A Natale negozi
testimonial di solidarietà

“Mettici il cuore!… per un Natale aperto alla missione” è lo slogan della nuova edizione della tradizionale campagna natalizia che vede l’Ascom affiancare il Centro Missionario della Diocesi di Bergamo e l’associazione “Pro Jesu” onlus nel sostenere alcuni progetti di solidarietà e al contempo richiamare l’attenzione sul significato della Festività. E un cuore – in pannolenci color panna, tempestato da preziose perle ed arricchito con decorazioni in nastro di raso marrone e scozzese con fili d’argento, il tutto guarnito con spilla gioiello in strass e cristalli – è il simbolo dell’iniziativa di quest’anno, il testimonial che si chiede ai commercianti di acquistare ed esporre per sostenere la campagna. Con un contributo di 15 euro, i negozianti possono ritirare un kit che, oltre all’addobbo a forma di cuore, contiene una locandina con la presentazione della campagna, dei calendarietti-segnalibro da omaggiare ai clienti, chiudipacco natalizi per i regali e la spiegazione del progetto. L’operazione non prevede una raccolta fondi nel punto vendita, ma semplicemente di farsi promotori, grazie al materiale fornito, degli obiettivi e del messaggio dell’iniziativa nei confronti dei cittadini che quotidianamente frequentano gli esercizi. L’invito a partecipare è rivolto, in particolare, ai dettaglianti alimentari, agli ambulanti della Fiva in occasione delle bancarelle di Santa Lucia, ai panettieri dell’Aspan, chiamati anche a realizzare per l’occasione un pane a forma di cuore, e agli operatori turistici attraverso il coordinamento del Consorzio di promozione turistica della Città di Bergamo. Anche i pasticceri del Capab e il distretto del commercio Bergamo Centro sono stati coinvolti.
I fondi raccolti quest’anno andranno a sostegno di quattro progetti dedicati al futuro di ragazzi e giovani, in Bolivia, Costa d’Avorio, Terra Santa e Albania. In Bolivia l’intervento si inserisce in una lunga esperienza di sostegno alle famiglie ed ai più piccoli nei “Clubs de Madres” ed è affidato a Suor Giusy Manenti, della comunità delle Suore del Bambino Gesù, nella zona dell’altipiano di Potosì. Qui da qualche anno le suore hanno iniziato ad organizzare brevi corsi di economia domestica, taglio, cucito e confezionamento di abiti tipici della cultura andina con l’obiettivo di offrire un’opportunità di crescita sociale e culturale. In Costa d’ Avorio, invece, il “Centro Sanitario Palazzolo” delle Suore delle Poverelle ha come scopo principale quello di aiutare i poveri e la raccolta fondi vuole sostenere la realizzazione di un laboratorio di analisi ed ottenere il riconoscimento della struttura a “Centro Medico-sociale”, così da avere il diritto ad un medico ed un tecnico superiore per le analisi di laboratorio inviati dal Ministero della Salute. In Terra Santa i cristiani vivono in una situazione di fatica e indigenza, faticano a trovare un posto di lavoro, a sostenere le semplici spese quotidiane, a permettere a ragazzi e giovani di frequentare la scuola e raggiungere un sufficiente livello di preparazione. Per questo motivo la campagna sosterrà percorsi scolastici formativi e professionali, nell’ambito di un progetto affidato a padre Pierbattista Pizzaballa, bergamasco, Custode di Terra Santa. In Albania, infine, l’obiettivo è realizzare una chiesa per la comunità parrocchiale di Shengjin, un paese di circa 5.000 abitanti sulla costa, nella diocesi di Lezhe, a maggioranza cattolica.
