Alle origini del cioccolato: il ritorno alla torrefazione delle fave di cacao

Se la pressoché totalità del cioccolato – sia industriale che artigianale – in commercio parte da un semilavorato, una massa che viene plasmata dal singolo scioglitore, negli ultimi anni un piccolo gruppo di cioccolatieri avventurosi ha deciso di opporsi all’omologazione del gusto e di tornare alle origini del cacao. La ricerca della qualità inizia dal campo: dal terreno alla pianta, dalle cabosse (il meraviglioso frutto del Theobroma cacao) alle preziose fave, fino al momento in cui in grandi sacchi di juta prendono la via del mare. Dalla selezione delle fave si passa alla tostatura e torrefazione, procedura fondamentale per esaltare gli aromi del cacao e infondere carattere, la vera firma di ogni cioccolatiere. Ma c’è anche chi, come Claudio Corallo, propone cioccolato crudo, per esaltare al massimo il prodotto e trasforma in loco, in tavolette, il cacao, oltre a proporre sul mercato le favas de cacao torrado, le fave semplicemente tostate. 

La lavorazione artigianale sovverte i tempi dell’industria per ripiegarli a quelli naturali. Solo così, senza fretta né compromessi, si  restituiscono al gusto le sensazioni catturate nelle foreste equatoriali, unitamente alla gratitudine per chi cura piantagioni e fincas.
Piccole imprese e piccoli produttori sono a fianco in questa battaglia per un cioccolato migliore e anche più equo. Sono diversi i progetti di cooperazione che offrono ai cioccolatieri la possibilità di sviluppare un rapporto diretto con i produttori, tagliando un anello della catena dell’importazione, dai broker alle multinazionali, e riconoscendo agli agricoltori un prezzo superiore. La piccola impresa può arrivare così a controllare tutta la filiera e a disporre di un prodotto di origine certa e qualità eccellente. 

 

Il cacao funzionale e nutraceutico di Silvio Bessone

Il cibo degli dei è più che un alimento per Silvio Bessone (www.silviobessone.it), cioccolatiere per vocazione e scienziato etico per scelta, responsabile scientifico del Fine Cocoa Research Institute degli Stati Uniti. A solide conoscenze – laurea alla Jean Monnet di Bruxelles e collaborazioni universitarie, a partire dall’insegnamento di microbiologia all’Università di Caracas– Silvio Bessone intreccia la cultura naturalistica ayurvedica, incontrata in Sri Lanka, e l’antroposofia steineriana. «Il cioccolato del futuro oltre a piacere farà anche bene, a patto che si inverta la marcia dai principi di iperproduzione e sfruttamento delle risorse ambientali e manodopera, a partire da quella infantile. Dietro al sorriso di un bimbo che gusta una tavoletta di cioccolato, non ci possono essere le lacrime di un suo coetaneo privato del diritto all’infanzia. Sono cinque i cardini che ispirano Five, l’organismo internazionale che ho fondato: Buono, Sano, Sicuro, Giusto e Sostenibile» racconta dal suo laboratorio di Santuario di Vicoforte (Cuneo), dove produce tutto, perfino il latte in polvere con vacche piemontesi. Qui si lavorano fave provenienti da piantagioni avviate dall’altra parte del mondo, dalla selvaggia foresta pluviale della Mata Atlantica (dove è coltivato in cabruca per evitare la deforestazione) al Perù, alla Tanzania.  Quanto al movimento “from beans to bar(dalle fave alla tavoletta), Bessone ha fatto da pioniere, allestendo nel 2004 in Piazza Castello a Torino una vera e propria “fabbrica di cioccolato”, ispirazione per una generazione di tostatori e torrefattori di cacao, che in realtà in Italia sono una decina. «I macchinari per la torrefazione sono costosi, le spese di trasporto delle fave anche e la lavorazione richiede pazienza e cura, ma solo così si fa il cioccolato, controllando ogni fase, dalla raccolta alle cabosse, dalle fave alle barrette. E’ un investimento in coerenza e in differenziazione, perché ci sono comunque ottimi prodotti sul mercato e i processi di lavorazione sono lunghi e sinceramente non sempre ben riusciti- spiega Bessone- . Cresce la voglia di lavorare il cacao ma ci sono ahimè tentativi artigianali che arrecano più difetti di quanti ne fa l’industria, che però, a differenza dell’artigiano, riesce a coprire con additivi e trattamenti, a scapito ovviamente di aromi e profumi naturalmente presenti». In Ecuador a Babahoyo lo scienziato del cioccolato ha messo a punto con un pool di ingegneri il “Bessone Method Patent” per un cacao biodinamico: «I metodi di coltivazione rispettano la natura, le persone e l’ambiente e producono cacao nutraceutico, con valori biochimici interessanti alla lavorazione di un cacao funzionale». Nel 2021 si appresta a lanciare una vera e propria linea della salute: barrette da 12 grammi e mezzo, messe a punto con un medico esperto in preparazioni galeniche, promettono di tenere sotto controllo, in diverse versioni, ipertensione, stress, insonnia e cali energetici. 

Claudio Corallo, dalla piantagione alla tavoletta nell’isola Principe (Sao Tomè)

E’ l’unico produttore al mondo ad accompagnare il suo cioccolato dalla piantagione, a Terreiro Velho nell’isola paradisiaca di Principe nel Golfo di Guinea, alla tavoletta (from soil to bar, dal terreno alla barretta), con un processo di produzione effettuato interamente a mano. Il suo cioccolato -definito il migliore al mondo- sprigiona al meglio i suoi aromi a temperature tropicali, dai 27 ai 29 gradi. Claudio Corallo (www.claudiocorallo.com), fiorentino, con una specializzazione in agronomia tropicale in tasca, ha preso la via dell’Africa a 23 anni, quasi 50 anni fa, iniziando a lavorare come broker di caffè in Zaire prima di diventarne produttore, avviando una piantagione nella zona fluviale selvaggia vicino al parco Salonga, dove ha esportato la robusta più ricercata (e costosa, pagata il doppio dell’arabica) del globo. Le rivolte degli anni Novanta, l’hanno spinto a trasferirsi, mettendo in sicurezza la famiglia, a Sao Tomè, dove ha avviato piantagioni di caffè, cacao (sull’isola di Principe) e pepe. 

