Lavoro, per sei giovani
su dieci la laurea non basta

Scarsa propensione delle aziende ad assumere (26%), turnover bloccati (25%), poca esperienza maturata (16%). Queste le difficoltà maggiori individuate dai giovani italiani, laureati e ancora in corso di studio, nell’entrare nel mercato del lavoro, senza contare che per ben il 56% di loro neanche la laurea da sola basta a trovare un impiego. Nonostante questo, solo il 22% dei laureati e il 26% degli studenti lascerebbero l’Italia per andare all’estero. L’obiettivo futuro è la piena realizzazione professionale per un laureato su 4 (26%), mentre uno studente su 3 (31%) sogna di entrare a far parte di una grossa azienda o di un gruppo internazionale. Tuttavia ciò che manca, secondo i sondati, è un ponte che metta in comunicazione giovani e imprese (16%) e forme contrattuali che si trasformino in assunzione (16%). E alle aziende un ragazzo su 3 (30%) chiede più meritocrazia e integrazione nei progetti aziendali (15%).
E’ quanto emerge da una ricerca promossa dal Gruppo Sanpellegrino in occasione del Premio di Laurea Sanpellegrino Campus, attraverso un sondaggio online in collaborazione con Tesionline nel mese di dicembre 2012, su 11.011 tra laureati e studenti universitari italiani, per capire quali sono i problemi, i bisogni e le aspettative nei confronti del mondo del lavoro e delle aziende.
Quali difficoltà impediscono di trovare un posto di lavoro in Italia? Il 25% dei giovani imputa la mancanza di lavoro ai turnover bloccati, percezione che sale ancora di più tra gli universitari (31%). Il 36% dei laureati invece indica le difficoltà maggiori nei costi del lavoro troppo elevati (12%), poca attitudine al rischio e all’innovazione (12%) e al mancato incontro tra domanda e offerta di lavoro (12%). E ben un giovane su 4 (26%) afferma che la difficoltà maggiore ad entrare nel mercato del lavoro e’ dovuta alla scarsa propensione delle aziende ad assumere, percezione che sale tra gli universitari (34%).
Lasceresti l’Italia per andare all’estero? Malgrado tutte queste difficoltà, solo il 24% dei giovani andrebbe all’estero. Il 16% dei laureati vorrebbe restare in Italia per affermarsi e trovare un futuro in quello che sentono come il loro Paese, mentre 2 studenti su 10 (20%) sono scettici e ritengono che all’estero la situazione non sia molto diversa da quella italiana. Senz’altro ciò che spingerebbe a trovare un’occupazione fuori dall’Italia e’ la sfiducia nelle possibilità di crescita del Paese, sensazione più alta nei giovani universitari (21%), e l’idea che al di fuori dei confini italiani ci siano criteri meritocratici più certi e trasparenza negli avanzamenti di carriera, convinzione più forte nei laureati (19%).
Quali sono i principali problemi che sorgono nel rapporto giovani e aziende? Per il 22% dei laureati la difficoltà maggiore è strutturale al sistema economico italiano che non riesce più ad assorbire forza lavoro con istruzione elevata. Gli studenti accusano di non vedersi riconosciuta l’esperienza maturata durante i frequenti cambi di lavoro (20%), lamentano l’inadeguatezza dei processi formativi (18%), la mancanza di un ponte che li metta in comunicazione con le imprese (18%) e l’esistenza di formule contrattuali che non sempre portano all’assunzione (18%). 
E a far incontrare aziende e giovani dovrebbero essere, secondo questi ultimi, principalmente le Istituzioni (31%), ovvero Stato ed enti locali. I laureati vorrebbero inoltre un’azione più incisiva delle Università (19%) mentre uno studente su 3 (29%) si aspetta di più dalle strutture di coordinamento tra domanda e offerta di lavoro. Ma a fare un passo verso i giovani, secondo il 14% di loro, dovrebbero essere inoltre le stesse aziende.
Ma in che modo le aziende possono sostenere le giovani risorse? Ben il 45% dei sondati vorrebbe che le aziende premiassero di più il merito, bisogno più forte negli studenti (39%), e facilitassero l’integrazione attiva delle risorse nei progetti aziendali, condizione invece molto sentita dai neo laureati (19%). Il 15% chiede alle aziende invece di attivare e investire in percorsi di formazione più incisivi, mentre il 14% crede che le imprese debbano dare una mano ai giovani soprattutto a livello di welfare aziendale, proprio per rispondere ad alcuni bisogni pratici che altrimenti impedirebbero alle risorse di lavorare attivamente.
Tuttavia ben 1 laureato su 3 (33%) e il 37% degli studenti non riescono a vedersi da qui a 10 anni, soprattutto perché il contesto attuale impedisce di fare programmi a lungo termine. Solo il 9% dei laureati e il 6% degli universitari si vedono pienamente realizzati, anche se prevale un senso di sfiducia: il15% dei sondati pensa che fra dieci anni non sarà in Italia; il 9% immagina che si troverà a fare un lavoro diverso per il quale ha studiato e investito tempo e denaro; un altro 9% dichiara che il futuro ridimensionerà sogni e ambizioni di oggi; infine il 7% pensa che non riuscirà a costruire una famiglia per via della precarietà lavorativa.


