Troppo tempo perso inutilmente e ora a pagare è solo il terziario

Premesso che al primo posto viene la salute e quindi tutte le azioni poste in essere per combattere la pandemia devono avere la precedenza, è doveroso, come presidente di una delle Associazioni di categoria più rappresentative del nostro territorio, stigmatizzare parte di quanto sta accadendo. 

C’è tanta amarezza e rabbia. 

Molti, tra imprenditori e cittadini, temono che questo sia l’inizio di un percorso già visto nel mese di marzo e psicologicamente quello che abbiamo vissuto sta incidendo su quello che stiamo vivendo. 

Se l’amarezza è umana e comprensibile, la rabbia in molti è legata all’idea che non sia stato fatto tutto quanto necessario per impedire questa drammatica fase. E tra i nostri imprenditori c’è la certezza che ora siano solo il commercio e il turismo a pagare il prezzo più alto. 

Sappiamo che una pandemia non è governabile, né dalle forze di Governo, né dal sistema sanitario, ma riteniamo che siano stati spesi mesi interi senza trovare soluzioni che avrebbero potuto attutire il problema odierno. 

Oggi abbiamo la percezione che le istituzioni facciano nuove leggi o emanino nuovi provvedimenti, sempre più restrittivi, solo perché non siano in grado di far rispettare le leggi esistenti. Inoltre scaricano sul cittadino e sugli imprenditori le loro inefficienze. E qui voglio citare esempi che sono eclatanti.

Il nodo trasporti. Per tutta l’estate non si è parlato d’altro che dei banchi di scuola con le rotelle, senza affrontare il vero problema: la mobilità alla ripresa delle attività produttive e scolastica di settembre. Ed ecco il risultato: mezzi di trasporto occupati come prima della pandemia. Era già noto in primavera che l’autunno avrebbe portato a un sovraccarico dei mezzi senza il distanziamento necessario a prevenire il contagio, ma non ci si è concentrati su quella che sarebbe stata la probabile soluzione: potenziare le linee negli orari di punta con i mezzi privati fermi perché non utilizzati per altri scopi. 

Il nodo scuola. Sulla scuola sono stati sprecati mesi, in cui si sarebbero dovuti elaborare nuovi modelli di formazione Sono stati forse fatti percorsi di formazione per gli insegnati per rendere efficace la formazione a distanza o ciascuno ha dovuto arrangiarsi? Inoltre sono stati compiuti grandi sforzi da parte delle singole scuole per scaglionare gli ingressi e le uscite, poi di colpo la Regione ha imposto la didattica a distanza, mortificando lo sforzo di molti. Perché, per scaglionare le entrate, non si sono imposti ingressi pomeridiani? Solo cosi avremmo avuto un reale minor affollamento sui mezzi di trasporto. E’ per caso il solito problema di gestione del personale dipendente pubblico? La nostra giornata è di solito di 12 ore lavorative e non di mezza giornata.

Il nodo sanità. Non compete a noi, e non ne abbiamo neppure le competenze, valutare l’operato di questi mesi, ma rileviamo con stupore che la maggior parte delle regioni sia in ritardo sui programmi di potenziamento dei posti letto e della terapia intensiva. 

Così, passo dopo passo, Dpcm dopo Dpcm e ordinanza dopo ordinanza, siamo arrivati alla chiusura dei centri commerciali al sabato e alla domenica, alla chiusura dei bar e dei ristoranti  alle 18, con un danno enorme per i nostri settori e la nostra economia. 

Io per primo asserisco che il cittadino debba fare la sua parte, così come gli imprenditori si debbano attivare a rispettare le ordinanze. Ma gli assembramenti sono legati solo ai nostri settori? 

Le restrizioni introdotte potrebbero produrre assembramenti in altri orari, probabilmente ancora più marcati perché possibili solo in un lasso di tempo ancora più ristretto. E saremo punto e a capo.

Gli assembramenti dipendono da un bisogno di socialità espresso dai nostri giovani. Potremmo chiudere tutti i bar, ma non risolveremo il bisogno di vedersi, di frequentarsi. E su questo non ci risulta siano stati fatti o siano in atto campagne di sensibilizzazione specifiche verso i più giovani. 

E così, di questo passo, il futuro lockdown è alle porte con buona pace del cittadino, dell’economia e della salute.

Siamo stanchi, a volte sfiduciati, ma non vogliamo arrenderci. Non possiamo, però, più permetterci decisori politici non in grado di svolgere il loro ruolo e capaci di scaricare sul cittadino la loro inefficienza. Ne va del futuro della nostra nazione e soprattutto delle nuove generazioni.


Fogalco al fianco degli imprenditori

La nostra Associazione, attraverso la Cooperativa di garanzia Fogalco vuole continuare ad essere al fianco dei nostri Imprenditori, per assisterli nelle loro richieste come si è fatto sino ad oggi per l’ottenimento dei 600 euro, nell’aggiornare gli imprenditori su tutte le novità che sono state introdotte dai Decreti ministeriali e dalle ordinanze regionali, e riguardo alla miriade di domande che i nostri associati in queste settimane ci hanno rivolto ed alle quali abbiamo cercato di rispondere. Sul credito automatico abbiamo costituito un gruppo di lavoro che si è reso disponibile ad accompagnare e assistere gli associati nella predisposizione delle relative richieste di agevolazione.

Decreto Liquidità, Credito Adesso, voucher camerali, sono queste le principali misure dedicate al credito che a livello nazionale, regionale e locale sono state messe a disposizione degli imprenditori e sulle quali Ascom e Fogalco sono fortemente impegnate.
I provvedimenti contengono interventi importanti per le micro, piccole e medie imprese, per i lavoratori autonomi e per i professionisti e sono nate con lo scopo sia di assicurare la necessaria liquidità e il supporto finanziario in questa situazione di emergenza sia di assistere le stesse imprese per il raggiungimento del necessario riallineamento finanziario distorto dalla grave crisi.
Abbiamo raccolto le più significative operazioni di sostegno alle imprese già in fase operativa, tra cui il Credito automatico con massimale di 25.000,00 euro.

