertanto, relativamente agli esercizi pubblici di somministrazione di alimenti e bevande, il servizio al banco rimarrà possibile in presenza di strutture che consentano la consumazione all’aperto”. Al banco, quindi, è consentito solo il servizio e non la consumazione. Resta comunque possibile per tutti l’asporto (fino alle 18 per chi ha il codice Ateco 56.3).

Per la Fipe è assurdo impedire, oggi, di effettuare il consumo al banco e farlo con un’interpretazione ministeriale: si tratta di una mancanza di rispetto e un danno secco verso le imprese che hanno già pagato un prezzo altissimo per le misure di contenimento della pandemia, senza alcun beneficio evidente sul piano sanitario. Il consumo al banco, regolato dai protocolli su distanziamento e capienza degli esercizi, permette in molti casi di snellire il servizio evitando assembramenti all’esterno ed è l’unica modalità rimasta di servizio per numerosissime attività che non dispongono di spazi esterni. Per questo Fipe chiede al più presto un intervento del ministero dello Sviluppo Economico.


Dal 26 aprile tornano le zone gialle: via libera ai dehors anche a cena. Ecco la roadmap delle riaperture

Pranzo e cena solo nei locali che hanno tavoli all’aperto e dal primo giugno anche al chiuso ma solo a pranzo. Piscine aperte dal 15 maggio, palestre dal 1 giugno. E dal 15 giugno ripartono le fiere

Tornano le zone gialle dal 26 aprile, dove i dati lo consentono, ma a riaprire saranno solo le attività all’aperto. Gli esercizi di ristorazione, quindi, potranno lavorare sia a pranzo che a cena, a patto di avere uno spazio esterno. Il Consiglio dei ministri ha varato mercoledì 21 aprile il nuovo decreto anti coronavirus le cui bozza era stata licenziata venerdì scorso. Nessuna novità di rilievo, a parte l’astensione politicamente pesante della Lega, che contesta la conferma del coprifuoco alle 22.

Il calendario delle riaperture (Scarica il Decreto Riaperture).

Da lunedì 26, dunque, si comincia a riaprire e tra i primi ci saranno i ristoratori: in zona gialla, fino a tutto il mese di maggio, sarà possibile pranzare o cenare solo nei locali che hanno tavoli all’aperto, mentre dal primo giugno si potrà mangiare anche al chiuso, ma solo a pranzo. Sempre in area gialla riapriranno con specifici protocolli teatri, cinema, spettacoli e musei. Dal 15 maggio sarà consentita l’attività nelle piscine scoperte e dal primo giugno nelle palestre al chiuso, data in cui saranno aperti al pubblico anche manifestazioni ed eventi sportivi di interesse nazionale.
Il 15 giugno ripartono le fiere e dal primo luglio sarà la volta di congressi e parchi tematici. Per quanto riguarda gli spostamenti tra le Regioni resta necessaria l’autocertificazione, dove è già prevista, ma da subito si potrà girare più liberamente con in tasca il “certificato verde”, che attesti la vaccinazione, l’esecuzione di un tampone negativo o l’avvenuta guarigione dal Covid. Chi avrà il pass potrà anche accedere a determinati eventi, culturali e sportivi.

“Le aperture per le sole attività all’aperto rischiano di penalizzare almeno la metà delle imprese che non possono usufruire di questa possibilità. Per i pubblici esercizi della montagna, poi, è una doppia penalizzazione considerate le condizioni climatiche -a ricordato il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, nel suo intervento alla giornata “Legalità, ci piace!”  Chiediamo due ulteriori accorgimenti: favorire una sensibilizzazione nei confronti delle amministrazioni locali nel permettere di utilizzare nuovi spazi pubblici, così da  maggiore vivibilità delle nostre città e territori; anticipare prima possibile le aperture anche all’interno, con distanziamento e protocolli di sicurezza”.