Expo, sul turismo tutti in cerca
di una strategia unitaria 

A poco più di due anni dall’inaugurazione dell’Esposizione Universale a Milano non è stata ancora messa a punto una strategia unitaria per la promozione del territorio.  I primi Stati Generali del marketing territoriale lanciati dalla Regione martedì scorso hanno fornito, attraverso gli interventi di quaranta importanti relatori ed esperti, alcuni strumenti per rendere attrattivo il territorio ed accogliere i potenziali 20 milioni di visitatori attesi. Sul fronte del turismo non sono mancati spunti interessanti per virare con decisione verso profili di visitatori ben definiti e spesso ignorati. “La Lombardia è una destinazione di primo piano, che riveste la sedicesima posizione su 290 destinazioni europee prese in esame – sottolinea Manuela De Carlo, direttrice del Master in Tourism Management dell’Università Iulm – ma ci sono ampi margini per migliorare l’attrattività, nonostante i grandi investimenti effettuati, dalla creazione dei sistemi turistici all’orientamento ai territori e al mercato. L’analisi condotta su 144 portali turistici nazionali e stranieri mostra come le destinazioni migliori siano quelle che segmentano in modo innovativo il mercato, utilizzano i social media, integrano il portale con il servizio di prenotazione e acquisto di servizi o pacchetti turistici”.  Il turismo del futuro, come lo shopping, è sempre più esperienziale: “Bisogna promuovere le eccellenze del territorio attraverso temi e linee di prodotto, vocazioni e passioni come ad esempio “Fashion Experience”, “Food Culture”, “Great music of Lombardy”,  lavorando quindi su obiettivi specifici e segmentando il mercato turistico attraverso stili ed esperienze” continua De Carlo.  La definizione delle strategie rappresenta un aspetto fondamentale per incrementare le vendite on-line e le prenotazioni, ma bisogna ancora lavorare molto su questo fronte: “Nonostante il grande richiamo di design e moda, è ancora debole la segnalazione di attrattive collegate, dai negozi alle offerte a tema – continua De Carlo -. Bisogna lavorare ancora molto su posizionamento e sviluppo dell’offerta, sulla comunicazione e sulla governance, raccogliendo tutte le esperienze del territorio in un unico portale . E’ bene inoltre iniziare a lavorare non solo sui social media più diffusi, ma anche sulle piattaforme asiatiche, come del resto stanno facendo gli altri Paesi”. Claudia Sorlini, vice presidente del Touring Club, sottolinea la riscoperta di un turismo “lento” che predilige itinerari poco battuti: “Il viaggio è un atto paritetico tra viaggiatore ed abitante, sempre più all’insegna dell’esperienza e della conoscenza ed arricchimento personale. Fare marketing del territorio non è difficile nel nostro Paese ed in una regione ricca di arte, storia e natura come la Lombardia, ma bisogna lavorare su temi e percorsi trasformandoli in destinazioni. In occasione dell’inaugurazione dell’anno italiano negli Stati Uniti, a Washington, abbiamo ideato 36 percorsi per l’Italia meno conosciuta, con tre proposte al mese per puntare i riflettori sull’Italia dei territori”. 
Il turismo sportivo
Secondo i dati dell'Osservatorio nazionale del turismo, presentati alla Borsa del Turismo Sportivo di Montecatini, nel 2011 si sono registrati oltre 10 milioni di viaggi e più di 60 milioni di pernottamenti in strutture ricettive italiane legate allo sport, con un giro d'affari di 6,3 miliardi di euro. Un italiano su 4 sceglie la meta delle proprie vacanze anche in virtù dell'offerta sportiva. Tra i 27 milioni di italiani che praticano sport, 20 milioni sono amatori, 6,5 milioni dilettanti ed oltre 10 mila professionisti.
“Il turismo sportivo rappresenta un’importante risorsa da potenziare, anche perché si tratta di un turismo non stagionale, che può rappresentare un grande volano per la nostra regione, basti solo pensare al turismo legato alla montagna, che rappresenta un vero e proprio punto di forza per il territorio – sottolinea Filippo Grassia, assessore allo Sport e Giovani Regione Lombardia. “In chiave Expo dovremmo riuscire a portare una tappa del Giro d’Italia, replicando il successo dell’edizione dell’esposizione universale del 1909”. Per dare un’idea dell’impatto che lo sport, calcio in testa, ha sul territorio basta del resto pensare ad una domenica senza pallone: “Quando non ci sono le partite si perdono clienti nei ristoranti e nei bar, pedaggi autostradali, parcheggi e quant’altro”. Sul fronte della sostenibilità e sul versante “green” del turismo, in chiave Expo gli itinerari e appuntamenti su due ruote rappresentano un asset fondamentale: “Con una politica e degli itinerari adeguati si può cercare di intercettare 2 milioni di bikers, considerando che la sola Germania ne conta 3 milioni”. Un turismo di nicchia come quello legato al golf rappresenta, invece, un vero e proprio catalizzatore tra sport e cultura: “Il turismo golfistico è diverso da tutte le altre forme di visita, a partire dalla permanenza, in media di una settimana e di una disponibilità di spesa pari a due-tre volte quella del turista tipo – ha sottolineato Carlo Borghi, presidente del comitato regionale lombardo Fig -. Nel 2012 il golf ha mosso 25 milioni di turisti per un giro d’affari che supera i 40 miliardi di euro. Nel mondo i golfisti sono cresciuti e sono arrivati ad essere più di 70 i milioni di praticanti”. In Lombardia è attesa il prossimo anno la  più importante manifestazione fieristica, l’Igtm – tra le fiere in crescita a livello mondiale – che porterà a Como 1400 operatori e tour operator specializzati. L’evento rappresenta un’occasione per presentare una regione ancora poco conosciuta dai golfisti”.  Eppure ai nostri “green” non manca nulla: “In Lombardia – continua Borghi – abbiamo 39 percorsi golfistici e 29 per i neofiti, senza contare i club che hanno una storia alle spalle di 110 anni. La nostra è la patria di chi ama questo sport in Italia, visto che del 105 mila giocatori italiani, 28 mila sono lombardi”.
Le terme
“La Lombardia conta 13 terme e a livello nazionale-180 le località termali italiane – è seconda solo alla Campania. Oggi le terme sono un vero e proprio “hub” territoriale e rappresentano un punto di partenza per visitare e conoscere il territorio circostante. Le terme non sono più luoghi in cui si passano le acque, ma delle mete e dei passepartout per i piccoli comuni dove sono maggiormente presenti per la visita alle vicine città d’arte al di fuori dei tour più classici e per la scoperta della nostra ricchezza oltre che culturale enogastronomica. Se l’Expo mira a far diventare la Lombardia capitale dell’acqua, non dobbiamo dimenticarci di valorizzare le nostre acque termali e ricordare che hanno proprietà che nessuna spa, nonostante la loro offerta sia ormai qualitativamente elevata, potrà mai vantare”.  Il popolo delle terme è cambiato profondamente negli ultimi anni ed è bene attrezzarsi per accogliere al meglio il nuovo turista: “Negli ultimi 10-15 anni grazie anche all’attività scientifica,  le terme hanno avuto, dopo la crisi degli anni Novanta, un notevole impulso e la ricerca di benessere psico-fisico crescente  ne fa ormai una meta di un turismo trasversale. Una vera e propria rivoluzione se si pensa che fino agli anni Sessanta le terme erano appannaggio di un pubblico d’ èlite, negli anni Settanta erano mete di un turismo sociale ed oggi attraggono sempre più giovani”. 
I concerti
Il bilancio del 2011 di Assomusica rende l’idea del fenomeno del turismo dei concerti: 181 milioni di euro di ricavi dalla vendita dei biglietti, 5,7 milioni di spettatori e 3284 eventi a pagamento. Un business  generato per quasi la metà dalla Lombardia: “Con 63 milioni di euro e 1345 eventi a pagamento la regione ha una capacità di attrattività per la musica senza precedenti” sottolinea Marco Boraso, direttore marketing Live Nation Italia. Ma l’indotto di un evento di portata internazionale sul territorio supera di cinque volte gli incassi delle biglietterie: “La stima della ricaduta sul territorio a fronte di 2,5 milioni di euro di ricavi dalla vendita  di biglietti è compresa tra i 7,3 e gli 8,3 milioni di euro. Ma la cifra sale se si considera la somma della ricaduta diretta ed indiretta sul territorio tra i 9,4 e gli 11,2 milioni di euro, tetto che si supera ulteriormente se si considera la ricaduta positiva del territorio generata attraverso i social media. Le foto e i video dei concerti pubblicati dai fan su You Tube, Facebook e Twitter ed i “tag” con il nome dell’artista e del luogo dell’evento amplificano la promozione del territorio, al punto che si stima un indotto compreso tra gli 11,2 e i 13,4 milioni di euro”. 


Perché le corsie preferenziali
non possono salvarci dal traffico

Il discorso delle corsie riservate è viziato alla base da opposti preconcetti ideologici.
I problemi del traffico sono causati da un eccesso di mobilità individuale conseguente a sua volta, in buona misura, a un’inadeguatezza del trasporto pubblico.
La soluzione, l’unica possibile, non può che consistere nel far sì che i trasporti pubblici siano adeguati alle effettive esigenze di mobilità dei cittadini e siano appetibili, tanto da poter essere preferibili all’automobile.
A tale fine, le corsie preferenziali, permettendo velocità commerciali maggiori rispetto al restante traffico, sono molto importanti, ma non bastano; se esse infatti sono percorse da semplici autobus con capienze massime dell’ordine delle 100 persone, con frequenze di circa 15 minuti per linea, privi praticamente di asservimento semaforico e soggetti comunque, in molti punti nevralgici del percorso, agli ingorghi e agli incolonnamenti prodotti dal traffico individuale (facilmente aggravati proprio dalle stesse corsie riservate), si favoriranno, forse, gli attuali utenti del trasporto pubblico (tali sia per necessità sia per scelta virtuosa, ma comunque relativamente pochi) e si avrà un vantaggio per il bilancio dell’Atb con il risparmio di qualche autobus, ma non permetteranno certo di trasferire al trasporto pubblico quote di mobilità tali da ridurre significativamente il traffico individuale, né consentiranno di ridurre, per un numero significativo di persone, la necessità di usare l’auto, anche perché un servizio siffatto, espletato solo lungo gli itinerari principali, lascia scoperti diversi collegamenti minori che, insieme, alimentano una quota non indifferente della domanda complessiva di trasporto. Pertanto le corsie riservate, così concepite, effettivamente, non solo non alleviano il problema della mobilità urbana, ma rischiano anche di aggravarlo.
Per trasferire grosse quote di mobilità dai mezzi individuali al trasporto pubblico occorre invece un sistema strutturato di trasporto pubblico prevedente, lungo gli itinerari principali, vetture della capacità, quanto meno, di 200/250 persone con frequenze, per ogni linea, dell’ordine dei 10 minuti e con marcia fortemente agevolata (assoluta precedenza agli incroci, asservimento semaforico, sedi riservate, ecc.) che colleghino i popolosi centri dell’hinterland con le zone centrali pedonalizzate o a traffico limitato, integrate con un sistema di linee su gomma attestate alle fermate fuori dal centro, a servizio capillare di tutti i quartieri (linee brevi, fuori dalle strade trafficate). Ai capolinea esterni delle linee di forza dovrebbero poi attestarsi altre linee su gomma dirette alle varie località della provincia e dovrebbero esservi adeguati parcheggi di corrispondenza con tariffa integrata.
Tale sistema dovrebbe però anche essere supportato da una piena collaborazione degli Organi responsabili della pianificazione del territorio e di tutti gli Enti che decidono la dislocazione di insediamenti e servizi generanti mobilità; in altre parole tutto quanto genera notevoli flussi di traffico (un esempio eclatante è dato dal nuovo ospedale) dovrebbe essere collocato lungo gli assi di forza del trasporto pubblico. Chiunque presieda o controlli attività comportanti movimenti di persone nel territorio dovrebbe CESSARE di presupporre o pretendere che operatori, clienti o utenti si muovano con un mezzo proprio! Solo così si possono ridurre al massimo i casi in cui è necessario un mezzo individuale.
Tutte le realtà urbane europee che sono riuscite ad affrontare efficacemente il problema del traffico e, nel contempo, ad avere i centri storici più vivibili si sono mosse nella citata direzione. Le città svizzere, austriache e tedesche che non hanno mai rinunciato del tutto al sistema tranviario si sono trovate avvantaggiate in quanto hanno dovuto solo potenziare ed espandere lo stesso. Le città francesi che, a suo tempo (dagli anni 30 agli anni 50), hanno compiuto l’errore fatale di distruggere le tranvie, si sono messe di buona volontà investendo grandi quantità di risorse per ricostruirle; lo stesso hanno fatto molte città inglesi, spagnole, scandinave e statunitensi.
Noi però ci troviamo ora in una drammatica crisi economica per cui è impensabile, al momento attuale, por mano alla costruzione di un sistema tranviario che, comunque potrebbe essere realizzato in sufficiente completezza in non meno di 15 anni! Quindi non c’è niente da fare, al di fuori di qualche piccolo palliativo, che potrà forse alleviare qualche criticità specifica, ma che non potrà comunque dare risultati sostanzialmente significativi.
Possiamo solo prendercela con gli amministratori di sessant’anni fa che decisero di smantellare la rete tranviaria (ma, d’altra parte, fu questo un errore tipico dell’epoca: pressoché ovunque si credeva che il tram fosse un mezzo superato!); possiamo, più realisticamente, prendercela con gli amministratori di una decina di anni fa (quando ancora potevano esservi risorse per realizzare qualcosa), che di fatto affossarono ogni progetto di creare un sistema tranviario cittadino e di far sì che la Bergamo–Albino non rimanesse solo un segmento, un segmento d’eccellenza, ma pur sempre un segmento, anche per il timore che il tram togliesse spazio alle auto o costringesse gli automobilisti a un più rigoroso rispetto delle regole.
Ormai è troppo tardi: quello che non è stato fatto non è stato fatto; conviene rassegnarci al caos da Terzo Mondo e all’inquinamento risparmiandoci la commedia di una diatriba tra due fazioni: una che crede che si possano affrontare i problemi del traffico, rendendo nel contempo vivibile la città, lasciando pressoché intatto il ruolo dell’automobile come mezzo di trasporto base per la popolazione attiva, dimenticandosi della Legge d’impenetrabilità dei corpi, spalleggiata da commercianti che dicono: «La gente ormai viaggia solo in auto, ragion per cui, se si vuole che la città viva, bisogna accettare che le auto arrivino dappertutto», l’altra che crede che si possa avere una conversione modale a favore del trasporto pubblico solo tracciando qualche corsia riservata e mettendo in linea dei “minibus”!

