Via XX settembre, continua
il valzer delle insegne

Un’altra insegna storica lascia via XX settembre, la “Bottega del caffè”, al numero 32 esercizio “gemello” alla Torrefazione Lombarda di via Gugliemo d’Alzano, al quale la coriacea titolare, Elena Bosis, classe 1927, che ha sempre gestito entrambe le attività, si dedicherà ora completamente. Pur avendo una storia centenaria da raccontare, considerando che l’impresa è stata fondata dal padre, la signora Bosis non ha mai amato metterla in mostra e anche ora che saluta la vetrina affacciata sulla via più commerciale e vivace della città mantiene lo stesso profilo, preferendo il silenzio a parole che per forza di cose conterrebbero una buona dose di nostalgia. Non ha comunque dato l’addio definitivo alla professione di una vita, decisa a resistere – «fin che ce la faccio» – nella torrefazione di via Gugliemo d’Alzano, anch’essa testimonianza schietta di locale d’altri tempi. Al posto della “Bottega” dovrebbe aprire un negozio di abbigliamento.
Ma non sarà l’unica novità della via. La boutique di abbigliamento e calzature Dev, con i marchi Tod’s, Hogan e Fay del Gruppo Della Valle, si sposterà poco più giù lungo lo stesso lato della via nei locali lasciati liberi da Calvin Klein. Il punto vendita, che si sviluppa ora su tre piani, potrà così contare su un’unica superficie espositiva e su più vetrine.          


Ubi Leasing, nuovo cda
Giovanni Lupinacci presidente

L’Assemblea Ordinaria di Ubi Leasing ha nominato il nuovo Consiglio di Amministrazione che resterà in carica un triennio, fino alla data di riunione dell’Assemblea Ordinaria per l’approvazione del bilancio di esercizio 2015. Il numero dei membri del Consiglio di Amministrazione è stato ridotto da dieci a cinque, in linea  con le modifiche statutarie di semplificazione della Governance deliberate nell’ambito di un più ampio progetto di riorganizzazione della società e vede la presenza di management del Gruppo.
Il Consiglio di Amministrazione risulta composto da Giovanni Lupinacci, Gaudenzio Cattaneo, Andrea Tassoni, Paola Montresor e Carlo Re.

L’Assemblea ha altresì nominato Giovanni Lupinacci alla carica di Presidente del Consiglio di Amministrazione e ha  nominato il nuovo Collegio Sindacale di UBI Leasing che risulta composto da Maurizio Baiguera, (Presidente), Enrico Agnese (Sindaco Effettivo), Marco Baschenis (Sindaco Effettivo), Sergio Comincioli (Sindaco Supplente) e Roberto Rangozzi (Sindaco Supplente).
Il Consiglio di Amministrazione ha quindi nominato Gaudenzio Cattaneo Vice Presidente e Andrea Tassoni Consigliere Delegato della società.


Il futuro delle imprese,
due generazioni a confronto

Per le associazioni dei Giovani Imprenditori si è chiuso l’anno accademico di Let’s Sinergy, la scuola di sinergia che ha visto tra i banchi il neonato Coordinamento Bergamo Giovani, frutto della collaborazione di Ance, Ascom, Confartigianato e Confindustria. Prima di ripartire a settembre con la nuova sfida dell’internazionalizzazione con Let’s International, abbiamo chiesto ai rappresentanti junior e senior delle Associazioni di categoria di invertire per un attimo i loro ruoli in un vero e proprio cambio – e ricambio – generazionale, oltre ad indicare limiti e freni allo sviluppo d’impresa ed aprire uno sguardo al futuro e ai possibili scenari economici per il nostro territorio.
Se la determinazione rappresenta una qualità fondamentale per ogni imprenditore, la convinzione per le proprie idee è davvero forte. Se ricominciassero da zero, tre presidenti senior su quattro riaprirebbero la stessa tipologia di azienda, con cui si identificano in modo integrale. Cambierebbe invece impresa Angelo Carrara che oggi aprirebbe un’impresa piccola, ma estremamente innovativa, pronta a cogliere la sfida delle nanotecnologie e della fibra di carbonio. Del resto senza troppi giri di parole, Carrara da vero rottamatore, auspica ad un cambiamento drastico per una città come Bergamo “vecchia” impreparata ad arrendersi di fronte al fatto che il benessere costruito nel tempo non tornerà mai più. Sul fronte junior, anche i giovani imprenditori non riescono ad immaginarsi tra qualche lustro lontano dalla propria azienda. Anche se ciò non significa rinunciare a pensare ad un futuro diverso e migliore. I sogni del prossimo futuro per i giovani imprenditori mettono a sorpresa ai primi posti ambiente, famiglia, valori e attenzione al sociale. Nulla di più diverso e lontano dai pensieri yuppie che hanno animato gli anni Ottanta, alla faccia di chi accusa le nuove generazioni di avere un sistema valoriale stravolto e sballato. Quanto all’immediato futuro, i presidenti senior sono ottimisti e, con sano realismo, sanno che grazie alle proverbiali doti bergamasche, dall’attaccamento al lavoro all’orgoglio, al sacrificio, il territorio saprà rimettersi in piedi. Purché sappia alzare la testa, si impegni a cogliere le opportunità di Expo e della candidatura a Capitale europea della cultura nel 2019 e non rinunci alla collaborazione e all’apertura ad altri contesti.

QUI SENIOR
LE DOMANDE

1 Con un tasso di disoccupazione elevatissimo ed una percentuale preoccupante di Neet, per non parlare degli under 34 che rinunciano a cercare lavoro, che consigli si sente di dare ai giovani?