Zambonelli, presidente Ascom: “Così non va: ci sono ancora troppi nodi da sciogliere e regole da definire con più chiarezza”

Avere una data per poter ripartire sono segnali che vanno nella giusta direzione ma “ci aspettavamo maggiore coraggio e soprattutto maggiore chiarezza – sottolinea Giovanni Zambonelli, presidente di Ascom Confcommercio Bergamo, in merito al Decreto Riaperture approvato ieri sera dal Consiglio dei Ministri -. C’è infatti di fondo un errore di metodo. Il calendario delle riaperture è sulla bocca di tutti e sulle pagine dei giornali ma non basta presentare delle slide in pdf. Per chi lavora, in primis le associazioni di categoria, servono provvedimenti veri e non comunicati stampa. I nostri associati sono confusi e ci stanno contattando per capire come gestire i clienti e le prenotazioni in vista di eventi e cerimonie all’aperto, considerando anche l’incognita del maltempo. A oggi, infatti, non c’è nessun decreto messo nero su bianco che definisce regole precise e tutti questi bei proclami cadono nel vuoto se poi mancano protocolli di sicurezza e un metodo comune a tutti da seguire”.

Niente passi falsi, dunque, anche perché l’obiettivo comune al mondo del commercio e del turismo è quello di tornare a lavorare a pieno ritmo: “La data del 26 aprile da sola non basta – prosegue Zambonelli -. Dobbiamo dare una prospettiva a tutti gli imprenditori e bisogna lavorare da subito a un protocollo di sicurezza sanitaria stringente che consenta la riapertura anche dei locali al chiuso: finché la ristorazione non potrà ripartire in toto, infatti, anche tutta la filiera connessa continuerà a subire danni economici gravissimi”.

C’è poi il nodo delle date scelte: “Per alcuni settori non si tratta di una ripartenza vera e propria – conclude Zambonelli -. Penso in primis ad alberghi e ristoranti ma anche alle piscine, chiamate a riaprire troppo presto, così come è assurdo invece pensare di aspettare luglio per i parchi tematici. E poi ci sono i centri commerciali che sarebbero dovuti ripartire prima: la chiusura nel weekend, operativa da più di sei mesi, ha tagliato il giro d’affari del 40% rispetto al 2019 e il fatturato annuo di 56 miliardi di euro. Sono numeri che mettono a repentaglio la tenuta delle aziende, con il rischio di forti ricadute occupazionali”.

Fipe: “Un primo passo, ma serviva più coraggio”

Anche per la Fip-Confcommercio “si tratta solo di un primo punto di partenza, perché troppe imprese restano tagliate fuori dalla limitazione del servizio ai soli spazi esterni, subendo così una discriminazione. Per queste realtà il lockdown non finirà il 26 aprile. È fondamentale avere già nei prossimi giorni una road map molto precisa che indichi come e quando le riaperture potranno coinvolgere, nel pieno rispetto dei protocolli di sicurezza, anche tutti quei locali che hanno a disposizione solo spazi interni. Parallelamente sarà importante invitare i Comuni a fare tutto quanto in loro potere per favorire la concessione di suolo pubblico agli operatori sfavoriti da questa riapertura parziale”. Fipe sottolinea infine che “sarà essenziale che tutti quanti, imprenditori e avventori, dimostrino il massimo senso di responsabilità, rispettando pedissequamente le norme di sicurezza sanitaria stabilite dal Comitato tecnico scientifico. Non possiamo permetterci passi falsi. L’obiettivo comune deve essere quello di tornare a lavorare, e dunque a vivere, a pieno ritmo”.

Sono 116mila i locali senza spazio esterno

Fipe fai inoltre notare che riaprire solo le attività che hanno i tavolini all’esterno “significa prolungare il lockdown per oltre 116mila pubblici esercizi”. Il 46,6% dei bar e dei ristoranti italiani non ha infatti spazi all’aperto, una percentuale peraltro che nei centri storici, soggetti  a regole molto più stringenti, aumenta considerevolmente. “Se questo è il momento del coraggio dice Fipe – che lo sia davvero. I sindaci mettano a disposizione spazi extra per le attività economiche che devono poter apparecchiare in strada ed evitare così di subire, oltre al danno del lockdown, la beffa di vedere i clienti seduti nei locali vicini”. Per la federazione la data del 26 aprile da sola “non basta. Dobbiamo dare una prospettiva a tutti gli imprenditori. Bisogna lavorare da subito a un protocollo di sicurezza sanitaria stringente, che consenta la riapertura anche dei locali al chiuso e bisogna darci un cronoprogramma preciso, a partire dal 26 aprile. Non c’è più tempo da perdere. Nelle prossime ore chiederemo all’Associazione nazionale dei Comuni italiani di collaborare con noi per spingere i sindaci a concedere il maggior numero di spazi esterni extra, in via del tutto eccezionale e provvisoria, agli esercizi che in questo momento ne sono sprovvisti. Sarebbe un bel segnale di unità e di voglia di uscire dal pantano tutti insieme”.