Potete trovarle nel vademecum Ascom pubblicato sul sito alla pagina: https://tinyurl.com/ybevvzvl


Fogalco al fianco delle imprese

La nostra Associazione, attraverso la Cooperativa di garanzia Fogalco – afferma Giovanni Zambonelli, presidente di Ascom Confcommercio Bergamo – vuole continuare ad essere al fianco dei nostri Imprenditori, per assisterli nelle loro richieste come si è fatto sino ad oggi per l’ottenimento dei 600 euro, nell’aggiornare gli imprenditori su tutte le novità che sono state introdotte dai Decreti ministeriali e dalle ordinanze regionali, e riguardo alla miriade di domande che i nostri associati in queste settimane ci hanno rivolto ed alle quali abbiamo cercato di rispondere. Sul credito automatico abbiamo costituito un gruppo di lavoro che si è reso disponibile ad accompagnare e assistere gli associati nella predisposizione delle relative richieste di agevolazione.

Decreto Liquidità, Credito Adesso, voucher camerali, sono queste le principali misure dedicate al credito che a livello nazionale, regionale e locale sono state messe a disposizione degli imprenditori e sulle quali Ascom e Fogalco sono fortemente impegnate.
I provvedimenti contengono interventi importanti per le micro, piccole e medie imprese, per i lavoratori autonomi e per i professionisti e sono nate con lo scopo sia di assicurare la necessaria liquidità e il supporto finanziario in questa situazione di emergenza sia di assistere le stesse imprese per il raggiungimento del necessario riallineamento finanziario distorto dalla grave crisi.
Abbiamo raccolto le più significative operazioni di sostegno alle imprese già in fase operativa Credito automatico con massimale di 25.000,00 euro.

Potete trovarle nel vademecum Ascom pubblicato sul sito alla pagina: https://tinyurl.com/ybevvzvl


Vacanze e tempo libero, da Ascom un pacchetto di sconti

turismo - vacanzieri - turisti

Si apre la stagione delle gite fuori porta. Le opportunità offerte dalla nostra provincia sono tante e varie. Per gli imprenditori associati ad Ascom Bergamo Confcommercio lo sono molto di più, grazie a un carnet di sconti che arrivano anche al 30%.

L’associazione commercianti di via Borgo Palazzo ha infatti firmato una serie di convenzioni con numerose strutture e aziende che spaziano dal settore dei trasporti a quello dei viaggi, passando per alberghi, centri benessere, agenzie viaggi, parchi divertimenti e luoghi culturali.

Sul fronte trasporti, commercianti e imprenditori dei servizi e del turismo possono godere, ad esempio, di sconti sul noleggio di auto e pullman con le società Zani Viaggi (riduzioni del 10% cumulabili con tutti gli altri sconti previsti dalla società, per gite di una giornata), Hertz e Party in Furgone (specializzato nel nolo di pulmini Volkswagen d’epoca), oltre che di riduzioni fino al 30% sui biglietti Trenitalia (con la possibilità di fatturare mese per mese all’azienda), di 5 euro sui biglietti di viaggio Flixbus (società di autobus a lunga percorrenza che effettua servizi di trasporto low-cost in tutta Europa) e del 15% sulle singole soste nei parcheggi di Bergamo di piazza della Libertà e via Paleocopa gestiti da Best in parking. Per chi invece pensa a una vacanza lontana, Ascom riserva tariffe preferenziali per l’uso dei parcheggi negli aeroporti di Orio al Serio, Malpensa e Linate per tutto il 2017 in accordo con ViaMilano parking di Sea.

Chi vuole regalarsi una vacanza all’agenzia Ovet Viaggi può avere uno sconto fino al 10%, e sulle vacanze Valtur del 5% sui prezzi dei listini  Prenota prima, Stai 7 e paghi 6 e Quota base.

Chi ama il relax può  godere di biglietti ridotti del 25% per le Terme di Colà a Villa dei Cedri e del 20% alla beauty farm Villa Ortensie di Sant’Omobono e usufruire di soggiorni scontati (del 10%) all’Hotel resort e spa Miramonti di Rota d’Imagna, al QC Terme Spa & resorts di San Pellegrino e al Tata-o Family spa di Palazzago, innovativo centro benessere dedicato anche ai bambini.

Proprio alle famiglie è indirizzato il maggioro numero di offerte che riguardano tutti i luoghi più amati del divertimento: Gardaland (sconto del 30% sui biglietti a data aperta), Leolandia a Capriate San Gervasio (sconto di un euro sui biglietti a data fissa), Parco Avventura della Roncola di Bergamo (sconto del 20% sulle tariffe di ingresso ai percorsi del parco per l’associato e un accompagnatore), Parco zoologico Natura Viva di Bussolengo (sconto di 5 euro sull’acquisto dei biglietti in pre-ordine senza limiti di numero da ritirare in Ascom), Canevaworld Resorts (sconto di 4 euro sull’ingresso per i parchi Caneva o Movieland e per la cena a Medieval Times restaurant and show e di 2 euro sulla cena a Rock Star restaurant), Acquasplash Franciacorta (sconti di 2 e 3 euro sui biglietti di ingresso) e Acquardens le Terme di Verona (sconto di 3 euro sulla tariffa intera giornaliera di accesso al parco).

Chiudono il pacchetto di proposte vantaggiose due offerte culturali: l’ingresso ridotto a Gamec (dove si possono anche acquistare i cataloghi scontati del 20% e i libri del bookshop del 10%) e biglietti scontati di 2 euro ai cinema Conca Verde e Del Borgo di Bergamo per le proiezioni del venerdì.