La campagna coinvolge ogni anno molte altre realtà territoriali e si articola in numerose iniziative. A cominciare dal Concerto di Natale nella basilica di Sant’Alessandro nell’ambito del quale sarà assegnato il premio “Beato Papa Giovanni XXIII” ai missionari bergamaschi. E ancora: il coinvolgimento delle scuole e degli oratori nel concorso “Mettici il cuore!… anche tu”, la presenza della “Luce di Betlemme”, la capanna con la Natività sul Sentierone, la possibilità di acquistare e donare il “panettone della Solidarietà”, la vendita di presepi e oggetti provenienti dal sud del mondo a Oriocenter, il servizio di confezione dei pacchi all’Iper di Seriate, una serata con le esperienze di giovani impegnati nelle missioni, un concerto del coro Idica, per concludere con la meditazione musicale “Il cuore dei Magi” il 6 gennaio nella Chiesa parrocchiale del Sacro Cuore a Bergamo. Si possono sostenere i progetti anche attraverso il sito www.websolidale.org, che vende i presepi on line e dà la possibilità di inviare gli auguri natalizi via internet tramite la “Cartolina solidale”.
L’Ascom, che sin dall’inizio è stata tra i promotori della campagna, rivolge anche quest’anno l’invito ai propri associati a condividere questo percorso, con l’obiettivo «di far conoscere sempre di più la proposta per una sempre maggiore sensibilizzazione».


Supermercati in franchising,
l’allarme dei gestori

I dati lo indicano come una formula che regge davanti al calo dei consumi, un sistema che, pur toccato – come tutti – dalla crisi, ha dalla sua parte elementi capaci di offrire maggiore competitività alle aziende commerciali. In effetti il franchising – con la sua dotazione di esperienza, prodotti, ambiente, immagine e comunicazione già collaudati – rappresenta una strada più semplice rispetto al “fai da te”, sia per i negozianti che vogliono aggiornare la propria offerta in una chiave più moderna sia per chi vuole lanciarsi per la prima volta in un’attività in proprio, prospettiva oggi presa in maggiore considerazione per via delle difficoltà occupazionali.
Secondo il rapporto di Assofranchising, ad esempio, lo scorso anno in Italia il fatturato dei franchisor, ossia le aziende affilianti, è aumentato di 166 milioni di euro (+0,7% rispetto all’anno precedente, +2% nel biennio 2009-11) ed i punti vendita, al netto delle chiusure, sono saliti di 83 unità (+0,2%), una lieve positività che diventa ben più significativa paragonata alla generale flessione del numero di aziende commerciali.
Ma la crisi, se da un lato accende l’interesse sull’affiliazione, dall’altro ne evidenzia i problemi. Per supermercati e market, in particolare, Renato Rodigari, presidente del gruppo gastronomi e salumieri dell’Ascom, oggi parla di vero e proprio allarme, della necessità non più prorogabile di rivedere i rapporti tra le grandi catene ed i gestori, perché è su questi ultimi che finiscono per ricadere le maggiori conseguenze del difficile momento economico. «In Bergamasca – afferma – ormai tutti i supermercati appartengono ad una rete in franchising, indipendentemente dalla superficie. Anche il piccolo market sotto casa si trova a dover affrontare un passaggio, in pratica, obbligato se vuole rimanere sul mercato. Il franchising, in questo settore, non è più un aspetto particolare della distribuzione, ma rappresenta la forma prevalente in cui vengono esercitate le attività, non solo a Bergamo ma in tutta Italia. Questo nuovo scenario fa nascere l’esigenza di maggiore attenzione e supporto alle imprese, che come Ascom ci stiamo impegnando a portare avanti a livello nazionale».
I gestori, o franchisee, lamentano gli eccessivi vincoli imposti dall’azienda madre, che in tempi di crisi arrivano a minacciare la sostenibilità e la sopravvivenza dell’attività. «I contratti sono differenti a seconda del marchio – spiega Rodigari –, in media, comunque, un punto vendita è obbligato ad acquistare il 98% dei prodotti dalla società affiliante, a seguire politiche di prezzo imposte e a partecipare alle promozioni e alle raccolte punti sostenendone le spese. A carico del gestore ci sono poi i costi del personale, delle utenze, l’affitto e la manutenzione ordinaria, solo per citare le principali». L’imprenditore si trova così stretto tra due fuochi che gli lasciano ben poco margine di azione. «In pratica – prosegue il presidente – non ha autonomia nella gestione e, anzi, spesso si trova addirittura costretto ad agire contro la propria scelta imprenditoriale, eppure risponde personalmente dell’andamento dell’attività senza ricevere alcun supporto dal franchisor in caso di difficoltà. Detto fuori dai denti, la catena si prende i vantaggi, mentre se ci sono delle perdite se le accolla tutte il gestore».