 

Federalberghi: “Le terme sono già aperte e potranno offrire maggiori servizi”

Bene gli indirizzi formulati dalle Regioni, che “confermano gli alti standard di sicurezza garantiti dalle aziende termali”, ma non è chiaro “a quali ipotesi di termalismo si faccia riferimento quando si parla di riaperture al primo luglio. Ci auguriamo solo che eventuali profili di limitazioni alle attività termali presenti ad oggi nei testi normativi vengano aboliti al più presto”. Lo sottolinea Emanuele Boaretto, presidente di Federalberghi Terme, per il quale comunque “un ulteriore segnale positivo verrà dalle decisioni che il Governo si appresterebbe ad assumere e che consentirebbero di riprendere a breve i flussi turistici e sanitari idonei a far ripartire il settore dopo un anno di grosse difficoltà”. In ogni caso, conclude la Federazione, è bene ricordare che “gli stabilimenti termali italiani sono aperti già oggi per le prestazioni incluse nei livelli essenziali di assistenza (fangobalneoterapia e inalazioni, ad esempio) e per attività riabilitative e terapeutiche”.

 

Vacanze, gli stabilimenti balneari sono pronti ad accogliere i turisti stranieri dal 15 maggio

Gli stabilimenti balneari “sono pronti ad accogliere i turisti anche stranieri, in particolare i tedeschi, che con la Pentecoste dal 13 maggio hanno un periodo di vacanze di 15 giorni. La nostra richiesta è stata accolta, siamo soddisfatti: l’apertura a giugno ci avrebbe penalizzato rispetto ad altri mercati concorrenti come la Grecia e la Spagna. L’importante è che l’Italia c’è, è pronta”.  Così Antonio Capacchione, presidente del Sib Fipe- Confcommercio, soddisfatto per l’accoglimento della richiesta fatta nei giorni scorsi al ministro del Turismo, Massimo Garavaglia. I balneari hanno iniziato già da qualche settimana a fare lavori di manutenzione sulle spiagge perché “non è che alziamo una saracinesca e apriamo – spiega Capacchione – alle volte c’è bisogno di un mese, di due mesi, dipende dalle dimensioni degli stabilimenti e quindi confido che dal 15 maggio si possa iniziare davvero a lavorare”


I rischi dell’usura ai tempi del Covid al centro dell’8ª Giornata della legalità di Confcommercio

Presentata l’analisi sul fenomeno e gli effetti per il terziario: oltre 40 mila le imprese a rischio di un reato che fatica ad essere denunciato

Anche Ascom Confcommercio Bergamo aderisce alla Giornata nazionale di Confcommercio “Legalità, ci piace!” in programma oggi – martedì 20 aprile – e promossa in sinergia con le associazioni territoriali per promuovere e rafforzare la cultura della legalità come prerequisito fondamentale per la crescita e lo sviluppo delle imprese. Giunta all’ottava edizione, la Giornata nazionale della legalità sarà l’occasione per presentare in diretta streaming (ore 11 sul sito di Confcommercio) un’analisi sull’usura al tempo del Covid e sugli effetti per le imprese, a cui seguiranno gli interventi del presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, e del ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese.
Quello dell’usura è infatti un tema molto attuale: perdita di fatturato e mancanza di liquidità incombono sugli imprenditori e secondo l’ultima analisi dell’Ufficio Studi Confcommercio di ottobre sono circa 40mila le imprese minacciate dall’usura, fenomeno in crescita soprattutto nel Mezzogiorno e nel comparto turistico-ricettivo.

“I fatti accaduti rendono ancora più attuale la manifestazione promossa da Confcommercio a livello nazionale e posta, quest’anno, ad aprile – afferma Oscar Fusini, direttore di Ascom Confcommercio Bergamo -.  Il nostro sistema non è mai stato interessato così tanto da questi fenomeni come in questo periodo di difficoltà e porre l’attenzione sul tema è di grande importanza per il benessere delle singole aziende”.