Per accadere agli sconti è sufficiente richiedere in Ascom il codice sconto relativo all’offerta di cui si vuole godere e presentare la tessera associativa o la dichiarazione di tesseramento insieme al codice al momento dell’arrivo sul posto. Per alcuni parchi, i biglietti possono essere prenotati e ritirati negli uffici Ascom.

Per informazioni si può contattare l’ufficio soci Ascom al numero 035 4120304. Il referente è Giorgio Lazzari.


Commercio nei centri storici, ecco come s’è trasformata Bergamo

Centro-BergamoE’ stata presentata questa mattina a Roma la seconda edizione della ricerca “Demografia d’impresa nei centri storici italiani”, realizzata dall’Ufficio Studi di Confcommercio. Lo studio ha preso in esame 40 Comuni italiani di medie dimensioni capoluoghi di provincia, tra cui Bergamo. Nei comuni analizzati risiede l’11,6% della popolazione italiana, il 12,4% delle imprese, il 14,8% delle attività al dettaglio in sede fissa, e il 11,7% degli alberghi, bar e ristoranti. Lo studio si è focalizzato sul periodo il 2008 e il 2016 ed ha messo in evidenza come in 8 anni il numero di negozi in sede fissa è sceso del 13,2% nelle città italiane, un fenomeno più marcato nei centri storici che in periferia (-14,9% contro -12,4%). A diminuire sono soprattutto le librerie e i negozi di giocattoli e abbigliamento, mentre per i benzinai si può parlare di vera e propria sparizione. In controtendenza solo farmacie e i negozi di telefonia e Ict domestico.

Per quanto riguarda Bergamo, la ricerca mette in luce anche la trasformazione avvenuta nella città, a partire dal centro storico, che sta assumendo una vocazione turistica. Dai dati emerge che Città alta e il centralissimo di città bassa ha perso il 14,4% dei negozi al commercio in sede fissa, in linea con gli altri capoluoghi (-14,9%), mentre tiene il commercio fisso nelle altre zone della città (Bergamo -1,1% contro il – 12,45% degli altri capoluoghi). «La tenuta delle periferie è dovuta al fatto che la nostra città nei decenni scorsi ha già sofferto la pressione della grande distribuzione, che ha portato al calo di attività commerciali al dettaglio fuori dal centro storico» spiega Oscar Fusini, direttore di Ascom Bergamo Confcommercio.

I negozi al dettaglio hanno lascito posto ad alberghi, bar e ristoranti, che sono cresciti dal 2008 al 2016 del 18% in città alta e centro Bergamo bassa, contro il 10,9% degli altri capoluoghi. Le restanti zone della città sono in linea con i 40 comuni interessati dalla ricerca (Bergamo 10,6% contro il 9,9% medio degli altri capoluoghi). «Bergamo è in profonda trasformazione – spiega Fusini – e sta scoprendo la sua vocazione turistica, grazie alla vicinanza con l’aeroporto di Orio al Serio e alla crescita di strutture ricettive e extralberghiere, che, anche se posizionate fuori dal centro storico, riversano le loro presenze in città alta e nel centro città. E’ una vocazione che dobbiamo coltivare, per poter intercettare più turisti e visitatori. Anche nelle vie centrali di Bergamo Bassa c’è un incremento di ristoranti, bar e alberghi. Se fino ad una decina di anni fa il centro città era il luogo di attrazione commerciale per tutti i bergamaschi, ora ci sono altri poli che attirano clienti. E i negozi di abbigliamento e calzature hanno lasciato lo spazio alle attività di ricezione. Uno dei motivi di questa trasformazione è dovuto anche al caro affitti, come la ricerca di Confcommercio mette in evidenza».

Dalla ricerca emerge infatti che il ciclo economico ha un impatto più significativo nei centri storici che altrove e che la sopravvivenza del negozio nel centro storico dipende anche dal livello dei canoni d’affitto e, in particolare, dal rapporto tra canoni nel centro e in periferia. «Su questo tema Confcommercio, già da tempo, ha messo in campo diverse iniziative concrete per riqualificare e valorizzare le aree urbane – spiega Fusini -. Con l’iniziativa di oggi la Confederazione chiede al Governo di favorire il ripopolamento commerciale delle città attraverso un’efficace politica di agevolazioni fiscali. Anche  Ascom è attiva sul tema della desertificazione con alcuni progetti allo studio con il Comune di Bergamo».

 


Via Moroni, oltre Porta Osio il commercio scompare

Nel giro di pochi mesi la via Moroni oltre Porta Osio – e ciò che resta del vecchio casello del dazio delle Muraine – sta vedendo scomparire una dopo l’altra insegne storiche, tra chiusure e trasferimenti. Il negozio di elettrodomestici a marchio Trony si è visto costretto ad abbassare le saracinesche e nello stesso stabile è scomparsa anche la sede di Mauri Luce, colosso di elettroforniture recentemente acquisito dal Gruppo Comolli Ferrari che ha trasferito l’attività in via dell’Industria 35, come annuncia un cartello sulla vetrina, dove nel frattempo sono comparse alcune sagome in cartone di persone impegnate in diverse attività.

Poco prima del passaggio a livello che spezza in due la città, negli ultimi metri di via dei Caniana si contano ben 13 vetrine abbassate a partire dal civico 8. In quella che era stata un tempo la sede di un rivenditore di auto, aveva aperto un grande Low-cost store cinese ad ottobre 2015, ma nonostante la vendita di ogni sorta di articoli di cancelleria ed altri articoli da regalo, a due passi da scuola e università, dopo poco più di un anno di attività, ad agosto 2016, anche il proverbiale spirito imprenditoriale del Dragone si è arreso alla crisi.

