Arte, cibo e sfilate: così decolla un museo

L'Accademia Carrara di BergamoLa rimessa a nuovo del Colosseo e della Fontana di Trevi hanno finalmente portato l’attenzione sul fenomeno globale delle sponsorizzazioni culturali. Nel Paese che vanta il maggior numero di siti protetti dall’Unesco, il connubio tra industria e mondo della cultura si è risvegliato po’ in ritardo rispetto ad altri luoghi, con i soliti snob e accademici a storcere il naso e mostrare grande perplessità davanti al mecenatismo del 21esimo secolo.

A Londra, dove l’industria culturale è sempre in fermento e le gallerie vengono frequentate quasi più dei cinema, l’alleanza tra arte e business è ormai consolidata e ha consentito la rinascita di musei e istituzioni, che da edifici polverosi ed elitari, sono divenuti luoghi dove è normale incontrarsi il venerdì sera.

Il ruolo dei sostenitori privati è divenuto essenziale dopo i significativi tagli governativi del 2010 alla cultura. Banche, aziende di consulenza, studi di avvocati internazionali sono divenuti la versione contemporanea di Lorenzo de’ Medici, con i loro loghi posizionati strategicamente sui manifesti e i materiali promozionali. Lo scenario tra cui scegliere è vasto e vi è grande flessibilità: si può sponsorizzare una mostra delle durata di tre mesi o diventare un “patron” per diversi anni. I benefici sono molteplici, per tutte le parti. Qualche esempio: i grandi musei possono permettersi di pagare curatori e prestiti di opere importanti, allestendo le cosiddette grandi mostre, che attraggono le masse e rimpinguano le casse dei musei e dei loro bookshop.

Le aziende hanno altri vantaggi. In primo luogo le tasse, perché, con un approccio pratico e conveniente, sponsorizzare o fare una donazione a scopo artistico è detassato. In secondo luogo ci sono dei vantaggi quali accesso in orari riservati, visite guidate per membri del consiglio di amministrazione e i clienti, ingressi scontati e molto spesso gratuiti per i propri dipendenti, possibilità di tenere cene e feste in luoghi storici e prestigiosi.

I musei si sono organizzati a dovere, diventando macchine commerciali organizzatissime, che vanno ben oltre il bookshop con tutti i gadget della mostra. E’ una vera e propria industria dell’intrattenimento che ha creato nuovi posti di lavori e reso comune un uso dei musei che non si ferma alle ore tradizionali di apertura al pubblico, ma va avanti fino a notte fonda. Un bellissimo connubio è nato – negli ultimi anni – tra questi spazi e le grandi case di moda. Si è perso ormai il conto del numero di stilisti che utilizzano luoghi come il V&A o il British Museum per il lancio della propria collezione. Somerset House, che ospita una delle collezioni di impressionisti più belle al mondo al di fuori del Museo D’Orsay di Parigi, è divenuta da qualche anno a questa parte, la sede ufficiale della London Fashion Week, ospitando decine di sfilate tra le sue mura e i suoi lunghi corridoi. Un altro punto forza su cui i musei hanno puntato è il cibo, perché hanno capito in fretta che le più belle opere d’arte o i reperti storici più unici al mondo non bastano a creare un’esperienza memorabile. Un buon caffè e una fetta di torta possono fare la differenza quando si è colti da “museum fatigue”.

Queste caffetterie diventano – specialmente durante la settimana – luoghi che giovani mamme e pensionati usano per incontrarsi, gomito a gomito con chi vi fa un formale incontro di lavoro.

Il museo veste diversi abiti a seconda del momento della giornata, divenendo luogo di scambio di idee, business e aggregazione, senza tradire le sue origini.