Trenord, mezze verità e troppa propaganda

farise_maroni - Copia
Cinzia Farisè e Roberto Maroni

Chissà se l’assessore regionale ai Trasporti Alessandro Sorte e il nuovo amministratore delegato di Trenord Cinzia Farisè nei loro trascorsi scolastici hanno qualche master in Russia, terra famosa, anche dopo la caduta del Muro, per la capacità di elaborare tecniche di “disinformacja” di inarrivabile grandezza. In questi giorni il simpatico duo che sovrintende al trasporto ferroviario lombardo sta dando il meglio nel propalare informazioni che, mescolando mezze verità e pura propaganda, vorrebbero dare ad intendere che nel giro di poche settimane, guarda caso da quando ci sono loro sulla tolda, hanno impresso una svolta epocale al vergognoso disservizio quotidiano.

L’ultima che si sono inventati, secondo la tecnica del far volare gli stracci per abbindolare i gonzi (con la complicità di giornalisti che non sono più capaci di andare al di là del copia e incolla), è la favola che i cronici ritardi dei convogli pendolari siano colpa di un codicillo del contratto dei macchinisti che consente di lucrare manciate di euro a chi tira in lungo il viaggio accumulando più di venti minuti di ritardo. A prima vista uno scandalo autentico, da esecrare senza se e senza ma. E infatti, grazie agli organi di stampa, il polverone si è alzato. Peccato che pochi, o nessuno, è andato a verificare se l’indignazione aveva fondamenta solide. E qui casca l’asino.

Per stessa ammissione del duo Sorte-Farisè, i macchinisti eventualmente colpevoli di ritardi sospetti non sarebbero più di un quindicina su 1200. Sì, avete capito bene, 15 su 1200. Macchinisti superman, evidentemente, capaci di mettersi alla guida contemporaneamente delle centinaia di locomotive che ogni giorno accumulano ritardi. I numeri parlano chiaro: sulle principali linee lombarde i convogli che arrivano fuori orario sono, a seconda dei casi, da uno ogni tre (Bergamo-Milano via Carnate) a uno ogni cinque (Bergamo-Milano via Treviglio). Davvero è tutta colpa dei macchinisti artatamente pelandroni? Ma via, non facciamoci prendere per il naso.

Poniamoci, invece, qualche domanda. Risulta, per caso, che i vertici di Trenord abbiano preso qualche provvedimento a carico di chi fa il furbo ai danni degli utenti? Vi rispondiamo noi: non risulta. Si sa, per caso, chi ha firmato quel contratto con quella clausola? E se, nel caso lavorasse ancora nella società milanese, c’è l’intenzione di avviarlo verso altri impieghi più consoni alle sue attitudini? Risposta: non risulta.

Diamo per scontato che Sorte e Farisé vogliano sinceramente dimostrare di essere all’altezza di una sfida all’Ok Corral. Ma in maniera sommessa e pacata vorremmo consigliar loro di volare basso, di contenere le volute di fumo che diffondono. Vantarsi perché i treni in ritardo sono passati dal 70 all’80 per cento, ci si perdoni l’espressione poco cortese, fa ridere. Intanto perché in una Regione che si vanta di essere centro e modello di efficienza quella performance non è degna degli standard internazionali (provino a chiedere ad un tedesco o ad un francese, per non scomodare gli svizzeri, se accetterebbero di fare cambio). In secondo luogo, perché il miglioramento va valutato, e sarà eventualmente apprezzato, solo sui tempi lunghi. Cioè se diventerà la norma, non l’eccezione di uno o più mesi. Infine, perché i ritardi sono solo una delle pecche del sistema ferroviario. Inutile star qui a riepilogare tutto il resto. Arrivare in orario è importante tanto quanto viaggiare in condizioni di minima civiltà e non stipati su carri bestiame lerci e puzzolenti, obsoleti e privi di riscaldamento o condizionamento. Su questo piano la distanza da colmare è enorme.

Ancora pochi giorni fa, il presidente della Regione Roberto Maroni, il capomastro del terribile duo, ha ripetuto per l’ennesima volta che il Pirellone ha acquistato 63 nuovi treni di ultima generazione e che 53 di questi saranno messi sui binari prima dell’avvio dell’Expo. Bene, mancano meno di 60 giorni al taglio del nastro e di questi benedetti mezzi sulla Bergamo-Milano, tra le primissime linee per volumi di traffico, finora se n’è visto solo uno. Vuoi vedere che tutti gli altri sono in ritardo per colpa dei macchinisti approfittatori?