«Il cacao Forastero Amelonado venne introdotto sull’isola dal re portoghese nell’Ottocento, che vedeva avvicinarsi la fine della colonia in Brasile- spiega Claudio Corallo, bloccato in lockdown forzato nel Chianti-. Coltivarlo è stato naturale: la pianta del cacao è meravigliosa e la sua potatura mi ricorda quella dell’ulivo, anche se confesso di non avere mai avuto una grande passione per il cioccolato, almeno prima di produrre il mio». Il cacao viene raccolto da maggio a gennaio, lavorato subito, fermentato, accuratamente stoccato ed essiccato in modo lento e progressivo, poi tostato o lavorato a crudo. La fava di cacao viene macinata cruda per andare all’essenza di un prodotto eccezionale, privo naturalmente di asperità e amarezza:« E’ il migliore modo per assaporare, dal 75% al 100%, il lavoro fatto dal momento della raccolta allo stoccaggio, con la complicità di un clima ideale- continua Corallo-. Il cacao sprigiona così un’esplosione di sapori e aromi». Da provare le fave di cacao tostate per fare un viaggio ideale, dopo aver rotto e gettato il tegumento, a Terreiro Velho. Tutta la produzione di cioccolato di Claudio Corallo, affiancato dalla figlia Ricciarda, avviene dietro ordinativi e su misura, anche se al momento è bloccata dallo stop ai cargo imposto all’aeroporto di Sao Tomè per il mancato rispetto dei protocolli internazionali di sicurezza. «Un danno enorme- commenta, sconsolato-. Siamo riusciti a imporci sul mercato mondiale con un prodotto nato e trasformato nella sua terra d’origine, ma ora paghiamo lo scotto dell’insularità e dell’isolamento dal resto del mondo». 

 

Il cioccolato slow e naturale

“From beans to bar” è lo slogan che accompagna ogni creazione della fabbrica di cioccolato di Guido Castagna (www.guidocastagna.it), a Giaveno (To), che ha conquistato l’oro all’Italian Med Chocolate Awards per l’Italia e il Mediterraneo quest’anno con la crema “+55”, i “Giuinott”(sei volte oro agli International Chocolate Awards) e le praline menta e liquirizia, argento per le praline Cardamomo e Malva, Cannella e Calendula e Pistacchio. Per vedere le fave trasformarsi in tavolette, giuinott e praline secondo il “Metodo Naturale Guido Castagna”, codificato punto per punto dal cioccolatiere, bisogna avere un anno di pazienza. Le fave di cacao fine provenienti da cooperative selezionate dal Madagascar all’Ecuador al Venezuela, vengono lasciate fermentare all’80% circa e riposano per tre mesi in laboratorio. «La torrefazione avviene a bassa temperatura, a 110 gradi per un’ora per ottenere una perfetta tostatura e non a 200 gradi come avviene nell’industria» spiega Guido Castagna. Al bando sali o altri additivi derivanti dalla potassatura o alcalinizzazione del cioccolato. «È il tempo, attraverso l’affinamento delle tavolette, con una maturazione di almeno sei mesi, a smussare le asperità e favorire lo sviluppo di aromi pregiati» continua. L’idea di tostare direttamente le fave di cacao, segue il progetto di ritorno alle origini, con la lavorazione della nocciola Piemonte Igp direttamente dalla pianta. «A Trieste e a Genova trovavo solo cacao industriale di bassa qualità- spiega-. Così ho iniziato a visitare piantagioni in Repubblica Domenicana, Venezuela, Honduras, Salvador e Guatemala e grazie anche a una piccola molassa che infilo sempre in valigia, oltre a prendere accordi con i produttori, abbiamo avviato in loco la lavorazione». All’etica e al rispetto per il cacao e chi lo lavora si abbina l’eco-sostenibilità, con l’utilizzo degli scarti di lavorazione, dalla produzione di birre al compost per agricoltura e dai sacchi nascono originali borse in juta. 

 




“Un topo da due parti”: il nuovo libro dello chef Cornali tra arte, filosofia e architettura

I grandi pensatori come Joseph Chilton Pearce, Arthur Shopenhauer, Henry Ford e Luigi Pirandello convivono nella mente creativa di Mario Cornali, classe 1965, cuoco scrittore (è titolare del ristorante Collina di Almenno San Bartolomeo), appassionato di filosofia, capace di affrontare la propria professione con l’attenzione e la curiosità di un antropologo e il gusto di un artista. Non a caso il suo nuovo libro, il sesto, non è un ricettario di alta cucina, bensì un vero trattato filosofico sull’atto creativo. Si chiama “Un topo da due parti” ed è edito da Mediavalue. Un titolo ispirato dal disegno realizzato dalla nipote Ambra, oggi 17 anni, quando ne aveva 9, esempio della visione senza schemi o preconcetti di una bambina.

“Il testo è un viaggio alla ricerca di spiegazioni su come nasca un’opera d’arte dall’apprezzamento che è il risultato sia di elementi oggettivi, sia della percezione personale – spiega lo chef -. C’è chi preferisce Caravaggio e chi Fontana, lo stesso principio vale in cucina. Anche se il libro non è riferito in modo diretto ai fornelli, un piatto ha una forte matrice artistica polisensoriale che combina il gusto, il tatto, la sensazione termica, i ricordi”.

