Aperture dei negozi, arrivano le feste e le regole non ci sono ancora

A pochi giorni dal “ponte dei Santi” si riaccende l’attenzione sulle aperture festive degli esercizi commerciali.

In base al nuovo disegno di legge, Ognissanti rientra tra le giornate in cui tenere le serrande abbassate. Ma a distanza di un anno e mezzo, il testo è ancora fermo in Senato. È facile quindi aspettarsi che molti negozi e centri commerciali anche nella nostra provincia il primo novembre saranno aperti.

La normativa in fase di discussione fissa dei paletti sul tema delle aperture e chiusure degli esercizi commerciali e mette a disposizione dei contributi per i piccoli negozi, affinché possano rinnovarsi sia nei locali, sia tecnologicamente. Nel dettaglio, introduce l’obbligo di chiusura per almeno 12 festività, di cui 6 derogabili a livello locale, e istituisce un fondo di 50 milioni di euro per i piccoli negozi. Due elementi che dovrebbero dare un primo segnale di riequilibrio tra la Gdo e i negozi di vicinato, che non hanno dipendenti o che hanno difficoltà a gestirli.

La Fida, Federazione italiana dettaglianti dell’alimentazione, avvicinandosi il periodo delle feste natalizie e, con esse, il rischio concreto di trovare i supermercati aperti nei giorni di Natale, Santo Stefano e Capodanno, invita a riprendere in mano il Disegno di Legge. «Non si tratta di una questione soltanto di carattere morale – spiega Donatella Prampolini Manzini, presidente Fida e vicepresidente di Confcommercio Imprese per l’Italia -, perché il tempo da dedicare alla famiglia è comunque sacrosanto, non solo per i lavoratori dipendenti ma anche per gli imprenditori. Si tratta ugualmente di una questione di carattere economico, perché la deregolamentazione delle aperture festive ha portato solo all’impoverimento del tessuto commerciale: non ha fatto crescere i nostri fatturati ma soltanto spostato quote di mercato verso la grande distribuzione».

La Federazione ha anche lanciato l’ipotesi di un “patto tra galantuomini” con i rappresentanti della Gdo, per garantire almeno la chiusura degli esercizi commerciali durante le feste natalizie di Natale, Santo Stefano e Capodanno.

L’accordo andrebbe a beneficio, oltre che dei commercianti tradizionali, anche dei dipendenti della grande distribuzione che con la legge di liberalizzazione – denunciano i sindacati – sono stati costretti ad accettare di lavorare nei giorni festivi senza riconoscimenti aggiuntivi e senza più turni certi di riposo naturale e feste comandate.

Ricordiamo che, in base alle norme approvate con il cosiddetto “Salva Italia” (L. 214/2011) e in particolare l’articolo 31, commi 1 e 2 (Orari e Apertura nuovi esercizi) e l’articolo 34 (Liberalizzazione delle attività economiche ed eliminazione dei controlli ex-ante), oggi l’apertura è concessa per tutte le giornate dell’anno. Con la revisione in atto le date interessate dalle chiusure sarebbero Natale, Santo Stefano, Capodanno, Epifania, Pasqua, Pasquetta, 25 aprile, 1° maggio, 2 giugno, Ferragosto, 8 dicembre, 1° novembre.


Tutela e registrazione dei marchi, seminario al Point

Point“La tutela e la registrazione dei marchi in italia e all’estero: strategie e opportunità” è il tema del seminario in programma giovedì, 27 ottobre, dalle 14.30, al Point, il Polo per l’Innovazione Tecnologica di Dalmine. L’apertura dei mercati e le dinamiche della concorrenza impongono alle imprese di registrare un proprio marchio quale segno idoneo a distinguere i propri prodotti o servizi da quelli di altre imprese operanti all’interno dello stesso mercato. La tutela del marchio garantisce infatti la protezione delle creazioni aziendali, il cui valore aggiunto risiede nell’essere distintivi, non riproducibili, ovvero esclusivi e sottratti all’imitazione di chiunque. Il seminario, rivolto a tutte le micro, piccole e medie locali ma aperto a tutti gli interessati, ha l’obiettivo di favorire la conoscenza degli strumenti di tutela offerti dal marchio, anche al di fuori dei confini nazionali e ottenere una panoramica sulla situazione in essere, nonché sugli sviluppi attesi. Saranno forniti spunti per tutelare nel modo più efficace i propri asset e individuare possibili strategie a tutela e protezione del proprio brand. Gli argomenti saranno affrontati con un taglio operativo e accompagnati da esemplificazioni e casi concreti.

