Arredamenti in caduta,
l’allarme dei negozianti

L’obiettivo è scongiurare quella che viene indicata come una «catastrofe annunciata». Di fronte a dati 2012 ancora in peggioramento, Federmobili, la federazione nazionale dei negozi d’arredamento del sistema Confcommercio, ha rilanciato al mondo politico l’allarme sullo stato di salute dell’intera filiera del legno e dell’arredo e la richiesta di interventi per salvaguardare il settore, messo alle strette dal blocco nelle compravendite delle case e dal generale calo del consumi. La proposta è di estendere alle spese per l’arredamento la detrazione Irpef, del 50%, prevista per le ristrutturazioni delle abitazioni, una misura già presentata dall’associazione nel luglio scorso in sede di discussione del Decreto Sviluppo, poi condivisa da Federlegnoarredo, dalle associazioni degli artigiani e dai sindacati e ribadita in più occasioni con messaggi ai parlamentari e al premier Monti. Ora l’appello, portato avanti a livello nazionale e locale, si rivolge a tutti i contendenti nella sfida elettorale e sottolinea l’urgenza. «Non possiamo aspettare più di tanto – spiega il presidente del Gruppo mobili e arredamento dell’Ascom Lorenzo Cereda -, da tempo il settore è in sofferenza ed ha bisogno di un supporto per invertire la rotta». Secondo i dati di Federmobili, le aziende hanno chiuso il 2012 con cali di fatturato fino al 30% e si trovano ad affrontare il nuovo anno gravate da un carico fiscale ancor più penalizzante per via dalla Tares, un carico «che rischia seriamente di essere il motivo principale delle cessazioni delle attività».
Su quali presupposti poggia la richiesta della detrazione?
«La considerazione di fondo è che una ristrutturazione coinvolge per forza di cose anche i mobili. Se si rifà una cucina, un bagno o si prevedono nuovi spazi è difficile che possano essere riutilizzati i vecchi componenti. Il rinnovo dell’arredamento può rientrare, quindi, a pieno titolo tra le operazioni che contribuiscono a migliorare la qualità edilizia e abitativa. Dopo vari tentativi della nostra Federazione, il concetto è stato finalmente accolto in Commissione Bilancio, ma non si è concretizzato in un provvedimento. La richiesta è di includere i mobili nel budget già stanziato per le ristrutturazioni, non si andrebbe cioè a gravare sui conti dello Stato ma si potrebbe ottenere l’effetto positivo di attivare i consumi».
Nella richiesta non siete soli, anche produttori, costruttori e sindacati sostengono la stessa misura.
«Sarebbe prima di tutto di sostegno ad un settore chiave del made in Italy. I produttori hanno difficoltà anche maggiori delle nostre. Veneto, Friuli, il Pesarese e la Brianza sono le zone in cui la concentrazione di aziende è più alta e non mancano cassa integrazione, licenziamenti e chiusure di attività. L’export, che ottiene buoni risultati per le produzioni di alta gamma, non è quello che dà lavoro ai grandi numeri e non è in grado di bilanciare le perdite nel mercato interno». 
Ma degli incentivi beneficerebbero anche i prodotti stranieri…
«Io credo che possano invece essere lo stimolo giusto per scegliere la qualità italiana. Se viene data ai consumatori la possibilità di pagare mille euro quello che costa duemila penso che non avrebbero dubbi ad indirizzarsi verso una qualità più alta. È, in fondo, lo stesso ragionamento che riguarda le scelte di efficienza energetica e riqualificazione».
Anche a Bergamo i negozi registrano gli stessi cali delle vendite segnalati a livello nazionale?
«Il fatturato è sceso di circa il 20%, soprattutto perché è calato il valore medio degli scontrini. La sensazione è che anche chi ne avrebbe la possibilità non spende e che si compra solo se c’è estrema necessità. Ci si accontenta, per intenderci, del vecchio divano, anche se mezzo sfondato, e si attendono tempi migliori. È anche alla luce di questa situazione che la detrazione può essere utile, funzionando da incentivo psicologico per chi oggi è incerto».
Come si sono orientati gli acquisti?
«Detto della generale tendenza al risparmio, reggono le cucine, perché sono un’esigenza primaria ed è in atto il ricambio degli ambienti allestiti una trentina di anni fa, e le camerette, spesso perché ci sono i nonni a dare una mano o comunque perché non si vogliono penalizzare i più piccoli. Per armadi e salotti è calma piatta, anche perché il gusto è minimalista: il televisore a grande schermo basta quasi da solo a riempire la parete e lo si correda magari solo di un mobile basso, salvo poi rendersi conto che non c’è un posto dove mettere le stoviglie. Se si vuole rinnovare l’ambiente, poi, non si cambiano più i mobili, ma solo uno o due pezzi».
Come stanno reagendo i negozi bergamaschi a questa crisi?
«Mentre da Brescia, ma anche dal Pavese, arrivano notizie di chiusure, al momento da noi si tiene duro. Le cessazioni sono dovute più che altro al cambio generazionale, ma se la situazione resta questa cominceranno i problemi anche qui. Si riesce a resistere se l’immobile è di proprietà e si può contare su un’attività consolidata negli anni, chi ha aperto da poco e ha un affitto è in forte difficoltà».
Ci sono già ripercussioni sul fronte dell’occupazione? 
«Si va per forza di cose verso una riduzione degli addetti, in particolare nel montaggio. Il lavoro è diminuito e mantenere squadre di personale proprio diventa insostenibile, ci si affida più spesso ad appaltatori esterni, da chiamare quando serve. Anche l’Ascom sta registrando una richiesta sensibile di cassa in deroga per i lavoratori del comparto».
Come se non bastasse, nel 2013 arriverà la nuova tariffa sui rifiuti, Tares, con maggiori costi per tutti, ma più gravosa per attività con grandi superfici come le vostre.
«È stato calcolato che pagheremo il triplo, ma il paradosso è che non produciamo maggiori rifiuti, anzi. Abbiamo il registro di carico e scarico e tutti gli imballaggi dei mobili, come plastica, cartone e polistirolo, sono avviati al riciclo direttamente, non attraverso il sistema di raccolta comunale. In pratica è solo l’attività degli uffici che produce rifiuti, ma è una parte minima rispetto alle nostre esposizioni. Sino ad ora è stato possibile spiegare ai Comuni questa situazione ed ottenere riduzioni. La nuova tariffa non sembra offrire la stessa possibilità ed anche questo è un problema che vogliamo sin da ora portare all’attenzione dell’agenda politica».