2 Che impresa aprirebbe oggi se dovesse ripartire da zero?

3 Quali sono gli scenari per Bergamo da un punto di vista economico da qui a dieci anni?

Ercole Galizzi – Confindustria Bergamo
«Bisogna ripartire dalla fatica e dal senso di responsabilità»

1. Non mi stanco di ripetere ai giovani che bisogna partire e ripartire dal sudore, dalla fatica, dall’impegno, dal senso del dovere e della responsabilità. Bisogna insistere e difendere le proprie idee perché alla fine, anche se con grande fatica, si riesce ad arrivare. Coloro che sono nati negli anni Trenta e Quaranta ce lo dimostrano: senza fatica non avrebbero ricostruito il Paese.
2. Aprirei la stessa impresa che ho oggi (la Argomm di Villongo, specializzata nella lavorazione di materiale plastico, ndr.). Mi identifico molto in quello che faccio e credo che non sia possibile fare impresa senza una profonda identificazione con essa.
3. Bergamo ha dei valori profondi e forti, radicati nel nostro proverbiale attaccamento al lavoro e nella propensione al sacrificio. È grazie a queste qualità che la nostra città, nonostante tutto, presenta, in un contesto di grande difficoltà, dei dati economici buoni se confrontati con quelli – a tratti disastrosi – nazionali. Per questo, senza dubbio tra dieci anni il contesto sarà diverso, ma migliore di oggi. A patto che si veda nella collaborazione e nell’apertura ad altri contesti un’opportunità e non una minaccia.

Angelo Carrara – Associazione Artigiani
«Il modello su cui abbiamo fondato il nostro benessere non esiste più»

1. In questo momento bisogna cercare di non pensare ai problemi e impegnarsi per fare la propria strada e inseguire i propri sogni, anche se il percorso si profila davvero ad ostacoli. È chiaro che partire da questa prospettiva è estremamente difficile in questo contesto, ma oggi come non mai serve ottimismo per andare avanti, anche perché non costa nulla e può fare molto.
2. Oggi aprirei un’azienda innovativa. Un’impresa piccola, ma davvero hi-tech e specializzata, pronta a cogliere le sfide delle nanotecnologie e dell’edilizia con fibre di carbonio.
3. Purtroppo Bergamo oggi è una città di vecchi e dobbiamo andarcene tutti. Servono nuove leve perché il benessere che è stato costruito in questi anni ci ha abituato troppo bene ed è un modello purtroppo inattuale, impossibile da replicare. La Bergamo che fino ad oggi abbiamo conosciuto non esiste più ormai né tanto meno esisterà ancora, bisogna ripensare seriamente al nostro futuro.

Paolo Malvestiti – Ascom 
«La mentalità sta cambiando, ora c’è più sostegno ai giovani»

1. Non è il momento di demoralizzarsi, perché la crisi – che stiamo affrontando senza sosta e respiro – sta portando ad un cambio di mentalità e ad una nuova e maggiore considerazione delle nuove e giovani imprese, fondamentali per il nostro sistema. Alcuni esempi? La Camera di Commercio ha stanziato un milione di euro per favorire l’inserimento lavorativo dei più giovani e supporta le nuove imprese accompagnandole nella crescita attraverso Bergamo Sviluppo, mentre Ascom offre percorsi formativi in grado di rispondere ad ogni esigenza.
2. Aprirei di nuovo un’impresa nel mio settore (pelletteria e calzature). Ogni imprenditore si deve sentire competente nel proprio ambito e oggi non esiterei a scegliere di nuovo un prodotto in cui ho creduto da subito e che in cinquant’anni ha retto la mia famiglia, quella dei miei genitori e oggi quella dei miei figli. È con orgoglio che mi pongo come obiettivo futuro aziendale la continuità nella famiglia.
3. Abbiamo due grandi opportunità da cogliere: Expo, occasione unica di portarci ben oltre i confini nazionali, e la scommessa da vincere di diventare Capitale europea della cultura nel 2019. Dobbiamo uscire dal nostro orticello e cercare altrove, attraverso l’internazionalizzazione, nuove opportunità e sbocchi. Diventare Capitale europea della cultura sarebbe un’opportunità unica e si sta lavorando molto per presentare al meglio la candidatura, con progetti importanti che Bergamo dovrebbe realizzare in ogni caso, anche se non dovessimo essere selezionati, per rilanciare il territorio. Perché la cultura è un capitale prezioso.

Ottorino Bettineschi – Ance
«Il futuro avrà bisogno della massima collaborazione tra associazioni»

1. Ai giovani consiglio di essere ottimisti e di credere di avere l’occasione di veder realizzato il proprio sogno imprenditoriale.
2.  Se dovessi ricominciare tutto da capo oggi aprirei un’impresa che si occupa di ambiente e di tutela dell’ambiente, magari sempre legata all’edilizia.
3. La nostra economia futura avrà bisogno della massima collaborazione tra associazioni. I giovani imprenditori ci insegnano come sia possibile condividere problemi e mettere in campo strategie comuni attraverso un’operazione di coordinamento. Le associazioni oggi sono infatti chiamate a sfide importanti, a ripensare il loro ruolo e a riorganizzarsi per sopperire le carenze del sistema Paese, in primis della politica. Da un punto di vista meramente economico credo che Bergamo abbia tutte le carte in regola per assicurarsi un futuro buono. Tra i migliori presupposti la nostra forza e tenacia, che ci spingono a resistere e a non mollare mai, lavorando sodo per raggiungere i nostri obiettivi. Ma la nostra debolezza è ancora rappresentata dalla nostra incapacità a lavorare insieme. La nostra vera ricchezza di domani starà nell’aver messo da parte egoismo, individualismo e rivalità.

QUI JUNIOR
LE DOMANDE 

1 Che imprenditore vorrebbe essere a 50 anni?
2 Quali sono i freni allo sviluppo per le giovani imprese in un sistema poco incline a favorire nuove idee?
3 Tra i giovani una buona fetta di coloro che non si scoraggiano fuggono all’estero. Come impedire la fuga di cervelli e talenti?