Tra gli argomenti trattati, i segni distintivi dell’impresa; la garanzia di provenienza e i marchi; la registrazione del marchio in Italia; la registrazione del marchio nell’Unione Europea e in ambito internazionale; esempi e casi concreti. L’incontro, promosso nell’ambito del progetto “Tutela e valorizzazione della Proprietà Industriale a supporto dell’innovazione e della competitività delle MPMI bergamasche”, è finanziato dalla Camera di commercio di Bergamo e realizzato da Bergamo Sviluppo in collaborazione con le locali organizzazioni di categoria, con il supporto tecnico-scientifico sia dell’ufficio brevetti e marchi della Camera di commercio, sia del Dipartimento di Ingegneria dell’Università degli Studi di Bergamo. La partecipazione al seminario è gratuita; iscrizioni possibili al sito www.bergamosviluppo.it.

 


Quella miseranda tremarella che “schiaccia” il mondo della scuola

ragazzi-a-scuolaLa scuola: già, la scuola è uno dei nostri più grossi problemi, da qualunque parte la si giri. E’ un problema la mancanza di certificazioni attendibili, come lo è la retribuzione degli insegnanti, mediamente bassa e del tutto slegata da meriti e demeriti. E’ un problema la dispersione, è un problema la formazione: insomma, per farla breve, è un intero campionario di cose che non funzionano o funzionano male. Oltretutto, ognuna delle numerose componenti che formano quel vasto universo che è la pubblica istruzione vede soltanto i propri problemi, mancando quasi sempre di una visione globale della questione: genitori e ministri, alunni e dirigenti, insegnanti e provveditori, bidelli e direttori generali hanno ognuno una propria visione, tanto diversa quanto significativamente distorta, del quadro. Io vi dirò, da parte mia, quello che, secondo me, è uno degli Schwerpunkt del sistema scolastico: la luna invece del solito dito, se preferite lasciare Clausewitz alla sua naftalina. Alla base di tante pecche della scuola italiana dell’anno domini 2016 c’è la paura. Sissignore, la paura: una fifa birbona. Paura, innanzitutto, collettiva: quell’ansiosa, sudaticcia, mancata assunzione di responsabilità, che divora tanti nostri connazionali, nel pubblico impiego assurge a dimensione esistenziale. Così, la scuola si riempie di codicilli e di regolamenti, allo scopo di scongiurare disastri: soprattutto, la responsabilità dei disastri.

Non si può correre, giocare, uscire nel cortile, entrare in classe durante l’intervallo, andare in bagno se non ad orari strettamente stabiliti, passare di qui, entrare di là: non per un legittimo desiderio di ordine e decoro o per tutelare la salute ed il benessere degli studenti, ma per evitare incidenti che possano creare guai. Per scansare i casini, per dirla in francese. E, allo stesso modo, le tonnellate di carte che i docenti devono compilare sono, nella maggior parte dei casi, dei giubbotti antiproiettile, dei paraspalle: si certifica questo e si documenta quell’altro nel timore che a qualcuno venga in mente di contestare, denunciare, ricorrere. Il fantasma del famigeratissimo TAR incombe su esami e scrutini, come un convitato di pietra alla cena di Don Giovanni. Lo stesso dicasi per la pletora di diagnosi sui disturbi dell’apprendimento o sui cosiddetti BES: uno studente in possesso di tali requisiti è, praticamente intoccabile e sa che potrà godere di accomodanti soluzioni fino al giorno del diploma, anche se, talvolta, il suo vero problema si chiama asineria volontaria da scansafatichismo: per la paura, ancora per la paura. E, poi, non meno perniciosa, c’è la paura a titolo individuale: quella vocina che tanti insegnanti sentono dentro di sé e che dice che, prima o poi, qualcuno li sgamerà. Si scoprirà che si preparano la lezione la sera prima, studiando sugli stessi manuali dei propri alunni, tutto quello che non hanno studiato quando avrebbero dovuto.

