I ministri, i titoli di studio e il pessimo esempio al Paese

montecitorio-jpgCarlo Emilio Gadda, che oltre ad essere scrittore immenso, fu, forse, il più clamoroso esempio di italiano perbene del XX secolo, postulò, in una sua celebre pagina, che i caporali di giornata potessero anche avere la quinta elementare, ma che i marescialli di campo dovessero possedere tutte le cartebolle in ordine. Insomma, che uno che possieda una cultura, diciamo così, un tantino risicata, sarebbe meglio che non si occupasse di massimi sistemi. Questo, evidentemente, non per la nauseante albagia da pezzo di carta, che talvolta affligge capifamiglia pieni di aspettative per la prole o burocrazie dementi, ma per un’ovvia ragione di ampiezza di vedute, di preparazione di base, di senso elementare della cultura. Oggi, vige un equivoco che rischia di travolgere ogni differenza di merito e di talento: l’idea sacrosanta che tutti, nei confronti dello studio, debbano vantare eguali diritti, si è trasformata nell’idea, viceversa demente, che tutti siamo uguali davanti a Minerva. Che il figlio del contadino debba avere le stesse possibilità del figlio del barone di diventare neurochirurgo è cosa giustissima e bellissima: che sia obbligatorio che il figlio del contadino valga quanto il figlio del barone, per inclinazione allo studio e volontà nel medesimo, è stupidaggine sesquipedale. E viceversa, intendiamoci: uno può essere figlio di un premio Nobel e dimostrarsi un idiota formidabile: come è ben dato a tutti di constatare.

Ciò detto, che uno venga dalla malga o dal palazzo, se deve rivestire incarichi di comando e di vertice, deve dimostrare capacità davvero fuori del comune o possedere, quantomeno, un curriculum eccellente. Invece, nel mondo ribaltato e surreale della politica, tutto questo pare non conti nulla: la politica, oggi, è un’occupazione per prescelti, per unti del Signore, non mai per persone serie, competenti, umili. Può capitare, quindi, che un luminare dell’urologia, con tre lauree e venticinque master, debba attenersi ai Diktat di una signora che ha nel cassetto uno striminzito diplomino liceale, e che non distingue una vescica da un cavatappi: con che spirito il luminare accetterà i dettami della diplomata e, soprattutto, con quale ampia e circostanziata visione dei problemi deciderà in materia di salute pubblica la suddetta, non è mestiere dire. Può, del pari, accadere che un signore che, per tutta la vita, si è occupato di cooperative, dall’alto del suo bel diploma di perito agrario, si metta a discettare di lavoro, a fare scelte determinanti per milioni di persone e, quel che è peggio, a proferire apoftegmi destituiti di senso comune su quei giovani laureati che, spinti dalla necessità di trovare un Paese meno ingrato verso i propri figli migliori, se ne vanno a cercare miglior fortuna (e migliori ministri) all’estero.

In altri luoghi e in altre epoche, una simile cialtroneria sarebbe stata rimeritata con decine di calci nell’ampio preterito del farneticante, fino a ricacciarlo tra i banchi, a studiarsi l’abbiccì. Qui da noi, invece, tutto tace, tutto si placa: e gli asini continuano a ragliare, dai loro scranni dorati. Dulcis in fundo, nel Paese delle banane, può accadere che, in un crescendo da comica finale, venga nominata al dicastero che sovrintende, appunto, all’educazione pubblica, ovvero alla formazione culturale, civile e professionale delle future generazioni, una signora che proviene dal sindacalismo tessile (che sarebbe come mettere una baby sitter a comandare un incrociatore) e che, in un primo tempo, risulti essere laureata, poi diplomata e, infine, dotata di attestato triennale di maestra d’asilo. Quindi, per la formazione culturale chiudiamo un occhio, per quella professionale chiudiamone due e per l’educazione alla legalità che è alla base dell’educazione civica dei giovani, dobbiamo ricorrere al buddhismo e chiuderne un terzo: detiene il ministero della Pubblica istruzione una signora che non solo non è laureata né diplomata (adducendo a giustificazione il fatto che, ai tempi del Carlo Codega, quel titolo di laurea non esisteva: oplà!), ma che, dopo aver millantato titoli, peraltro del tutto estranei alla bisogna, anziché domandare scusa e ritirarsi in qualche opificio a veder girare gli amati telai e a cantare “Sciur padrùn dali beli braghi bianchi”, ha proclamato orgogliosamente di essere pronta a qualunque sfida didattica, essendo fieramente sindacalista.