Luca Bonicelli – Giovani Imprenditori Ascom
«Le vecchie guardie non hanno fiducia in noi, ci tengono in naftalina»

1. Vorrei essere l’imprenditore che sono oggi, con ancora lo stesso entusiasmo e passione per il mio lavoro. Senza dubbio vorrei veder realizzati gli obiettivi che mi sono prefissato, in primis creare benessere per chi viene dopo di me, per i miei due figli. Non intendo con questo solo benessere economico, ma una ricchezza ancora più preziosa perché immateriale, fatta di valori, idee, passione e fiducia. Sono convinto oggi ci siamo fermati perché al nostro futuro, a differenza di quanto fatto dai nostri nonni con risorse infinitamente più limitate, non ha pensato proprio nessuno.
2. Le vecchie guardie non hanno fiducia nei giovani. Temono il confronto perché non sono stati in grado di allevare talenti e di farli crescere. Ci tengono in naftalina, come fa il Pd con Renzi.
3. Finché non si crea un sistema idoneo per forza in tanti scappano! Le capacità per crescere ci sono anche qui. Noi italiani siamo capaci di inventarci dal niente e il futuro non deve rappresentare per noi un problema. Le qualità non ci mancano, ma dobbiamo lavorare ancora molto sull’aspetto umano e sui valori che abbiamo perso per strada.

Marco Bellini – Giovani Imprenditori Confindustria
«Con la fuga di giovani e idee stiamo finanziando gli altri Paesi»

1 Mi immagino alla guida di un’impresa più grande, la stessa che ho contribuito finora a far crescere. Gli obiettivi che vorrei veder realizzati sono l’internazionalizzazione e l’affermazione del marchio.
2 Dobbiamo scatenarci e rompere le catene che ci limitano ed iniziare davvero a liberare le nostre energie. Abbiamo un sistema Paese che ci blocca, come se ci tenesse immersi nel cemento, e tarpa le ali ad ogni nostra iniziativa tra vincoli e ostacoli. Il sistema è davvero penalizzante per la libera imprenditorialità e lo è ancora di più per le imprese giovanili. Mancano azioni concrete per favorire e supportare la nascita di nuove imprese: non vogliamo sussidi, ma un sistema che consideri i giovani come una risorsa e non come una minaccia.
3 Dobbiamo creare delle opportunità per valorizzare la nostra forza, le nostre idee e la nostra capacità di trovare soluzioni innovative a problemi complessi. I Paesi nordici riconoscono questo nostro talento, oltre alla nostra capacità ideativa, e non mancano di richiedere in ambito lavorativo queste qualità. Noi invece lasciamo fuggire idee e competenze all’estero, finanziando di fatto le economie altrui, negando opportunità ai giovani migliori. La nuova generazione di venticinquenni e trentenni ha una marcia in più: in questo periodo difficile e catastrofico per l’occupazione i ragazzi hanno ormai capito di doversi creare un lavoro. Sta nascendo una nuova generazione di imprenditori e il nostro Paese non può perdere l’occasione di lasciarsi sfuggire di mano il proprio futuro e quello di tutta la nostra economia.

Daniele Lo Sasso – Giovani Imprenditori Associazione Artigiani
«Il credito e la burocrazia scoraggiano anche i più determinati»

1. Vorrei essere un imprenditore aperto a nuovi cambiamenti ed evoluzioni del mercato, attento al sociale, che è fondamentale, e all’ambiente, attraverso l’impegno nell’utilizzo delle fonti rinnovabili. A 50 anni spero di non sentirmi mai arrivato e di essere pronto a cogliere, se non ad anticipare, le nuove tendenze del mercato.
2. L’accesso al credito è il primo grande muro per ogni start-up, con la richiesta di garanzie impossibili. Il secondo scoglio è rappresentato dalla zavorra burocratica che frena e scoraggia anche l’imprenditore più determinato. Poi di traverso si mette una tassazione elevatissima che porta sempre più in là nel tempo il break-even, ormai di 11-12 mesi. C’è ancora troppa diffidenza verso nuovi progetti ed idee. Ottime iniziative imprenditoriali vengono ancora viste male da chi invece dovrebbe considerarle semplicemente un ottimo investimento. La formazione poi è costante e permanente, ma i percorsi tradizionali sono slegati dalla realtà.
3. I giovani vanno all’estero perché per realizzarsi devono fare le valigie e accettare malincuore di essere nati in un Paese che non sa valorizzarli. Finché non si creeranno condizioni favorevoli per fare impresa redditizia in Italia è difficile immaginare un cambiamento.

Francesco Savoldelli – Giovani Imprenditori Ance
«Il traguardo più bello? Condividere gli obiettivi con i dipendenti»

1. Vorrei essere un imprenditore realizzato nel mio settore delle costruzioni. Considerata la situazione attuale avere un’impresa anche quando avrò 50 anni mi sembra già un buon traguardo. Senza dubbio sarò un imprenditore diverso da quello che sono oggi in un’azienda più tecnologica ed evoluta. Spero che il futuro riservi un’immagine ed un ruolo diverso al costruttore edile, che non sia più visto come un palazzinaro o uno speculatore. Ma la costruzione più importante che mi piacerebbe veder realizzata è quella sociale, con maestranze ed operai più vicini, impegnati a lavorare ad una mission comune. Perché per costruire un futuro migliore bisogna partire dal sociale.
2. Per le imprese giovani è impensabile raggiungere o anche solo avvicinarsi alle rendite di posizione delle imprese più strutturate e storiche che fanno azione di lobbying ed impediscono lo sviluppo di nuove imprese.
3. Il primo passo credo sia quello di creare una sinergia tra università e imprese, in modo che al termine di un percorso formativo si creino contatti utili con il mondo imprenditoriale. Chi ha maggiori qualifiche va pagato di più, non di meno, altrimenti come purtroppo accade oggi l’università resta un investimento non pagato. Chi è più qualificato non trova la collocazione che merita, in un sistema che non valorizza le competenze. Prima di entrare nell’impresa di famiglia, da neo-laureato in ingegneria, non posso purtroppo dire di aver trovato le porte spalancate dal sistema lavorativo.