Maurizio Alfisi
Verdellino


Learning organization,
così conoscenze e competenze
mettono il turbo

Dottor Bergamaschi
sono il responsabile amministrativo di un’azienda bergamasca, che, a discapito del periodo difficile, sta fortunatamente lavorando senza troppi scossoni. Segue sempre la su rubrica e ora che la direzione ha comunicato di voler procedere all’attivazione di un processo di “Learning organization”, procedura utile a migliorare l’efficienza aziendale, ci tenevo ad avere un suo parere in merito. 

e-mail, Grumallo del Monte

La “Learning Organization” è l’abilità che un’azienda possiede di migliorare le proprie competenze e conoscenze attraverso l’analisi continua della propria esperienza, dei propri successi e dei propri fallimenti. E’ pertanto un processo che permette di sviluppare le abilità che rendono l’organizzazione capace di competere più efficacemente all’interno del mercato del lavoro. Tale modello, oltre a facilitare l'apprendimento di tutti i suoi membri e consentire il costante rinnovamento dell’organizzazione, assicura all’azienda una migliore capacità di adattamento al cambiamento, allo sviluppo e alla crescita, fattori fondamentali e preziosissimi per riuscire a far fronte a periodi difficoltosi come quello che siamo chiamati a vivere.
Presupposto fondamentale della “Learning organization” è la motivazione all’apprendimento attraverso l’azione e l’esperienza degli individui che la compongono e le realtà che hanno cominciato a farlo, hanno acquisito una consapevolezza nuova dell’importante legame tra miglioramento, cambiamento e apprendimento e oggi propongono processi culturali adatti a creare quei sistemi necessari per assicurarsi un apprendimento continuo, focalizzando l’attenzione sull'individuo, sul gruppo e sulla struttura. Cioè sono aziende dotate delle capacità necessarie per creare, acquisire e trasferire in maniera efficiente e veloce la conoscenza. Utopia? Forse, almeno per chi è contrario alle novità e alla condivisione ed è invece affezionato ai modelli gerarchici e organizzativi rigidi dove la regola principale è l’osservanza di consuetudini e codici; non per niente la “learning organization” è l’antitesi di quei processi mentali e dei codici di comportamento che hanno caratterizzato per molto tempo le organizzazioni basate su una struttura burocratica rigida e pervasiva. Qui invece la prospettiva è diversa ed è rappresentata da una continua socializzazione, intesa come la messa in comune delle conoscenze, che si sviluppa parallelamente ad una de-gerarchizzazione dei ruoli e ad una promozione costante del lavoro di gruppo, in un'ottica di responsabilizzazione sia individuale che collettiva e secondo una logica partecipativa e non di obbedienza. Così facendo, ogni lavoratore viene messo nelle condizioni di prendere delle decisioni e di partecipare alla risoluzione dei problemi relativi al processo a cui aderisce, eliminando in maniera definitiva le rigidità del passato create da stili di conduzione forse ormai obsoleti e caratterizzati da un monopolio del sapere concentrato su poche figure professionali. Questo modello suggerisce così nuove modalità organizzative che presuppongono la creazione dei mezzi necessari per agevolare l’apprendimento continuo, funzionale a sua volta a generare permanenti processi di adattamento ai problemi e di miglioramento delle performance. Come ottenere tutto ciò? Sicuramente affidandosi, almeno per i primi tempi, a dei consulenti esterni capaci, che dopo un’analisi accurata dell’azienda, attivino e gestiscano uno start up aziendale, che deve prevedere una serie di operazioni come l’acquisizione di informazioni attraverso il feedback dei clienti e dei fornitori, la ricerca di alleanze strategiche, il confronto con le esperienze pregresse di realtà simili, l'adozione di procedure informali di problem-solving, la valutazione delle modalità di apprendimento presenti in azienda, la misurazione del cambiamento e del clima aziendale e non per ultimo, un monitoraggio della comunicazione interna attraverso l’implementazione di un sistema efficace di circolazione delle informazioni, che preveda anche riunioni periodiche fra capi e collaboratori e l'introduzione di tecnologie informatiche che rendono l'informazione disponibile quando è necessaria.
Tutto ciò sottintende un grosso cambiamento, non solo nelle procedure aziendali, ma soprattutto nella mentalità delle persone, fino ad oggi abituate a credere che un’azienda di successo dovesse per forza essere gestita da modelli che vedevano nella suddivisione e nel monopolio dei saperi, la chiave del successo. E’ davvero una sfida cominciare a pensarla diversamente, ma come ha sempre ricordato George S. Patton, il generale più famoso della II° guerra mondiale,  “accettate le sfide se volete provare l’eccitazione e il gusto della vittoria”. Non mi resta che auguravi buon lavoro.