Qualcuno porrà la domanda, apparentemente innocente, su quel teorema, su quella forma idiomatica, su quell’autore, e loro, non potendo confessare di non averlo studiato, dovranno arrampicarsi sui vetri. Verrà fuori, allora, la vecchia cara paura all’italiana: paura di un’insufficienza culturale complessiva, quasi preterintenzionale, nata da decenni di accumulazioni recidive di trucchetti e di sindacalismo, di concorsi mancati e di concorsi truccati. Il povero insegnante si troverà nudo, di fronte all’ammissione della propria sconfortante inadeguatezza, e dovrà rifugiarsi dietro ai: fanno tutti così, non sono peggio degli altri. Paura. Mano a mano che si sale o che si invecchia, questa paura si disperde e si stempera: non è più così ossedente, non ti crea più incubi notturni. Ma rimane: come quando si sogna di dover ripetere l’esame di maturità. E io sono certo che, dietro la sicumera di certi ministri o sottosegretari, dal curriculum un po’ incerto, dai titoli un po’ vaghi, dalle pubblicazioni un po’ inesistenti, quella paurina ci sia ancora: lungo il filo della schiena, nascosto dalla legittima soddisfazione di essere lì, a far correre trafelati uscieri e ad essere trattati da padreterni da una schiera di accademici semigenuflessi, c’è quel brivido sottile.

E una voce che dice: non es dignus! Tutto il contrario dell’umiltà predicata dai vangeli: una condanna inappellabile, piuttosto, di catoniana potenza: non sei degno del nobile compito di educare le nuove generazioni, perché, dentro di te, sei soltanto, un frodatore, uno che si arrangia. Ma io, certamente, esagero: mi faccio prendere la mano e trascendo nell’epifonema. C’è tantissima brava gente che dà l’anima per la scuola e non sarebbe giusto accomunarla a qualche mela marcia: eppure, anche loro sono vittime di questa paura. Perfino i migliori accettano, supinamente, di gettare il proprio prezioso tempo nella compilazione di inutili carte, nella produzione di vana paccottiglia: perfino i più bravi, in fondo, hanno paura. E’ talmente radicata, ormai, questa miseranda tremarella, da non permettere più di vedere la luna dietro al dito. E la luna è la trasmissione di una civiltà, prima che muoia, uccisa dalle sue stesse paure. Una civiltà di uomini, in piedi, responsabili, fieri di sé e del proprio destino.

 

 


Infrastrutture inadeguate e logistica inefficiente, “così ci allontaniamo dall’Europa”

conftrasportoIn tema di trasporti e logistica l’Italia cresce poco e rischia la marginalizzazione. E’ quanto emerge dal Rapporto dell’Ufficio Studi di Confcommercio, realizzato in collaborazione con Isfort, presentato a Cernobbio in occasione del secondo Forum Internazionale di Conftrasporto-Confcommercio. A penalizzare il nostro Paese è soprattutto la mancanza di investimenti in opere infrastrutturali negli ultimi anni, che ci fa perdere 34 miliardi di euro l’anno (pari a 2 punti percentuali in termini di Pil) e che ci allontana dagli agli altri Paesi dell’Unione e dagli scambi internazionali. I numeri parlano chiaro: tra il 2010 e il 2014 i volumi di merci trasportati sono scesi del 10% nel settore marittimo e del 37% in quello su gomma, la contrazione più rilevante tra i Paesi fondatori dell’Ue. Nello stesso tempo,  le nazioni dell’Est crescono a due cifre, con la Bulgaria a +18% circa sia nel settore marittimo che in quello dell’autotrasporto. Quanto alle merci in entrata, dal 2003 al 2015 le imprese italiane di trasporto su gomma hanno perso oltre il 60% dei traffici, contro un incremento del 700% di quelle dell’Est Europa. Dal 2009 al 2015, infine, le imprese italiane attive nel settore del trasporto terrestre e via condotte sono diminuite del 13%.