Al Carroponte si degustano i vini dei Feudi di San Gregorio

feudiI vini dei Feudi di San Gregorio fanno tappa Al Carroponte, il ristorante eno bistrò guidato da Oscar Mazzoleni. L’appuntamento è fissato per il 9 marzo. Il viaggio enogastronomico tra gusti e sentori tipici della Campania prenderà il via alle 20,30 con un menù che contempla micro salmonburger con maionese al pepe rosa, sgombro sott’olio con emulsione al pomodoro e peperoncino verde dolce gratinato al pecorino (abbinati alla Falanghina brut), insalata di baccalà, cavolfiore, acciughe e olive nere (annaffiato dal Campanaro 2013), i fusilli di Gragnano al sugo di carne in lunga cottura (Serpico 2010) e il manzo alla pizzaiola (Taurasi Montevergine riserva 2009). Chiudono le melanzane al cioccolato. Il costo a persona è di 55 euro. La serata è organizzata per un massimo di 35 persone ed è quindi gradita la prenotazione.

Info: Al Carroponte, via De Amicis 4 Bergamo, 035 2652180. www.alcarroponte.it


Bergamo carnivora, quando il pesce era solo cibo da dame

Bloch Pieter_AertsenIl grande medievalista Fernand Braudel l’ha marchiata come l’età dell’Europa carnivora. Ed invero i due secoli intercorsi tra la metà del trecento e quella del cinquecento rappresentano per i partigiani dell’alimentazione vegetariana uno dei picchi storici di oscurantismo. Autorevoli studi attestano infatti che durante tale lasso di tempo i consumi annui pro capite di carne, pur con ampi scarti su base di ceto, fluttuassero dai 30/40kg delle regioni mediterranee sino al quintale abbondante delle lande del nord. Livelli considerevolmente superiori a quelli di ogni altra epoca trascorsa, e ragguardevoli anche se raffrontati agli 80kg dei nostri giorni – specie allorché si tenga conto che il rigido regime di magro allora vigente un giorno su tre oggi è solo uno sbiadito ricordo.

Per uno dei beffardi paradossi che sovente determinano il corso delle vicende umane, le radici di così protratte condizioni di opulenza alimentare – un “periodo di vita individuale felice”, sempre secondo Braudel – affondano in una delle più tragiche calamità della storia. Fu infatti la spaventosa epidemia di peste nera che tra il 1347 ed il 1353 falcidiò il continente, spazzando via oltre un terzo della popolazione europea, a gettare le basi della susseguente fase di prosperità. Alle prese con un mondo di punto in bianco spopolato, i sopravvissuti al contagio si ritrovarono in dote risorse nutrizionali ampiamente eccedenti i loro fabbisogni. Ed il crollo della domanda di cereali determinato dalla profonda recessione demografica indusse i proprietari terrieri a riconvertire in maggese buona parte degli arativi, liberando così vasti appezzamenti per il pascolo. Nei nuovi prati stabili dell’area padana iniziò dunque a prender piede l’allevamento bovino, sino a quel momento sostanzialmente negletto. Non è pertanto casuale che, a margine di un’abbondanza di carni senza precedenti, giusto in quegli anni vedessero la luce gli storici caci vaccini di pianura, tra i quali avevano distinzione il Parmesano ed il Lodigiano.

Le arti culinarie presero celermente atto del mutato quadro di disponibilità alimentari. Se i ricettari del duecento e del trecento facevano per molte preparazioni generico riferimento alla carne, senza curarsi di precisare da quale bestia questa dovesse provenire, a partire dal XV secolo la letteratura gastronomica iniziò a dedicare specifica attenzione alle peculiarità delle singole specie e dei diversi tagli. Nell’inarrestabile crescendo di popolarità delle proteine animali, le classi più altolocate finirono addirittura per lasciarsi contagiare dal popolaresco trasporto per il quinto quarto. Sulle tavole nobiliari fecero così comparsa eccentriche portate di frattaglie, con punte di audacia quali bulbi oculari d’agnello e palato bovino, che nelle epoche pregresse erano inderogabilmente riservate al consumo plebeo.