Ora, mi domando e vi domando, quale esempio possono trarre da un comportamento del genere i nostri studenti: quale lezione ne dovrebbe conseguire? Che studiare non serve a niente? Che il sindacato è la nuova università? Che raccontar balle è il modo migliore per far carriera? Che, se fai parte della conventicola giusta, nessuno ti può toccare? Ditemi voi, perché io, sinceramente, non ho più parole per valutare questa politica e questo governo. E, se Atene piange, Sparta singhiozza: nella stessa ridente cittadina della Bassa che ha dato i natali alla nostra sindacalista-maestra d’asilo-ministra, fa l’assessore alla cultura un altro signore, di tutt’altra parrocchia politica, che aveva fatto il preside per anni, dichiarando una laurea inesistente, accoppiando questa benemerita attività educativa al ruolo di sindaco. Tutta gente che avrebbe dovuto, perlomeno, declinare, abbozzare, andare a nascondersi e che, in virtù delle arcane e contorte leggi della politica, cavalca, comanda, legifera: ministri, assessori, senatori e marescialloni vari. Gadda, poveretto, dorme nel suo loculo a Prima Porta e, per sua fortuna, non deve vedere realizzati i suoi incubi peggiori. Noi, invece, sì, purtroppo.


Agenti immobiliari, più servizi per tutelare chi acquista casa

Il mercato immobiliare bergamasco è in ripresa e il 2016 si chiude in modo tutto sommato positivo per gli agenti specializzati nella mediazione: «Registriamo una crescita delle compravendite di immobili residenziali, con un incremento del 20-25% rispetto al 2015 – spiega Luciano Patelli, presidente del Gruppo Mediatori immobiliari Ascom -. I valori si sono ribassati anche del 35% rispetto al 2008 e si sono riposizionati in base al reale potere di spesa delle famiglie in cerca di casa. È in ripresa il mercato delle prime case, mentre per investimenti e sostituzione si attendono ancora periodi migliori. Si vendono bene bilocali, trilocali e quadrilocali, mentre il mercato di monolocali, pentalocali, ville ed immobili di pregio è sostanzialmente fermo».

Vendite sostanzialmente al palo anche per gli immobili commerciali e industriali: «Registriamo una leggera ripresa negli affitti, la crisi non porta gli imprenditori ad investire in immobili» continua Patelli.

Dal canto so, la categoria ha mostrato tutto il suo impegno nel 2016 per incrementare i servizi offerti alla clientela e tutelare ulteriormente l’acquisto di immobili: «Il protocollo d’intesa siglato con i geometri garantisce l’accesso agli atti e la verifica catastale e urbanistica. Un’ulteriore garanzia per chi acquista, dato che le incongruenze tra la costruzione effettiva e il progetto sono all’ordine del giorno, generando inevitabili contenziosi».


Formaggi bergamaschi, chi è in… forma e chi un po’ meno

Tempo di bilanci per il mondo caseario, massima espressione economica a livello provinciale. Sulla soglia, infatti, di un anno decisivo (si spera) per il salto di qualità dell’agroalimentare bergamasco, con il Progetto Erg 2017 che renderà il nostro territorio (insieme ad altri tre della Lombardia Orientale: Brescia, Cremona e Mantova) il baricentro europeo della gastronomia, è bene capire lo stato di forma di alcuni dei nostri “campioni”, anche tenendo presente che uno dei biglietti da visita più autorevoli che presenteremo al Vecchio Continente sarà proprio l’invidiabile primato nazionale delle Dop casearie (ben nove). Forniamo quindi qualche valutazione dei prodotti, ma anche dei personaggi, locali e iniziative che più si sono messe in mostra nel 2016 appena concluso.