Oltrepassato il passaggio a livello, all’incrocio con via Cerasoli, persiste la desolazione dell’area che un tempo ospitava un distributore di benzina a marchio Eni: la bonifica del sito è stata effettuata, si era annunciata anni fa una nuova apertura ma evidentemente il progetto di rilancio è andato in fumo. Restano solo erbacce e spazzatura dietro le transenne, periodicamente sostituite, ed è stato murato l’accesso agli uffici dell’ex stazione di servizio per evitare che si trasformi in bivacco. È chiuso da tempo e in vendita lo stabile al civico 267, come annunciano i cartelli dell’agenzia immobiliare Tecnocasa.

Piantoni, punto di riferimento per la fornitura idraulica, l’arredo bagno e il riscaldamento, ha deciso di chiudere l’attività, nata nel 1978 e presente dal 1992 in via Moroni: «Manteniamo solo per qualche mese la vendita all’ingrosso per liquidazione del magazzino – spiega Roberto Piantoni -. La crisi economica che ha investito l’edilizia e, a cascata, l’idraulica ha avuto il suo peso, come la concorrenza dei grandi brico center. Di qui la scelta di chiudere l’attività e di affittare nell’immediato futuro il negozio. Spiace assistere al progressivo impoverimento commerciale della zona, tra chiusure e trasferimenti. Quando c’era l’attività di riparazioni Distretti, ora trasferitosi a Longuelo, c’era molto più passaggio e movimento».

Anche la difficoltà nel trovare parcheggio ha penalizzato la via: «Università e liceo gravano enormemente sul quartiere e i vigili si concentrano su via dei Caniana e altre zone – continua Piantoni -. Salvo passare dai commercianti, come mi è capitato qualche mese fa, per controllare la regolarità delle insegne, con tutta la mia incredulità, perché mi chiedo come sia possibile pensare che possa aver esposto un’insegna abusiva in 25 anni di attività».

Ha chiuso, nonostante l’accesso praticamente diretto alla sede di via dei Caniana dell’Ateneo, la Libreria Universitaria Liub al 249: il negozio ospita ora l’agenzia immobiliare Ethicasa, che ha deciso di spostarsi di qualche metro, optando per una superficie commerciale ridotta, rispetto alle due vetrine che occupava al civico 241.  Anche l’Auto Foresti, dal 1948 in via Moroni, ha deciso di rinunciare a parte dello show-room espositivo al civico 244 ridimensionando l’attività di autosalone, che affianca quella di autofficina.

Si è invece ingrandito il tabaccaio con rivendita giornali, che ha aperto anche la caffetteria Good Time Cafè: «Abbiamo scelto di investire nella via, nonostante il momento storico e il governo disincentivino in ogni modo qualsiasi attività economica – commenta Monica Facoetti -. Abbiamo ristrutturato quella che era una sede di un kebab e mi sono sentita contestare dall’Asl che il bagno ad uso privato ed esclusivamente nostro non ha il miscelatore, quando ci sono attività etniche che vendono parrucche e banane insieme. Spiace lavorare in una via che si sta svuotando, ma senza incentivi se si spopola il centro città, figuriamoci la periferia».

Paolo Moto, storica presenza nella via dal 1980, ha visto il quartiere crescere e poi decadere: «Negli ultimi anni l’attività si è ridotta anche del 75 per cento: l’e-commerce per i ricambi e la vendita tra privati sono cresciuti in modo esponenziale – spiega Paolo Lucco -. Un tempo nella via c’era più passaggio. Ora anche il traffico auto con la lungaggine del passaggio a livello, che sta quasi più chiuso di quanto stia aperto, è dirottato in via dei Caniana. L’ex distributore dell’Eni, da dieci anni completamente abbandonato, affossa ulteriormente l’immagine della via. La questione parcheggio va affrontata e al più presto: impossibile da quando ci sono scuole e università trovare posteggio di giorno».

Nonostante i posti auto di fronte al negozio, il supermercato per animali Italpet, dall’altra parte del passaggio a livello, di fronte all’ex Trony, soffre l’invasione di auto e il parcheggio selvaggio nella zona: «Ogni giorno è una guerra per i posti auto: serve una soluzione per il quartiere – spiegano Serena Scarpellini e Laura Notario -. I tempi del passaggio a livello poi sono insostenibili e molti si scoraggiano. Il passaggio a livello alla Motorizzazione è velocissimo, qui, invece, nonostante la linea sia la stessa, a pochi chilometri in linea d’aria, i tempi sono biblici. Fortunatamente la nostra è un’attività particolare e la clientela non manca, anzi contiamo molto sulla fidelizzazione, ma di certo molto si può fare per migliorare e valorizzare la zona e agevolare i commercianti che resistono».

La soluzione per i posteggi potrebbe passare dalla trasformazione in parcheggio dell’ex distributore, come suggerisce lo chef-patron Paolo Algeri de “Il Ristorantino”, dal 2003 nella via. «È un’area privata che potrebbe essere impiegata con investimenti minimi in parcheggio, uscendo dallo stato di abbandono e dall’immagine di desolazione in cui versa. Quando c’era il distributore c’era modo di posteggiare l’auto». Nonostante il passaggio sia diminuito negli anni e chiusure e trasferimenti non invoglino a passeggiare nell’area, il Ristorantino conta su una clientela affezionata e l’attività affronta più che a testa alta la crisi: «La via sta soffrendo e sicuramente sarebbe più incentivante lavorare in un contesto più vivace da un punto di vista commerciale, ma non possiamo certo lamentarci – continua Algeri -. In questi anni abbiamo fidelizzato la clientela e grazie al passa-parola l’attività continua a crescere. A tarpare le ali all’imprenditorialità è la burocrazia: ci siamo battuti per avere un’area esterna, presentando ben tre progetti al Comune, salvo poi ricevere all’ultimo un’opposizione, dopo le spese per lo studio del nostro dehors, perché l’area è trafficata. Così abbiamo deciso di inventarci un’area estiva affittando l’orto del vicino e ottenendo finalmente il via libera per una trentina di posti all’aperto».