Quarantamila imprese a rischio usura

Nella prima parte dell’evento, il direttore dell’Ufficio Studi Confcommercio, Mariano Bella, ha presentato un’analisi sugli effetti dell’usura al tempo del Covid per le imprese e la percezione che le stesse imprese hanno del fenomeno. “Rispetto al 2019 – ha detto Bella – è più che raddoppiata la quota di imprenditori che ritiene aumentato il problema (27% contro il 12,7%), e sono a immediato e grave rischio usura circa quarantamila imprese del commercio, della ristorazione e dell’alloggio”. Secondo Bella poi, ci sono le “solite” differenze territoriali: “Il Mezzogiorno purtroppo- ha osservato il direttore dell’Ufficio Studi – paga un prezzo più alto e il rischio di chiusura definitiva per le imprese è maggiore. Per fare un esempio, tra nove grandi città italiane colpite dall’usura, Napoli, Bari e Palermo sono tra quelle più a rischio”.

“Per diverse ragioni – ha detto Bella – le imprese del Nord hanno patito di più la pandemia, eppure sia per una condizione strutturale di esposizione alla criminalità sia per una maggiore fragilità intrinseca dell’impresa, è il tessuto produttivo del Sud ad apparire più soggetto a shock negativi”. Bella ha poi osservato che “l’usura rimane una tipologia di reato che fatica ad essere denunciato. A frenare la propensione a denunciare – ha precisato – non è tanto la speranza di poter restituire il prestito, quanto piuttosto la paura di subire ritorsioni, la percezione di essere soli, la poca fiducia nella giustizia e la vergogna che caratterizza coloro che, in ultima istanza, si vedono costretti a rivolgersi agli usurai”. Bella ha concluso la sua presentazione ricordando che le ricette essenziali per debellare la piaga dell’usura restano quelle già suggerite da tempo: “Senza misure di contrasto più incisive e una cultura della legalità più diffusa sarà davvero complicato estirpare il fenomeno dell’usura”.

La paura di denunciare e la fiducia verso le Forze dell’Ordine e le associazioni

Dall’indagine, inoltre, emerge che l’usura rimane una tipologia di reato che fatica ad essere denunciato. A frenare la propensione a denunciare non è tanto la speranza di poter restituire il prestito, quanto piuttosto – per citare le principali motivazioni – la paura di subire ritorsioni, la percezione di essere soli, la poca fiducia nella giustizia e la vergogna che caratterizza coloro che, in ultima istanza, si vedono costretti a rivolgersi agli usurai.

Sui livelli di fiducia le forze dell’ordine sono al primo posto, migliora un po’ negli ultimi sei mesi il senso di sfiducia e solitudine anche se, comunque, un quarto delle imprese è totalmente e preventivamente sfiduciato. E questo rimane un fattore di criticità, con implicazioni rilevanti anche in termini di più generale diffidenza rispetto al funzionamento delle istituzioni e sul senso della partecipazione politica. Infine migliora un po’ anche il ruolo delle organizzazioni anti-usura e quello delle organizzazioni di categoria. Nel complesso, quello che emerge è che ci sia ancora molto da fare a sostegno delle imprese più colpite dai fenomeni criminali. Per questo Confcommercio chiede di contrastare con più forza la criminalità e lavorare insieme alle istituzioni e alle forze dell’ordine per una maggiore promozione e diffusione della cultura della legalità

Nel suo intervento, il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, ha ribadito che “nel 2020, le imprese del commercio, alloggio e ristorazione hanno subito una drammatica riduzione del volume di affari e oltre un terzo si è trovato stretto in un combinato disposto pericolosissimo, cioè la mancanza di liquidità combinata con una difficoltà sostanziale di accesso al credito. Ed è per questo che, senza sosta, in questi mesi abbiamo chiesto non solo indennizzi adeguati e tempestivi, ma anche moratorie fiscali e creditizie ampie ed inclusive, la sospensione e la rateizzazione degli impegni fiscali e possibilità più ampie di accesso al credito”. “Senza fatturato, senza liquidità, senza credito, e con i costi da pagare – ha osservato Sangalli – è facile capire quanti imprenditori rischiano, infatti, di essere facili prede per la criminalità organizzata e le pratiche di usura. Come emerge dai nostri dati, infatti, dal 2019 ad oggi la quota degli imprenditori che ritiene aggravato il fenomeno è aumentata di 14 punti percentuali. E sono ad immediato e grave rischio di usura circa 40mila imprese del commercio, della ristorazione e dell’alloggio”.