Taleggio

taleggioLa corazzata avanza, anche se dal punto di vista dei numeri (qualcosa in meno sul fronte vendite rispetto al passato) e promozionale c’è stata qualche battuta a vuoto unita all’inspiegabile congedo dello storico direttore Vittorio Emanuele Pisani, protagonista, insieme ad altri, del trend positivo degli ultimi anni e soprattutto della crescita d’immagine verso i giovani, anche attraverso efficaci campagne sui social network, come quella dei “Taleggiatori” che ha avuto protagonisti Elio e le storie tese.

Strachitunt

strachituntL’anno di “castigo” è finito: in estate dall’Europa è arrivato il via libera per tornare a marchiare Dop il “nonno” del gorgonzola, dopo la brutta avventura legata alle misure non corrette riscontrate in alcune forme. Peraltro durante l’anno di “limbo”, il formaggio, che continuava ad essere venduto come “Stracchino di montagna a due paste” non ha perso i suoi estimatori, anche se il danno d’immagine fatalmente c’è stato: ora si riparte.

Bitto storico

biitto-storicoDestino amaro per un Cru venduto nel mondo a prezzi stellari (anche 250 euro al chilo), rimasto fedele alla sua storia, eppure costretto a cambiare denominazione per non incorrere in multe europee: siamo curiosi di capire come il mercato accoglierà la nuova parabola dello “Storico ribelle”, nato per distinguersi dal Bitto Dop, e figlio di una delle più annose dispute casearie, peraltro numerose a questi latitudine (vedi anche Strachiunt e soprattutto Branzi). Le premesse per rialzarsi ci sono.

Branzi

branzi-ftb-180-gg-branzi-ftb-frescoResta un formaggio meraviglioso se fatto invecchiare al punto giusto (fresco invece è piuttosto anonimo), ma anche un grande incompiuto sul fronte della mancata Dop, dopo che in passato la nascita e soprattutto la contrapposizione di due Consorzi di tutela aveva portato a un unico risultato: neutralizzare gli sforzi di entrambi. Nonostante ciò, continua ad essere “il formaggio dei bergamaschi”, dalla grande popolarità e dal grande utilizzo in cucina come ingrediente principe di tante ricette.

Agrì

agri-3È un momento di grande crescita per il “bon bon” di Valtorta, che piace a grandi e piccini e che comincia a sfondare anche sui mercati esteri, pur con i limiti legati ai numeri (sempre esigui) della produzione e ai problemi di conservazione per un formaggio che dà il suo meglio quando viene mangiato freschissimo. Il 2017 può diventare l’anno della definitiva consacrazione, anche grazie al supporto sempre crescente del presidio Slowfood.

Formai de Mut

formai-de-mutBuona produzione e alcuni giovani leve compensano la “mezza scivolata” degli organizzatori della Fiera di San Matteo, che avevano imposto la vendita del solo Dop brembano durante l’evento, lasciando al box altri caci blasonati come lo stesso Branzi, per giunta in casa sua. Ma noi crediamo che il Formai sia più forte anche degli incidenti di percorso.

Zola Spalmabile

Quella degli spalmabili è un “amore di ritorno”, nel senso che fin dagli anni Settanta erano noti formaggi più freschi anche a livello industriale (vedi Dover) messi sul mercato solo per essere spalmati sul pane. Oggi in tanti, da Arrigoni di Pagazzano a CasArrigoni hanno riscoperto questo filone, proponendo zola dolci al cucchiaio di grande qualità che stanno incontrando un gradimento crescente.

