Capetti: «Crollano i contratti
a tempo indeterminato»

nella foto: Giuliano Capetti

“Le persone che lo scorso anno sono state interessate a cessazioni di rapporti di lavoro sono state pari a 101.070. È il risultato peggiore degli ultimi 5 anni”. I dati sull’occupazione, elaborati dall’Osservatorio provinciale del Mercato del lavoro, parlano chiaro. E nemmeno l’assessore provinciale al Lavoro, Giuliano Capetti, riesce a nascondere la sua preoccupazione. D’altronde, dopo la parziale ripresa tra il 2010 e il 2011, torna ad imporsi un trend negativo dove il saldo tra avviamenti e cessazioni è pari a -13.295. A subire di più gli effetti della mobilità è la fascia di età centrale: il 51,1% delle persone che l’anno scorso sono rimaste a piedi aveva infatti tra i 30 e i 49 anni. Ma anche per i giovani sono momenti duri, vista l’oggettiva difficoltà a farsi assumere dalle imprese orobiche: “I tempi indeterminati crollano – sottolinea Capetti – e questo è un dato inquietante perché stiamo parlando proprio di quei contratti che dovrebbero dare sicurezza al lavoratore”. Lo scorso anno, in effetti, il 46% delle assunzioni è avvenuto con contratti a tempo determinato, mentre solo il 23% è a tempo indeterminato. Segue la somministrazione (18%), il lavoro a progetto (5%) e da ultimo l’apprendistato (3%). Per quanto riguarda le cessazioni, la cui concentrazione segue le stesse dinamiche delle assunzioni, il dato più significativo è l’ampio numero di cessazioni riguardanti il contratto a tempo indeterminato, che sono state 9499 in più rispetto alle assunzioni.
I numeri del 2013 non sono confortanti ma per il 2014 possiamo sperare in una timida ripresa?
“L’analisi dell’Osservatorio si basa su dati oggettivi che non vogliono ridurre le speranze di un’eventuale ripresa nei cittadini. Sono numeri che confermano un quadro statistico di quanto è avvenuto nel 2013 e, anche se sono già passati tre mesi dai rilevamenti, sono importanti per costruire politiche del lavoro che siano efficaci anche da qui in poi. Speriamo che qualcosa si modifichi in corso d’anno. Confindustria ha detto che ci saranno dei segnali positivi relativi alla seconda metà del 2014 con un’inversione di tendenza e una ripresa verso la fine dell’anno”.
Quali sono le zone più penalizzate?
“A livello territoriale i Centri per l’impiego maggiormente colpiti da questi processi di ristrutturazione o di chiusure aziendali sono quelli della media Valle Seriana, in particolare Albino (-17,9%), e la Valle Brembana, nello specifico Zogno (-16%). Le valli sono infatti lontane dai luoghi in cui si determinano gli investimenti dal punto di vista infrastrutturale ed è quindi in pianura che gli imprenditori preferiscono investire”.
Il fenomeno della disoccupazione riguarda di più gli uomini o le donne?
“Dal 2010 a oggi abbiamo un calo di occupazione che riguarda entrambi i generi in maniera più o meno equa. Il saldo tra avviamenti è cessazioni è leggermente più alto, anche se di poco, tra le donne con un -12,9% rispetto al -11,2% degli uomini, ma non è un dato tanto significativo da far pensare a una disparità di trattamento”.
Qual è il settore più in crisi?
“L’industria. Hanno chiuso imprese storiche della provincia di Bergamo, cosa che negli ultimi 40 anni, da quando ho iniziato a fare politica non era mai successa. Il caso di un’azienda come il Cotonificio Honegger di Albino che ha messo in cassa i suoi lavoratori fino a giugno 2014 è la chiara espressione di un settore tessile che ha sofferto molto. Anche i contratti di somministrazione hanno avuto un crollo più sostanziale, probabilmente perché molto legati alle dinamiche dell’industria. Fa pensare anche la crisi del commercio che, fino a qualche tempo fa, rappresentava uno sbocco importante. Tra l’altro la Bergamasca è sempre stata la provincia con tassi occupazionali tra i più elevati d’Italia. Il settore delle costruzioni, che ha avuto un crollo nel 2012 del 21,6%, nel 2013 si attesta invece a -4,8%. Questo significa che il settore ormai è stato decimato e quello che resta è in grado di resistere agli eventi e magari di recuperare qualcosa, nel caso ci fosse un’inversione di tendenza”.
E la disoccupazione giovanile?
“Anche i giovani sono in grossa difficoltà. Come si evince dai dati, la variazione degli avviamenti 2009/2013 getta un bilancio negativo per i lavoratori dai 15 ai 29 anni: -16,1% nel 2013. Rispetto al 2012, gli avviamenti dei giovani fino a 19 anni scendono del 22,3%; dai 20 ai 29 anni -15,4%; per i lavoratori dai 30 a 49 anni -11,4%, e per quelli da 50 a 59 anni -1,8%. Speriamo che le politiche nazionali annunciate diventino realtà e che servano ad aprire ai ragazzi nuove opportunità  per entrare nel mondo del lavoro, ma non con contratti precari, bensì con continuità”.
Quali iniziative sta mettendo in campo la Provincia per agevolare l’inserimento lavorativo nelle aziende orobiche?
“La Provincia ha sottoscritto un protocollo di intesa con Assolavoro, le organizzazioni sindacali e i centri per l’impiego per promuovere la collocazione dei cosiddetti lavoratori svantaggiati, ovvero disoccupati da oltre 12 mesi, donne dopo due anni di inattività, disoccupati che abbiano compiuto i 45 anni o senza occupazione da almeno 6 mesi che abbiano effettuato almeno 78 giorni di lavoro in somministrazione. In pratica, le aziende che assumeranno riceveranno ogni mese un incentivo di 250 euro per ogni lavoratore. Il progetto, che vuole coinvolgere almeno 500 persone, è finanziato con fondi regionali per 500mila euro”. 
Cosa serve per rifar partire l’economia locale?
“Il Governo dovrebbe sbloccare le risorse locali disponibili depositate in un unico conto nazionale per rispettare il patto di stabilità. Se potessimo disporre di quei 105 milioni di euro bloccati potremmo chiudere il bilancio con 22 milioni di attivo. Ce ne basterebbe la metà per fare qualcosa di concreto che non sia la solita programmazione. La decisione del ministro Saccomanni di sbloccare 25 miliardi di euro a livello nazionale (45 milioni in Bergamasca) per metterli a disposizione degli enti locali ci ha concesso di pagare i debiti verso i privati. Anche la Regione ha messo a disposizione fondi che cercano di ovviare al patto di stabilità, ma non basta. Talvolta ci si lamenta dei ritardi nei lavori ma non è l’ente locale che è incapace di asfaltare le strade. Di imprese locali da ingaggiare per svolgere un buon lavoro ce ne sono tante, solo che non abbiamo i soldi per pagarle. Quando si appalta un’opera a una ditta bisogna infatti avere subito la copertura finanziaria e quindi se il denaro manca si rallentano i lavori. Le amministrazioni pubbliche devono poter investire per opere necessarie e migliorare così lo sviluppo dei territori. È una questione fondamentale per far ripartire l’economia”.