Affari di Gola,
nel numero di giugno
le terrazze golose
sui laghi
d’Iseo e di Endine

Quanto a scenario non hanno nulla da invidiare a località turistiche più rinomate. Per chi vuole sentirsi in vacanza a due passi da casa Affari di Gola, la rivista dedicata all’enogastronomia bergamasca, ha selezionato sul numero di giugno quattro indirizzi tra il Sebino e il lago di Endine che uniscono alla buona cucina il fascino del paesaggio, a strapiombo o in prossimità della riva.
La storia di copertina è invece quella del caseificio Taddei di Fornovo San Giovanni che regala un nuovo nome al suo premiato strachitunt, visto che con la Dop il termine non potrà più essere utilizzato per le produzioni di pianura. Si chiama Blutunt e sarà promosso anche con manifestazioni su misura. Sul fronte dei salumi, altra eccellenza orobica, si analizzano le opportunità della riapertura del mercato statunitense ai prodotti a bassa stagionatura. Non mancano i personaggi, come Giulia Romanelli, food stylist bergamasca d’adozione che ha curato i set di tanti marchi noti, compresi quelli di memorabili pubblicità Barilla, e la storia del cameraman che ha cambiato vita aprendo una gelateria in Algarve. E per affrontare al meglio la stagione calda l’approfondimento sui centrifugati, da utilizzare sia come drink sia nei piatti.


Export, green economy e turismo
«le carte da giocare per la svolta»

L’attività economica è ancora in panne, ma per il futuro si prospetta un leggero miglioramento. La timida risalita, per Bergamo, è però rinviata al 2015. Non si tratterà comunque di un ritorno ai tempi floridi del passato, ma solo di un graduale recupero di quanto perso nel periodo della crisi. Sono le valutazioni, a tratti amare, portate da Fedele De Novellis, economista di Ref Ricerche, nel corso dell’11esima Giornata dell’economia organizzata dalla Camera di commercio. Calo dei livelli di produzione, aumento del tasso di disoccupazione, diminuzione dei consumi, stasi del mercato immobiliare e difficoltà di autofinanziamento delle imprese sono soltanto alcune delle criticità globali che si ripercuotono anche a livello locale. «La debolezza dell’economia reale – ha spiegato De Novellis – è contrastata dalla volontà delle Banche centrali di continuare a sostenere l'economia con misure non convenzionali e gli investitori danno fiducia a queste rassicurazioni. Questo si ripercuote anche sull’Italia dove lo spread, pur mantenendosi a livelli alti, è comunque sceso di parecchi punti».
La nota dolente resta però il canale di erogazione al credito, ancora interrotto a causa delle sofferenze bancarie: «La liquidità delle imprese cala – ha spiegato Massimo Guagnini dell’associazione per le Ricerche econometriche Prometeia – e di conseguenza c’è una difficoltà oggettiva a puntare sull’autofinanziamento. Il problema è che le banche danno sempre meno accesso al credito. L’unica componente positiva in questo scenario è data dalle esportazioni internazionali anche se, da sole, non bastano a sostenere l’intera economia».
Nonostante il recente rallentamento della domanda estera, soprattutto europea (l’export di Bergamo nel primo trimestre 2013 è diminuito su base annua dell’1,8% e del -3,9% in area europea), la partecipazione al commercio internazionale è stata e resta decisiva per la tenuta dell’industria manifatturiera e dell’intero sistema economico provinciale. Tra il 2008 e il 2010, cioè nel passaggio più violento della crisi internazionale, il numero delle imprese esportatrici con sede in provincia di Bergamo è aumentato dal 4 al 4,5%. Nel contempo è cresciuta anche l’occupazione legata a queste aziende: gli addetti sono infatti passati dai 131mila del 2008 (il 31,7% del totale) a quasi 135mila del 2010 (33,3%). Questo significa che un terzo degli addetti delle imprese della provincia è direttamente coinvolto in attività di export. A questi va poi aggiunta la quota di quanti effettuano lavorazioni o svolgono servizi per conto delle aziende esportatrici del territorio. Oggi i prodotti made in Bergamo sono presenti in tutto il mondo. Tra i raggruppamenti merceologici di dimensioni assolute maggiori, sono confortanti i buoni risultati dei macchinari (789 milioni con una crescita tendenziale del +5,1%) e dei prodotti alimentari (111 milioni, +9,4% tendenziale). Tiene l’export degli apparecchi elettrici (221 milioni, +2%), dei prodotti chimici (450 milioni, +1,8%) e di legno e carta (62 milioni, + 1%).
«Dobbiamo focalizzare l’attenzione non sul passato ma sul presente e sul futuro – ha detto il presidente della Camera di commercio Giovanni Paolo Malvestiti –. Purtroppo l’industria bergamasca si trova ancora su livelli di produzione inferiori del 16% rispetto al 2007. In Lombardia il tasso di disoccupazione complessivo è cresciuto dal 7,5 medio del 2012 all’8,7% della forza lavoro nel primo trimestre 2013. È probabile che il tasso di disoccupazione di Bergamo sia peggiorato in misura analoga. Bisogna quindi sollecitare una politica più attiva». Le stime presentate da Prometeia riguardo all'occupazione ventilano la possibilità di un sensibile calo, pari allo 0,7%, delle unità di lavoro nel 2013. Una tendenza che, tuttavia, prevede un recupero nel 2014-15 con una crescita dello 0,6%. Più ottimistici gli auspici riguardanti il tasso di disoccupazione che dovrebbe passare dall'attuale 6,8% al 6% nel 2015. Stessa cosa vale per i consumi delle famiglie che, secondo l’associazione di ricerche, passerebbero da +1,5% del 2011-12 a +0,5% del 2013 per crescere nel biennio 2014-15 fino al 2,4%. «Il commercio – prosegue Malvestiti – risente da anni del calo delle vendite e dei consumi delle famiglie, questi ultimi intaccati dalla discesa delle retribuzioni reali e dall’accresciuto peso della componente fiscale sui prezzi finali. Speriamo non si ricorra all’aumento dell’Iva perché sarebbe un colpo mortale per l’economia».
Intanto, ad aprile 2013 risultano presenti nella specifica sezione del Registro imprese di Bergamo 10 start-up innovative (in Lombardia 86, in Italia 471). Sono ancora piccoli numeri, ma destinati a crescere e a giocare un ruolo importante nella riorganizzazione del sistema delle imprese bergamasche. L’auspicio di Malvestiti è che Bergamo possa trarre un ulteriore giovamento dall’Expo 2015: «Il traguardo è vicino – ha confermato il presidente –, l’Expo sarà un momento importante per la Lombardia e per l’Italia ma soprattutto è un’occasione da non perdere per Bergamo. Stiamo inoltre lavorando affinché la nostra città diventi Capitale europea della cultura nel 2019 e proprio il 30 maggio scorso sono state esposte le linee guida per il dossier che Bergamo dovrà presentare per rafforzare la sua candidatura. Serve una spinta al cambiamento. Internazionalizzazione, innovazione e apertura ai flussi della cultura e del turismo globale, complice l’aeroporto di Orio, stanno accelerando la metamorfosi del modello di sviluppo di Bergamo». Nel 2012, secondo le stime di Bankitalia, il numero dei visitatori internazionali in Bergamasca è salito a 835mila (+35,8% sull’anno precedente), mentre la dinamica tendenziale dei primi due mesi del 2013 risulta in calo. La spesa dei viaggiatori stranieri che visitano la provincia di Bergamo è cresciuta nel 2012 del 3,5% portandosi a 209 milioni, anche in questo caso con una riduzione a gennaio e febbraio 2013. «Nonostante la crisi abbia rallentato i movimenti e i consumi turistici – conclude il presidente dell’ente camerale – la provincia, anche grazie al ruolo giocato dall’aeroporto di Orio al Serio, registra un incremento costante dei flussi di visitatori. Questo significa che nella crisi emergono anche dinamiche di reazione positiva e di trasformazione».