Da più di un indizio si desume che in questo impeto continentale di frenesia carnivora Bergamo fosse seconda solo a pochi altri centri. Tra i plurimi riscontri spicca l’ordinanza emanata nel 1562 dal vescovo Federico Cornaro il quale, per prevenire le inottemperanze al regime quaresimale di magro, decretò che nel periodo intercorrente tra il mercoledì delle ceneri ed il sabato santo non più di tre beccai in città fossero autorizzati a tener aperta bottega. Per venir serviti i compratori dovevano peraltro essere muniti di una speciale autorizzazione, rilasciata dalle autorità ecclesiastiche solo dietro presentazione di adeguata documentazione medica. L’articolazione del disposto e la severità delle pene (scomunica, ammenda e punizioni corporali) la dicono lunga su quanto ricorrenti dovessero essere presso i nostri avi le trasgressioni all’astinenza precettiva dalle carni.

Non meno emblematica è la lista delle imbandigioni per lo sposalizio di due rampolli della borghesia mercantile bergamasca – Girolamo Rota e Dorotea Alessandri – celebrato nel febbraio del 1523. Il banchetto nuziale si apri con un servizio di credenza – ai nostri giorni un buffet freddo – assai più succinto di quello che un’occasione di tale importanza avrebbe di norma comportato. Vennero infatti serviti solamente zenzero candito, pignoccate con saponea (confetti allo zenzero), cavi di latte – antenati del mascarpone – e torta bianca (un timballo a base di formaggio fresco). Un così stringato preambolo era apparentemente inteso a non guastare l’appetito per la pantagruelica sarabanda di carni che di lì a poco avrebbe avuto corso, aperta da quaglie e pernici assieme a piccioni lessi ed allo spiedo. E poi fagiani, pavoni, anatre ed oche nella loro livrea – i volatili, secondo l’uso del tempo, erano scuoiati, arrostiti ed infine ricomposti nel loro piumaggio in modo da serbare sembianze da vivi. Quindi capponi bolliti, arrosto ed in limonia – un intingolo medievale a base di succo di agrumi e latte di mandorle. Ed ancora, inframmezzati da un imprecisato pasticcio che sarebbe comunque azzardato congetturare vegetariano, arrosti di lepri e di conigli a propria volta rivestiti del loro manto, seguiti da petto di vitello in salsa.

Approssimandosi ormai l’epilogo del banchetto, gli impavidi cucinieri dovettero pensare che nulla più convenientemente di un’ultima tornata di arrosti potesse accomodare lo stomaco dei commensali. Ecco dunque che dagli spiedi vennero recati sulle mense porchette, capretti e lombi di vitello. Per soprammercato anche le portate deputate a guidare il disimpegno dall’abbuffata si trovarono impresso l’onnipresente marchio della carne: furono infatti servite gelatine di manzo, di vitello e di cappone. E finalmente Dio volle che giungesse il liberatorio turno di torte, pere cotte, confetti e marzapani.

Superfluo rimarcare che in seno alla ciclopica lista delle vivande del pesce non comparisse neppure l’ombra, ancorché nei convivi più formali dell’epoca quest’ultimo fosse di norma alternato agli altri cibi. In realtà in calce al resoconto si fa incidentale cenno a carpioni ed anguille, temoli e trote, persici e bose. Per singolare combinazione i manicaretti ittici rimasero tuttavia esclusivo privilegio delle dame, tenute quel dì all’osservanza del regime di magro cadendo l’indomani la tutt’altro che imperdibile festività di Sant’Agata.


Domenica primo marzo il centro di Bergamo è pedonale

bergamo centro pedonaleDomenica primo marzo, dalle 10 alle 19 torna la pedonalizzazione del centro di Bergamo che l’amministrazione comunale ha deciso di proporre una volta al mese per favorire la passeggiata e lo shopping.

Distretto Urbano del Commercio e Comune di Bergamo stanno lavorando inseme per le definizione di un palinsesto strutturato: tra le iniziative previste, l’installazione in piazza Matteotti si palco da 60 metri quadrati sul quale si alterneranno momenti musicali e culturali. Durante la giornata, si esibiranno alcuni artisti di strada e saranno infine previste delle visite guidate all’ “Atelier della luce” di Piazza Matteotti 30

Il prossimo appuntamento con la chiusura al traffico del centro è previsto per domenica 12 aprile.