“Le banche tornino a guardare
gli imprenditori negli occhi”

“Sarà ancora un anno difficile e impegnativo: quello che già alcuni analisti dicono è che ci sarà un ripresa senza occupazione. La responsabilità delle imprese e dei cooperatori soprattutto da questo punto di vista è ancora più forte, poiché l'argine alla tenuta dell’occupazione che abbiamo eretto in questi anni deve sostenere anche questo ulteriore urto. Poi certamente sarà un anno di novità e cambiamenti per il Paese e per la nostra Regione”.
A parlare è Giuseppe Guerini, presidente di Confcooperative Bergamo nonché del Comitato unitario di Imprese & Territorio. Traccia un quadro drammatico della crisi, ma evidenzia anche la necessità di reagire per invertire la rotta.
Presidente, le elezioni sono alle porte. Cosa chiederebbe al futuro presidente del Consiglio?
“Che finalmente apra gli occhi sulla fondamentale funzione dell'economia sociale e che sviluppi la relazione con l'Europa non solo per "accondiscendere" le richieste delle economie dominanti, ma che sappia valorizzare le specificità italiane. Una su tutte: bloccare la sciagurata richiesta di incremento dell'Iva per le prestazioni socio-assistenziali ed educative dal 4 al 10%. Gli altri punti sono tutti espressi nell'Agenda politica elaborata congiuntamente da Imprese & Territorio”. 
Spera in un cambiamento reale?
“Guardi, comunque vadano le elezioni, il cambiamento è atteso e le aspettative dei cooperatori sono tante. A livello di economia bergamasca inoltre avremo il rinnovo dell'amministrazione di Ubi Banca, con l'annunciata uscita di una leadership importante come quella rappresentanza da Zanetti. Quindi si preannunciano davvero intensi i prossimi mesi”. 
Su questo tema avete fatto un intervento molto netto come Confcooperative. Cosa vi aspettate?
“La nostra aspettativa è semplice: aumentare il livello di discussione e di attenzione delle istituzioni economiche ma anche quella dei semplici cittadini risparmiatori o utenti, sulla più importante banca del territorio. Le sorti di questa banca toccano la vita di molti bergamaschi e sono di primario interesse: portare questa banca più marcatamente verso la «finanza» o tenerla legata all'economia locale del territorio non rappresenta una scelta neutra ma vuole dire esprimere un’idea di economia, di impresa e un modello di sviluppo. 
Le cooperative sono un’ alternativa al modello classico di impresa?
“Preferisco usare il termine "complementare" a quello di "alternativa". I dati anche a livello internazionale ci dimostrano che le imprese cooperative e l'economia sociale son un fondamentale antidoto alla crisi, sanno rispondere meglio alle esigenze delle economie locali, ai bisogni delle famiglie, tutelano meglio occupazione e piccoli produttori, riducono le distanze tra produttori e consumatori. Questi vantaggi comuni dovrebbero essere meglio valorizzati e conosciuti, mentre negli ultimi decenni tutti si sono prodigati a tessere le lodi del “turbo” capitalismo e dell'economia finanziarizzata, creando per altro una credenza distorta che ha fatto ritenere ai più che economia di mercato e capitalismo fossero sinonimi. Io preferisco sostenere che il mercato è tanto più libero quanto più i soggetti economici che vi operano sono diversi, un po’ come in natura la "bio-diversità" è indicatore della salute di un ecosistema, così nel mondo imprenditoriale ed economico la presenza di forme diverse di impresa è indicatore della salute di un mercato”.
Quali sono i settori più colpiti dalla crisi?
“In misura diversa tutti, ma è drammatica la situazione dell'abitazione e dell'edilizia. Qui davvero ci troviamo di fronte ad un sisma anche di mercato ormai imploso. Poi le difficoltà le abbiamo anche in altri contesti, ma magari sono crisi di competitività, problemi di concorrenza, esigenze di innovazione, contrazione dei consumi: problemi importanti ma che si possono aggredire. Poi ci sono le questioni legate alla riorganizzazione del sistema di welfare e alla sempre più difficile situazione delle finanze degli Enti locali che rischiano di riversare la crisi sulle cooperative sociali”. 
Settori invece dove Bergamo eccelle?
”Abbiamo esperienze molto importanti nella cooperazione sociale, stanno partendo sperimentazioni importanti anche sul versante sanitario e possiamo vantare una sistema di imprese cooperative in larga parte autentiche e di buon qualità, anche con nicchie molto specializzate come la Elvas che in Val di Scalve si occupa di meccatronica da anni. Inoltre, proprio i questi giorni, una cooperativa sociale, la Fenice, ha superato le selezioni per un importante concorso bandito dal Sole 24 Ore, con un bellissimo progetto socio culturale «Diaforà», un centro di ricerca e studio sulla diversità che comprende la valorizzazione di un antico monastero, la realizzazione di un centro di ospitalità e tante altre cose. Insomma, uno dei più importanti investimenti che si stanno realizzando in Valle Seriana in questi tempi, con tutto quello che ciò comporta. Potrei continuare l'elenco citando Ikaros e la formazione professionale nell'Abbazia di San Paolo D'Argon, il centro diurno specializzato per l’Alzheimer a Treviolo, riabilitazione dei traumatizzati della cooperativa Progettazione”. 
Reti d'impresa e contratti di rete sempre più diffusi: un plus o una necessità?
“Uno strumento da usare ed esplorare: per anni la cultura imprenditoriale bergamasca si è retta sul "chi fa da sé.." e su "piccolo è bello" . Con contratti di rete e integrazioni consortili si può cercare di valorizzare questa "caratteristica" aggiungendo "insieme è meglio".
Come si reagisce alla crisi?
“Smettendo di fare politiche a breve respiro per mettere delle pezze alle emergenze e fare invece  politiche di investimento. Serve più coesione e la "narrazione di un’ idea di Paese o di comunità" nella quale riconoscersi e che sostenga la motivazione a fare i sacrifici che servono per superare le difficoltà”.
Intento resta il macigno del debito della Pubblica Amministrazione nei confronti imprese…
“Qui serve andare oltre la politica degli annunci e rendere davvero percorribile la strada della compensazione tra debiti e crediti della Pubblica amministrazione. Anche in questo caso abbiamo presentato un decalogo di proposte ma che rimangono per ora in attesa di risposta”. 
Rapporti con le altre associazioni e documento di Imprese & Territorio: quali sono i punti salienti?
“Stiamo lavorando molto bene, c'è voglia di fare e tanta passione per il territorio e per le attività che realizzano nelle diverse forme i nostri aderenti. L’appuntamento è al prossimo 15 febbraio quando con Imprese & Territorio presenteremo il programma di lavoro in un momento pubblico”. 
Quanto alle politiche del lavoro?
“Dobbiamo superare questa patologia delle riforme che anziché semplificare complicano un sistema di regole e di diritto del lavoro tra i più bizantini al mondo. Non si può pensare che si liberi il lavoro continuando con una sovrapproduzione normativa, regolamentare, contrattualistica….”
Il welfare può aiutare la crescita?
“Il sistema di welfare è uno dei fattori di crescita, aggiunge potenziale competitivo ad un territorio e crea lavoro. Solo l'ottusa visione economica di impronta burocratica e finanziaria di taluni fa dire che il welfare è "un lusso che non ci possiamo permettere": non ci possiamo permettere sprechi e assistenzialismo clientelare, certo, ma un buon welfare efficiente e sussidiario è funzionale allo sviluppo economico più di certi tagli”. 
Il credito alle imprese è una questione di fiducia?
“Certo, ma anche di politiche bancarie e di relazioni. Gli indicatori ci dicono che per molti aspetti la crisi finanziaria è superata: ora occorre che le banche tornino a fare il mestiere di prestare denaro agli investimenti e non alla speculazione. Paradossalmente devono tornare ad avere fiducia in loro stesse e riscoprire la capacità di valutare il merito creditizio non solo con i rating calcolati al computer ma guardando negli occhi il loro interlocutore e sapendo pesare i progetti di investimento. Per questo torno a dire servono le "banche di territorio", Bcc in prima istanza e, potendo contare sulla nostra storia, sulla più importante banca popolare del paese”.