Gori: “Offerta coordinata
e riconoscibile per rilanciare Bergamo”

di Giorgio Gori*

Non sono tra quelli che ritengono che il turismo sia destinato a rimpiazzare la vocazione manifatturiera della nostra provincia; o meglio, mi auguro vivamente che ciò non debba accadere. Al contempo sono assolutamente convinto che il turismo possa nei prossimi anni rappresentare una fondamentale leva di sviluppo e di creazione di ricchezza per il nostro territorio.
Purché il territorio si dia una mossa. La sensazione è infatti che ci si creda fino ad un certo punto, e che manchi fin qui una visione complessiva. I secoli e una tradizione di buona amministrazione ci hanno consegnato una città di straordinaria suggestione paesaggistica, ricca di tesori d'arte e – ancora – di gradevolissima vivibilità. L'impressione è che si pensi che questa eccellenza dovrebbe di per sé bastare per attrarre frotte di turisti da tutto il mondo, e allo stesso modo per primeggiare tra i molti centri che si sono candidati al ruolo di Capitale europea della Cultura per il 2019.
Non è così, non basta. Città Alta e i Colli sono gemme di straordinaria bellezza, così come le nostre valli, ma per fare in modo che i turisti italiani e stranieri arrivino a scoprirne la meraviglia dovremmo innanzitutto cercare di attrarli qui, disponendo i pezzi pregiati di cui disponiamo in modo tale che siano valorizzati ed efficacemente comunicabili.
Quest’ultimo elemento del puzzle, la comunicazione, sembra fin qui essere il più trascurato. Bergamo è bella – ma chi lo sa? Una strategia coordinata sulla rete, e in particolare sui social network, mi pare ciò che oggi più difetta alla “vendibilità” della città (e si consideri che l’elemento oggi più importante per affermare la reputazione di una meta turistica è rappresentato dai commenti in rete di chi ci è stato; ragione in più per trattare al meglio i turisti che raggiungono Bergamo, e per amplificare – con le dovute tecniche – i loro apprezzamenti online).
Quanto ai “pezzi pregiati”, una spolverata all’argenteria non guasterebbe. L’Accademia Carrara è chiusa da cinque anni e, sperando che nel 2014 possa riaprire, ha bisogno di una forte attività di comunicazione che ne qualifichi l’assoluto rilievo internazionale e di una coraggiosa politica di mostre-evento che ne rinnovi di frequente l’appeal. Per capirci: sono passati 15 anni dalla mostra dedicata a Lorenzo Lotto e ancora viviamo di quel ricordo. Esistono a Bergamo, in ambito artistico, competenze che l’attuale governance della Carrara non sembra in grado di valorizzare. Per questo, dovremmo forse anche immaginare degli eventi “fuori salone”.
Gaetano Donizetti è considerato uno dei cinque maggiori compositori d’opera mai vissuti. Bergamo ne è consapevole? Il Bergamo Musica Festival è una piccola perla, ma non rappresenta un sufficiente elemento di caratterizzazione della città intorno alla figura del grande musicista. Donizetti è per Bergamo ciò che Rossini è per Pesaro. Da quell’esperienza possiamo trarre insegnamento e indirizzo.
Anche gli aspetti museali – sempre riferiti a Donizetti – non sono oggi all’altezza della scommessa turistica della città. Donizetti merita di meglio, anche attraverso l’uso delle più moderne tecnologie.
Esiste poi un problema di percorsi. Il tema dell’accesso a Città Alta è ben lungi dall’essere risolto. L’accerchiamento da parte dei mezzi privati ne soffoca le potenzialità attrattive; la mancanza di parcheggi dedicati ai residenti giustifica l’occupazione da parte delle auto di alcune tra le piazze più belle del borgo medievale. E i turisti, quelli che ci arrivano, tendono a concentrarsi tutti sulla “vasca” della Corsarola, trascurando angoli preziosi e i meravigliosi tracciati pedonali dei Colli. Andrebbero indirizzati e aiutati a scoprire che Città Alta va ben oltre quell’unico percorso affollato. Che dire poi dei borghi di Città Bassa, ricchi di fascino e monumenti almeno quanto la città sul colle ed ad oggi quasi ignorati dai flussi di visitatori?
Esiste poi una Bergamo contemporanea che, a mio avviso, può essere ugualmente di grande interesse turistico. La strepitosa avventura di Bergamo Scienza, capace di calamitare oltre centomila visitatori durante l’evento annuale, è l’espressione di una vocazione in nuce, legata alla conoscenza, che Bergamo dovrebbe coltivare con maggiore convinzione e continuità, partendo da quell’esperienza, dall’Università e dalle sue attuali eccellenze (dal Mario Negri al Kilometro Rosso, oltre ovviamente al nuovo ospedale). Lì c’è una traccia per il lavoro da fare nei prossimi anni.
Certo, i collegamenti con il resto del mondo sono ancora molto carenti. L’aeroporto rappresenta una fondamentale leva di sviluppo anche per il turismo, ma la mancanza di un link ferroviario pesa sulla possibilità di intercettare una significativa porzione dei flussi che attraversano lo scalo. La stessa relazione con Milano – della cui area metropolitana Bergamo rappresenta il cluster più promettente rispetto alla cultura e al tempo libero – è certamente frenata dall’indisponibilità di un collegamento su rotaia al passo coi tempi.
Alcune di queste cose richiederanno tempo ed investimenti che solo parzialmente dipendono dalla nostra mobilitazione. Altre sono invece alla nostra portata.
Possiamo cominciare con il fare squadra, per esempio. Il recente esperimento di “In Gruppo”, l’iniziativa promozionale che ha riunito tutti i più importanti ristoratori della provincia, dimostra che insieme si è molto più forti. Lo stesso dovrebbe valere per il settore dell’accoglienza alberghiera, e per il commercio. Solo la capacità di comporre un’offerta coordinata, riconoscibile, può consentire a Bergamo di giocare la partita della competizione territoriale con qualche probabilità di successo. Il “Distretto del Commercio”, se potenziato, può ambire ad un rilievo su scala regionale, ed attrarre flussi da Milano. Servirebbe una piattaforma unica, per raccontare la città al “mondo”, per le prenotazioni degli alberghi, per la comunicazione degli eventi e per il ticketing dei musei e degli spettacoli. Io il futuro lo immagino così. Per arrivarci dovremo abituarci a lavorare insieme, soggetti pubblici e privati, associazioni di categoria e sponsor. “Apertura” e “condivisione” mi paiono i due concetti chiave per fare di Bergamo una meta turistica di primaria importanza.