L’iniziativa finanziaria

Formaggio nero della NonaIl crowdfunding anche per un formaggio? Perché no? Uno dei più antichi della Val di Scalve, il formaggio Nero de la Nona (datato 1753) ha puntato forte su questa forma di raccolta fondi finanziaria dal basso, solitamente dedicata alle start up più innovative, per rilanciare immagine e produzione: primo step 15mila euro con la caccia ai sostenitori aperta fin da settembre ricercando adesioni su Eppela, la principale piattaforma italiana di crowdfunding. Le “azioni”? In forme o anche solo in spicchi del cacio prodotto con latte intero di mucche di Bruna Alpina.

Il manager caseario

Gialuigi Zenti è un manager bergamasco (nativo di Zù di Riva di Solto) noto soprattutto per avere prima sviluppato il mercato americano per il gruppo Barilla (ha anche gestito per Barilla l’Academia di Parma). Ora sta cercando di sviluppare un progetto ad ampio raggio per Bergamo, partendo dai prodotti della Cooperativa di Vigolo (Monte Bronzone in primis), per poi ampliare il suo raggio d’azione verso altre realtà importanti dell’agroalimentare e il successivo coinvolgimento di attività turistiche e di accoglienza. Idea affascinante e coraggiosa che merita attenzione.

Il superpremio

arrigoni_gorgonzola-dolce-dopMeno male che qualcuno diceva che Bergamo per il Gorgonzola era ai confini dell’impero. Il terzo posto assoluto a livello mondiale del “dolce” Dop di Arrigoni di Pagazzano, alla finalissima della 29esima edizione dei World Cheese Awards di San Sebastian, dimostra al Consorzio di Tutela novarese che anche in terra d’Orobie, il principe degli erborinati viene fatto a regola d’arte. Lo certifica uno dei pochi premi internazionali “seri”, quest’anno tenutosi in terra basca, a cui hanno partecipato 3.000 caci in rappresentanza di 30 Paesi.

L’exploit in casa dei rivali francesi: Taddei & Gritti

Lasciare a bocca aperta i francesi con un serie di chicche made in Italy non è da tutti. Invece recentemente Massimo e Camilla Taddei di Fornovo e i fratelli Alfio e Bruno Gritti del caseificio Quattro Portoni di Cologno al Serio, hanno riscosso grande successo al Mercato internazionale di Rungis (Parigi), la più grande e importante vetrina agroalimentare di prodotti freschi del mondo, praticamente la Disneyland degli appassionati del fromage, guadagnando ordini anche tra i grossisti d’Oltralpe.

Il Locale: il cheese bar BBù - cheese bar Bergamo (3)ù

Finale non per un prodotto ma per un locale. Che il creato da Francesco Maroni e soci in un solo di anno di vita sia già diventato un punto di riferimento nazionale dei locali legati alla proposta casearia, con tanto di riconoscimento del “guru” Marcomini, non è cosa da poco…


Saldi al via, si spera in un ponte lungo di shopping

Dopo un Natale così così, la speranza dei commercianti passa ora per i saldi. A Bergamo i saldi invernali avranno inizio ufficialmente, come in tutta la Lombardia e nella maggior parte del resto d’Italia, giovedì 5 gennaio, e dureranno sei settimane.

I negozi potranno mettere in vendita la loro merce a prezzi scontati, permettendo ai clienti di fare affari. Non saranno saldi col botto ma di galleggiamento. La stima, euro più euro meno, è che i bergamaschi, in linea con il resto d’Italia, spenderanno mediamente come nell’anno precedente. Secondo le previsioni dell’Ufficio Studi di Confcommercio ogni famiglia, in occasione dei saldi invernali 2017, avrà a disposizione un budget medio di 344 euro per l’acquisto di capi d’abbigliamento, calzature ed accessori per un valore complessivo, a livello nazionale, di 5,3 miliardi di euro.

Nella nostra provincia è stato un dicembre freddo dal punto di vista dei consumi: stando alle rilevazioni di Ascom, le vendite nel settore dell’abbigliamento, rispetto a Natale 2015, sono calate del 10% in media. La campagna dei ribassi è attesa quindi dagli operatori come una boccata d’ossigeno, nonostante il crescente ricorso a promozioni, vendite private e la concorrenza sempre più decisa delle vendite on-line.