Imprenditori e crisi, l’Associazione
Artigiani vara il supporto psicologico 

Un gesto concreto di vicinanza e aiuto agli imprenditori artigiani che stanno attraversando un momento difficile a causa della crisi economica, affinché possano trovare dentro la loro Organizzazione e in modo non formale, un punto di ascolto e di supporto psicologico.
È il progetto che sta mettendo in campo l’Associazione Artigiani per rispondere alla situazione di disagio e sofferenza in cui si trovano molti imprenditori. L’iniziativa ha già visto un lungo percorso formativo preparatorio, conclusosi lo scorso primo febbraio, che ha coinvolto una quarantina di funzionari (tra responsabili di Polo, di delegazione e capiservizio) e uno staff di psicologi.
«Quotidianamente – sottolinea il presidente Angelo Carrara – tocchiamo con mano la situazione di frustrazione e di rassegnazione in cui si trovano molti colleghi imprenditori, che non vedono più prospettive o si sentono impotenti di fronte ad una crisi drammatica che non accenna a diminuire e ad una classe politica che non riesce a dare risposte. Per questo abbiamo deciso di costituire al nostro interno un servizio di ascolto, comprendendo l’importanza di sostenere anche su questo fronte i nostri associati, affinché capiscano che non sono soli, che la loro Associazione è vicina e vuole aiutarli ad affrontare e superare i problemi. Quello a cui stiamo lavorando non è uno sportello in senso stretto ma un progetto di ascolto e aiuto ad ampio respiro, che coinvolge in primis quelle persone con cui normalmente l’artigiano instaura un rapporto di dialogo, ovvero i nostri funzionari sul territorio: per questo siamo partiti dalla formazione dei nostri dipendenti, con l’obiettivo di accrescere la loro sensibilità e capacità di affrontare determinare situazioni».
Il punto di arrivo del progetto è quello di creare un gruppo di lavoro interno a cui verrà affidato il compito di studiare i singoli casi segnalati dal territorio e definire per ciascuno il tipo di intervento più adeguato. Il tutto grazie ad una rafforzata sinergia fra tutte le componenti della struttura associativa.
Diverse le risposte che potranno essere date: dall’organizzazione di un incontro diretto con il presidente o con un membro di giunta, all’incontro con esperti e funzionari di via Torretta che assieme all’imprenditore valuteranno la possibilità di accedere a finanziamenti (grazie all’aiuto del consorzio fidi Confiab), proporranno le strade percorribili per un’eventuale ricollocazione o riconversione della propria azienda o studieranno strategie concrete che permettano di uscire da una difficoltà che magari solo in apparenza è insormontabile.
«Spesso – aggiunge il vicepresidente Stefano Stefanoni, coordinatore dell’iniziativa – l’orgoglio artigiano spinge le persone, che difficilmente chiederanno aiuto all’esterno, a chiudersi ancora di più in se stesse peggiorando ulteriormente la situazione. È quindi giusto che la nostra Associazione si sia messa in gioco anche in un campo così delicato, con un servizio di ascolto che la vede coinvolta nel suo insieme: dai funzionari fino alla dirigenza, che a sua volta verrà adeguatamente formata e preparata. Vogliamo, in sostanza, che l’imprenditore sia aiutato a guardare il suo problema con maggiore cognizione e a comprendere che le strade per affrontarlo esistono. Anche se si tratta di situazioni che a prima vista possono sembrare insuperabili, il fatto stesso che vengano analizzate e fronteggiate in modo condiviso permette di averne una consapevolezza diversa, meno drammatica».


Tra crisi e costi,
anche a Treviglio il commercio soffre

La crisi si fa sentire anche a Treviglio, dove continua la chiusura di diversi esercizi del centro. Esemplare il caso di Pozzi Uomo, boutique griffata che, dopo trent'anni, ha lasciato la sua sede per essere assorbita con un corner nella boutique femminile. C'è un dato in controtendenza, ovvero che  dal primo gennaio a fine giugno 2012 si è registrata una crescita di nuove attività pari al 2%, distribuita su tutta la città. “Ma il problema non sono i numeri, ma la chiusura di negozi storici – afferma Max Vavassori, presidente dell'associazione Botteghe Città di Treviglio -. Un segnale non certo tranquillizzante. “Poi c’è da considerare che ormai il 65% degli esercizi appartiene alla categoria abbigliamento e accessori. E anche se è vero che una donna non rinuncerà mai a vestirsi, bisognerebbe forse creare offerte alternative: aprire per esempio attività legate all’enogastronomia, capaci di attirare gente. Perché chi si reca in centro per comprare o consumare alimenti, si sofferma anche a guardare le vetrine”. Sono 275 gli esercizi tra negozi, bar e ristoranti del Distretto commerciale di Treviglio, solo 24 gli alimentari, 200 tutti gli altri, 38 i bar e 13 i ristoranti, oltre a un mercato settimanale.
A rendere difficile la vita degli esercizi in centro, oltre alla crisi c’è anche il discorso dei costi elevati. “Servirebbe un'attenzione mirata sui costi di gestione – aggiunge Vavassori -. Andrebbero calmierati gli affitti, nella consapevolezza che dare una mano agli operatori contribuisce a tenere vivo e frequentato il centro. Se non ci muoviamo, via Roma, per antonomasia il salotto cittadino, perderà sempre più attrattiva per chi vende e chi acquista”. L'operazione più significativa per animare le vie è quella progettata dall'amministrazione comunale: il centro commerciale che sorgerà nell'area dell'ex Upim in piazza Garibaldi, composto da un supermercato, un ristorante, negozi e un auditorium da trecento-otto posti dove si esibiranno compagnie teatrali nazionali e dialettali.  “Concludere i lavori e assegnare i locali con un vincolo di apertura fino alle 22 è la nostra priorità – afferma il sindaco Giuseppe Pezzoni, con delega al commercio -. Gli affitti saranno calmierati in modo da essere sopportabili, non esosi come quelli attuali per le tasche dei commercianti”. Il primo cittadino definisce il progetto “l'hardware” per risolvere la crisi, mentre il “software” saranno tutti quegli accorgimenti strategici utili per rendere più attrattivo il centro, dalla liberalizzazione degli orari fino all'apertura fino a tardi degli uffici comunali dell'anagrafe, nei mercoledì estivi dello shopping: “Un modo per sbrigare una pratica e fermarsi in centro a mangiare una pizza – spiega Pezzoni -. Tra i progetti c'è anche l'avvio, a febbraio, del Caffè Letterario, aperto fino alle 22 , in via Bicetti, di fronte alla biblioteca comunale”.
Per Roberto Ghidotti, funzionario dell’Ascom e presidente del Distretto del commercio di Treviglio, “spesso i negozi chiudono per assenza di ricambio generazionale, non solo per la contrazione dei consumi e anche perché l'offerta a volte non è adeguata”. L'esempio è quello di un negozio di alimentazione naturale che ha fatto faville perché ha saputo soddisfare un bisogno dei cittadini. “Prima di aprire andrebbe sempre effettuata un'indagine seria, ed è quello che ci riserviamo di fare – afferma Ghidotti -. Come Distretto, puntiamo a creare dei gruppi d'acquisto capaci di far risparmiare, ad esempio attraverso contratti collettivi con i fornitori di luce e gas, ma anche con chi garantisce la sicurezza”. Un progetto interessante riguarda il PalaFacchetti: “Vorremmo portare qui gli artisti di fama nazionale che prima calcano il Creberg – anticipa -. I negozi verrebbero coinvolti nella vendita dei biglietti e in offerte a tema”. Ma l'obiettivo principale è “fare rete, essere sì concorrenti, ma non nemici, perché l'unione comunque fa la forza. E' demagogico dire che è tutta colpa della crisi e delle tasse elevate, in realtà il futuro dipende anche da noi – sostiene Ghidotti -. E per rilanciare i consumi dobbiamo richiamare i commercianti a fare squadra, riscoprendo l'identità comune attraverso le associazioni”. Per il presidente del Distretto occorre creare “una  nuova cultura dell'imprenditorialità attraverso obiettivi e iniziative congiunte e sinergiche con altri attorti sul territorio”. 


Regione, i candidati alla presidenza:
«Così sarà il futuro del commercio» 

LE TRE DOMANDE

1) È già stato riconosciuto che in Lombardia la rete commerciale della media e grande distribuzione è sovradimensionata rispetto ai bisogni reali dei consumatori eppure le superfici di vendita hanno continuato a crescere (secondo i dati di Confcommercio Lombardia nel periodo 2005-2011 la superficie di vendita della rete distributiva al dettaglio è aumentata da 15,1 a 16,3 milioni di metri quadri con un incremento del 6,5%, mentre i consumi pro capite in termini reali sono diminuiti dell’1,8%). Ora la crisi dei consumi ha cominciato a farsi sentire anche sui grandi gruppi e le grandi strutture. Quale può essere il nuovo modello di sviluppo per il commercio?

2) Nelle scorse legislature è stato individuato nei “Distretti del commercio” lo strumento per il sostegno al commercio di vicinato e il rilancio dell’attrattività dei centri urbani. È un percorso che avrà seguito? Servono correttivi o nuovi obiettivi e modalità?

3) Il problema occupazione sta emergendo in maniera drammatica anche nel terziario, fino a qualche tempo fa capace, invece, di reggere e assorbire le uscite dagli altri settori. Quali gli interventi in programma?  

Umberto Ambrosoli

«Sostegno ai distretti che sapranno
proporre un’effettiva progettualità»

1) La crescita delle grandi e medie superfici commerciali è avvenuta sulla base di aspettative che, a partire dalla crisi del 2008, non si sono materializzate. Tenendo conto dei tempi richiesti per lo sviluppo dei grandi punti vendita, ciò spiega l’attuale situazione di difficoltà di una parte della grande distribuzione. In questo senso, la nostra impostazione di politica commerciale sarà centrata sul controllo e l’indirizzo delle polarità commerciali, sia di quelle pianificate (centri e parchi commerciali, outlet), sia di quelle naturali (centri storici, grandi vie commerciali urbane).