*presidente di InNova Bergamo


Camera di Commercio, al via
la Settimana della Conciliazione

Dal 24 al 28 giugno la Camera di Commercio organizza la settimana della Conciliazione. L’iniziativa è indetta dall’Unione Nazionale delle Camere di Commercio, per promuovere l’istituto della mediazione come strumento alternativo di risoluzione delle controversie rapido, riservato, semplice e informale, efficace ed economico, rilanciando così gli strumenti di giustizia alternativa. Il ciclo di incontri è organizzato in collaborazione con le Associazioni dei Consumatori, gli Ordini degli Avvocati e dei Dottori Commercialisti, il Consiglio Notarile di Bergamo, l’Università di Bergamo e i Comuni di Bergamo e Treviglio.
Ecco le date, le sedi e gli argomenti trattati: Il 24 giugno, alle 09.30, all’ex Borsa Merci “Gli strumenti di giustizia alternativa al servizio dei consumatori: la normativa vigente e i casi pratici” e alle 15, al Collegio Vescovile Sant’Alessandro “Oltre la mediazione: strumenti di giustizia alternativa. Ruolo dell’avvocato nella stipula degli accordi e ruolo del notaio nell’autentica degli stessi ai fini della trascrizione”. Il 25 giugno, alle 9.30, all’ex Borsa Merci “La mediazione e gli Enti pubblici: opportunità e vantaggi dell’utilizzo della mediazione. Focus sugli appalti pubblici”. Il 26 giugno, alle 15, nella sede dell’Ordine dei Commercialisti, “Panoramica sugli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie: la mediazione, la conciliazione tributaria e cenni sull’esdebitamento”. Il 27 giugno, alle 16, alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bergamo, in via Moroni 255, “La mediazione civile tra problemi di incostituzionalità e prospettive evolutive”. Infine il 28 giugno, alle 9.30, al Comune di Treviglio “La mediazione e gli Enti pubblici: opportunità e vantaggi dell’utilizzo della mediazione. Focus sugli appalti  pubblici”.


Graziani: «Cari studenti, non
scoraggiatevi pensando al futuro»

Con la campanella di sabato 8 giugno sono terminate le lezioni nelle scuole lombarde e per molti studenti sono iniziate le vacanze, mentre i docenti sono impegnati negli adempimenti di fine anno tra scrutini e pagelle. Dopodiché inizieranno gli esami di Stato per 18.984 studenti delle scuole bergamasche. A cominciare per primi sono gli 11.312 alunni di terza della scuola secondaria di primo grado che affronteranno le prove appena conclusi gli scrutini finali e il 17 giugno lo scritto nazionale Invalsi, di italiano e matematica, alla sesta edizione e uguale in tutta Italia.
Per i 7.672 candidati di quinta superiore cominciano via agli esami di Stato. Si sta quindi concludendo un anno di lavoro molto intenso, che ha visto le scuole bergamasche impegnate ogni giorno nell’offrire un servizio altamente qualitativo dal punto di vista didattico, educativo e formativo, attento alle istanze dell’utenza e volto alla valorizzazione di conoscenze, abilità personali e competenze di ciascuno studente.
Ragazzi, siate vincenti e non scoraggiatevi di fronte al delicato periodo economico e sociale attuale, perché il merito premia sempre. Il mio augurio è che il clima di sfiducia generale non scoraggi voi studenti, facendovi temere per il vostro domani.
A voi ragazze e ragazzi è richiesto un maggiore impegno in modo da poter affrontare le sfide con cui dovrete confrontarvi ora e nei prossimi anni. Mostrate con coraggio quanto valete ed esprimete il meglio di voi stessi, con serietà e impegno, vivendo l’appuntamento con gli esami di Stato, sia al termine della scuola media sia del quinquennio superiore, come un momento formativo irrinunciabile, un punto di arrivo ma soprattutto di partenza per le vostre scelte future, di studio o di lavoro. 
Gli esami sono ormai alle porte. Ci siamo. Affrontate dunque con la vostra consueta energia e con motivazione quest’ultimo periodo di preparazione, evitando la corsa sfrenata alle ultime conoscenze. Si sta per concludere un percorso che vi ha fatto crescere come persone e come cittadini. Ecco, pensate positivo e investite sul vostro futuro da protagonisti!
Ai commissari e ai presidenti di commissione raccomando di operare con rigore e serietà, uniti ad un atteggiamento di accoglienza e attenzione, per valorizzare gli elementi positivi di tutti gli studenti. Sono certa che svolgerete un buon lavoro, con elevata professionalità e spirito di dedizione. Buon esame e buon lavoro