“Le performance dei trasporti e della logistica sono un indicatore significativo dello stato di salute della nostra economia e delle sue possibilità effettive di sviluppo. Nonostante la centralità dell’Italia nel Mediterraneo, siamo sempre più ai margini degli scambi internazionali: allora occorre fare di più, meglio e in fretta” ha commentato il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli. In particolare, per Sangalli è necessario “affrontare con più determinazione la questione dell’accessibilità, che include le grandi opere nei valichi alpini, l’ammodernamento della rete viaria, la ‘cura del ferro’, fino alle autostrade del mare”. E sono anche urgenti “misure per sostenere lo sviluppo delle compagnie che eseguono servizi di cabotaggio nazionale”. In particolare, Confcommercio e Conftrasporto chiedono “un piano strategico per i trasporti, la logistica e la mobilità, con l’istituzione di una cabina di regia nazionale che si concentri sulle opere e sugli interventi integrati e intermodali che siano davvero utili e imprescindibili al rilancio del settore e del Paese”.

 

 


Terremoto, Ubi Banca sostiene la costruzione di una nuova scuola ad Acquasanta Terme

scuola-ubi-acquasanta-termeRestituire una vera scuola a 140 ragazzi del comune di Acquasanta, colpito dal terremoto dello scorso mese di agosto. UBI Banca, la Confederazione nazionale delle Misericordie d’Italia e il Comune di Acquasanta Terme, in coordinamento il Ministero dell’Istruzione, hanno siglato un accordo di convenzione per la costruzione di un nuova scuola materna e primaria ad Acquasanta Terme, poiché quella esistente è stata dichiarata inagibile a seguito del terremoto dello scorso 24 agosto. Attualmente le lezioni si stanno svolgendo sotto le tende messe a disposizione dal Dipartimento di Protezione Civile con inevitabili disagi, creati soprattutto dalle condizioni atmosferiche. La realizzazione della nuova struttura permetterà ai ragazzi di riprendere a frequentare una scuola vera ed agli insegnati di poter lavorare in un ambiente adeguato. La nuova struttura è concepita per poter essere utilizzata in modo continuativo e permanente, consentendo agli studenti di usufruire di aule e spazi conformi allo svolgimento delle regolari attività didattiche.

“Il Consiglio di Sorveglianza e di Gestione di UBI Banca hanno deciso di intervenire perché il progetto presentato è particolarmente importante in quanto si tratta di restituire ai bambini e ai ragazzi di Acquasanta Terme, in via definitiva, il luogo della loro istruzione”, sottolinea Andrea Moltrasio, presidente del CdSa di UBI Banca. “Si tratta di una scelta ponderata che va oltre la logica dell’emergenza e che lascia alla comunità locale una struttura durevole e indispensabile per la stessa coesione del tessuto cittadino”. UBI Banca si farà carico delle spese di ricostruzione devolvendo, sotto forma di liberalità, l’importo richiesto alla Confederazione che ha fra i suoi ambiti di intervento anche quello di sostegno alla Protezione Civile con gruppi attrezzati e addestrati e opera già nell’area colpita con altri progetti, avendo quindi le competenze e la conoscenza delle necessità del caso. Per favorire il coinvolgimento della sua clientela e non, UBI Banca emetterà anche un Social Bond dedicato.

 

 


Giornata europea della Giustizia civile, il punto anche Bergamo

giustiziaLa Camera Civile di Bergamo, come ogni anno in occasione della Giornata europea della Giustizia civile, organizza un convegno per analizzare i rapporti tra la giustizia civile e l’efficienza. L’evento si terrà martedì 25 ottobre alle ore 15 nella sala Traini del Credito Bergamasco in via San Francesco d’Assisi, 4.

Sono stati invitati a partecipare la presidente dell’Unione nazionale delle Camere civili Laura Jannotta che affronterà il tema della brevità degli atti, il presidente del Tribunale di Bergamo Ezio Siniscalchi e la presidentessa della Terza sezione civile Irene Formaggia che faranno il punto sullo stato della giustizia civile a Bergamo, Giorgio Afferni, professore di diritto privato presso l’Università di Genova, che parlerà della modernizzazione del diritto sostanziale come fattore di efficienza con particolare riferimento alla vendita, Marco Amorese, presidente della Camera civile di Bergamo, che parlerà del rapporto tra la giurisprudenza e l’efficienza con particolare riferimento alla transazione e, infine, Francesca Locatelli, professoressa di istituzioni di diritto processuale civile, che parlerà della brevità della motivazione delle sentenza.

Il nesso tra diritto ed economia è sempre più stretto. Una giustizia civile efficiente è una componente essenziale di un contesto economico efficiente. Il recente rapporto CEPEJ, che mette a confronto l’efficienza dei sistemi giustizia dei Paesi membri, dà un quadro contrastato del sistema giustizia in Italia.