Stefano Sturiale di Sturi Pizza, in via Moroni dal 2011, ha visto crescere la sua attività: «Di giorno la via è frequentata dagli studenti delle superiori e dell’università, mentre la sera, non essendoci particolari attrattive, non vi è sostanzialmente passaggio pedonale. Negli ultimi anni la presenza di B&B e altre strutture ricettive nella zona e la vicinanza al Papa Giovanni XXIII  ha portato qui anche qualche turista straniero e parenti di chi è in cura in ospedale». La questione-parcheggio è il vero nodo da sbrogliare nella zona: «I posti auto sono pochi e negli ultimi anni tanti ragazzi del liceo, oltre agli universitari, hanno iniziato a muoversi in auto – continua Sturiale -. Non c’è ricambio perché dove è in vigore il disco orario non viene quasi mai rispettato e le auto restano posteggiate anche tutto il giorno. Poco o nulla cambia per un’attività come la nostra che lavora sulla consegna a domicilio, anche se la possibilità di parcheggiare potrebbe favorire tutta l’area. Quanto al passaggio a livello, i nostri addetti alle consegne hanno da tempo imparato a fare il giro largo, sennò le pizze arriverebbero a destinazione fredde».

Soddisfatta della sede scelta per la sua attività anche Nadja Ruggeri di Enne8 che ha aperto al 234 di via Moroni il primo timbrificio specializzato anche in consumabili da stampa e grafica, iniziativa replicata poi nel 2014 in centro, in via Garibaldi, e poi seguita dall’idea nel 2016 di creare il primo timbrificio franchising italiano a marchio “Ruggeri Timbrifici”, pronto a cercare nuovi affiliati. «Per il nostro settore la via è strategica per il passaggio di auto, in particolar modo dalla provincia e dai paesi limitrofi – spiega Nadja Ruggeri -. La vicinanza dell’università è un altro plus, perché ci porta lavoro per grafica e impaginazione di tesi di laurea e quant’altro. L’unico problema è rappresentato dalla difficoltà di trovare posteggio: ci vorrebbe maggior turn-over per le auto, che invece spesso restano parcheggiate ore». Quanto al percorso di affiliazione iniziano ad arrivare le prime richieste: «Stiamo partecipando alle prime fiere: l’interesse per l’attività non manca, a partire dalla specializzazione nella realizzazione di timbri particolari per legno o presse, una caratteristica che ci ha permesso di rientrare nel novero delle Eccellenze Italiane».

Anche attraversando via Carducci, e proseguendo per via Moroni fino all’incrocio con Via Palma il Vecchio, il commercio soffre. Hanno chiuso poco prima di Natale il Panificio Bonini e anche il negozio per gli appassionati di running Pianeta Corsa e la storica tipografia Stamperia Editrice Commerciale, che occupava un intero stabile al 206.

«Il lavoro non manca e la via (a parte il problema parcheggio che si trascina da anni, con una corsia riservata agli autobus che crea caos e pochi posteggi carico e scarico che vengono presi d’assalto) non ha nulla a che fare con le recenti chiusure – commentano dal Fruttivendolo Brivio Marzia Cagnoni e Carla Brivio -. La zona è buona e la clientela non manca, ma siamo tartassati da tasse e oneri burocratici in un Paese che penalizza il commercio». Della stessa opinione anche Roberto Breciani di Cicli Bonfanti, storica insegna di rivendita e riparazione biciclette, forte di 85 anni di storia nella via: «Il parcheggio manca e si potrebbe fare molto per migliorare la situazione, ma il problema è che continuano ad aumentare tasse, imposte e burocrazia, a partire dalla tassa sui rifiuti che ha raggiunto livelli folli. Spiace vedere tante chiusure nel giro di dieci anni, che stanno cambiando la via. La clientela non manca, ma soffriamo la concorrenza dell’e-commerce, che non ha regole. E non manca chi arriva con il pezzo di ricambio sbagliato acquistato on-line a chiedere la possibilità di un cambio da noi in negozio».


La Brexit non spaventa, decolla la nuova scuola italiana

scuola-italiana-a-londraLa Brexit non spaventa gli italiani a Londra, che non sembrano avere alcuna intenzione di andarsene e anzi, investono nell’educazione dei propri figli. Un segnale positivo si è visto proprio qualche giorno fa, con l’inaugurazione del nuovo ampliamento della Scuola Italiana a Londra, la prima e unica del Regno Unito. In un contesto internazionale come quello della capitale britannica, le offerte formative non mancano. Spiccano scuole internazionali ambite e di prestigio, come quella francese e tedesca, che sono anche un indice significativo non solo del numero di stranieri, ma anche del desiderio di comunità e che si crea tra chi vive all’estero. A queste realtà ben radicate si aggiunge la scuola italiana. Fondata nel 2010 da un ristretto gruppo di volontari privati, ha incontrato le esigenze dei connazionali ed è passata, in pochi anni, ad ospitare fino a cento iscritti, divisi tra scuola d’infanzia e primaria, con il programma di aprire una scuola media nei prossimi anni, cosi da farli proseguire nello studio.

L’istituto ha ottenuto la parificazione da parte dei ministeri della Pubblica Istruzione italiano e inglese. Alla base del progetto formativo, l’opportunità per gli studenti di potersi inserire in un sistema scolastico bilingue ed avere una formazione ampia e completa che coniuga le basi culturali italiane ed anglosassoni, cercando di unire il meglio dei due mondi.  Il successo di questo progetto è arrivato grazie agli sforzi di un gruppo di italiani, che, guidati da Francesca Nelson-Smith, hanno raccolto i fondi necessari bussando alla porta di donatori privati. Francesca Nelson-Smith, che è la fondatrice di questo progetto e vi ha dedicato tempo e risorse negli ultimi 10 anni dice: “Non è stato facile e ci abbiamo messo degli anni ma abbiamo trovato sostegno e aiuto da parte di molti e siamo grati all’Ambasciatore italiano a Londra Pasquale Terracciano, che ha inaugurato la nuova sede la scorsa settimana e ai nostri donatori che con noi condividono la passione per la cultura e la formazione italiane. Oggi siamo molto soddisfatti dell’obiettivo raggiunto”.