Importante, nell’arte gastronomica, il rapporto dell’autore con l’ingrediente, conseguenza di scelte non solo commerciali o produttive, ma che rappresentano pezzi di storia dell’uomo, di antropologia. “L’assaggio di un formaggio o di un pesce essiccato, realizzati in quantità limitata da un piccolo artigiano, può condurre dal prodotto al suo creatore, in quanto queste preparazioni descrivono il modo di pensare e di operare di quest’ultimo” si legge nel testo.

 “Anni fa introdussi il fieno in un piatto perché avevo il desiderio di trasporre e condividere sensazioni legate all’infanzia”, aggiunge Cornali che intervalla le sue riflessioni a 15 novelle che hanno la stessa funzione della “maionese sul petto di pollo”. Cornali, inoltre, descrive il preingrediente che riguarda le scelte che hanno reso peculiare un elemento nei vari passaggi. Dal tessuto delle novelle trovano propulsione le opere di Cesare Rota Nodari, classe 1935, architetto che ha realizzato edifici pubblici e privati, designer e ideatore di presepi. Le sue le immagini accompagnano il libro, creando un dialogo di metodo. L’architetto con le immagini e lo chef con le parole, hanno fatto di questo loro particolare sguardo, applicato in ambiti diversi, un metodo con cui approcciarsi alla quotidianità e ottenere in cambio forme e sapori, spesso impensati, con cui colorare la vita.




Con Affari di Gola le mascherine “Rinascerò, Rinascerai” a sostegno dell’ospedale di Bergamo

Ascom Confcommercio Bergamo presenta un’iniziativa a scopo benefico a sostegno dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Nata dal progetto “Rinascerò Rinascerai” di Roby Facchinetti e Stefano D’Orazio, l’iniziativa prevede in abbinamento e come supplemento alla rivista di enogastronomia Ascom “Affari di Gola”, la vendita (a 9,90 euro) delle mascherine con la scritta “Rinascerò, rinascerai”, titolo della canzone dedicata a Bergamo da Facchinetti e D’Orazio.

L’iniziativa si è concretizzata grazie anche alla collaborazione di Onis Italia, azienda di Spirano specializzata in abbigliamento sportivo e da lavoro che ha realizzato le mascherine in quattro diverse versioni, e Dif Spa, Agenzia Diffusione Pubblicazioni di Orio al Serio. Significativi i numeri dell’iniziativa ai nastri di partenza: oltre 400 le edicole coinvolte per un totale di 2400 mascherine. I proventi dello sfruttamento del marchio saranno devoluti direttamente all’Ospedale Papa Giovanni XXIII.

«Abbiamo sposato senza esitazione l’iniziativa, non appena se n’è presentata l’occasione: “Rinascerò, rinascerai” è infatti un vero e proprio inno alla vita e alla rigenerazione, un auspicio per il territorio e per tutto il mondo del commercio e dei servizi – commenta Oscar Fusini, direttore Ascom Confcommercio Bergamo (a destra nella foto insieme a Marco Daminelli, organizzatore di eventi, e Monica Cereda, amministratore Onis Italia) -. Per avere la massima e capillare diffusione sul territorio, abbiamo coinvolto le edicole, veri e propri presidi di vie, piazze e quartieri e Dif Spa, distributore unico giornali. Nonostante l’imminente avvio della massiccia campagna di vaccinazione su scala globale, le mascherine continueranno a essere indispensabili ancora per molti mesi e indossare i versi della canzone simbolo della pandemia, nata nella città che ha visto i giorni più bui, rappresenta un segno di vicinanza ai medici e a tutto il personale del Papa Giovanni che ogni giorno hanno lottato e lottano contro il virus. Al nostro ospedale andranno infatti gran parte dei proventi ricavati dalla vendita delle mascherine».

«L’utilizzo del marchio “Rinascerò, rinascerai” legandolo alla solidarietà era un obiettivo che insieme a Stefano c’eravamo prefissati da tempo – aggiunge Roby Facchinetti, cantautore e compositore –. Dopo aver visitato Onis Italia e valutato la qualità dei loro prodotti abbiamo capito che potevamo concretizzare la nostra iniziativa : un gesto ricco di solidarietà e di significato anche adesso che l’ospedale di Bergamo non è in piena emergenza ma comunque in difficoltà».

«E’ un progetto che abbiamo particolarmente a cuore perché veicola la celebre strofa per la rinascita della nostra città, proposta in quattro versioni stilistiche diverse di mascherine al 100% “made in Bergamo”, sostenendo quindi l’ospedale di Bergamo, impegnato in prima linea nel contrasto del virus» sottolinea Monica Cereda, amministratore Onis Italia che durante il lockdown ha riconvertito la produzione in  mascherine.

«Abbiamo coinvolto circa 400 edicole e a pochi giorni dal lancio dell’iniziativa  abbiamo già avuto richieste di nuovi riassortimenti – afferma Giorgio Corno, titolare DIF spa – Distributore unico giornali -. C’è infatti stata subito un’impennata di vendite nell’edicola dell’ospedale dove venerdì sono state vendute più di una ventina di mascherine.  Numeri che ci fanno ben sperare per il successo di quest’iniziativa».

«Ringrazio a nome di tutta la ASST Papa Giovanni per la vicinanza e per la finalità benefica dell’iniziativa – sottolinea il direttore generale Maria Beatrice Stasi -. Un’espressione di solidarietà che va aggiungersi agli innumerevoli gesti di grande generosità nei nostri con- fronti. La musica e il testo di “Rinascerò, rinascerai”, composti durante la prima ondata della pandemia e la nuova dimensione dell’iniziativa ci fanno sentire la vicinanza di tantissime persone che, sono certa, contribuiranno allo sviluppo di un progetto nato sulle note di grande umanità di Roby Facchinetti e del compianto Stefano D’Orazio».