L’Italia spende per il sistema giustizia l’1,3% della spesa pubblica, più di Spagna (0,8%), Grecia (0,5%), Austria (0,8%), ma meno di Francia (1,8%) e Germania (1,6%). Tuttavia la spesa pro capite in Italia per il sistema giustizia è di 73 euro, mentre la media europea è di solo 60 euro e la spesa per il funzionamento dei soli Tribunali giudicanti (48 euro) è superiore a quello della Francia (47 euro) e della media europea. Nonostante gli ultimi anni abbiano registrato un miglioramento significativo del rapporto tra nuova litigiosità e casi risolti, in Italia, nel 2014, la lunghezza media per risolvere il primo grado di una causa civile rimane tra le più alte (pari a 532 giorni), di molto superiore ai tempi necessari in Francia (348), Germania (192), Austria (130) e della stessa Grecia (330).

Tuttavia, l’efficienza del sistema giustizia non è solo efficienza del sistema processuale, ma passa attraverso norme sostanziali chiare, capacità di redigere schemi contrattuali non ambigui e orientamenti giurisprudenziali autorevoli, come insegnano anche le ricerche di Oliver Hart e Bengt Holmstrom recentemente insigniti del premio Nobel per i loro studi sul ruolo dei contratti nelle società moderne.

Durante il convegno sarà presentato il Bando che, come ogni anno, l’Unione nazionale delle Camere Civili rivolge alle scuole del triennio superiore. Gli studenti che vorranno partecipare dovranno formulare un messaggio promozionale sulla giustizia prendendo spunto dalla frase di Piero Calamandrei: «La giustizia c’è, bisogna che ci sia, voglio che ci sia». Il primo classificato vincerà un premio in denaro di 800 eurp (per maggiori informazioni: www.cameracivilebergamo.it).


L’Italia vuole dare lezioni a Bruxelles, ma senza avere fatto i compiti a casa

bruxelles-unione-europeaSiamo in tempi di manovra. L’Italia sta litigando con l’Europa per qualche decimale di Pil (Prodotto interno lordo) in più di flessibilità, che poi vorrebbe dire avere la possibilità di fare più debiti. Formalmente questo viene richiesto per buoni motivi, come il riconoscimento delle clausole eccezionali per spese legate ad eventi (ci si augura) straordinari, come il terremoto e i migranti. Però si può pensare che per una ragione o per l’altra tutti i Paesi possono trovare eccezionali buoni motivi per spendere più del consentito e sforare dal piano di rientro. Niente di male, in questo, se però un piano di rientro lo si ha. Se dalle percentuali si passa ai numeri assoluti – e sarebbe bene che i valori andassero sempre di pari passo – sembra di capire che l’Italia non ce l’abbia e la spending review sia un bell’esercizio di stile, passato ormai nel dimenticatoio. E va precisato che non si sta ancora chiedendo un rientro dal debito pubblico, cioè del cumulo dei deficit, ma “solo” della tendenza alla riduzione del disavanzo annuale, in modo che il debito pubblico, che ormai sfiora i 2.250 miliardi di euro, cresca almeno un po’ meno.

Gli unici dati attualmente completi sono quelli del 2015. E mostrano, secondo quanto comunicato dall’Istat, che la spesa per interessi passivi (ovvero l’onere al servizio del debito pubblico), è scesa l’anno scorso di 6,12 miliardi, passando da 74,33 miliardi a 68,21 miliardi, che rappresentano il 4,2% del Pil, la zavorra che altri Stati con minor debito del nostro non hanno. Sessantotto miliardi, per dare l’idea, sono quasi due volte e mezza la manovra appena varata. Il “risparmio” per minori interessi realizzato nel 2015 non è insignificante: vale lo 0,4% del Pil ed è stato “regalato” dall’appartenenza all’euro che ci consente di godere di tassi ben più bassi di quelli che avrebbe l’Italia da sola, con la vecchia lira. Il governo può metterci del suo, normalmente in peggio – come ci si ricorda per i problemi legati allo spread, che essenzialmente è il supplemento che si paga negli interessi per il rischio Paese – ma se non ci fosse l’Europa con le sue regole, la manovra avrebbe dovuto essere più alta  almeno di 6 miliardi, da recupere in qualche modo, probabilmente maggiori imposte. Negli anni, l’appartenenza all’euro si può ritenere ripagata solo con i minori interessi sul debito pubblico, anche se quello dei tassi bassi è un beneficio che probabilmente non è per sempre: verrà almeno parzialmente ridotto quando il costo del denaro si rialzerà, ma al momento è quello che permette all’Italia di presentarsi, seppure con un po’ di faccia tosta, a chiedere una deroga sulla rigidità dei conti.

