Caffè, tutti lo bevono
ma pochi lo conoscono

Ma è vero o no che quando l’espresso è buono tiene a galla lo zucchero? Pare che la risposta, come per molte altre annose questioni, sia un “sì, ma”: lo zucchero, secondo diversi esperti, deve rimanere un poco sospeso sopra una crema di giusto spessore, elastica quanto basta, e il foro creato dopo l’azione del cucchiaino deve richiudersi velocemente. Così non la pensa, comunque, quasi il 70% di consumatori facenti parte del campione intervistato dalla società "Apertamente" per conto dell’Istituto Internazionale Assaggiatori, in collaborazione con la rivista on-line Coffee Taster. La ricerca, condotta al telefono durante tutto il primo semestre 2013 su un campione di 180 adulti di entrambi i sessi distribuiti sul territorio nazionale, ha raccolto dati sulle abitudini, conoscenze e preferenze rispetto a questa tipica bevanda calda che gli italiani considerano di loro proprietà, con l’intento di verificare se ci sia spazio per un eventuale salto di qualità verso un consumo più consapevole, caratterizzato da un’attenzione maggiore alle caratteristiche del prodotto, anche a costo di pagare un prezzo lievemente maggiorato rispetto allo standard.
Ma le indicazioni non vanno in questa direzione. Se è vero, infatti, che emerge una minoranza più evoluta, la quota più consistente delinea un consumo un po’ meccanico, abitudinario, di chi forse non sa riconoscere la qualità e non mostra, in ogni caso, un particolare interesse a gustare prodotti migliori.
Il caffè viene consumato dal 78% degli intervistati, mentre il resto opta per altre bevande calde al bar fra caffè d’orzo, ginseng e altro ancora, quota che sale al 91% se vengono considerati solamente i maschi. Si può quindi certamente parlare di un consumo molto ampio e generalizzato. Il 69% del totale non pensa che il caffè sia di migliore qualità se tiene a galla lo zucchero e dimostra, quindi, una scarsa conoscenza dell’abc dell’espresso fatto a regola d’arte. L’86% degli intervistati non consuma a casa cialde e capsule, dato che ha un po’ sorpreso i ricercatori, visto che apparentemente le macchine casalinghe sembrano essere arrivate dappertutto. La stragrande maggioranza del campione (88%) ammette la propria ignoranza sull’esistenza del caffè monorigine, cioè del caffè proveniente da un’unica regione geografica, e fra quel 12% di consumatori più consapevoli spopola la qualità arabica, seguita a una certa distanza dalla robusta, sostanzialmente esaurendo con le due varietà principali le conoscenze sul monorigine.
Il 75% degli intervistati non intende pagare di più un caffè migliore, ma secondo i ricercatori il 25% di possibilisti è una quota interessante. Fra questi la stragrande maggioranza sborserebbe qualcosa in più “per un caffè davvero buono al gusto” (64%) e “di alta qualità” (31%), evidenziando, secondo i curatori dell’indagine, motivazioni un po’ generiche che confermerebbero la scarsa conoscenza del mondo del caffè e quindi l’impossibilità di citare altri indicatori di eventuale eccellenza come, per esempio, la consistenza e il colore della crema, la giusta temperatura e il flavour, ossia la ricchezza e la corposità del gusto.
Così non sorprende che la scelta del bar avvenga in genere per comodità e abitudine: il 18% beve l’espresso sotto casa, il 12% in un bar lungo il tragitto, il 13% sotto l’ufficio, il 5% dove capita. C’è però anche un 14% che beve il caffè in un bar che lo fa buono e l’11% che va alla scoperta di bar consigliati da amici.
Interpellata sull’eventuale miglioramento nel tempo della qualità del caffè del bar, la maggioranza degli intervistati non si mostra in grado di valutare il trend, posizione confermata anche per la successiva domanda focalizzata sull’evoluzione negli ultimi 5 anni. In questo caso la maggioranza (il 74%) ritiene che il caffè non sia né migliorato, né peggiorato e un 15% opta per un generale peggioramento.
Idee più chiare sulla qualità del caffè bevuto al ristorante, che il 59% degli intervistati ritiene peggiore rispetto al bar, forse per i ben noti problemi legati al minor utilizzo delle macchine o semplicemente alla minore vocazione del ristoratore.