2) Il sostegno ai Distretti commerciali urbani continuerà perché è l’unica politica che può davvero aiutare il commercio indipendente che si raccoglie in quelle che ho appena chiamato polarità naturali. Ma le risorse a disposizione dovranno essere concentrate sui Distretti che dimostreranno di essere in grado di proporre una effettiva progettualità. In passato almeno una parte delle risorse destinate ai Duc sono state sprecate, come dimostrano i non pochi casi di Distretti che oggi non svolgono più nessuna reale attività.

3) Il rilancio del terziario non può che passare da interventi in grado di liberare le energie di tutti coloro che vogliono iniziare un’attività e che oggi si trovano ostacolati da vincoli burocratici a tutti i livelli. Bisogna rimuoverli e lasciare che l’imprenditorialità e l’innovazione, in particolare di quella di tanti piccoli operatori, possa arrivare al mercato.

Roberto Maroni

«Una moratoria per i centri commerciali»

1) «Ritengo sia assolutamente necessaria una moratoria in materia di costruzione di nuovi centri commerciali. Occorre valorizzare il piccolo commercio e i negozi di vicinato, rivedere il sistema di distribuzione così da mettere un freno ai grandi operatori. La prima cosa da fare è una fotografia di ciò che già esiste in modo tale da avere un’idea precisa di cosa c’è. Prima di rilasciare nuove licenze per grandi centri, ci occuperemo della moratoria. Siamo contrari al massacro dei piccoli negozi».
 
2) «Il percorso dei “Distretti del Commercio” andrà certamente seguito perché in questi anni si è rivelato molto utile al rilancio e al sostegno ai negozi di vicinato. La nostra proposta, tuttavia, intende implementare questo strumento servendosi sempre più di risorse messe a disposizione dall’Unione Europea. L’obiettivo è mettere le radici per una vera e propria politica di rilancio di questo settore, che corre il serio rischio di implodere a causa del proliferare senza controllo di grandi centri commerciali. Investire energia a sostegno dei negozi al dettaglio non significa solamente dare ossigeno ad un settore in crisi bensì rimettere al centro i piccoli centri».

3) «Non ci può essere rilancio del terziario senza una politica di rilancio degli altri settori. Non esiste modello occidentale che viva di solo terziario. Per sostenere il nostro sistema produttivo e occupazionale è fondamentale garantire un corretto e semplice accesso al credito, in particolare per le piccole imprese, per gli artigiani, i commercianti o gli agricoltori, che rappresentano la spina dorsale della nostra economia. Del resto la funzione sociale delle banche sarebbe proprio questa: sostenere gli imprenditori, i lavoratori e le famiglie, e non utilizzare i soldi che hanno in cassaforte solo per investimenti di carattere finanziario. Per questo mi impegnerò con determinazione per fare in modo che le banche, qui in Lombardia, tornino a fare le banche, erogando il credito alle imprese e ai cittadini, e se non lo faranno sono pronto a ingaggiare battaglia, arrivando persino a farle commissariale».

Gabriele Albertini

«Una boccata d’ossigeno dallo sviluppo
del commercio elettronico»

 
1) L’economia lombarda deve la sua tenuta e la sua capacità di reazione anche alle sue imprese commerciali, che nel nostro territorio hanno saputo affrontare meglio di altre la crisi e soprattutto hanno in sé le capacità e le risorse per voltare pagina. Il loro sforzo, tuttavia, da solo non basta. Occorre infatti creare l’ambiente normativo e le condizioni economiche perché le imprese in difficoltà possano risollevarsi e quelle ancora in buona salute possano pensare a uno sviluppo, creando nuova occupazione e innescando così un circolo virtuoso con ripercussioni positive anche sui consumi.
La Regione può e deve assumersi questa responsabilità. Noi siamo pronti con un programma molto chiaro e concreto: vogliamo da una parte alleggerire la pressione fiscale sulle imprese che assumono (riduzione dell’Irap, garanzie per il credito, fondi venture capital), dall’altra favorire l’accesso al mercato del lavoro da parte dei giovani e dei disoccupati (formazione mirata e Dote Lavoro).
Una boccata d’ossigeno per il commercio in Lombardia potrà arrivare con l’espansione del commercio elettronico, in grado di contribuire a compensare il calo delle vendite che si registra oggi sia per i piccoli esercizi che per la grande distribuzione. È un comparto ancora giovane e in crescita, a cui non vogliamo far mancare il sostegno della Regione, introducendo misure di incentivazione per l’avvio di attività di e-commerce delle micro, piccole e medie imprese, e meccanismi che rendano più facile per i cittadini effettuare gli acquisti on line.
Su questo punto sarà molto importante promuovere anche l’alfabetizzazione digitale, dal momento che circa il 40% delle famiglie lombarde non ha ancora accesso a internet. L’impegno della Regione dovrà concentrarsi quindi su progetti di formazione mirata di cittadini e lavoratori, sui servizi di assistenza negli spazi pubblici attrezzati già presenti (come biblioteche, centri anziani, uffici comunali), sullo sviluppo delle piazze telematiche per accedere alla rete (servizi, informazioni, partecipazione), sulle modalità facilitate di accesso digitale ai pubblici servizi (ad esempio applicazioni per smartphone), che favoriscano la familiarità con i nuovi mezzi.
  
2) I distretti del commercio hanno dato buoni risultati, per questo intendiamo proseguire su questa strada, rilanciando ulteriormente le realtà distrettuali e di filiera emergenti. Contemporaneamente abbiamo intenzione di sostenere la politica europea dei cluster regionali per creare meta-distretti nei settori agroalimentare, energia e ambiente, turismo, information technology e scienze della vita.
Per rafforzare i distretti sarà importante valorizzare anche l’attrattività dei centri urbani: pensiamo a sgravi fiscali e misure di promozione per la riqualificazione delle strutture ricettive, introducendo standard innovativi e maggiormente qualificanti dell’ospitalità lombarda (dal wi-fi gratuito all'uso di prodotti tipici, ecc.).
Abbiamo inoltre intenzione di mettere a sistema l’offerta turistica della Lombardia attraverso un’attività di coordinamento dei diversi attori (enti locali, associazioni di categoria, non profit) e con l’attivazione di strumenti condivisi per la promozione degli itinerari turistici e delle peculiarità del territorio (portale del turismo, app, partecipazione a fiere, presentazioni all'estero, ecc.), anche utilizzando la grande occasione di Expo 2015.
 
3) Per cominciare intendiamo ridurre l’Irap per le aziende che assumono giovani, donne e over 50 e per chi investe nella formazione; vogliamo poi rafforzare il sostegno al credito (Confidi) e il sistema delle garanzie per le piccole e medie imprese di tutti i settori, attivando linee specifiche per la Lombardia attraverso il Fondo centrale di garanzia e sperimentando partnership fra confidi e fondazioni bancarie.
Pensiamo di sostenere le nuove imprese anche attraverso fondi di venture capital ad hoc, destinati anche agli incubatori di ricerca e agli spin-off innovativi delle aziende già esistenti. Vogliamo inoltre rendere più agevole il rapporto con le Università e i centri di ricerca, e offrire un aiuto a imprese e Università per utilizzare al meglio i fondi europei.
Veniamo al mercato del lavoro, che vogliamo rendere più aperto e flessibile. Formazione e accesso facilitato sono centrali nel nostro programma: pensiamo di sperimentare nuovi modelli di ingresso per i giovani, in accordo con le associazioni datoriali e sindacali, in grado di superare le rigidità attuali, garantendo un apprendistato formativo per i diplomati e contratti di ingresso per i laureati sul modello dei vecchi Contratti Formazione Lavoro. Riteniamo inoltre necessario promuovere la contrattazione decentrata e di secondo livello, per permettere la sperimentazione di nuove flessibilità e opportunità occupazionali per i giovani e le categorie più a rischio.
Desidero infine parlare della Dote Lavoro, l’iniziativa con cui la Regione Lombardia sostiene – attraverso la riqualificazione o la ricollocazione – i lavoratori colpiti dalla crisi che percepiscono ammortizzatori sociali in deroga, cassa integrazione straordinaria o che sono iscritti a liste di mobilità ordinaria. Noi vogliamo confermare ed estendere questo importante strumento, che dovrà coprire l'intero ciclo lavorativo e i diversi bisogni: occupazione giovanile, inserimento professionale delle persone con disabilità, ricollocazione dei lavoratori in situazioni di difficoltà (con particolare attenzione al reinserimento dei lavoratori over 50), riqualificazione professionale (anche attraverso esperienze all’estero), autoimprenditorialità. In questo ambito pensiamo di promuovere lo studio di un progetto mirato alla preparazione professionale delle figure richieste da Expo 2015, che rappresenta una grande opportunità per sviluppo del mercato del lavoro lombardo e nazionale, soprattutto per i giovani.