Il deficit netto del 2015 dell’Italia, infatti, è stato pari al 2,6% del Pil: in valore assoluto si tratta di 42,93 miliardi, una cifra che è ben più bassa di quanto si paga in interessi sul debito pubblico. Se ipoteticamente non ci fossero il debito e i relativi interessi, l’anno scorso l’Italia si sarebbe trovata con 25 miliardi da spendere (praticamente l’importo della manovra) in investimenti o in quello che gli pare. Eppure nel 2015, rispetto all’anno precedente il deficit è calato di circa 5,5 miliardi. Questo è l’elemento che permette di dire che qualcosa è stato fatto per la riduzione, ma in realtà se non ci fosse stato il calo degli interessi sul debito per 6 miliardi, dovuto all’Europa più che all’Italia, il deficit non sarebbe sceso. E in ogni caso il saldo primario (ovvero il deficit al netto della spesa per interessi), che pure è rimasto positivo, si è ridimensionato, confermando che l’Italia non ha contratto la spesa, ma l’ha allargata, anche quando non c’era di mezzo il terremoto.

L’Italia che vuole dare lezioni a Bruxelles, quindi, si presenta all’esame senza avere fatto i compiti a casa che le erano stati richiesti e per i quali si era impegnata, se si guardano i valori assoluti. Il quadro è un po’ migliore quando si guarda il rapporto sul Pil che però permette margini di movimento più discrezionali rispetto ai valori assoluti. Il rapporto deficit/Pil è il risultato di una frazione e per farlo diminuire si può ridurre il numeratore (la spesa finanziata a disavanzo) oppure aumentare il denominatore (ovvero il prodotto interno lordo). Se si parla di decimali, come si sta parlando (che poi si trasformano in miliardi di euro), decisiva è la crescita economica. Alzare il Pil può far diminuire il rapporto, anche mantenendo invariata la spesa o il deficit. Ma se non si è capaci di ridurre la spesa, come si è dimostrato anche nel 2015, si può ambire al massimo a mantenere invariato il rapporto. Potrà anche essere pensar male, ma la speranza del governo di un Pil in crescita maggiore di quanto viene creduto possibile da tutti gli analisti non è solo espressione di stimolo ottimista, ma è la strada per riuscire ad avere di più da spendere senza dovere intervenire con la sempre spiacevole e impopolare spending review. Sempre che poi non servano per finanziare gli eventuali interessi in più richiesti al servizio del debito pubblico.

 

 


Incentivi per le imprese che partecipano alla fiera Il Bontà

il-bonta-immagini-slide-8Le imprese bergamasche che vogliono partecipare alla fiera Il Bontà – Salone delle eccellenze enogastronomiche artigianali e delle attrezzature professionali di Cremona possono avere un contributo fino a 700 euro da parte della Camera di Commercio di Bergamo. La fiera si terrà dall’11 al 14 novembre prossimi. Il contributo è a fondo perduto ed è previsto per il noleggio dell’area espositiva. Possono chiederlo le micro, piccole e medie imprese della città e della provincia.

Le domande di contributo firmate dal legale rappresentante devono essere presentate a mezzo Pec all’indirizzo cciaa.bergamo@bg.legalmail.camcom.it entro il 4 novembre.

L’iniziativa si colloca nell’ambito del progetto Lombardia Orientale Regione Europea della Gastronomia 2017, che vede coinvolti i territori di Bergamo, Brescia, Cremona e Mantova. È inoltre inserita nei programmi promozionali dell’ente camerale volti a favorire lo sviluppo del sistema economico locale.

Maggiori informazioni: www.bg.camcom.gov.it.