Nel suo intervento alla giornata della legalità di Confcommercio, il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, ha ringraziato il presidente Sangalli per l’impegno a favore della diffusione della cultura della legalità ricordando anche la sinergia con Confcommercio nella lottà alla criminalità. “Questa – ha detto Lamorgese – è un occasione importante di riflessione su temi essenziali per rilanciare il tessuto produttivo. E anche le aperture dei prossimi giorni possono rappresentare un volano per il rilancio delle imprese”. Lamorgese ha confermato che il coronavirus ha inciso sulla crescita di fenomeni come l’usura. “E’ necessario da parte di tutti – ha detto il ministro – impegnarsi per combattere questo fenomeno. La denuncia è un elemento molto importante”.

 

 


#Vogliamo una data: Ascom in piazza insieme a Fipe per dare voce alla galassia del terziario

 

La delegazione bergamasca di Ascom presente all’assemblea Fipe a Roma per chiedere al Governo una data della ripartenza per i pubblici esercizi

Titolari di bar e ristoranti, ovviamente, ma anche il mondo del catering e del banqueting, la ristorazione commerciale e collettiva, le discoteche, le imprese balneari e gli imprenditori del gioco legale e dell’intrattenimento: tutti insieme per chiedere al governo un programma per la riapertura definitiva delle loro attività, alcune delle quali chiuse da 14 mesi, e una data certa per avviarlo.

Sei mesi dopo “#SiamoATerra”, la manifestazione organizzata in 24 città con la partecipazione di migliaia di imprenditori, la Federazione italiana dei Pubblici Esercizi, torna oggi in piazza a Roma per dare volto e voce all’esasperazione di un settore in ginocchio e alla galassia dei pubblici esercizi. Una manifestazione legale, corretta ed espressione di una categoria che soffre ma che ha diritto di riaprire per una forma di protesta ordinata e costruttiva, coerente con lo stile della Fipe che ha sempre cercato un confronto con le istituzioni, rifuggendo populismi, polemiche e strumentalizzazioni e che oggi vuole dare un altro segnale forte.

fipe assemblea roma

Presente anche una delegazione bergamasca

A partecipare al sit-in organizzato in piazza (La diretta dell’Assemblea Fipe a Roma) c’è anche la delegazione bergamasca di Ascom Confcommercio Bergamo formata dal direttore Oscar Fusini e Giorgio Beltrami, presidente del Gruppo Bar Caffè di Ascom e vicepresidente regionale del coordinamento di Fipe Lombardia: “Scendiamo in piazza con un solo obiettivo: una data certa per riaprire – commenta Beltrami -. Bar, ristoranti e locali serali sono fermi da troppo tempo senza possibilità di lavorare a pieno regime e poi c’è la stagione turistica alle porte. Paesi come Spagna e Grecia sono già in pista per le prenotazioni mentre da noi non c’è ancora nessun orizzonte temporale certo e il rischio è di far saltare un’intera stagione”.

Se, infatti, nella manifestazione di ottobre il disagio era stato espresso apparecchiando simbolicamente tavole vuote nelle piazze d’Italia, stavolta si è scelto di convocare direttamente in piazza San Silvestro l’Assemblea Straordinaria della Federazione per chiedere direttamente al governo, e alla politica in generale, un impegno preciso: una data della ripartenza e un piano per farlo in sicurezza.

Gli interventi in piazza: da Sangalli a Stoppani

Durante la mattinata si sono susseguiti i collegamenti live con le piazze di tutta Italia, intervallati agli interventi di tanti piccoli imprenditori che racconteranno le loro storie di quotidiana disperazione. Sono inoltre previsti gli interventi del presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, e del presidente di Fipe, Lino Enrico Stoppani.
Intanto, nel giorno dell’audizione davanti alle Commissioni congiunte V e VI del Senato sul Dl Sostegni, il direttore generale Fipe, Roberto Calugi, ha lanciato un nuovo appello alla politica sottolineando che “attorno alla riapertura dei pubblici esercizi si combatte una battaglia politica che non fa bene a nessuno. Qui è in gioco il futuro di migliaia di imprenditori e di oltre un milione di lavoratori. Ci aspettiamo che il governo affronti il tema della ripartenza dei nostri locali così come ha fatto in passato per altre categorie, prevedendo un piano preciso, misure stringenti e controlli a tappeto per punire chi non le rispetta”.