Contraffazione e abusivismo, artigiani a confronto

Abusivismo ConfartigianatoLa piaga della contraffazione, unitamente al fenomeno dell’abusivismo, anche nella nostra provincia sta minando la qualità del Made in Italy e mettendo in ginocchio numerose imprese artigiane, appartenenti prevalentemente ai settori del tessile-abbigliamento, calzaturiero, occhialeria, alimentare, giocattoli, cosmetica, elettronica e informatica. Ma, oltre a questo, ad essere messe a rischio sono soprattutto la sicurezza e la salute stessa del cittadino-consumatore, che si può ritrovare nella duplice veste di complice e vittima.

Così Confartigianato Bergamo ha lanciato una campagna formativa, informativa e di sensibilizzazione che partirà lunedì 2 marzo alle 18, nell’Auditorium di via Torretta, con il seminario “Contraffazione e abusivismo: quanto costa l’illegalità alle imprese artigiane”.

L’incontro, moderato dal direttore Stefano Maroni, sarà aperto dal presidente Angelo Carrara e dal capo Area Produzione e Subfornitura Alessandro Bonzi. A seguire gli interventi di Enrico Quintavalle, responsabile dell’ufficio studi di Confartigianato nazionale (“I numeri della contraffazione e dell’abusivismo”) e Licia Redolfi, ricercatrice dell’osservatorio di Confartigianato Lombardia (“Incidenza di contraffazione e abusivismo sul territorio locale”). Francesca Cappiello, dirigente del ministero dello Sviluppo economico, presenterà le politiche e gli strumenti per la lotta alla contraffazione messi in atto dallo Stato, mentre il tenente colonnello Massimo Ghibaudo del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Bergamo interverrà sul tema “Cooperazione tra poteri pubblici e organizzazioni professionali”.

Per iscrizioni: ufficio Aree di mestiere (tel. 035 274267; e-mail: roberta.tarchini@artigianibg.com).


A San Pellegrino l’artista dei dolci “autoctoni”

Franscesco Zurolo con la novità Arlecchino lightÈ solo questione di tempo: state certi che prima o poi arriva una nuova idea golosa. Per Francesco Zurolo l’arte della pasticceria è strettamente legata alla prossima invenzione dolce o salata. Così, ad esempio, è nato il panettone a base di mele rigorosamente brembane, quello a base di castagne e noci o la colomba al melone retato di Calvenzano, che ora esporta anche all’estero: da Madrid alla Svizzera, fino alla Russia. Intuizioni che, sposando il prodotto bergamasco, diventano ricette ambasciatrici del territorio.

San Pellegrino è la culla di questo chef 39enne che attinge dalle sue origini campane (è sorrentino di nascita), ma poi sviluppa il suo iter del gusto nella nostra provincia, realizzando un mix di pasticceria nord-sud che non si arrende mai all’abitudine, senza trascurare la tradizione della sua terra d’origine: Francesco crea infatti quotidianamente dalla pastiera ai babà, dagli strufoli alle cassate, al limoncello.

Giambattista Gherardi, giornalista bergamasco tra gli ambasciatori del mais spinato, ha definito Zurolo “il talent scout della tipicità”. Effettivamente, in questi anni l’uomo non si è mai risparmiato ospitando nel suo laboratorio dal melone alle castagne, alle mele, “cucendo” loro addosso la ricetta giusta, capace di valorizzare un prodotto magari fino a quel momento trascurato. Ma l’aspetto più interessante è che Zurolo, con la sua passione, è riuscito a contagiare decine di giovani aspiranti pasticceri della Val Brembana. «Da anni sono docente all’Alberghiero di San Pellegrino – spiega -. Insegno cucina, ma soprattutto pasticceria e devo dire che i ragazzi mi seguono moltissimo. Rispetto a qualche anno fa sono più curiosi, hanno il gusto del particolare, si applicano con grande attenzione. Peccato che la tv deformi la professione di chef e pasticciere, creando un’immagine fasulla, tutta lustrini e paillettes, che li vorrebbe tutti star del piccolo-grande schermo, mentre chi fa questo mestiere conosce gli enormi sacrifici, gli anni trascorsi senza poter far ferie a Natale o Capodanno, lavorando giorno e notte, senza poter mai guardare l’orologio». Emblematica a questo proposito è la giornata tipo di Francesco durante le recenti festività natalizie: «Mi alzo attorno alle 3 del mattino per creare dolci e infornare – racconta – e non mi fermo più fino alle 9 di sera, perché poi ho i miei affezionati clienti del negozio (si chiama Gusto Dolce & Salato, ndr.), senza contare i pacchi regalo da confezionare e il servizio catering, che mi porta a proporre le mie specialità anche a molti chilometri da San Pellegrino».