Le ragioni di questo squilibrio sono dovute al diverso peso degli attori in campo. L’avvocato Barbara Bari sta seguendo alcune vertenze tra affiliati e franchisor in Bergamasca ed ha avuto modo di approfondire l’argomento analizzando vari contratti relativi ai supermarket. «La legge che ha introdotto in Italia l’istituto giuridico del franchising – spiega – è del 2004. Di per sé contiene regole precise e oggetti specifici che devono essere contenuti nei contratti, nella prassi, però, avviene che i contratti sottoscritti sono quelli predisposti dall’affiliante, ossia dai grandi gruppi della distribuzione organizzata che, naturalmente, li impostano a proprio favore. Ciò capita in primo luogo perché nella maggior parte dei casi si contravviene all’obbligo di trasmissione 30 giorni prima della firma all’affiliato, che non ha quindi la possibilità di approfondire le condizioni né di ottenere modifiche che ristabiliscano l’equilibrio tra le parti». Tra gli aspetti maggiormente fonte di controversie c’è il fatto che «gli affiliati non vengono informati o lo sono in modo parziale degli investimenti iniziali richiesti – prosegue l’avvocato – e che non riescono ad avere un quadro preciso delle potenzialità del punto vendita e dei costi di gestione».
Il nodo sta perciò nell’avvio del rapporto. «Da parte degli imprenditori c’è un po’ di timore reverenziale – ammette Rodigari – nei confronti di questi colossi e non si pensa di poter controbilanciare le loro proposte, spesso presentate quasi come delle concessioni. La prima azione che l’associazione di categoria oggi può fare è migliorare l’informazione, consigliando per lo meno di valutare con un professionista il contratto se non addirittura proponendo un servizio apposito di consulenza». «Oltre a richiedere che vengano riportate nel contratto tutte le informazioni che il franchisor fornisce all’affiliato in tema di investimenti e spese di gestione del punto vendita – dice l’avvocato Bari -, si può consigliare di mettere nero su bianco altri punti importanti come la descrizione del know-how e del tipo di consulenza commerciale che saranno forniti al gestore, gli ambiti e le estensioni della clausola di esclusiva, la durata del contratto e gli obblighi di riservatezza sul know-how acquisito». «Le condizioni – rileva Barbara Bari – possono anche variare in base alla posizione del punto vendita, alla qualità del bacino di utenza o a particolari esigenze. Il momento economico porta inoltre a ipotizzare di prevedere una revisione periodica delle voci, che tenga conto di fattori come il calo dei consumi e l’aumento dei costi». 
Tra gli altri aspetti gravosi e penalizzanti segnalati dagli affiliati ci sono la presenza di una fideiussione “a prima richiesta” che il franchisor può far valere a fronte di un qualsiasi inadempimento, la difficoltà a raggiungere i target fissati e, nel caso il rapporto si incanali verso la conclusione, problemi legati alle modalità e ai tempi di preavviso (che vanno ad investire anche i dipendenti) e a farsi riconoscere l’eventuale incremento di fatturato realizzato durante la gestione. «Le difficoltà, come si vede, sono molte – riassume Rodigari – e la crisi le sta accentuando, per questo crediamo serva un intervento su base nazionale che tuteli gli imprenditori. I vincoli eccessivi stanno mettendo a rischio un importante valore per il sistema commerciale, che è la conoscenza che il gestore ha delle specificità territoriali e la capacità di modulare l’offerta in base a queste». «Il riequilibrio tra le parti è legato al contratto – conclude l’avvocato -, ma anche qualche ritocco alla legge, prevedendo ad esempio sanzioni più immediate e pesanti in caso ci si discosti dalla norma, potrebbe dare una mano».


Consumi, il bar è ancora
“re” nel fuoricasa

Nonostante le difficoltà economiche e nonostante la spesa per i consumi alimentari domestici sia in forte calo, gli italiani continuano a spendere nei pubblici esercizi, soprattutto nei bar.