 

 

 

 


Settimana chiave per le riaperture anticipate. Terziario, ristorazione e turismo incrociano le dita

Da Palazzo Chigi filtra la disponibilità ad anticipare a fine mese qualche riapertura. Il presidente di Federalberghi, Bocca: “Il nostro settore ha bisogno di programmazione”

La situazione epidemiologica migliora, anche se molto lentamente. E se la tendenza verrà confermata nei prossimi giorni il governo è pronto ad autorizzare qualche riapertura prima della data canonica del 30 aprile (la scadenza del decreto anticoronavirus attualmente in vigore, ndr). A fine mese, insomma, potrebbero essere di ritorno le zone gialle (Lazio, Veneto, Marche e Molise hanno già dati compatibili), con la conseguente apertura dei ristoranti, almeno a pranzo, ma anche di musei, cinema e teatri, con ingressi contingentati. Per ora, è bene specificarlo, nessuna decisione è stata presa né è stata convocata la cabina di regia per discutere le scelte da fare.

In attesa che venga decisa la data del confronto tra le forze politiche, un elemento è comunque chiaro: se si deciderà di riaprire, saranno fatte scelte “selettive e ponderate”, come ha ribadito il presidente del Consiglio superiore di Sanità, Franco Locatelli. Tradotto in parole povere, la maggior parte delle attività che sono chiuse dovrà attendere comunque maggio. “Guai se pensassimo di essere fuori dal problema. Ci ritroveremmo nella situazione di metà marzo avendo vanificato settimane di sacrifici”, ha ammonito Locatelli. Per il prossimo mese, come sostenuto dal sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri, è poi ipotizzabile l’apertura dei ristoranti anche la sera: “torneremo con i colori nelle regioni, compreso il giallo. I ristoranti possono aprire da maggio e a metà del mese anche a cena”, ha detto.

Draghi: “Nessuna data certa per le riaperture”

Per le riaperture una data non c’è, dipenderà dall’andamento della campagna di vaccinazione. In conferenza stampa a Palazzo Chigi il premier, Mario Draghi, lo ha detto chiaro e tondo confermando quanto da giorni filtrava dalla sede dell’esecutivo. L’ex presidente della Bce lo aveva appena ribadito al leader della Lega, Matteo Salvini, al termine del quale quest’ultimo aveva comunque aperto uno spiraglio (“non si può vivere in rosso a vita. In base ai dati ci sono almeno sei regioni italiane in cui si potrebbe riaprire. Conto che si possa fare in aprile”).

Draghi, in ogni modo, trova “normale chiedere le riaperture, sono la miglior forme di sostegno”, ma appunto per valutarne la possibilità “inseriremo il parametro delle vaccinazioni per le categorie a rischio”. E si guarderà anche all’andamento nelle singole regioni per valutare un allentamento della stretta: “è chiaro che nelle regioni che sono più avanti nelle vaccinazioni ai più fragili  e vulnerabili sarà più facile riaprire”.

Per quanto riguarda il turismo, il presidente del Consiglio ha di fatto avallato l’auspicio del ministro Garavaglia per la riapertura al 2 giugno (vedi più in basso, ndr): “È la nostra festa nazionale e potrebbe essere una data delle riaperture per noi”. “Garavaglia dice a giugno. Speriamo, magari anche prima, chi lo sa. Non diamo per abbandonata la stagione turistica, tutt’altro”, ha aggiunto. Intanto, in vista della stagione turistica estiva, prende piede la proposta di rendere le isole “covid free”, come sta facendo la Grecia. Garavaglia è d’accordo (“possiamo farlo”) e con lui i presidenti di Sardegna e Sicilia, Christian Solinas e Nello Musumeci, che chiedono a Draghi di “avere il coraggio” di andare oltre la proposta di vaccinazione delle sole isole minori e puntare a immunizzare con il vaccino l’intera popolazione delle due isole più grandi isole del Mediterraneo e “a spiccata vocazione turistica”, che “possono garantire numeri importanti per la ripresa dell’economia nazionale”.