Francesco Zurolo - pasticciere San PellegrinoSi diceva dei giovani: molti, i più promettenti, attraverso stage con l’istituto alberghiero, finiscono per un periodo direttamente nella bottega del loro docente: «Hanno grande entusiasmo – evidenzia – e non vedono l’ora di cimentarsi in nuove ricette. La pratica in negozio mette anche i ragazzi a contatto con la clientela, dosandone gli umori, i rilievi, i suggerimenti: è una grande palestra di vita, che, oltre ai miei suggerimenti, serve a loro per migliorare il lato tecnico e umano». Poi naturalmente Zurolo consiglia a tutti di «viaggiare, per arricchire il proprio bagaglio di esperienze, proprio come ho fatto io prima di mettere le tende in Val Brembana. Sono stato da grandi maestri dal Giappone alla Germania, ho imparato l’arte del cioccolato a Vienna, nella terra della Sacher: per fare questo mestiere ci vuole una grande dose di umiltà e tanta curiosità, che ti permette di rubare tanti segreti, per poi cominciare a sperimentare anche in maniera autonoma». Da allora Zurolo ha iniziato a creare i suoi panettoni con prodotti autoctoni, che hanno subito raccolto consensi in valle, come l’ultima “creatura” dello scorso Natale, l’Arlecchino Light, composto da lievito madre, mele della Val Brembana e una miscela di farine di cereali. «L’ho chiamato Arlecchino in onore della maschera originaria proprio di questa terra e light – spiega -, perché ho usato zucchero integrale e miele. Le mele vengono candite nel loro sciroppo, con glassatura croccante e cottura nel legno». Ma il pasticcere campano-bergamasco guarda già alle prossime sfide: nel mirino ci sono dei biscotti con base zafferano. «Sto prendendo contatti con la Comunità montana, perché so che è nata una produzione in Valle molto incoraggiante», dice, e poi rivela un altro sogno che sta per avverarsi: «Grazie alla collaborazione con Aspan, l’azienda di Olmo al Brembo Mondo Asino e alla società Emozioni Orobie, sto mettendo a punto un’altra novità che credo risulterà interessante: i biscotti a base di latte d’asina, che risultano molto più leggeri e digeribili anche per chi ha intolleranze. È una sfida ambiziosa, visto anche l’alto costo delle materie prime, ma sono certo che alla fine, come è sempre accaduto, i consumatori apprezzeranno i miei sforzi».


Bergamo Film Meeting, un’abbuffata di proiezioni in città

Sarà inaugurata con uno speciale evento dedicato alla riapertura di Accademia Carrara la 33esima edizione di Bergamo Film Meeting, il festival internazionale dedicato alla riscoperta dei grandi classici del passato, con omaggi e retrospettive di ampio respiro, e a quel cinema indipendente e d’autore capace di riflettere sulle innumerevoli sfumature, trasformazioni e complessità del presente, senza timore di sperimentare nuove forme di linguaggio e di contenuti.

Il via sarà, dunque, venerdì 6 marzo alle ore 20.45 al Teatro Sociale di Città Alta, quando sarà presentato in anteprima il film National Gallery, ultima opera del maestro documentarista Frederick Wiseman, presentata a Cannes nel 2014. Sempre in omaggio all’Accademia Carrara il programma di Bergamo Film Meeting prevede la proiezione di una serie televisiva di culto degli anni ’60: Belphégor ou Le fantôme du Louvre (Belfagor, il fantasma del Louvre) di Claude Barma.

Dal 7 al 15 marzo si snoderanno poi le proiezioni e gli eventi nelle diverse location della città. Gli oltre 120 film, provenienti dal panorama cinematografico nazionale e internazionale, offrono una molteplicità di percorsi di visione, spunti di riflessione e di lettura, occasioni di scoperta, sorprese e molto di più. Come sempre, il programma è articolato in diverse sezioni: un concorso internazionale di lungometraggi, opere inedite, omaggi e retrospettive, la seconda parte della sezione “Europa: femminile singolare”, documentari, anteprime e cult movie, incontri con gli autori, workshop, mostre, uno spazio dedicato al cinema d’animazione e alle proiezioni di film per giovani e giovanissimi.