«I saldi continuano a rappresentare un’opportunità per i consumatori, per cui restano un evento, ma anche per gli esercenti che, in una giungla di sconti e svendite sottobanco, hanno la certezza di muoversi in un contesto di norme definite» sottolinea Paolo Malvestiti, presidente Ascom. Le occasioni non mancano: «L’offerta di prodotti tra cui scegliere è davvero ampia quest’anno dopo un Natale sottotono – continua Malvestiti -. Ci auguriamo che il ponte lungo dell’Epifania incentivi lo shopping e favorisca una partenza positiva delle vendite di fine stagione, dato che l’avvio dei saldi è sempre decisivo per stabilirne la fortuna».

Improbabile però che le vendite di fine stagione possano sollevare le sorti di un anno difficile, come sottolinea anche Renato Borghi, presidente di Federazione Moda Italia e vice presidente di Confcommercio: «Le vendite di fine stagione saranno sempre una straordinaria opportunità per i consumatori ma, per noi commercianti, non saranno sufficienti a colmare un gap di consumi fortemente condizionato da un andamento sempre più incerto ed altalenante».

Le regole dei saldi

In questi due mesi di saldi cinque sono i principi base da seguire, cinque regole di trasparenza e di correttezza pensate per la tutela della concorrenza e del cliente: cambi, prova capi, pagamenti, tipologia dei prodotti in vendita e indicazione sui prezzi.

1Cambi

La possibilità di cambiare il capo dopo che lo si è acquistato è generalmente lasciata alla discrezionalità del negoziante, a meno che il prodotto non sia danneggiato o non conforme (art. 1519 ter cod. civile introdotto da D.L.vo n. 24/2002). In questo caso scatta l’obbligo per il negoziante della riparazione o della sostituzione del capo e, nel caso ciò risulti impossibile, la riduzione o la restituzione del prezzo pagato. Il compratore è però tenuto a denunciare il vizio del capo entro due mesi dalla data della scoperta del difetto.

2. Prova dei capi

Non c’è obbligo. È rimessa alla discrezionalità del negoziante.

3. Pagamenti

Le carte di credito devono essere accettate da parte del negoziante qualora sia esposto nel punto vendita l’adesivo che attesta la relativa convenzione. Inoltre è previsto l’obbligo di accettazione dei pagamenti tramite banconat e carte di credito sopra i 30 euro.

4. Prodotti in vendita

I capi che vengono proposti in saldo devono avere carattere stagionale o di moda ed essere suscettibili di notevole deprezzamento se non venduti entro un certo periodo di tempo. Tuttavia nulla vieta di porre in vendita anche capi appartenenti non alla stagione in corso.

5. Indicazione del prezzo

Obbligo del negoziante di indicare il prezzo iniziale di vendita e lo sconto in percentuale. È facoltà, ma consigliabile, indicare anche il prezzo di vendita ribassato, mentre è vietato indicare qualsiasi altro prezzo.

Le violazioni alla norma sulle vendite straordinarie saranno punite con sanzioni amministrative da 500 a 3.000 euro, secondo la legge regionale 9/2009


Benzinai / «Il 2017 sarà un anno di mobilitazioni e battaglie sindacali»