La ristorazione in affanno: “Sia riconosciuto il ruolo dei pubblici esercizi”

L’assemblea 2020 di Fipe-Confcommercio che si è aperta il 18 novembre con una tavola rotonda cui hanno partecipato il premier Giuseppe Conte e i ministri Bellanova e Franceschini, quest’anno non chiude i battenti. Al contrario resterà aperta fino alla fine della crisi determinata dalla pandemia da Covid-19. Una decisione, quella dei vertici della Federazione Nazionale dei Pubblici Esercizi, tutt’altro che simbolica: l’obiettivo concreto è quello di mettere a disposizione dei 340mila imprenditori del settore un canale diretto per far arrivare la loro voce direttamente al governo, in una fase drammatica per la categoria.“Oggi – ha spiegato il presidente di Fipe – Confcommercio, Lino Enrico Stoppani ieri, 18 novembre– il presidente del Consiglio e i ministri che sono intervenuti alla nostra assemblea hanno ribadito il loro impegno per il nostro settore e questo per noi significa molto. Non solo perché la Fipe è stata riconosciuta come la casa di tutta la ristorazione italiana, ma perché da qui sono arrivate importanti novità. La prima l’ha portata il ministro Franceschini, che ha ribadito l’intenzione di includere la ristorazione tra i beneficiari dei fondi del Recovery Fund destinati alla valorizzazione degli asset turistici. Un’indicazione importante quanto quella annunciata dal ministro Bellanova, che ha ribadito l’intenzione di proseguire i lavori del tavolo unitario presso il ministero dello Sviluppo economico per valorizzare la ristorazione quale componente fondamentale della filiera agroalimentare. L’ultima novità è arrivata direttamente per bocca del premier, che si è preso l’impegno di incrementare i contributi a fondo perduto per le imprese che non possono lavorare a causa delle misure di contenimento della pandemia. Tutti impegni sui quali noi continueremo ad incalzare il governo. Perché le risorse messe in campo fino ad ora, seppur importanti, non sono sufficienti per garantire la sopravvivenza delle nostre imprese.
La ristorazione è in affanno e in cerca di un unico interlocutore, dopo i rimbalzi di ministero in ministero. Il quarto trimestre dell’anno si chiuderà, secondo Fipe,  con una perdita di fatturato di 10 miliardi di euro, pari al 40%. La previsione per la fine dell’anno è di una flessione di 33 miliardi di euro su 96 complessivi. 60mila imprese del settore sono a rischio chiusura e oltre 300mila posti di lavoro in bilico. Nel momento più complicato della crisi economica e sociale scatenata dalla pandemia da Covid, la Fipe – Confcommercio, Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi tiene la sua assemblea annuale e lo fa alla presenza del premier e di due ministri di primo piano, Teresa Bellanova, titolare della delega all’Agricoltura, e Dario Franceschini, ministro del Turismo. 

Una presenza doppiamente significativa. Da un lato perché consente al presidente Lino Enrico Stoppani di ribadire le richieste della Federazione direttamente all’esecutivo. Dall’altro perché dimostra l’attenzione del governo nei confronti dei Pubblici esercizi.

“Nonostante le risorse messe fino ad ora dal governo – Stoppani – lo sforzo non è sufficiente per prevenire le chiusure e gli scenari più catastrofici per il 2020, che parlano di 50mila imprese a rischio e 300mila posti lavoro in bilico. A seguito delle nuove restrizioni, occorre infatti rifinanziare i contributi a fondo perduto per compensare le perdite dei locali, occorre consolidare i crediti di imposta sulle locazioni commerciali e prevede e moratorie fiscali, contributive e creditizie”.

Dopodiché, però, se si vuole dare un futuro al variegato mondo della ristorazione occorre fare un passo in più. Per garantire la sostenibilità sul lungo periodo bisogna puntare sulla professionalità e sulla formazione: la crescita di fenomeni di concorrenza sleale ha determinato un impoverimento della qualità.

“La pandemia – spiega Stoppani – ha messo in luce alcune debolezze del settore: la fragilità di tante imprese è il frutto dell’espansione quantitativa e non qualitativa cui abbiamo assistito negli ultimi anni, a partire da un processo di liberalizzazioni a tratti semplicistico. Da anni Fipe denuncia il rischio bolla dovuto a un eccesso di offerta: 4,6 imprese ogni mille abitanti. Troppe”.

Secondo il presidente Fipe occorre ripartire da un rafforzamento dei requisiti professionali per l’accesso al settore che deve essere accompagnato da una politica volta a sostenere la domanda del consumatore da un lato e l’imprenditoria di qualità dall’altro. 

“Il ricorso massiccio allo smart-working – sottolinea il presidente Stoppani – non si esaurirà con l’attenuarsi della pandemia. Per far fronte alle conseguenze negative che produce e continuerà a produrre sui pubblici esercizi è necessario lavorare non solo sul cash back, per stimolare i pagamenti elettronici, ma anche sull’azzeramento dell’Iva, almeno per tutta la durata della crisi. Allo stesso tempo è essenziale dare vita a un’importante iniziativa di rinnovamento e aggiornamento del sistema dell’accoglienza turistica italiana, rafforzando l’integrazione fra le componenti ricettive e la parte dedicata alla ristorazione e ai servizi”. 

Un modo per riconoscere ai pubblici esercizi non solo l’importante ruolo di servizio, legato all’accoglienza e alla socialità, ma anche quello di componente essenziale delle filiere dell’agroalimentare e del turismo.

A proposito degli interventi strutturali,  Stoppani ha osservato che “c’è un accesso al mercato della ristorazione troppo facile e questo crea un’offerta eccessiva rispetto alla domanda. Bisogna dare dignità istituzionale a questo settore”. Secondo il presidente Fipe, “sarebbe necessario avere un unico ministro di riferimento, sennò facciamo la fine di un cane con troppi padroni che alla fine muore di fame. Quindi bisogna ripristinare il principio dello stesso mercato stesse regole, per ripristinare il principio della concorrenza leale”. Stoppani ha concluso il suo intervento ricordando l’importanza della formazione professionale per avere un settore sempre più qualificato.