Castelletti, addio polemico all’Associazione Sommelier

Luca CastellettiIl padre, Italo Castelletti, ha fondato la delegazione dell’ Ais di Bergamo nel lontano 1977, realizzando in quell’anno anche il primo corso per aspiranti sommelier. Nel 2015, il figlio Luca, che ha seguito le orme paterne e per anni lo ha affiancato nell’organizzazione delle tante iniziative messe in cantiere, abbandona l’Associazione.

Socio Ais dall’ ’89, membro per anni nel Consiglio nazionale, titolare dell’enoteca Al Ponte (a Ponte San Pietro) dove ha ospitato la delegazione provinciale guidata da Nives Cesari, Castelletti nei giorni scorsi ha vergato due righe scarne e le ha inviate al presidente nazionale e, per conoscenza, a quello regionale Fiorenzo Detti e alla delegata di Bergamo, Roberta Agnelli. “Con la presente Vi informo che mi dimetto dall’Associazione italiana sommelier in qualità di socio Ais”.

Dimissioni che suonano come una denuncia contro un’Associazione che, a detta di Castelletti, non è più in grado di dare risposte all’altezza dei tempi. “Vorrei puntualizzare – annota Castelletti – che la mia è una scelta ponderata e anticipata di parecchi mesi prima dell’Expo per evitare polemiche in concomitanza con le celebrazioni per il 50esimo di fondazione dell’Associazione e con il congresso nazionale che si svolgerà in Lombardia”. “Detto questo – aggiunge Castelletti – voglio sottolineare che, seguendo le orme dettate da mio padre Italo, ho sempre cercato di anteporre le esigenze dell’Associazione a quelle personali. Se ho scelto di dare le dimissioni dopo trent’anni è perché ormai mi sentivo come Don Chisciotte che combatte contro una struttura che per una seria di situazioni considero obsoleta”.

Secondo Castelletti, “l’Ais soffre degli stessi mali che affliggono e paralizzano il nostro Paese”. “Alcuni mie prese di posizione per un forte rinnovamento – evidenzia Castelletti – non sono state prese in considerazione. Per esempio, è mai possibile che nell’ordinamento giuridico italiano il sommelier non sia ancora una figura professionale ufficialmente riconosciuta? Ecco, poco o nulla è stato fatto anche in questo senso. E allora dico che non si può lasciare l’Associazione nelle mani dei soliti senatori”. C’è amarezza nelle parole di Castelletti. Ma nell’addio all’Ais, ci tiene a dire un grazie particolare al presidente regionale Fiorenzo Detti e all’ex delegata e storica collaboratrice Nives Cesari. “Alla nuova delegata Roberta Agnelli auguro di proseguire sulla strada iniziata dalla mia famiglia e di ottenere altrettanti successi. Io continuerò a essere… un narratore del gusto”.


Tutti formatori, ma occhio a chi improvvisa

formatore Mi occupo di processi formativi e di formazione aziendale da diversi anni e da qualche tempo non ho potuto esimermi dal fare una considerazione: “sono tutti diventati formatori”. Sembra infatti che sia sufficiente una laurea ad indirizzo umanistico, un qualche corso di formazione istituito dalle tante società presenti sul mercato e una buona dialettica per fregiarsi del titolo di “consulente della formazione” o di “esperto dei processi formativi”. A costo di risultare antipatico, lo voglio dire, ma non sono assolutamente d’accordo con questo trend, che combatto da sempre. Sono convinto che essere formatori rappresenti una scelta professionale, che scaturisce da un preciso percorso personale e professionale, che necessita di aggiornamento continuo.