Il progetto di ristrutturazione e ampliamento della scuola è stato concepito e realizzato dallo studio di architettura JT Lab, con sede a Londra e a Padova, che si è occupato di connettere  in modo armonioso i civici 154 e 156 di Holland Park Avenue e creare nuovi spazi per ospitare i nuovi studenti. Il progetto, consegnato in tempi record, ha mantenuto le caratteristiche dell’edificio storico e ha creato uno spazio dinamico e a misura di bambino. Tiziano Massarutto, architetto e director di JT Lab, lavora e vive a Londra. “Sono da poco diventato padre e ho pensato a mia figlia, a come interagirebbe con questo spazio, al suo benessere e all’armonia che l’edifico scolastico vorrei che trasmettesse. Nonostante la complessità del progetto, non ho mai perso di vista l’utente finale, ovvero i bambini, che verranno qui per imparare, giocare quotidianamente e, speriamo, essere felici tra queste aule e questi banchi. Ho messo loro in primo piano nel progetto e nell’esecuzione, lasciandomi guidare dai loro movimenti e dall’uso che avrebbero fatto di questo spazio. Questo è il risultato”.

 


Una triste Santa Lucia per noi che abbiamo perso la fiducia

Quando ero giovane, e ribelle come tutti i giovani, cercavo di imitare i miti eroici che avevo imparato ad amare a scuola, tra gli amici, nelle prime esperienze politiche: Jűnger, Aragorn, Codreanu, Leonida. Disprezzavo i deboli, gli inetti, coloro che mi sembrava evitassero le sfide, limitandosi ad esistere, senza mai vivere veramente. Non comprendevo, semplicemente non ero in grado di comprendere, le ragioni di quelle debolezze, di quelle inettitudini. E’ stato solo crescendo, cominciando a conoscere, un po’ alla volta, il bruciore acre della sconfitta e l’implacabile insulto che il tempo fa al nostro corpo, beffandoci con il suo lasciarci l’anima dei vent’anni, che ho iniziato a capire. E, se, una volta, la solitudine mi sembrava la bellezza d’acciaio dell’alpinista sulla vetta più alta, oggi la solitudine mi fa sinceramente ribrezzo: anzi, mi fa paura. Perché ho finalmente compreso che la nostra comune fragilità deriva da un lutto immedicato: da un distacco mai voluto. La mia generazione è una generazione di orfani: uomini incompiuti, a metà fra una tradizione che si è sgretolata ed una rivoluzione che non si è mai realizzata. Avanguardia del niente.

I miei genitori, i miei nonni, avevano, per quanto vivessero in un universo semplificato e catechizzato dall’alto, delle granitiche certezze, che riassumerò, per dire in breve, nella formula nota: “Dio, Patria e Famiglia”. Per mio nonno, uomo del 1890, veniva certamente prima la Patria, finché, lui, socialista umanitario, sodale di Turati e della Kuliscioff, non scoprì Dio, che, negli ultimi anni della sua lunga vita, non divenne la sua priorità. Per mio padre, uomo onesto fino allo scrupolo ed in perenne contrasto con un’adolescenza piena di angoscia, che non voleva terminare, il perno di tutto fu la Famiglia, intesa come tributaria del suo lavoro indefesso e dei suoi sacrifici, più che come nido o luogo di affetti espliciti. Mia madre non fa testo: avrebbe dovuto monacarsi e, forse, solo il desiderio di maternità le ha impedito di farlo. Non conosco altre persone che abbiano letto tre volte tutti e sette i volumi della Recherche: lei è una che mette in fuga i Testimoni di Geova a colpi di citazioni bibliche. Loro, tutti loro, i miei agnati, erano ben sicuri di qualcosa: che fosse la Patria del Carso e dell’Isonzo, la Famiglia delle pubblicità dei dadi oppure il Dio che atterra e suscita, che affanna e che consola, loro non erano orfani in questo mondo. Noi, sì. Noi tutti sì, maledizione.

Pur senza pretendere di cancellare nulla, abbiamo, un poco alla volta, sgretolato quelle pietose illusioni che ci rendevano meno estraneo l’universo: abbiamo cominciato a ridere delle bandiere e degli inni e siamo finiti ad adorare il mito del mondialismo. Abbiamo messo in soffitta superstizioni e riti e, oggi, viviamo le feste natalizie, che dovrebbero, comunque, essere feste religiose, come una gigantesca ordalia pagana: come un rito celebrato di fronte agli altari della più maialesca materialità. Abbiamo distrutto la famiglia tradizionale e siamo giunti a negare, come una tradizione malsana, perfino, la nostra umanità e il nostro sesso. Non abbiamo più niente, non sappiamo più niente. Ci dicono che così, nudi bruchi, neonati senza alcun cordone ombelicale, siamo enormemente più liberi: sarà anche così, per quanto a me non paia. Ma la vera domanda è, semmai: siamo più felici? Mi viene in mente la riuscitissima immagine di Alessandro Magno, giunto al termine del mondo, che Pascoli descrive in un noto poema conviviale: il vincitore di tutto, ora che non è rimasto più niente da conquistare, è disarmato, immobilizzato. E si domanda se non sarebbe stato meglio limitarsi a sognarle, tutte le sue vittorie: per avere più destino davanti.