Il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, in apertura del suo intervento ha ringraziato il presidente Stoppani per il suo grande impegno e la sua capacità alla guida della federazione dei pubblici esercizi. “Guardavo il video della manifestazione di piazza dei ristoratori del 28 ottobre, è stato un momento di cui andare orgogliosi”.

Il presidente ha voluto separare due momenti diversi dell’impegno della Confederazione per sostenere il settore della ristorazione: “Il primo per quello che è stato fatto, il secondo per quello che faremo”. “Abbiamo lavorato in questi mesi drammatici – ha detto Sangalli – portando a casa dei risultati certo non esaustivi ma con grande fatica e letteralmente guadagnati metro su metro. Da presidente della Confcommercio dico che sono risultati che devono essere potenziati con risorse adeguate, con cancellazione di tributi, con un più ampio credito d’imposta per le locazioni commerciali”. 

“Sono richieste – ha detto Sangalli -che riguardano non la singola categoria dei pubblici esercizi ma che in realtà s’incrocia con elementi di turismo e di cultura. Le nostre imprese sono insostituibili fattori di crescita e di occupazione e di coesione sociale e territoriale”. “Ogni misura per cui ci siamo battuti – ha aggiunto Sangalli – ogni emendamento sul quale abbiamo lottato per far inserire va in questa direzione. I prossimi anni non saranno semplici, perché i nuovi lockdown peseranno sempre di più sulla ripresa economica. Preoccupa anche la stretta del credito dalle nuove regole della Ue”. Dunque, secondo il presidente di Confcommercio, servono “ristori e indennizzi subito e poi preparare il tempo della ripartenza. La Legge di bilancio e il Piano nazionale di ripresa e resilienza devono contenere provvedimenti per mettere in moto investimenti per far ripartire il Paese”.

“Continueremo con pazienza a costruire ponti – ha concluso il presidente – lavorando per puntare a qualcosa di ambizioso e credere che si possa sempre arrivare dall’altra parte. Piano del turismo, aumento della produttività, politiche attive per il lavoro, legalità e infrastrutture: il senso di queste richieste è uno solo: crescere nella rappresentanza per far crescere il Paese”.  

Per il ministro dei Beni Culturali e del Turismo, Dario Franceschini che ha ribadito un concetto già espresso in altre occasioni: “E’ del tutto evidente che la ristorazione sia un pezzo fondamentale dell’attrattività turistica italiana. Il cibo italiano è un pezzo dell’identità italiana, ogni comunità ha le sue tradizioni culinarie che conserva come un patrimonio culturale”.

“Quest’estate – ha detto il ministro – abbiamo costruito la norma per i ristoranti dei centri storici ma oggi il tema è già diverso con la chiusura totale di interi territori e quindi i provvedimenti dovranno essere calibrati. Questo settore per la prima volta ha degli ammortizzatori sociali. Mi sono battuto per i tavoli fuori per ristoranti senza costi che ne ostacolavano la realizzazione. Abbiamo prorogato una norma che ha esentato dai costi di occupazione di suolo pubblico e di richieste di permesso alle varie sovrintendenze quando i tavoli non sono vicini a monumenti di interesse nazionale”.

Franceschini ha chiuso il suo intervento con un messaggio di speranza: “Chiusa l’emergenza Covid il turismo e la  domanda torneranno imponenti in Italia, più prepotentemente di prima.  Arriverà una stagione ricca con una domanda che tornerà forte”.

Il ministro per le Politiche Agricole, Teresa Bellanova, ha voluto ricordare l’eccezionalità della situazione causata dalla pandemia: “Non bisogna mai dimenticare che stiamo agendo in una fase delicatissima davanti alla quale anche il governo ha dovuto affrontare delle difficoltà. Ora siamo nella fase in cui oltre a fare interventi che agiscono sull’emergenze dobbiamo immaginare e disegnare il futuro”.  “Le nostre città – ha detto Bellanova – sono più sicure con i locali aperti sono un contributo importante. Ho fatto una battaglia per tenere aperti i ristoranti almeno fino alle 23. Bisogna rispettare chi ha investito per rendere sicuri i locali e anche per la filiera delle produzioni agroalimentari in Italia vengono consumate per il 40% nella ristorazione”.  “Questa battaglia – ha concluso il ministro – ha coniugato quello che secondo me deve essere la costanza  a adesso in poi: coniugare la filiera agroalimentare, quella del vino con la filiera della ristorazione. I ristoratori sono gli ambasciatori della qualità delle nostre produzioni, in Italia e all’estero”.

 




Quando il pecorino è made in Bergamo

Nonostante non sia tra le produzioni casearie tipiche e locali, anche a Bergamo c’è qualcuno che ha creduto in questo prodotto e ha provato ad allevare pecore da latte nella nostra provincia, scegliendo razze sicuramente non locali, ma di assoluto pregio. Negli alpeggi bergamaschi era uso avere anche le pecore, ma nonostante ne venisse utilizzato il latte, queste erano prevalentemente atte alla produzione di carne, come la Pecora Gigante Bergamasca, comunemente allevata in provincia. Sono ancora pochi gli allevatori che hanno scelto la pecora da latte, anche perché il clima umido e spesso piovoso soprattutto delle zone alpine non è l’habitat ideale per questi animali, abituati a un clima molto secco e caldo.  Ma si può fare e lo testimoniano gli autentici gioielli caseari prodotti da Luigi Bianchessi di Gromo, dall’azienda agricola Bianchessi e dal caseificio Via Lattea, che utilizza sempre il latte prodotto da Davide Bianchessi e dalla moglie Simona nella loro azienda agricola.