Il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, ha parlato invece del passaporto vaccinale, una possibilità allo studio del governo, come hanno fatto altri Paesi, per attrarre i turisti. “Lavoriamo – ha detto – a un ‘green pass’ con tre condizioni, il vaccino, avere avuto il Covid e il tampone negativo. Non è discriminatorio e da noi esiste già in Sardegna”.

Il “balletto” delle date: 20 e 30 aprile

Gli scontri di piazza avvenuti qualche giorno fa a Roma non cambiano sostanzialmente il quadro d’insieme: nonostante il pressing delle forze politiche di centrodestra, che chiedono legittimamente un calendario delle riaperture con date certe sicure e per dare certezze ai settori e agli operatori economici più in crisi, bisognerà attendere comunque il 30 aprile. Ovvero, la data prevista dal decreto con le misure anti Covid attualmente in vigore. Questo perché i dati non consentono ancora allentamenti, come dimostra ad esempio la situazione di Palermo dove il sindaco ho dovuto chiedere alla Regione di instaurare la zona rossa (fino al 14 aprile) dopo aver superato un’incidenza di 275 casi ogni 100mila abitanti.

In ogni caso, se ne è parlato anche al “tavolo” tra Governo e Regioni. “È il momento di riprogrammare le riaperture dei prossimi mesi, solo così il Paese sarà pronto a ripartire dove il virus lo consentirà”, ha detto il presidente della Liguria, Giovanni Toti, appoggiato dal “collega” dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, per il quale “se dopo il 20 aprile i numeri saranno migliori perché non aprire qualche attività?”. Data ribadita dalla ministra per gli Affari regionali Mariastella Gelmini: “delle riapertura da maggio ci saranno, forse qualcosa anche dal 20 aprile”.

Per il sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri, comunque, “dal 20 aprile potremmo porci la domanda se anticipare le riaperture o far scivolare tutto ai primi di maggio. Se i numeri miglioreranno, e penso di sì, potremmo fare una scaletta partendo da quelle attività che possono farlo in sicurezza”.

turismo turista

Garavaglia: “Presto date certe per la ripartenza del turismo”

“È fondamentale dare date certe, perché ogni giorno che passa perdiamo potenziali clienti. Penso che nel giro di qualche giorno saremo in grado di dare date certe”. Così il ministro del Turismo, Massimo Garavaglia, che nel corso di un incontro alla Stampa estera, alla domanda “Quando riapriranno gli alberghi?” ha risposto che “l’anno scorso abbiamo aperto a metà maggio, non vedo perché non possa essere così anche quest’anno”. Mentre per la ripresa del turismo estero, “non sono in grado di dare una risposta certa sulle date – ha ammesso – però in Francia Macron dice che il 14 luglio apriranno tutto, noi abbiamo il 2 giugno come festa nazionale e speriamo che sia la data giusta”.

Parole, queste, apprezzate dal presidente di Federalberghi, Bernabò Bocca, per il quale “le parole del ministro sono sacrosante. Un albergo non è come un negozio o un bar che da un giorno all’altro riapre, un albergo ha bisogno di programmazione: deve accettare le prenotazioni, fare campagne sui Paesi italiani e stranieri, inserire le date sui portali. Non esiste settore come il nostro che abbia bisogno di programmazione”.

Confturismo: “Il 2 giugno è troppo tardi”

“Dateci una data, ma non il 2 giugno: sarebbe troppo tardi”. È la posizione di Confturismo, il cui vicepresidente Marco Michielli spiega che la data giusta, già indicata dal ministro Garavaglia, sarebbe quella del 15 maggio, “la stessa della Grecia, in coincidenza con la Pentecoste, che rappresenta il primo grande afflusso di turisti del Nord Europa nel nostro Paese. Spostare tutto al 2 giugno ci farebbe andare oltre la Pentecoste, che è da sempre il viatico di una buona stagione ovunque”. Per questo Confturismo chiede al responsabile del Turismo, “comprendendo le sue difficoltà”, di “dialogare con il collega alla Sanità per poter uscire ufficialmente con la data del 15 maggio: a quel punto la clientela tedesca potrà prenotare e arrivare nelle nostre località, considerato che le ferie non si possono fissare all’ultimo momento”.