Silvana Carcano

«Vogliamo riportare le persone nei centri delle città»

1) Questi dati dimostrano come il modello della grande distribuzione e dei grandi centri commerciali sia destinato ad essere un modello perdente. Il nuovo modello di sviluppo della rete del commercio che il Movimento 5 Stelle intende portare avanti in Lombardia è quello del sostegno ai negozi di vicinato nei centri cittadini, che riporti le persone nei centri delle città e dei paesi, con una riqualificazione urbana degli stessi. Il Movimento 5 Stelle intende sostenere soprattutto le economie che si basano sulla filiera corta e sul chilometro zero. I soldi devono rimanere il più possibile sul territorio, favorendo lo sviluppo dello stesso e limitando allo stesso tempo elevati impatti ambientali derivati dai trasporti delle merci. Favorendo questo modello riteniamo che i centri urbani possano tornare ad essere veri e propri centri di aggregazione ed esercitare la funzione sociale che li ha caratterizzati nel passato.

2) I Distretti del Commercio sono uno dei rari esempi di buona progettualità da parte del governo regionale negli ultimi vent’anni, pertanto noi riteniamo necessario continuare questo modello al fine di valorizzare, come detto, i centri urbani e le aggregazioni tra Pmi.
Al Movimento 5 Stelle non interessa smantellare tutto ciò che è stato fatto dai precedenti amministratori, vogliamo cambiare completamente obiettivi andando verso un modello di economia sostenibile, ma riteniamo indispensabile dare continuità a quei, seppur pochi, modelli che hanno funzionato in passato, anche se proposti da governatori con cui ci sentiamo in netto contrasto.
I Distretti del Commercio infatti sono stati in grado di fare del commercio un fattore di integrazione, di coesione sociale e di valorizzazione di tutte le risorse di cui dispone un territorio. Permettono la competitività delle realtà commerciali urbane ed una ristrutturazione del contesto in cui si trovano, creando quindi una visione d’insieme e rigenerando completamente il ruolo dei centri urbani. Questo strumento è, a nostro modo di vedere, un esempio concreto di condivisione delle attività necessarie al territorio messo in atto dagli enti locali in concerto con le realtà commerciali, i rappresentanti delle categorie e i cittadini.

3) Le nostre proposte per il rilancio dell’occupazione in Regione lombardia sono le seguenti:
– assicurare servizi stabili ed affidabili per aiutare coloro che creano imprese ed occupazione, supportando in particolare le Pmi (sconti fiscali Irap e Irpef per chi assume con contratti di lavoro stabile, penalizzando chi preferisce contratti atipici);
– fornire servizi mirati per le persone non tendenti “all’occupabilità” bensì all’occupazione, trasformando i centri per il lavoro in perni della ricerca di occupazione e non meri fornitori di servizi per la formazione degli inoccupati e/o disoccupati;
– rendere efficiente la formazione professionale con progetti finalizzati sia all’ingresso nel mondo del lavoro, sia all’approfondimento e integrazione della preparazione professionale mirate ad una ricollocazione qualificata e proficua;
– tendere a servizi universalistici validi per tutti i lavoratori e per coloro che sono in cerca di impiego. I servizi per l’impiego devono rivolgersi a tutti in maniera eguale e non fornire servizi per categorie (giovani, donne in reinserimento lavorativo, soggetti coinvolti in crisi occupazionali, etc), fornendo un reale servizio all’occupazione e alle necessità di flessibilità di lavoro degli inoccupati e disoccupati.

Carlo Maria Pinardi

«Una Lombardia più attrattiva per ridare slancio all’economia»

1) Credo che la grande distribuzione abbia ormai raggiunto la massima capacità produttiva e, se è vero che non dovremo aspettarci passi indietro, è difficile che si verifichino, in generale, passi avanti. È inutile comunque negare che bisogna ripensare al commercio alla luce del restringimento dell’area dei consumi e che per le piccole realtà c’è la necessità di integrare, ottimizzare e rendere il più possibile efficiente la gestione e l’organizzazione. L’attenzione ai negozi di vicinato, che hanno una funzione sociale molto importante, è fondamentale e l’impegno di fondo deve essere non far sentire l’imprenditore abbandonato dalle istituzioni, o peggio ancora vessato, come avviene oggi, dall’eccessiva tassazione e dalla burocrazia. Sto imparando a conoscere questa condizione perché mio figlio ha da poco ha rilevato un bar ed è paradossale vedere che i problemi sono più le normative e un fisco che penalizza chi fa le cose in regola, che la contrazione degli scontrini. Il momento è difficile e negozi ed esercizi chiudono, ma non può essere che chiudano per colpa dello Stato.

2) Il consorzio tra le attività deve essere agevolato in tutti i modi come tutto quando può portare ad un patto di vicinanza nei territori. Per gli esercizi commerciali significa guadagnare efficienza e competitività, pensiamo a gruppi per acquisire i prodotti o allo sviluppo del chilometro zero che permette di ridurre anche solo i costi di trasporto. L’obiettivo comune deve essere l’aumento dell’attrattività dei centri storici, attraverso una precisa caratterizzazione, la capacità di distinguersi. I grandi numeri dell’aeroporto di Orio al Serio rappresentato una grande potenziale per Bergamo, occorre fare in modo che i visitatori non si limitino ad una toccata e fuga.

3) Il lavoro è il primo punto del nostro programma. Il movimento è nato per dare speranze e opportunità ai disoccupati di lungo periodo, alle donne, ai giovani. È un problema di carattere nazionale, di competitività del Paese, ma per quanto compete alla Regione abbiamo precise indicazioni: il recupero dell’efficienza per ridurre l’Irap e l’addizionale Irpef e dare così un segnale per la competitività. Dalla lotta agli sprechi contiamo inoltre di mettere a disposizione risorse per una nuova imprenditorialità nel campo dell’ospitalità. Una priorità del nostro programma è, infatti, far diventare la Lombardia più attraente per i visitatori, promuovendo un’azione a tutto tondo che va dal recupero e dalla riqualificazione dei centri storici e dal patrimonio edilizio alla cultura e a tutte le risorse del territorio. Un punto strategico è entrare in maggiore collegamento con i grandi flussi turistici dalla Cina, dall’India, dal Brasile, senza dimenticare l’Europa. In questo quadro trova posto anche lo sviluppo di un nuovo modello di commercio.   


«Più gioco di squadra
per rilanciare i mercati»