Luigi Pietrogalli photo© Gourmarte.it

Luigi Pietrogalli, le sarde e La Fiaschetteria

Luigi Pietrogalli, 45 anni, ha fatto una scelta di coraggio. A Gromo, zona storicamente dedita alla produzione di formaggelle e stracchini, decide di iniziare con l’allevamento di pecore Sarde. “Non avrei mai pensato di intraprendere questa professione – racconta Luigi – io facevo il panettiere e avevo un panificio di famiglia con i miei fratelli. Ma la pecora mi è sempre piaciuta, un animale che mi ha appassionato fin da bambino, ma che per molto tempo è stata solo una passione avendo alcuni capi di pecora Gigante Bergamasca. A queste poi avevo aggiunto alcuni bovini, ma continuavo per professione a fare il pane”. Luigi è una persona con molta voglia di fare e inventiva  “fare il formaggio – racconta ancora – era una cosa che mi mancava, che sentivo mia, mi è sempre piaciuto produrre il formaggio. Grazie ad alcuni amici in Toscana, ho venduto le mie vacche pezzate rosse e le pecore da carne per acquistare una quarantina di pecore Sarde”. Ecco che circa 8 anni fa Luigi inizia a caseificare e produrre il suo formaggio, una rarità. In estate le porta in alpeggio, “anche se non è semplicissimo, non è una pecora gestibile facilmente come quelle che avevo, anche per le piogge e il clima molto umido e fresco” racconta ancora Luigi. Il suo formaggio è uno solo, prodotto con una cagliata semi-cotta rotta fino alla dimensione di chicchi di riso; dopo la formatura viene salata a secco e stagionata per almeno un mese e mezzo. La stagionatura può anche proseguire, secondo la diponibilità di formaggio. Una pasta morbida, dal sapore dolce predominante, con gli aromi burrosi e che ricordano il fieno. Un dolce ricordo di montagna. E poi c’è la ricotta, sia fresca che stagionata. Il formaggio in città è possibile assaggiarlo a La Fiaschetteria in Borgo Santa Caterina abbinato nel piatto al prosciutto crudo Cà del Botto, per un inusuale punto di vista della valle Seriana gastronomica. 

Azienda Agricola Bianchessi a Quintano (Cr)

A pochi chilometri a sud dalla fine della provincia di Bergamo, il sogno di una giovane coppia è diventato realtà. Davide e Simona hanno dato un taglio alle loro “precedenti vite” per dare uno

Azienda Bianchessi
Simona Bianchessi

sbocco alla loro grande passione per le pecore. “La nostra è una passione che abbiamo condiviso da subito – racconta Simona, classe 1986 e con un passato da impiegata – infatti il nostro viaggio di nozze l’abbiamo passato nel sud della Francia, tra allevamenti ovini e caseifici. Abbiamo sempre avuto le pecore da carne, era il nostro hobby e quando abbiamo avuto la terza bambina, abbiamo deciso di fare qualcosa che fosse nostro e che ci permettesse di seguire la nostra passione con tutta la famiglia”. Ecco che nel 2018 il sogno diventa realtà e partiti da zero ora hanno una stalla e stanno finendo l’annesso caseificio e il futuro laboratorio dedicato alla lavorazione delle carni. Allevano pecore di razza Lacaune francese che vengono nutrite a fieno e erba di prato stabile,  non lavorati o concimati. In lattazione hanno 120 animali, per un gregge che conta circa 300 pecore. “Il nostro latte in parte lo vendiamo e in parte lo lavoriamo utilizzando ricette e lavorazioni che ci identificano, che richiamano al territorio (dove in genere si utilizza latte vaccino), ma riprodotte con il nostro latte di pecora”. Dallo yogurt, che si presenza cremosissimo grazie alla marcata presenza del grasso nel latte, fino a una ricotta spalmabile. E poi lo stracchino e il classico pecorino da stagionare. Infine, producono un formaggio simile al quartirolo, sia nella versione fresca che stagionata, robioline, croste fiorite e l’erborinato. Per quanto riguarda la carne di agnello, propongono preparazioni facili e veloci da cucinare, come le polpette o gli hamburger a partire da carne trita, ma anche le classiche costolette o gli arrosticini di pecora. I loro prodotti si trovano in azienda oppure ai diversi mercatini a cui partecipano. Sempre meglio prenotare la propria spesa.

Caseificio La Via Lattea e Paganì Antichi Sapori

Bombolone pecora bergamasco

A Brignano Gera d’Adda esiste ormai da molti anni un caseificio artigianale che lavora latte di capra per la produzione di golosità casearie uniche. Da un po’ di tempo, grazie alla collaborazione con l’Azienda Agricola Bianchessi nella fornitura del latte, produce due perle casearie di pecora: il Quintano e il Bombolone di pecora. Entrambi si possono acquistare Da Paganì, sia online che in negozio a Serina, un progetto di Daniele Cavagna che si propone di valorizzare e commercializzare prodotti caseari unici e locali, ma anche alcuni prodotti tipici selezionati. Il Bombolone di pecora è un formaggio prodotto a partire da latte crudo di pecora, a pasta semi-cotta. Dopo la sua produzione e formatura, viene semi-stagionato o stagionato. Un formaggio che all’assaggio regala un grande equilibrio gustativo, che parte dal dolce e arriva al salato e poi acido. Cilindrico, con la pasta compatta e poca occhiatura ben distribuita. Il Quintano è invece un formaggio a crosta lavata, come il Taleggio, prodotto a partire da latte crudo intero di pecora. La pasta è cruda ed è molto simile allo stracchino: forma parallelepipeda e una crosta di colore arancio simile al mattone. Una pasta morbida da godere, soprattutto grazie alla proteolisi che rende cremosa la pasta sotto crosta. Aromi lattici, accompagnati dal sottobosco e da note vegetali. La pecora si sente, ma regala sentori piacevoli e mai fastidiosi. Questo formaggio è arrivato sesto su oltre 1000 formaggi al World Cheese Award di Bergamo a ottobre 2019.