I benzinai si lasciano alle spalle con sollievo un 2016 da dimenticare: «E’ stato un anno terribile per i gestori- commenta Giuseppe Milazzo, presidente del Gruppo Distributori Carburanti dell’Ascom -. Le compagnie petrolifere hanno ulteriormente abbassato i margini, già risicati, e per la maggior parte delle realtà è in bilico la stessa sostenibilità d’impresa. A questo si aggiunge la concorrenza sempre più forte delle stazioni di supermercati e ipermercati, che sottraggono buona parte della clientela». Sul fronte sindacale sembra impossibile intavolare discussioni con le company del petrolio: «Continuiamo a chiedere incontri alle compagnie ma non veniamo minimamente coinvolti. Un tempo venivamo almeno considerati delle persone, ora forse non siamo neanche dei numeri.  Anche con la politica non abbiamo grande fortuna: avevamo chiesto un incontro per valutare la nostra proposta di ricevere una percentuale sulle accise, ma siamo ancora in attesa di una risposta. Siamo di fatto esattori dello Stato e paghiamo l’Iva su accise e tasse, che superano il 65% per ogni litro di benzina. E’ questo il vero paradosso della categoria, che ogni giorno per riscuotere tasse dello Stato rischia la vita, dato che siamo sempre nel mirino per rapine». Difficile pensare a come reinventare un mestiere: «Puntare sui servizi per noi è difficile, dato che le compagnie chiedono royalties sui prodotti venduti. Il lavaggio auto e cambio gomme non riescono comunque a risollevare il settore». I benzinai annunciano un anno caliente, tra scioperi e mobilitazioni: «Siamo davvero esasperati. A gennaio inizieranno le prime mobilitazioni e, in generale, il 2017 sarà un anno di lotte sindacali» annuncia Milazzo.


Al Gigianca, l’osteria in città

Anche se non ci sono le classiche tovaglie a quadretti bianchi e rossi e tavoli e sedie di arte povera, ad imitare i locali del passato, l’Osteria Al Gigianca, col sottotitolo di “premiata officina gastronomica”, si propone come autentica osteria in città, rispettando, debitamente aggiornati ai tempi, lo spirito e la cucina di questa tradizione. Un carattere riconosciuto anche dall’ultima edizione della guida Osterie d’Italia di Slow Food, dove è presente, unica segnalazione nel perimetro cittadino, dal 2014 e dove ha mantenuto il simbolo della bottiglia, a sottolineare la particolare attenzione alla carta dei vini.

Luigi “Gigi” Pesenti, 40 anni, e la moglie Alessia Mazzola, 38, hanno iniziato questa attività nel 2010 a Bergamo in via Broseta al numero 113, in una saletta luminosa, arredata con gusto, che può ospitare al massimo 40 coperti. Una dimensione che già di per sé suggerisce il loro orientamento verso un rapporto molto stretto con la clientela: la qualità, insomma, piuttosto che i numeri. A chiarire ulteriormente gli obiettivi c’è l’adesione al progetto SlowCooking, una rete di ristoranti lombardi che si riconoscono nei concetti di semplicità, valorizzazione delle materie prime, rispetto pragmatico per coloro che lavorano la terra, amore verso il proprio territorio.

«Alessia ed io venivamo da esperienze diverse – racconta Gigi Pesenti –. Io facevo il promoter di eventi anche musicali mentre lei è laureata in Scienze dell’educazione e per pagarsi gli studi lavorava in una pizzeria da asporto. All’inizio abbiamo avuto a disposizione uno chef professionista, che per sette mesi ha insegnato ad Alessia a gestire la cucina, poi abbiamo camminato con le nostre gambe. Visto che nella mia precedente attività ero parecchio in viaggio, nell’impostare la nostra linea mi sono rifatto a quello che mi piaceva trovare come cliente».

La carta di Al Gigianca è abbastanza contenuta ma di certo stuzzicante. Si tratta di una cucina che prende spunto dal territorio, da alcune ricette della tradizione magari con qualche variante, ma fondamentale è il riferimento al bacino per il reperimento delle materie prime. «Siamo molto legati alla stagionalità – prosegue Pesenti -. Per le verdure abbiamo il nostro orto a Locate, che viene coltivato dal papà di Alessia, e poi ci riforniamo da una cooperativa bio. In carta abbiamo solo pesce di lago mentre per il menù di mezzogiorno usiamo pesce azzurro nel rispetto della sostenibilità. Anche per le carni siamo attenti ai metodi di allevamento e produzione, vogliamo che gli animali siano rispettati, che si tratti di allevamenti etici».