Così siamo noi: oberati di immagini, di luci, di parole, che non fanno altro che darci il senso desolante dell’inutilità di tutto questo agitarsi, di questa velocità, di questa fretta di andare in nessun posto, di non arrivare mai. Così, in questa Santa Lucia tanto diversa dai tredici dicembre della mia infanzia, mi sento anch’io come Alessandro, giunto all’Oceano: non perché rivivano in me i miti della mia adolescenza, ma perché, semmai, il mito si è fatto realtà, ed ha perso tutta la sua valenza magica. Il mythos ha dovuto accettare le leggi del logos, e nessuno ci potrà restituire la gioia di credere per pura fede. Anzi, mi verrebbe da dire che quest’epoca di imbecilli in cattedra, di disonesti in pulpito, di egoisti in pubblico, ci ha reso del tutto increduli: incapaci di fidarci della gente, delle idee, delle cose. E questo, forse, è il dramma più grande di questa mia generazione orfana, questa doomed generation senza guerre e senza pace: l’aver perso la fiducia. Nel futuro come nelle parole: la fiducia negli uomini. Una volta, però, per chi perdeva la fiducia nei propri simili, esisteva un rifugio sicuro, dove consolarsi l’anima: la fiducia in Dio. E si chiamava fede. Ma quella, purtroppo, è come il coraggio: se non ce l’hai non te la puoi dare. E non c’è Santa Lucia che tenga.

 

 


E’ un Paese infelice quello che vota per protestare e non per progredire

referendumottobre-600Io ci speravo: giuro che ci speravo. Dopo due mesi di strombazzate e di bufale, di dichiarazioni di voto e di invocazioni accorate al popolo, alla democrazia, alla costituzione, alla resistenza e alla mistica fascista, mi auguravo sommessamente che fosse finita: che la nottata fosse passata e che potessimo, una volta tanto, comportarci da persone normali. Sì, ciao: non era ancora terminato lo scrutinio che già cominciavano le luminarie. A cominciare dal presidente del Consiglio, che deve aver passato la giornata elettorale davanti allo specchio a fare le facce, per vedere quale era la più adatta ad esprimere la legittima soddisfazione del vincitore o il composto cordoglio dello sconfitto: radiosa ma non esultante, seria ma non doma, un sorrisetto, una lacrimuccia appena accennata e subito detersa col ditino. Cose già viste: italianerie da commedia dell’arte, in fondo. Per poi passare alla fiera del delirio, quando si è trattato di commentare il risultato, in verità piuttosto clamoroso, del referendum. Grillo, Salvini e la Meloni che, in preda ad una tempesta ormonale, farneticavano di elezioni immediate, mi sono sembrati tre congedanti alla cena di fine naja: ubriachi di vino e di euforia. Reclamare elezioni a breve scadenza, prima che la Consulta ci dica, perlomeno, come andare a votare, più che intempestivo mi sembra stupido: capisco l’entusiasmo per quella che, a loro, deve essere sembrata una schiacciante vittoria politica, ma sarebbe meglio, quando ci si propone al Paese come possibili timonieri, dimostrare un po’ meno di pulsioni infantili e un minimo di senso realistico della politica.

Siccome i nostri, fino a poco prima, si presentavano proprio come paladini del realismo, io avrei suggerito loro di smaltire la sbornia referendaria, prima di abbandonarsi alla sicinnide. Lo stesso dicasi per gli sconfitti, che, sprezzando eroicamente il ridicolo, hanno attaccato con la solfa dell’“adesso tocca a voi!” dimostrando di essersi dimenticati che il voto riguardava la Costituzione e non la composizione del Parlamento, che rimane saldamente nelle loro mani, insieme al novanta per cento degli organi decisionali, dei mezzi di comunicazione e dell’impianto governativo di questa povera Italia. Il giochetto, da un punto di vista comunicativo, è semplicissimo: dare la colpa ad altri delle proprie marachelle. Chi ha rubato la marmellata? Gigino: è stato Gigino, io ero in bagno a lavarmi i denti! La verità, purtroppo, è che tutti quelli che ci hanno provato, negli ultimi anni, hanno miseramente fallito: il marmoreo Monti, telecomandato da Bruxelles, l’etereo Letta, reso simpatico solo dal fatto che si è fatto fregare come un fesso qualsiasi, e il nostro Leporello piangieridi, che, dopo la scenetta strappacuore, non ha la minima voglia di mettersi da parte. E, poi, c’è Berlusconi: quello che, col suo ritorno in campo, ha mosso almeno il 5% dei voti e senza il quale non si può decidere un bel nulla. L’ha detto davvero e l’ha detto proprio in questi termini: vi assicuro che non è un’iperbole cimminiana! Dopo avere distrutto quella parvenza di serietà e di civiltà che il nostro popolo poteva ancora esibire e, soprattutto, dopo aver proposto un modello di politicante che ha fatto scuola, cinico, disamorato, votato al proprio successo personale e all’esibizione sconcia del medesimo, adesso Berlusconi vorrebbe tornare in auge, col suo caravanserraglio di cortigiani?

Io mi chiedo se non siano tutti impazziti: l’Italia è ancora largamente ultima nella crescita, malgovernata, paralizzata da una burocrazia demente, scuoiata da una pressione fiscale intollerabile, invasa da torme di sconosciuti, tra i quali una buona fetta è composta da nullafacenti e nullavolenti fare, quando non di malandrini tout court, disoccupata, demotivata, deculturata, e questi stanno già giocandosi la tunica di uno che, non solo non è stato crocefisso, ma ha ancora in mano i chiodi e il martello. E’ la riprova, casomai ne servisse una, dell’incolmabile distanza tra la politica, che, ormai, si fa solo in televisione (anche fisicamente, visto che i nostri parlamentari ci bivaccano in pianta stabile, anziché legiferare), e un popolo che va per conto suo. Io credo che il risultato di questo referendum significhi soprattutto questo: ci avete rotto le balle! E temo che, d’ora in avanti, gli Italiani voteranno sempre meno per avere un governo e sempre più per non averlo: certo, ci saranno sempre i trinariciuti, le casalinghe di Voghera, i compagni emiliani, ma la maggioranza vota perché è l’unico modo di fare arrivare ai palazzi del potere il suo colossale vaffanculo. E, lasciatelo dire a uno che non ha mai accettato di candidarsi ad una carica (per la verità, fui eletto rappresentante di classe alle medie, battendo il candidato avversario, che era Giorgio Gori…altri tempi!): un Paese che vota per protestare e non per progredire è un Paese infelice e disperato. E noi, a parte Grillo, Salvini e la Meloni, siamo certamente più infelici che felici e più disperati che pieni di speranza. Anche se la sconfitta di Renzi, uno sgrisolo piacevolissimo, lo confesso, me l’ha fatto provare…