La cucina abbatte le barriere, Abf forma cinque aspiranti chef con disabilità psichiche

i cinque “neo diplomati” con Fabio Ferla, sindaco di Calvenzano

L’indipendenza e l’autonomia si conquistano anche ai fornelli. Lo testimoniano i cinque ragazzi, affetti da disabilità psichica, che sabato 2 ottobre hanno ritirato gli attestati di partecipazione al corso “Cucino come te”, promosso dalla onlus “Ci sono anch’io”, in collaborazione con l’Abf di Treviglio. A mettersi alla prova sono stati Stefani Schibuola di Morengo, Sara Omacini di Fornovo, Tazio Fratus di Ghisalba, Debora Magli di Misano Gera d’Adda e Nicolas Filipponi di Lurano.
A seguirli, frequentando il corso con loro, i volontari della onlus Marilena Tognoli e Nicoletta Colleoni. I laboratori sono iniziati a ottobre 2019 per un totale di 30 ore. A febbraio l’emergenza Covid -19 non ha fermato le lezioni, che sono proseguite on line. E, ora, i cinque ragazzi andranno avanti, insieme ad altri compagni che si sono iscritti al nuovo corso annuale, più avanzato di cucina, sotto la guida dello chef Pierfrancesco Sabadini, affiancato da Silvia Duzioni per sala bar. “L’iniziativa rientra nelle attività pensate per rendere il più autonomi possibile i nostri ragazzi che si impegnano nel comprare gli ingredienti, prepararli, cucinare piatti semplici come risotti, primi, arrosti, torte, oltre che nell’apparecchiare e ripulire. Impiegano il loro tempo, sentendosi utili, a lungo termine ci piacerebbe che possano inserirsi nel mondo del lavoro, a dispetto della disabilità”, afferma Elizabeth Escobar, mamma di Stefani. La signora, originaria del Perù, che da 30 anni vive in Italia, è la fondatrice dell’associazione che ha sede a Morengo. Lo scopo della onlus è racchiuso nel motto “Abilità diverse, stessa voglia di vivere”. “Ho voluto creare un gruppo dove i ragazzi potessero condividere esperienze, stringere amicizie, dove tutti  sono liberi di essere se stessi – afferma Elizabeth -. In questo scambio di doni, c’è interazione e integrazione, il dare è reciproco”. L’atmosfera e il calore che si trovano nell’associazione sono tali che tutti si sentono a casa e richiama volontari anche da Treviglio, Misano, Ghisalba, Verdellino e perfino Milano. Molte le attività della onlus, dai corsi di ginnastica rieducativa a quelli di fotografia, dal teatro alla danza, alle serate in compagnia. Info su www.cisonoanchio.com.

Per diventare volontari o accompagnare un diversamente abile, scrivere a cisonoanchio.morengo@gmail.com o chiamare al 342 0543348.




Sicurezza, pubblici esercizi virtuosi per il 92% degli italiani

I ristoranti sono luoghi sicuri, a confermarlo i loro stessi clienti. E’ quanto emerge da una recente indagine condotta da Format Research secondo cui per ben il 92% degli intervistati l’osservanza delle norme di sicurezza sanitaria da parte dei ristoratori è stata “molto o abbastanza” soddisfacente.
Esercenti virtuosi, dunque, in materia di norme anti-Covid. La tutela della sicurezza, dice la Fipe, è inoltre ai primissimi posti tra le motivazioni che inducono i consumatori a scegliere un posto piuttosto che un altro. L’aspetto più importante da valutare per il 47,4% dei consumatori è l’attenzione alle norme igieniche, a seguire ci sono il distanziamento dei tavoli (per il 35,2%), la dotazione di tavoli all’aperto (per il 34%), e l’attenzione al numero di persone all’interno del locale (per il 20%).

Ulteriore conferma arriva dall’analisi delle principali motivazioni che inducono a non mangiare fuori. A farla da padrone la paura del contagio per il 66,5% e la scarsa godibilità dell’esperienza dovuta alle rigide regole (per il 41,5%). Una larga parte degli intervistati, il 35%, non mangia più fuori a causa dello smart working.

”Bar e ristoranti sono luoghi sicuri sia per i clienti che per i lavoratori. Anche gli ultimi dati diffusi dall’Inail sui contagi da Covid-19 nei luoghi di lavoro, letti nel modo giusto, ne danno conferma. Al netto di un leggero e fisiologico aumento dell’incidenza dei casi nel settore del turismo dovuto ad effetti stagionali le attività di ristorazione restano tra i luoghi più sicuri. Come Federazione inoltre – conclude la Fipe – sosteniamo con convinzione la campagna a favore dell’utilizzo dell’app Immuni, che riteniamo possa essere uno strumento efficace per contrastare la diffusione del contagio. A questo proposito invitiamo tutti i nostri associati a esporre nei propri locali il QR code dell’app per consentire ai loro clienti di scaricarla”.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Condividi
 
 
 
 
 
 
 
 
 