Patrizia Graziani. dirigente dell’Ufficio Scolastico Territoriale di Bergamo


“Senza un Sistema Paese efficiente per le imprese sarà sempre dura”

Andrea Paganelli, milanese, 46 anni, laurea in Ingegneria delle tecnologie industriali al Politecnico, dal 1996 al 2001 ha lavorato per la New Holland, marchio che appartiene al gruppo Fiat. Dal 2002 al 2004 ha diretto gli stabilimenti di montaggio della Bonfiglioli Riduttori. Da nove anni è alla Same Deutz-Fahr di Treviglio, dove oggi ricopre il ruolo di direttore industriale del gruppo. L’azienda, fondata nel 1927 dai fratelli Cassani, impiega 1.280 lavoratori ed è quarta nel mondo per la produzione di trattori e macchine agricole. Il 90% delle vendite avviene all’estero.
Ingegner, la contrazione del mercato italiano spinge per forza a cercare uno sbocco al di fuori dei confini nazionali?
“In Italia, da tre-quattro anni, la situazione economica è disastrosa. E’ necessario puntare ai nuovi mercati, dell’Est asiatico e del Sudamerica. Anche se in Europa stanno funzionando bene quelli di Germania e Polonia”.
Si produce anche nei Paesi in via di sviluppo per il minor costo della manodopera?
“Assolutamente no, sì produce lì per aggredire quel mercato con un prodotto adatto alle richieste domestiche. E spesso, ma non sempre, può significare la creazione di macchinari dalla qualità low cost”.
La sua visione sull’Italia è pessimistica?
“Se vuoi vendere, da noi, è un problema. Da sola un’azienda non ce la fa. Manca un sistema Paese che agevoli l’imprenditoria. Se l’economia non si rimette presto in moto vedo poche speranze per il futuro”.
Stiamo seguendo le sorti di Spagna e Grecia?
“Nei Paesi del Mediterraneo le difficoltà economiche sono acuite. Anche per questo la nostra forza è lo stabilimento tedesco di Lauingen. Ma dal gennaio del 2014 apriremo anche in Cina, con il via produttivo dello stabilimento nello Shandong”.
Perché i tedeschi non hanno subìto gli effetti della crisi?
“E’ una ruota che gira. La Germania investe nella piccola e media impresa che a sua volta traina l’agricoltura. In questo modo i contadini riescono ad accedere ai finanziamenti pubblici e gli operai possono ottenere, facilmente, mutui o prestiti in banca”.
Quanto influisce il costo del lavoro?
“Il prezzo di un prodotto è dato per l’85 per cento dal materiale, la manodopera incide per il 15 per cento”.
Ma il salario in Germania è tra i più alti.
“Un operaio tedesco medio, di quarto livello, costa all’azienda 36-38 euro all’ora. Il collega italiano 27 euro. In un anno i primi scioperano, se capita, al massimo quattro ore, gli italiani cinquanta ore, a volte con picchi di otto al mese, facendo lievitare il costo del lavoro. Dunque, conviene produrre in Germania”.
La colpa è del sindacato?
“No, è uno strumento importante che porta a raggiungere accordi per mantenere i giusti equilibri tra le parti. Diverso il giudizio per la Fiom, troppo estremista”.
Cosa può fare lo Stato italiano per agevolare le imprese?
“La tassazione è esagerata e ci sono pochi finanziamenti a fondo perduto. Mio papà è stato un industriale nel settore della falegnameria. Ricordo che quando ha iniziato aveva acquistato i macchinari grazie alle agevolazioni statali. Ed è stato possibile farlo fino a quindici anni fa. Oggi non più. E poi, se le imprese non sono in parte defiscalizzate, non possono permettersi di investire”.
Cosa pensa dell’Imu?
“Lo Stato deve pur reperire i soldi da qualche parte, purché in modo giusto. A giugno, la Same per il sito produttivo di Treviglio, pagherà una cifra davvero spropositata”.
La ricetta contro la crisi?
“Solo con la ricerca e lo sviluppo si progredisce. Nel quinquennio 2006-2011 noi abbiamo speso per investimenti 100 milioni di euro, in quello successivo oltre il doppio, 250 milioni. Chi ha tirato la cinghia alle prime avvisaglie della crisi oggi è fuori dal mercato”.
Cosa abbiamo, invece, noi italiani, che gli altri ci invidiano?
“La flessibilità. Siamo dei camaleonti, bravi ad adeguarci quando cambiano le carte in tavola. Noi siamo esperti nel crearci i problemi, ma sappiamo anche come risolverli. In questo diamo del filo da torcere ai tedeschi, che fanno fatica ad affrontare gli imprevisti. Sono troppo rigidi e inquadrati”.
C’è chi propone la staffetta generazionale: un lavoratore più anziano accetta meno ore in cambio dell’assunzione di un giovane, è d’accordo?
“Mi trovo bene con i dipendenti di lungo corso perché hanno esperienza. Ma abbiamo anche il management più giovane, con una media di ingegneri trentacinquenni. E quattro sono donne”.
Quale differenza c’è tra i due sessi nel modo di lavorare?
“Le ingegnere sono più brave. Sono più pignole, determinate. E sanno come farsi rispettare dal resto del personale”.
In un colloquio di lavoro, c’è un errore da con commettere?
“Sì, il millantare esperienze e capacità. Chi bara con un curriculum esagerato, viene scoperto subito. La sincerità e la trasparenza sono le doti che più apprezzo”.
Chi riesce a far carriera?
“Chi ha voglia di fare. Di solito individuo i più capaci e li chiamo gli “alti potenziali”. Un’azienda deve saper offrire opportunità, spianando loro la strada, magari con dei corsi di leadership o gestione del personale, a seconda delle lacune che possono avere”.
Ci sono però ragazzi che non trovano sbocchi e sono costretti a cercare fortuna all’estero.
“Se l’Italia può assorbire mille ingegneri e ce ne sono diecimila, l’unica soluzione è scappare. Ma anche fuori dai confini nazionali, chi possiede le qualità giuste riesce a emergere. Anche dal basso, da un semplice stage, in qualche anno si può raggiungere una buona posizione”.
Spesso però c’è chi aspetta fino a quarant’anni perché non trova il lavoro che ritiene più adatto a sé.
“Questo è un problema di eccessive aspettative. Tutti sognano di diventare top manager. Però non ci sono solo generali, ma anche caporali, tenenti e soldati semplici. E ognuno può concorrere al bene della sua azienda”.