al-gigianca-pecora-gigante-bergamasca-con-crema-di-patate-e-chutney-di-barbabietolaQuesti principi si concretizzano in una serie di piatti tra i quali spiccano il baccalà mantecato con crostini di polenta o la Caesar Salad con pecora gigante bergamasca tra gli antipasti, il risotto ai peperoni e patè di missoltino oltre agli immancabili casoncelli alla bergamasca tra i primi, mentre tra i secondi sono particolarmente gettonati il coniglio alla bergamasca con polenta, le lumache trifolate, la pecora gigante bergamasca con crema di patate e chutney di barbabietola e il filetto di lavarello del Sebino. I prezzi vanno dai 10-12 euro di antipasti e primi, ai 13-17 dei secondi, mentre per i dolci si spendono in media 6 euro.

al-gigianca-orto-autunno-2015«Abbiamo due menù degustazione (da 32 o 35 euro ndr.) – ricorda il patron – ed i clienti che vengono da fuori ci chiedono prevalentemente i casoncelli, la pecora bergamasca, il coniglio e il baccalà. Quanto ai vini, sono un appassionato e per questo ne abbiamo una buona selezione sia di italiani sia di altre nazioni come Francia, Germania, Austria, Slovenia, Spagna e Ungheria. Particolare riguardo dedichiamo anche ai formaggi, sempre di produzione locale, con la presenza di presìdi Slow Food».

E se Gigi si muove bene in sala, ai fornelli c’è Alessia, una passione per la cucina. «Passione e cuore sono i primi ingredienti – afferma convinta –. Io li ho ereditati da mia mamma Sandra che ha fatto la cuoca nelle mense scolastiche e le mamme dei bambini andavano a chiederle come mai a scuola mangiassero i broccoli e a casa no!». «Personalmente – spiega – seguo la tradizione e sono poco propensa ad innovare per forza, l’ispirazione mi viene da quello che vedo, da quello che trovo dai fornitori e da ciò che offre la stagione. Adesso, ad esempio, stiamo proponendo la tagliata di pecora gigante bergamasca, è ancora fuori dalla carta perché è un piatto che si esaurisce in fretta. La carne ce la porta la moglie del pastore, Danilo Agostini di Bolgare, che praticamente è in perenne transumanza. È un animale che mi dà grande sicurezza anche per il modo in cui viene allevato e poi pure della pecora non si butta via niente. Tolti i tagli nobili, con il resto si fanno il ragù e le polpette e con le ossa si fa il fondo». A dimostrare che anche il titolo di premiata officina gastronomica è pienamente meritato.

LA PROVA

Come d’abitudine assaggiamo la proposta per la colazione di lavoro. Al Gigianca il menù è inserito nella carta stessa ed è graficamente ben curato, soprattutto molto chiaro: un piatto 11 euro, due piatti 16 euro, due piatti più il dolce del giorno 19 euro. Coperto, acqua, un bicchiere di vino della casa e caffè sono compresi.

La scelta non è molto ampia in termini numerici ma è l’originalità dei piatti, non banali e nemmeno ricorrenti nei menù a prezzo fisso, a fare la differenza in senso positivo.

Crema di carote e zenzero con calamari e crostini alle erbe, maccheroncini ai broccoli e salsiccia, orecchiette alle cozze e fagioli sono le opzioni tra i primi piatti. Costine di maiale con verza e polenta e pesce del giorno (nell’occasione la trota), invece, le proposte per i secondi. Tutti piatti, soprattutto i primi, che stimolano la curiosità oltre all’appetito. Qualche attimo di indecisione e poi puntiamo sulle orecchiette alle cozze e fagioli e sulle classiche costine di maiale con verza e polenta che contenevano anche del buon cotechino.

Due piatti decisamente apprezzabili per scelta e preparazione che unitamente al servizio impeccabile e alla raffinatezza, non appariscente ma piacevole, del locale rendono il rapporto prezzo-qualità ottimo.

algigianca-salaOsteria Al Gigianca

via Broseta 113
Bergamo
tel. 035 5684928
chiuso la domenica tutto il giorno e il lunedi a pranzo