Con 1,5 miliardi di consumazioni all’anno il bar rimane il luogo preferito dagli italiani per fare colazione. Sono almeno 20 milioni gli italiani a cui capita, più o meno saltuariamente, di entrare al mattino in uno dei 172 mila bar dislocati nelle città, nelle stazioni ferroviarie, negli aeroporti e lungo la rete autostradale.
Il profilo del consumatore tipo della colazione fuori casa ha tra i 25 e i 44 anni, un diploma di scuola media superiore ed è lavoratore dipendente. E’ soprattutto per questo, ovvero in conseguenza della contrazione dei livelli di occupazione, che anche la colazione fuori casa ha risentito degli effetti della crisi di questi anni.
Con uno scontrino medio di 2,60 euro la colazione al bar genera un volume d’affari di 3,9 miliardi di euro pari al 21% del valore complessivo delle vendite del canale.
Brioche e cornetti, quasi sempre accompagnati da caffè o cappuccino sono la combinazione preferita per la colazione al bar. In crescita, ma ancora marginale, il consumo di prodotti alternativi come spremute, succhi di frutta, spremute, yogurt e cibi salati.
Il prezzo medio della tazzina di caffè è 0,93 euro mentre quello del cappuccino è di 1,25 euro.
Per il presidente Fipe-Confcommercio, Lino Enrico Stoppani «È encomiabile la capacità con il quale il Pubblico Esercizio italiano riesce a mantenere il prezzo della tazzina a prezzi fortemente inferiori rispetto alla media europea, con costi per il servizio che imporrebbero un pubblico riconoscimento per un servizio che meriterebbe ben altri prezzi».
Nell’ultimo anno la dinamica dei prezzi della caffetteria si è mantenuta costantemente (e largamente) al di sotto dell’inflazione generale. Anche per la pausa di metà mattina o per il break pomeridiano il bar rimane, con oltre il 40% delle occasioni di consumo, il luogo più frequentato dagli italiani.
Con una densità di 2,8 esercizi ogni mille abitanti, un orario medio di apertura giornaliero che supera le dodici ore, il bar è il luogo di prossimità per eccellenza. La Lombardia è la regione con la maggiore presenza di bar. Ve ne sono circa 30mila, pari al 17% del totale. Ma altrettanto importante è la diffusione dei bar in Veneto, Lazio e Campania. La densità aumenta sensibilmente, per diverse ragioni non ultima la vocazione turistica, in Valle d’Aosta (4,6), Liguria (4,4) e Sardegna (3,8).
Nel mondo del bar sono occupate 351mila persone. Degli oltre 200 mila lavoratori dipendenti 122 mila sono donne e 24mila hanno un contratto di apprendistato. I dipendenti stranieri sono il 22% del totale. Ma le donne hanno un ruolo di rilievo anche come imprenditori. Oggi le imprese che hanno almeno una donna con una carica attiva nelle imprese del settore sono il 56,5% del totale. Nel Nord ci sono regioni in cui la quota sfiora il 70%. Al di sotto della media si collocano quasi tutte le regioni del Mezzogiorno, dove nell’immaginario collettivo il bar è ancora vissuto come un luogo a forte caratterizzazione maschile. Al contempo è enormemente cresciuto il numero di imprenditori di origine straniera. La media nazionale è del 10,2%, ma in alcune regioni del nord si supera il 15%. Anche in questo caso l’incidenza più bassa si registra al sud dove il settore è ancora presidiato dall’imprenditoria endogena.


Panificatori, l’Aspan
investe sulla formazione

Il personale ben preparato è una ricchezza per l’impresa (e per tutto il territorio). I panificatori dell’Aspan lo sanno bene ed è per questo che non si sono limitati a ripetere il concetto a mo’ di slogan, ma si sono dati da fare per tradurlo in realtà. Si sono infatti attivati per promuovere – attraverso l’Abf, l’azienda speciale per la formazione della Provincia – l’avvio di un corso per operatore della panificazione e della pasticceria nella Bassa Bergamasca ed hanno sostenuto direttamente i costi per l’allestimento e le attrezzature del laboratorio, oltre a fornire la docenza nelle materie di propria competenza.