Lasciando perdere il discorso della motivazione personale sulla quale non posso entrare in merito, desidero però focalizzare l’attenzione sui percorsi formativi che aiutano a divenire dei formatori provetti. Come in ogni settore ci sono un’infinità di corsi e corsetti che sdoganano alla professione di formatore e diventa pertanto difficile capire quali valgono e quali invece è meglio lasciar perdere. Oggi con un titolo di studio universitario integrato a dei corsi di specializzazione e ad un’esperienza di almeno cinque anni, l’AIF, l’Associazione Italiana Formatori, certifica il profilo professionale del formatore; e anche sul sito dell’ISFOL, l’Istituto Professionale per la Formazione dei Lavoratori è possibile trovare informazioni corrette e aggiornate in materia. Ecco io partirei da queste due realtà e per qualsiasi domanda su temi quali corsi riconosciuti ed elenchi di formatori seri e preparati, chiederei a questi signori, che il settore della formazione lo conoscono bene. Ogni tanto qualcuno mi chiede una valutazione sui percorsi offerti dalle università: in realtà non mi dispiacciono, ma bisogna fare attenzione perché spesso si concentrano sugli aspetti istituzionali e amministrativi della formazione finanziata (il mercato della formazione professionale è suddiviso nei tre comparti formazione finanziata, formazione aziendale e formazione privata) e il rischio è quello di imparare ad essere un burocrate e non un formatore. Se poi pensiamo che il comparto dei fondi pubblici per la formazione è in forte decrescita a causa dei continui tagli alla pubblica amministrazione e della crisi economica, è più opportuno investire il proprio tempo in momenti formativi che approfondiscono la gestione e la tenuta del gruppo, la comunicazione efficace e i processi formativi complessi.

Oggi il formatore è un anello di congiunzione tra la formazione e il lavoro ed è chiamato a formare e riqualificare inoccupati e disoccupati e a curare l’aggiornamento professionale di chi ha un lavoro, ma necessità di migliorare le proprie performance.

La stessa parola “formatore” deriva dal latino “formator” e indica l’attività “di chi forma e dà forma a qualcosa o qualcuno”; nel linguaggio pedagogico e aziendale, il formatore è colui che prepara le persone a svolgere un’attività, una professione o ad iniziare un cambiamento personale. Il suo ruolo è quindi quello di costruire e/o consolidare i legami tra formazione e lavoro e di qualificare, riqualificare e aggiornare le forze di lavoro. Per sua natura il formatore può assumere funzioni più o meno ampie o specializzate a seconda della richiesta e delle sue competenze e in ragione al perseguimento degli obiettivi formativi può occuparsi solo della gestione didattica oppure dell’analisi dei fabbisogni, della progettazione, della valutazione, del monitoraggio dell’intervento. E poi un formatore “vero” può trovarsi a realizzare iniziative di formazione anche molto diverse tra di loro (quanto a contenuti, destinatari, etc.) e deve essere in grado di individuare le metodologie e gli strumenti più adeguati per fronteggiare le necessità della committenza e dell’utenza.

Essendo quindi il risultato di uno sviluppo costante dell’individuo, la sua competenza non è mai statica e in nessun momento può propriamente dirsi raggiunta, ma al contrario deve crescere e svilupparsi di continuo  Capite perché sono particolarmente severo con coloro che non studiano, che non si aggiornano e che pensano sia sufficiente trasmettere due slide ed essere spigliati per “fare formazione”. Bisogna invece dimostrare di saper utilizzare conoscenze ed abilità specifiche, di essere in grado di personalizzare le azioni formative, di possedere spiccate capacità comunicative e valutative e di conoscere  gli ultimi aggiornamenti in tema di metodologie della formazione. Allora si che ci si può fregiare del titolo di “esperti formatori”. Tutti gli altri sono gli improvvisati della formazione, di cui francamente il mercato del lavoro può farne  volentieri a meno.


Il convegno sul “Jobs Act”

Ha visto la partecipazione di oltre 150 persone – tra imprenditori, addetti alla gestione del personale, consulenti e commercialisti – il convegno sulla riforma del lavoro, promosso da Ascom e Confcommercio, in Fiera, il 26 febbraio scorso. Il tema “Jobs Act. Il contratto a tutele crescenti e i nuovi ammortizzatori sociali. Come cambia il mondo del lavoro” ha scatenato un dibatto con relatori di nome, coordinato dal responsabile lavoro Ascom Enrico Betti. Il convegno si è aperto con i saluti di Luigi Trigona, direttore dell’Ascom di Bergamo e Adriana Regonesi, presidente dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Bergamo. Si sono alternati negli interventi Emmanuele Massagli, presidente di Adapt, Jole Vernola, direttore Centrale Politiche del lavoro e Welfare Confcommercio, Guido Lazzarelli, responsabile Settore Lavoro, Contrattazione e Relazioni sindacali Confcommercio e Paolo Pennesi, segretario generale Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e Enzo De Fusco, consulente del Lavoro in Roma e Milano.