 


Venerdì 9 aprile la protesta degli ambulanti non alimentari. “Niente vendita chiediamo solo di riaprire”

Oltre 200 operatori pronti a “occupare” i posteggi assegnati nei mercati di 34 comuni. Il presidente Dolci: “Riaprire i mercati e le fiere si può”

Anche Fiva Bergamo aderisce allo stato di agitazione indetto dalla categoria per venerdì 9 aprile in tutta la Lombardia. Una protesta civile che porterà oltre 200 ambulanti operatori non alimentari a “occupare” i posteggi a loro assegnati nei mercati di 34 comuni della Bergamasca senza però effettuare le vendita. Una manifestazione nel rispetto delle regole che coinvolgerà tutte le province lombarde per dimostrare che i mercati non possono vivere di soli ambulanti alimentari e che lavorando all’aria aperta ci sono le condizioni per operare in sicurezza.

“Saremo sui nostri posteggi per segnalare la nostra volontà di ripartire, riappropriandoci delle nostre aree di mercato, senza effettuare l’attività di vendita, nel rispetto del decreto, e per dimostrare che i mercati all’aperto sono sicuri – sottolinea Mauro Dolci, presidente Fiva Bergamo -. Non capiamo, infatti, perché le deroghe di apertura per le merceologie in zona rossa, dalle confezioni e calzature per bambini ai prodotti per l’igiene e la casa, non riguardino gli ambulanti. E soprattutto ci chiediamo perché una fabbrica può, al chiuso, ospitare centinaia se non migliaia dipendenti e operare con i dovuti accorgimenti, mentre noi no”.

Seguendo lo slogan Fiva “Riaprire i mercati e le fiere si può, riaprire i mercati e le fiere si deve”, gli ambulanti occuperanno i loro posteggi per testimoniare la volontà di ripartire con l’obiettivo di far tornare a lavorare tanti operatori drammaticamente fermi. Un gesto che va oltre la protesta sul campo: “Ieri abbiamo avuto un incontro con il Prefetto d Bergamo Ricci per sottoporre alla sua attenzione la grave situazione che stanno vivendo gli ambulanti – prosegue Dolci -. È stato un incontro proficuo non solo per il via libera alla manifestazione ma anche perché abbiamo notato la volontà di ascolto da parte delle istituzioni. La nostra categoria, infatti, è consapevole dell’emergenza sanitaria in corso e delle aperture vincolate alla situazione pandemica ma è anche allo stremo. Attendere ancora tutto aprile per la ripartenza non è possibile, c’è grande esasperazione e molti operatori non ce la fanno più dopo un anno di fatturati precipitati: di almeno il 40% nei casi migliori fino ad oltre il 90% per chi non lavora ormai da troppo tempo come i fieristi. Con ristori irrisori e famiglie da mantenere”.

La protesta in 34 comuni della Bergamasca

Da Bergamo a Capriate, da Pontida a Verdello passando per Sorisole e Caravaggio gli ambulanti sono quindi pronti ad alzare la voce, ma sempre nel rispetto delle regole: “Gli operatori di prodotti non alimentari saranno presenti presso i loro posteggi senza effettuare alcuna attività di vendita e la manifestazione sarà coordinata dalla nostra associazione per poter garantire la massima sicurezza e il rispetto delle regole – conclude Dolci -. Ci dissociamo infatti dagli atti violenti visti ieri a Roma perché non si tratta di fare a gara a chi urla di più: queste iniziative invece, servono a sensibilizzare le istituzioni: per la nostra categoria, infatti, passare in zona arancione ci consentirebbe di lavorare a pieno regime”.

I Comuni coinvolti nella protesta Fiva sono: Albano Sant’Alessandro, Antegnate, Bergamo (Viale Pasteur), Berzo San Fermo, Calcinate, Capriate S. Gervasio, Caravaggio, Casirate, Cene, Chiuduno, Cividate al Piano, Colzate, Fara Gera D’Adda, Fiorano al Serio, Gandellino, Gorno, Grassobbio, Leffe, Levate, Morengo, Onore, Piazza Brembana, Ponte San Pietro, Pontida, Pradalunga, Pumenengo, Ranica, Schilpario, Seriate, Sorisole, Spinone al Lago, Stezzano, Vedeseta, Verdello.