La svolta della Regione: «Basta prodotti tipici, è ora dei prodotti distintivi»

«La fase dei prodotti tipici per me è finita, la gente vuole i prodotti distintivi, al consumatore non interessa che lo hai sempre fatto, ma che lo hai fatto solo tu, che è di quel territorio e non di un altro». È il cambio di prospettiva indicato dall’assessore regionale all’Agricoltura Gianni Fava, intervento a Broni (Pv) ad un convegno sul tema delle tipicità agricole in Lombardia.

«Il mercato ha vissuto cambi radicali e per noi non c’è altra strada che l’internazionalizzazione – ha proseguito -. Non tutti devono andare all’estero. Piuttosto dobbiamo spingere chi è in grado di andare fuori per poter liberare quote di mercato interno, oggi asfittico». «Non abbiamo problemi dal punto di vista qualitativo – ha detto Fava -. La nostra scarsa competitività a livello internazionale è data, oltre che dalle difficoltà del sistema economico nazionale, anche da una scarsa organizzazione sul tema della internazionalizzazione. Avevamo una filiera agroalimentare fortissima che viveva di consumi interni, ma da quando la situazione è cambiata, da un lato abbiamo avuto un calo di consumi interni dall’altro abbiamo continuato a produrre in misura significativa per molto tempo».

Di qui la difficoltà poi di penetrare certi mercati, dove peraltro il gradimento verso i nostri prodotti è altissimo. «Le grandi imprese hanno dimostrato meno difficoltà nell’andare oltre confine – ha spiegato Fava -. Dobbiamo migliorare, da un lato, la penetrazione dei mercati mettendo a disposizione del sistema delle imprese di meccanismi utili per garantire la logistica e la capacità di vendere sul mercato internazionale e dall’altro, la promozione. Buona parte dei nostri prodotti non sono conosciuti, a parte alcuni, nell’immaginario globale. Tutti gli altri sono da promuovere, certamente si tratta di produzioni piccole».


Kilometro Rosso, l’Università di Bergamo lancia il Centro bilaterale di trasferimento tecnologico tra Italia e Cina

kilometro-rossoOggi Bergamo ospita la prima tappa del più grande evento europeo di networking Italia-Cina con due appuntamenti chiave. Il presidente della Regione Lombardia, alle 9, sarà ospite della plenaria del mattino nell’Aula Magna dell’Università di Bergamo, in Sant’Agostino, insieme a Huang Ping, vicedirettore del China-Italy Technology Transfer Center e direttore del China International Technology Transfer Center, Fabrizio Cobis, direttore dell’Unità VII di Coordinamento e Sviluppo del MIUR e il rettore dell’Università di Bergamo Remo Morzenti Pellegrini. Interverranno anche il sindaco di Bergamo Giorgio Gori e Wang Dong, Console Generale della Repubblica Popolare Cinese a Milano. Seguiranno sessioni tematiche sul Trasferimento Tecnologico tra i due Paesi.

Alle 13.30, alla sede dell’Università di Bergamo nel Parco Scientifico Tecnologico Kilometro Rosso, UniBg inaugurerà il CITTC (China Italy Technology Transfer Centre), il nuovo Centro Bilaterale di trasferimento tecnologico che nasce per rafforzare i rapporti sinergici tra Italia e Cina, promuovere la cooperazione interdisciplinare tra istituzioni, imprese, università e associazioni e favorire l’innovazione. La sessione pomeridiana verterà sul tema dello Smart Manufacturing: verranno approfonditi i settori della meccatronica e dell’automotive, con particolare riferimento alle soluzioni tecnologiche ad alto grado di precisione e efficienza, personalizzabili, interconnesse e sostenibili lungo il ciclo di vita di un prodotto e di un processo produttivo. In ambito Healthcare Technologies, si discuteranno tutte le recenti innovazioni nell’ambito delle tecnologie per la salute. In programma anche visite industriali presso i parchi scientifici Kilometro Rosso (laboratori di Ricerca e Sviluppo dell’Istituto Mario Negri e di Brembo) e Point (incubatore manifatturiero di Bergamo Sviluppo e consorzio per la meccatronica Intellimech) di Dalmine. Le due tematiche al centro della tappa bergamasca dell’evento sono due settori chiave che uniscono Cina e Italia: sia per il Piano Nazionale della Ricerca italiano, sia per il Piano di sviluppo quinquennale cinese.