Bonifiche “green”,
ora SIAD punta all’Europa

Convinzione e perseveranza sono ingredienti fondamentali non solo per realizzare un’innovazione. Servono anche per fare in modo che questa venga compresa ed utilizzata. In questo senso, il 2014 può essere considerato l’anno della svolta per un brevetto per la bonifica dei siti contaminati da composti organici depositato dalla SIAD nel 2006 e che vive ora il suo decollo. Intuizione e sviluppo si devono al Laboratorio di Biologia e Chimica Ambientale che ha sede al Point di Dalmine ed è guidato da Eleonora Pasinetti, affiancata da Michela Peroni, Alessandro Brina e Davide Preda, tutti impegnati sul progetto sin dall’inizio, con la direzione di Giorgio Bissolotti.
«Ci è voluto un po’ di tempo – ammette Pasinetti – per far comprendere la portata della soluzione e “smuovere” gli addetti del settore. Lo abbiamo fatto attraverso convegni e seminari che hanno coinvolto il mondo accademico e le società ingegneristiche ed ora, grazie al progressivo riconoscimento da parte degli Enti di controllo, possiamo parlare di un vero e proprio lancio dell’applicazione». Sino ad oggi, infatti, oltre che in diversi campi prova, la tecnologia è stata utilizzata in tre bonifiche nelle province di Bergamo e Brescia, mentre solo nel corso di quest’anno sono già altrettanti gli interventi in programma, con ulteriori accordi in definizione per altri siti. Il sistema riguarda la bonifica di aree contaminate da sostanze biodegradabili con metabolismo batterico aerobico, come idrocarburi o composti aromatici. La soluzione è data dall’iniezione nelle acque di falda di ossigeno puro, aumentando cioè la concentrazione di ossigeno disciolto per permettere ai microrganismi naturalmente presenti di trasformare ed eliminare gli agenti inquinanti. In pratica, si crea per i batteri l’ambiente adatto per “lavorare” alla degradazione delle particelle dannose per l’ambiente. Il vantaggio è intuibile anche da chi non è troppo esperto in materia e sta nel fatto che si tratta un processo totalmente naturale, che viene “solo” stimolato e monitorato.
«Il sistema è nato dalla precisa richiesta di un cliente – ricorda la responsabile del laboratorio -, che aveva la necessità di una tecnologia pulita per il trasferimento dell’ossigeno nel sottosuolo. Tre le condizioni che aveva posto: che funzionasse senza energia elettrica, che non producesse rifiuti e che non desse luogo al fenomeno dello “strippaggio”, ossia il passaggio degli inquinanti dall’acqua all’aria». Tutti e tre i requisiti sono stati rispettati (non serve corrente elettrica perché per l’immissione dell’ossigeno si sfrutta la pressione del gas compresso in bombole) e rappresentano i punti di forza del processo di bonifica ideato dalla SIAD. «Altre soluzioni in casi simili di contaminazione sono rappresentati dal dosaggio di alcune sostanze chimiche che rilasciano l’ossigeno nel tempo – spiega -, ma si tratta di sostanze che rimangono nella falda, mentre la nostra tecnologia si basa sull’impiego di ossigeno, che è un elemento naturale». «Vero è che ogni situazione – tiene a precisare – richiede di essere analizzata singolarmente per individuare le modalità di intervento, anche in base alle esigenze del cliente e ai tempi richiesti. Trattandosi di un processo biologico, il nostro sistema ha bisogno di almeno un paio d’anni per completare la bonifica, ma se c’è la possibilità di lavorare su questi tempi, possiamo senz’altro affermare che si tratta di una soluzione competitiva in termini di ecosostenibilità ed economicità».
Anche l’impatto visivo è pressoché annullato. La versione in campo prova prevede l’impiego di una bombola da 5 litri inserita in una cassetta di protezione collocata in un pozzetto interrato. Da qui il gas viene immesso in falda attraverso un tubo e un diffusore microporoso. Nel caso di una bonifica su scala, si ricorre invece ad un pacco bombole da cui si dipartono delle linee interrate che arrivano a ciascun punto di iniezione. Una sorta di “flebo”, attraverso le quali il suolo riceve il nutrimento necessario alla sua progressiva guarigione.
L’applicazione su scala superiore, come si diceva, ha ricevuto un’accelerazione proprio quest’anno. Ad aprile è partita la bonifica di due stazioni di servizio per la distribuzione di carburanti, una ad Ascoli Piceno, dove sono stati realizzati 15 punti di iniezione, ed una a Legnago in provincia di Verona (20 punti di iniezione). Entro la fine dell’anno dovrebbe cominciare, dopo un campo prova di due anni, anche trattamento dell’acqua di falda di un’azienda farmaceutica nel Milanese (35 punti di iniezione). Un ulteriore progetto è per un distributore di carburante a Chiaravalle in provincia di Ancona (10 punti di iniezione), ma le richieste si stanno moltiplicando rapidamente.
«SIAD non si limita a fornire il gas – evidenza Pasinetti -, ma cura l’intero percorso che va dalla fattibilità, all’installazione ed al successivo monitoraggio, con prelievi periodici per verificare l’andamento del processo». Lo sviluppo della tecnologia ha portato alla messa a punto di tre diversi prodotti, tutti registrati. GROUND BIO2TM, composto da ossigeno e utilizzato per l’applicazione su scala, e GROUND MIXTM, miscela che contiene anche gas inerti, che non interagiscono, quindi, con il suolo, permettendo di “seguire le tracce” dell’ossigeno immesso, per rilevare il raggio di influenza della tecnologia a seconda delle caratteristiche di ogni sito. Il terzo prodotto, GROUND SPYTM, è composto solo da gas traccianti ed è utilizzato per verificare il raggio di azione di altre tecnologie.
«I risultati che oggi stiamo cominciando ad ottenere sono il riconoscimento della validità della nostra innovazione e continuare a credere nel progetto sta finalmente premiando – rileva il direttore Giorgio Bissolotti -. Il brevetto è europeo e l’Europa rappresenta la prossima sfida. Il settore delle bonifiche è molto vasto e le problematiche sono diversificate, è bene ribadirlo, ma nelle condizioni che abbiamo illustrato la nostra tecnologia può risultare davvero competitiva e dare una riposta completamente ecosostenibile ad un problema molto delicato come l’inquinamento del sottosuolo. Il prossimo passo sarà far conoscere il brevetto fuori dai confini nazionali a cominciare dalla pubblicazione dei risultati su riviste scientifiche internazionali».