La mattina tra i banchi del mercato, buona parte del tempo che resta ad occuparsi dei problemi degli ambulanti. L’impegno sindacale è parte integrante della giornata di Mauro Dolci, presidente provinciale della Fiva-Ascom, ora vicepresidente vicario nazionale, nominato nella riunione dello scorso 27 gennaio, a conclusione del rinnovo delle cariche federali per il quinquennio 2012-2017.
Cinquantasette anni, di Zogno, Dolci è ambulante da oltre 40 anni, ha infatti cominciato a frequentare le “piazze” di città e provincia dopo la scuola dell’obbligo, lavorando nell’attività alimentare di famiglia. In Associazione è cresciuto al fianco di una figura carismatica come Mario Vanoncini e ne ha raccolto il testimone dopo la prematura scomparsa. Dal 2008 è presidente provinciale, dal 2003 fa parte della Giunta della Fiva nazionale, dove negli ultimi cinque anni ha ricoperto il ruolo di vicepresidente.
Gli operatori sembrano concordi nell’affermare che i mercati stanno perdendo il loro richiamo a causa di un generale appiattimento dell’offerta. È dello stesso parere?
«Credo innanzitutto che alla nostra categoria manchi un po’ di autostima, della capacità di leggere e comunicare gli aspetti positivi piuttosto che soffermarsi solo su ciò che non va. Detto questo, ritengo che se nei mercati sono arrivati prodotti di primo prezzo è perché la richiesta va in questa direzione, la società sta cambiando e le scelte dei clienti, non solo immigrati, si stanno modificando. È il mercato che fa il mercato ed è inutile metterci un banco di cristalli pregiati se poi non si vendono».
Ad “abbassare il livello” concorrono soprattutto gli ambulanti extracomunitari?    
«Il commercio ambulante continua ad attirare gli stranieri perché permette di crearsi un’opportunità di lavoro con investimenti contenuti ed offre, svolgendosi ogni giorno su una piazza diversa, un bacino di clientela più ampio rispetto ad un negozio. Capita così che ci si lanci nell’attività senza una struttura adeguata ed in questo caso non si resiste a lungo. Abbiamo però anche operatori extracomunitari che ormai sono presenti da vent’anni nei mercati e sono riusciti a fidelizzare i clienti».
Come ha influito la crisi sulla spesa al mercato?
«Ha migliorato l’“educazione” agli acquisti e questo è un fatto positivo».
Positivo? Ci spieghi…
«È finito il tempo del consumismo esasperato, c’è più attenzione a come e quanto si spende ed è in quest’ottica che i mercati possono far valere la loro principale prerogativa che è la ricerca del miglior rapporto tra qualità e prezzo. L’offerta non manca e fortunatamente nemmeno la gente che frequenta le bancarelle. Certo è calato il potere d’acquisto, ma è un dato generale».     
Non è comunque di poco conto…
«Il pessimismo di tanti colleghi è dovuto al fatto che si continua a paragonare la situazione attuale con quella di cinque anni fa, occorre invece rendersi conto che quei tempi non torneranno più. Naturalmente si spera in un recupero dell’occupazione che restituisca capacità di spesa, ma bisogna fare i conti con quello che c’è ora, che vuol dire strutturarsi per stare in piedi».
Su quali aspetti occorre agire?
«Una riorganizzazione dell’immagine, perché le merci esposte bene si apprezzano di più, e un minimo di specializzazione sono fondamentali. Se vogliamo essere sinceri non è solo l’aumento dei banchi degli extracomunitari ad aver cambiato il volto dei mercati ma anche una certa “stanchezza” da parte degli italiani. Raramente l’attività passa ai figli – forse più per pregiudizio, perché in fondo non è un settore più duro di altri – e chi rimane pensa più a raggiungere il momento della pensione che a sviluppare l’attività».    
Nel commercio ambulante non conta solo le qualità della singola azienda ma l’attrattività del mercato. Qual è un appuntamento che funziona bene?
«Quello del sabato mattina allo stadio di Bergamo è un bell’esempio. C’è possibilità di parcheggio, è ordinato, tra i 52 banchi c’è una buona rappresentanza di merceologie ed, essendo di sabato, può essere frequentato anche da chi in settimana lavora».
Da tempo lei sostiene però la necessità di passare a nuove modalità di gestione dei mercati, che li possano promuovere e rinnovare. C’è qualche novità?
«I mercati già avviati proseguono lungo le strade consuete e nemmeno sui mercati di nuova costituzione c’è stata qualche svolta. Pensiamo al mercato della Celadina, era interessante l’idea di realizzare un mercato anche al pomeriggio, invece non c’è stato grande riscontro. Il problema di fondo sono i criteri di assegnazione dei posteggi, che premiano l’anzianità di iscrizione al Registro delle imprese ma non servono realmente a selezionare chi su quell’appuntamento vuole investire. Da tempo chiediamo di poter gestire attraverso la Comap, la cooperativa costituita dalle due associazioni provinciali del settore, qualche nuova iniziativa, riscrivendo alcune regole per dare più forza agli appuntamenti».
Come nasce, quindi, il suo mercato ideale?
«Con quasi tutte le merceologie e con la richiesta agli operatori di un impegno economico per il funzionamento e la gestione. Serve a selezionare chi ci crede veramente e intende mettersi in gioco per far crescere l’appuntamento. Ciò darebbe la possibilità anche di fare pubblicità, realizzare iniziative. Il senso è lavorare in gruppo per fare in modo che la gente arrivi, per poi giocarsi lealmente il confronto con la clientela».  
Dai comuni, intanto, arriva qualche supporto alla modernizzazione delle aree?
«Tra problemi di bilancio e patto di stabilità siamo al punto che non possono spendere nemmeno se lo vogliono. Non sono però insensibili sul tema e si riescono anche ad imbastire progetti. Ad esempio, in alcuni paesi, con la Comap, ci siamo assunti la gestione della fornitura elettrica, mentre a Scanzorosciate sempre la cooperativa si è accollata la spesa per la realizzazione di una sessantina di parcheggi su un’area nei pressi del mercato».
I distretti del commercio sono lo strumento che la Regione ha individuato per sostenere i negozi di vicinato. C’è qualcosa di simile per il vostro settore?
«In teoria anche il commercio ambulante rientrerebbe nei distretti, anche se sino ad ora non siamo riusciti ad inserirci nei progetti. Per la verità non sono gli incentivi che cerchiamo, ma la possibilità di lavorare dignitosamente, senza inghippi. Le nostre richieste sono semplici: considerazione e collaborazione. Mentre a Bergamo si ragiona su come salvaguardare il piccolo commercio e il Comune stanzia finanziamenti per le zone a rischio desertificazione, al mercato settimanale in Città alta è rimasto solo qualche banco perché, con il calo del lavoro, i costi dell’occupazione del suolo pubblico non sono più sostenibili…»
La nomina a vicepresidente vicario nazionale è un riconoscimento al suo impegno sindacale…
«È una responsabilità che mi gratifica. Non si tratta però di un risultato personale ma di un traguardo raggiunto grazie alla collaborazione del Direttivo, della segreteria e dell’ufficio della Fiva provinciale».
Quali sono i progetti?
«La “battaglia” sulla Bolkestein è ormai in dirittura d’arrivo. È un successo importante. Siamo riusciti a mantenere le concessioni, ma non si tratta di una pura difesa degli interessi della categoria, quanto piuttosto del riconoscimento positivo della nostra presenza, della professionalità, degli investimenti e della possibilità di dare continuità ad un servizio alla clientela. Tra le novità, stiamo invece mettendo a punto una “certificazione” dei banchi. Come avviene per altre certificazioni di qualità, l’Associazione assegnerà un riconoscimento agli operatori che raggiungono certi requisiti e ne garantirà il controllo. È un segnale per i consumatori e uno stimolo per gli ambulanti».   


Romano, «con la sosta a pagamento
il centro rischia di svuotarsi» 

La scelta dell’amministrazione non riscuote, come prevedibile, consensi tra i commercianti che vedono nei parchimetri nuovi di zecca un ostacolo agli acquisti nel centro storico. Dall’osservatorio privilegiato di piazza Fiume Fiorenzo Pezzetti, titolare dell’erboristeria che si affaccia sull’antica piazza, dice la sua, senza nascondere le proprie perplessità: «Se è per molti versi condivisibile scongiurare il rischio di veder trasformata la piazza in un parcheggio stanziale come in realtà è accaduto sinora, con posteggi occupati dalle stesse auto da mattina a sera, di contro forse era possibile mettere in campo altre soluzioni – spiega -. L’unica speranza è che il comune riveda le tariffe perché il centro di Romano è a rischio desertificazione e con questo provvedimento potrebbe morire del tutto. Prima di sbilanciarsi in giudizi bisogna però aspettare che si concluda questa fase di avvio. Una cosa è certa: di fatto quando nelle scorse settimane comparvero le strisce blu, la piazza si era completamente desertificata».
Federico Selvaggio della profumeria Controcorrente sottolinea l’assenza di un piano organico che incentivi le visite in centro senz’auto: «Il problema è che non c’è un equilibrio tra i parcheggi liberi, che si trovano tutti al di fuori delle Cerchie, e a pagamento. Non ci sono alternative all’auto a differenza di altri contesti: le piste ciclabili sono insufficienti per non parlare dei mezzi pubblici». Lucio Vitali, titolare dello storico negozio d’abbigliamento in via Tadini teme l’impatto della sosta a pagamento: «In questo momento storico anche ottanta centesimi di parcheggio all’ora possono far cadere un castello. Anche se è condivisibile l’idea di favorire la sosta breve in piazza anziché lasciare che venga occupata, come è sempre accaduto, tutto il giorno dalle auto, il pagamento del parcheggio non è certo un incentivo a visitare il nostro centro storico, né a fare due passi per vetrine, acquistare il pane, bere un caffè». I clienti dei negozi si lamentano da mesi: «La gente si sta lamentando: una spesa 80 centesimi per il parcheggio per acquistare qualche piccolo articolo di merceria, dai bottoni al filo, come per bere un caffè in centro, incide enormemente sul budget familiare – allarga le braccia Lucia Carminati, titolare della storica merceria di via Giovan Battista Rubini aperta dal nonno Giovanni Carminati nel 1924 -. Oggi con la crisi si sta bloccando tutto e l’introduzione di ogni nuova spesa è di per sé impopolare ancor prima che venga introdotta». Maria Grazia Braguti, presidente dell’associazione “I negozi di Romano”, cui aderiscono 140 esercizi della cittadina della Bassa e titolare di un negozio di abbigliamento che porta il suo nome in via Colleoni: «Non ho ricevuto come presidente dell’Associazione commercianti del paese alcuna lamentela, ma una cosa è certa: nessuno si aspettava che le strisce blu interessassero così tanti posteggi».