 


Gli intollerabili commenti su Fidel tra realtà e nostalgie giovanili

fidel-castroCome ho sempre sostenuto, noi non siamo pronti per la storia: troppo impegnati a fare il tifo, troppo disposti allo schieramento, per avere il senso dell’oggettività storica. Andiamo avanti da settant’anni con gli strascichi di una guerra civile che, in altri paesi, sarebbe stata digerita da almeno mezzo secolo: ancora oggi, in un mondo governato da ben altri meccanismi e con ben altri rischi totalitari, c’è gente che starnazza di fascismo e di antifascismo, accapigliandosi per proibire di qua, celebrare di là, mettere e levare cittadinanze, lapidi, corone di fiori. Siamo immaturi, storicamente parlando: ci manca quella capacità di affrontare sine ira et studio le capriole della storia e le insidie della memoria, tanto collettiva quanto individuale, che, in questo Paese, è una fonte tutt’altro che attendibile. Per questo, quando leggo i commenti di questo o di quel colore alla dipartita di Fidel Castro, una parte di me ridacchia divertita, mentre un’altra parte s’incazza come un bufalo. Il regime di Castro a Cuba, come tutte le dittature del Novecento, è stato un fenomeno complesso, da contestualizzare e da analizzare con pazienza e spirito scientifico: io dico che ci vorranno altri cinquant’anni, prima che lo si possa definire in una maniera storicamente accettabile. Ma che Castro sia stato un dittatore sanguinario e con un culto smodato della propria personalità, questo è sotto gli occhi di tutti: un assassino è un assassino e una viola mammola è una viola mammola, anche se l’assassino combatte contro il gigante Golia.

Invece, forse perché Castro, con la sua appendice, altrettanto sanguinaria ma assolutamente iconica, rappresentata da Ernesto “Che” Guevara, è stato il supereroe buono di tanti sogni adolescenziali di quelli che oggi fanno informazione in questo Paese, a leggere i giornali sembrerebbe che stessimo parlando di Batman e Robin. Facciamo a capirci, signori giornalisti: un conto è la nostalgia per i vostri formidabili vent’anni e altro è la realtà. Un conto è il vostro individuale e collettivo delirio dietro a bufale politiche come il Nicaragua, il Vietnam o Cuba ed altro è la sofferenza dei popoli, il massacro degli oppositori, la repressione della libertà. Io capisco che possa essere consolatorio illudersi di essere stati belli e puri, e di avere avuto ragione: ma avevate torto marcio, quando sostenevate alcune tra le più buie dittature del XX secolo, come avete torto marcio oggi a fare finta di essere tutti anime candide. Così, le rievocazioni dei barbudos che uno contro mille vincono, perché i buoni vincono sempre, viva la revoluciòn, hasta la victoria siempre, non raccontano che un pezzettino mignolo mignolo della Cuba di Castro: quello più presentabile, più accattivante.

Certo, il nano caraibico che sfida l’embargo del gigante americano fa simpatia: ma non si può trasformare questa istintiva simpatia in una formidabile fetta di salame sugli occhi. E dire che la sanità cubana è la migliore del mondo, tenendo conto dell’embargo e della condizione generale dell’isola, è una stupidaggine colossale: sarebbe come dire che il clima della Mauritania, tenendo conto della sfiga di avere un deserto proprio da quelle parti, è l’ideale per chi soffra di reumatismi. Insomma, esaminiamo pure la storia personale e politica di Fidel Castro con tutta la benevolenza possibile ed immaginabile, ma non trasformiamo il dato storico in una pochade: questo non può essere tollerato. Non lo si può fare per rispetto delle migliaia di persone che Castro ha fatto uccidere, scomparire, incarcerare: per gli oppositori, gli omosessuali, la gente qualunque che ha passato anni nelle carceri di cui, all’inizio, il responsabile era proprio il santo laico Guevara, e che non è mai uscita o ne è uscita per venire ammazzata. Esiste un pudore della storia, una dignità degli storici: oltre un certo limite non si può andare, perché sarebbe indecente farlo.

Giustificare i lager, i gulag, i laogai sarebbe indecente: giustificare Castro rientrerebbe nello stesso tipo di indecenza. Dunque, studiamola, questa rivoluzione cubana, facciamo confronti, collochiamola nel giusto contesto: ma celebrare un dittatore o, peggio, far finta di ignorare o dimenticare gli aspetti drammaticamente crudeli della sua dittatura, come hanno fatto tanti politici, scribacchini, mezzibusti e perfino il Papa, quello, lasciatemelo dire, è intollerabile. Dovrei pensare, allora, che tanta gente colta, preparata, importante, è talmente collusa con la sporcizia del potere da mentire per la gola: da assolvere un dittatore e condannarne un altro, in base al colore della dittatura? Non voglio crederlo: preferisco immaginare che, a caldo, prevalga la nostalgia per la propria stupidità giovanile, che ammettere di vivere in mezzo a tante carogne. E, infine, ho notato, sempre fra il divertito e l’incazzato, il necrologio di Castro pubblicato da “L’Eco di Bergamo” su mandato dell’associazione Italia-Cuba, come se fosse morto Bige Ramella, valente beccaccinista. Mi sono detto che, certamente, la pecunia, come dicevano i latini, non ha odore: ma, qui, di odori ne circolano altri, e tutti piuttosto intensi quanto a fragranza.