Luigi Taglienti re della cucina vegetale

Luigi Taglienti Lume Restaurant

Luigi Taglienti ha ricevuto il premio “Best Vegetable Restaurant” durante la 19° edizione degli Award organizzati da We’re Smart Green Guide, riferimento mondiale nel mondo culinario delle verdure. Chef Luigi Taglienti, del Lume Restaurant di Milano, 1 stella Michelin,  si è aggiudicato il premio – per il quale erano in competizione 13 Chef provenienti da tutto il mondo – grazie alla sua raffinata cucina vegetale. L’anno scorso la giuria di We’re Smart® ha visitato centinaia di ristoranti in tutto il mondo. Il team giudica i ristoranti in base alla proporzione di frutta e verdura nei menu, ma anche alla creatività culinaria, all’impronta ecologica e alle sorprendenti combinazioni di gusto. Ogni anno la giuria incorona anche le aziende che si impegnano in modo eccezionale a favore di cibi e progetti sani e sostenibili. “L’obiettivo della mia cucina è quello di conferire al mondo vegetale l’importanza di un piatto principale allo stesso livello di una carne, di un pesce o di un primo – conferma Chef Luigi Taglienti – Un linguaggio quasi inedito concepito sotto forma di protagonista di un intero menù: un percorso composto da sette piatti centrali ognuno rappresentato da declinazioni diverse, creati senza regole e con il massimo apporto di spontaneità e creatività. La possibilità di spostare una verdura dal suo luogo comune coniugarla attraverso nuove armonie del tutto insolite e inaspettate, ridandole la sua giusta dignità gastronomica: questa è la nostra ‘nuova’ avanguardia.” “L’Italia è sicuramente il Paese degli ortaggi – dichiara Frank Fol, The Vegetable Chef® e founder di We’re Smart® – ed Enrico Crippa di Piazza Duomo ne rappresenta perfettamente lo spirito. È più che evidente che nelle sue creazioni parte dalla verdura per poi pensare al corretto abbinamento non solo di gusto ma anche nutritivo. Pietro Leeman e il ristorante Joia – prosegue Fol – incarnano l’alta cucina vegetariana nel Belpaese: tutto ciò che è vegetale non ha più segreti in questo “vecchio tempio”. Luigi Taglienti, infine, ci ha conquistato con la sua cucina creativa alla cui base ci sono prodotti di qualità che vengono coltivati in modo etico e sostenibile”.




Marianna Vitale conquista il premio chef donna 2020

Marianna Vitale Ph©Andrea Moretti

Il 9 settembre 2020, nell’ambito della quinta edizione dell’Atelier des Grandes Dames, un network che ha lo scopo di celebrare il talento femminile nell’alta ristorazione voluto da Veuve Clicquot, Michelin assegna il premio Chef Donna 2020 a Marianna Vitale, Ristorante SUD, Quarto (NA), una stella Michelin dall’edizione 2012.

Marianna Vitale è stata selezionata degli ispettori Michelin per la tenacia con cui ha costruito un progetto di ristorazione di qualità al di fuori dei circuiti turistici della sua regione.
Con spirito d’avventura, rigore e leadership, Marianna ha creato un locale che rispecchia la sua personalità. Piatti “classici” del territorio e percorsi di gusto elaborati giornalmente si affiancano a nuove invenzioni, facendo del ristorante SUD una tra le realtà più interessanti del panorama gastronomico partenopeo e italiano.
Marianna, classe 1980, intraprende studi accademici e si laurea con lode nel 2004. Si accorge presto però che la sua vera passione è quella per la cucina, il prodotto e la volontà di valorizzare il proprio territorio. A maggio 2009 nasce così SUD, che in soli tre anni conquista la stella Michelin e oggi si aggiudica il Premio Michelin Chef Donna 2020 by Veuve Cliquot.
Marianna è una delle 43 chef italiane a capo di ristoranti stellati. In tutto il mondo sono 168.

Il premio speciale Michelin Chef Donna 2020 by Veuve Clicquot si inserisce tra i premi assegnati da Michelin in occasione della presentazione della 65a edizione della Guida Michelin Italia, lo scorso novembre, quale riconoscimento di storie di italiani di successo che contribuiscono all’eccellenza del patrimonio culturale della nostra nazione: il premio MICHELIN Giovane Chef 2020, è stato assegnato a Davide Puleio, L’Alchimia  , Milano, Il premio MICHELIN Chef Mentor 2020, è stato assegnato a Gennaro Esposito, Torre del Saracino, Vico Equense (NA), il premio MICHELIN Servizio di Sala 2020, è stato assegnato a Sara Orlando, Locanda di Orta, Orta San Giulio (NO), Il premio MICHELIN Passion for Wine 2020, è stato assegnato a Rino Billia, Le Petit Restaurant, Cogne (AO).

*la foto in cover è di Ph.©Andrea Moretti

 




Il lockdown annulla le ferie di agosto: commercianti, baristi e ristoratori non si fermano

Il lockdown annulla le ferie di commercianti, baristi e ristoratori. In città e nei centri della provincia nel mese di agosto le attività commerciali resteranno aperte. Secondo un sondaggio fatto da Ascom Confcommercio Bergamo il 90% di bar e ristoranti e l’80% dei negozi alimentari e non alimentari non chiuderà per ferie, sia in provincia che in città. «Non è tempo di fermarsi – afferma Oscar Fusini, direttore di Ascom Confcommercio Bergamo – È questo quello che dicono i nostri associati, che sono stati segnati dall’emergenza sanitaria che ha stravolto il nostro territorio».Commercianti, baristi e ristoratori non si fermano nonostante la presenza limitata di turisti.

Chi chiude lo farà nella settimana dal 15 al 22 agosto e per molti le ferie si restringeranno ad fine settimana lungo: da sabato 15 a lunedì 17 agosto. «È un agosto diverso da quello degli anni precedenti – prosegue il direttore di Ascom Confcommercio Bergamo – non solo per ragioni climatiche ma anche perché sono molte le persone che non sono o non andranno in ferie e molte sono ancora al lavoro. Questo significa che le attività commerciali saranno per lo più aperte e non ci sarà il pericolo di serrate. Otto negozi su dieci non chiuderanno e per quanto riguarda il mondo della ristorazione nove bar e ristoranti su dieci resteranno aperti. Tutti sono impegnati a cercare di recuperare quei mesi di inattività che hanno fiaccato i bilanci delle imprese».