Il fenomeno dei Neet, come
“recuperare” i giovani senza speranza

Egregio Bergamaschi
leggo con attenzione la sua rubrica e mi rendo conto che la mia e-mail è forse fuori luogo. Le scrivo perché il figlio di mia sorella, 21enne, ha abbandonato gli studi, non ha intenzione di riprenderli, non è interessato a nulla e neppure sta cercando un lavoro, dice che tanto è inutile. Sta sprecando gli anni migliori della crescita e mia sorella non si dà pace.
Chi può darci una mano?
                                                                              e-mail, Bergamo

L’attuale crisi economico-finanziaria ha confermato due fatti che erano già tristemente noti a tutti: il tasso di disoccupazione giovanile (considerando i giovani sino a 30 anni) è costantemente superiore al doppio del tasso di disoccupazione complessivo e la categoria dei giovani è massicciamente esposta ad un costante peggioramento delle occupazionali. In questo periodo sono quindi i “giovani” a soffrire maggiormente la crisi, non solo perché non hanno accesso ad un mondo del lavoro che non conoscono, ma perché si ritrovano a vivere demoralizzati una quotidianità senza aspettativa; sono individui rassegnati e demotivati, privi di stimolo anche solo per fare il minimo sindacale e cambiare la propria vita. E’ un fenomeno nuovo che preoccupa l’Europa e ovviamente l’Italia e che racconta di una generazione che si ritiene “senza speranza”, che vive alla giornata o sulle spalle della famiglia di origine e non riesce a realizzare piani per costruirsi una vita personale e professionale autonoma. Ma non solo: è una fetta di popolazione con meno di trentacinque anni che non solo non possiede un lavoro, ma non lo sta nemmeno cercando e non frequenta corsi di aggiornamento; i sociologi si sono persino scomodati a declinare un nome per loro e oggi sono conosciuti come “neet”, acronimo che nella lingua inglese significa “not in education, employment or training” e che identifica una generazione di giovani disoccupati al di fuori di ogni ciclo di istruzione e formazione, che ha abbandonato i percorsi scolastici, non ha un impiego, non segue corsi di formazione e vive alla giornata senza un reale progetto di vita. E se pensiamo al nostro paese, gli ultimi dati non sono confortanti: i “neet” italiani hanno dai 15 ai 29 anni e nel 2012 sono arrivati a 2 milioni 250mila; ciò significa che in Italia un giovane di quella fascia di età su 4 si trova in questa terribile condizione. Il dato potrebbe essere meno negativo se ci trovassimo di fronte a una realtà in movimento, di giovani che non hanno lavoro al momento, ma si stanno attrezzando per mettersi in gioco, non appena ci sarà l’inversione della curva, ma purtroppo non è così. L’appartenenza alla categoria “neet”, oltre ad essere uno spreco del potenziale dei giovani, ha ripercussioni negative per l’economia e la società. Trascorrere dei periodi di tempo come “neet”  può condurre all’isolamento, all’insicurezza, alla criminalità, ad avere problemi di salute fisica e mentale; e ognuna di queste conseguenza implica un costo sociale. Pertanto appartenere al gruppo “neet” non costituisce solo un problema individuale, ma anche un problema per la società e l’economia nel suo complesso. Non si pensi che il problema sia recente: basti pensare che l’acronimo “neet” è nato nel Regno Unito alla fine degli anni 80, per definire una modalità alternativa di classificazione dei giovani a seguito dei cambiamenti avvenuti nelle politiche in materia di indennità di disoccupazione; da allora l’interesse per i “neet” è cresciuto a livello politico europeo e definizioni equivalenti a questa sono state create in quasi tutti gli Stati membri. Magari avrebbe avuto più senso anticipare delle strategie per gestire una situazione che aveva già tutte le caratteristiche dell’urgenza. Negli ultimi anni gli Stati membri dell’Unione Europea hanno predisposto politiche nazionali ed europee destinate ad aumentare l’occupabilità giovanile e a promuovere maggiore partecipazione all’occupazione da parte dei giovani, sia attraverso misure relative all’istruzione, come il prevenire e ridurre l’abbandono scolastico e incrementare i corsi di istruzione e formazione professionale, sia attraverso misure che facilitano la transizione dalla scuola al lavoro. Inoltre molti paesi hanno introdotto una serie di incentivi, di agevolazioni fiscali e sovvenzioni al fine di incoraggiare le aziende ad assumere, formare i giovani e a creare occupazioni supplementari destinate a loro, ma non sempre sono state strategie vincenti. Certo è che il lavoro da fare è ancora lungo e oltre allo Stato, è importante anche l’intervento della famiglia e dei genitori, che hanno il dovere di trasmettere il desiderio di una vita “realizzata” e appagante e non devono mai legittimare atteggiamenti di stallo e di rinuncia; ma purtroppo in molti casi non è così. Infine, una riflessione: chiunque sia entrato negli “anta” ricorda sicuramente che quando si era ragazzi, non si provava nessun timore per il futuro, anzi si era convinti che, in un modo o nell’altro, avrebbe trovato un’occupazione e uno stipendio; magari non il mestiere dei sogni, ma non c’erano dubbi che avrebbe vissuto una vita dignitosa. Avevamo “speranza e voglia di sognare” e francamente ci piacerebbe che la stessa fortuna l’avessero anche i giovani di oggi.