Il corso è partito quest’anno a Castel Rozzone, dove è già attivo da un anno un percorso per operatori del legno, e nei giorni scorsi si è tenuta l’inaugurazione ufficiale. Si tratta di un corso di formazione triennale che permette di assolvere all’obbligo scolastico dopo la terza media e di conseguire un attestato di Qualifica di II livello europeo. Una proposta che ha intercettato le aspirazioni dei ragazzi, visto che al debutto ha ricevuto richieste di iscrizione quasi doppie rispetto ai 25 posti disponibili, assegnati ad estrazione.
«Abbiamo fatto un importante sforzo economico – afferma il presidente dell’Aspan Roberto Capello – perché siamo convinti che la qualità dell’impresa e del prodotto sia influenzata dal livello e dalla formazione degli operatori. Le nostre aziende della zona manifestavano già da tempo la necessità di addetti qualificati, difficili da trovare nelle vicinanze probabilmente perché la sede di Bergamo risultava troppo distante per i ragazzi, così è nata l’idea di metterci in gioco in prima persona per sfornare i nuovi potenziali panificatori: è un’operazione che testimonia la volontà della categoria di costruirsi il proprio futuro».
Il laboratorio può contare su due forni, due impastatrici, sfogliatrice, formatrice, tavoli, insomma tutta l’attrezzatura che lo studente potrà trovare in un panificio di medie dimensioni. «Un elemento qualificante – tiene a sottolineare Capello – è che le lezioni sono tenute da panificatori in attività, questo, se da un lato è penalizzante per gli operatori, che devono sottrarre tempo alle proprie imprese, dall’altro ha il grande vantaggio di offrire ai ragazzi la visione del mercato aggiornata a cinque minuti prima dell’ingresso in aula del docente. È vero infatti che il pane ha una tradizione millenaria, ma è altrettanto vero che i gusti e le richieste variano di continuo e la grande capacità richiesta al fornaio è saperle intercettare e soddisfare».
Anche il direttore del Cfp di Castel Rozzone, Primiano Braccia, sottolinea il valore del contatto diretto con gli imprenditori. «Trattandosi di un corso che deve soddisfare l’obbligo scolastico – spiega – sono previste materie tradizionali come italiano, storia, geografia, scienze, informatica e inglese, ma, oltre alla pratica effettuata in laboratorio, hanno un grande peso anche gli stage nelle aziende, che permettono agli studenti di rendersi conto della realtà lavorativa». «Come dimostrano le numerose domande di iscrizione – prosegue -, l’interesse per la proposta è alto, forse perché è un’attività che dà spazio alla manualità e alla creatività e si realizza un prodotto sempre apprezzato. Una riprova viene dal successo incontrato anche dal corso serale per adulti, articolato in 370 ore compresi laboratori e stage, che ha raccolto una ventina di iscritti, tra giovani e chi si vuole reinventare una carriera, ancor più significativo se si pensa che, a differenza di quello per i ragazzi, è a pagamento».
Ma tutti questi aspiranti panificatori e pasticceri troveranno lavoro? «Per l’artigianalità di qualità ci saranno sempre prospettive – risponde senza esitazione il presidente Capello -. Per confortare le nuove leve possiamo ricordare inoltre che la nuova modalità di acquisto del pane, spalmata durante tutto l’arco della giornata, ha alleggerito il lavoro, spostando l’attività dal cuore della notte ad un’organizzazione che privilegia il servizio just in time, ossia l’offerta di pane fresco il più caldo possibile. Questa evoluzione ha, tra l’altro, favorito l’aumento delle donne addette alla produzione, è bene perciò suggerire anche alle ragazze di prendere in considerazione l’idea di frequentare un corso di panificazione».
Il nuovo laboratorio si propone anche come punto di riferimento per chi l’attività ce l’ha già, per la cosiddetta formazione continua. «Uno dei pregi della nostra categoria – dice Capello – è la disponibilità a condividere le conoscenze, forse perché ci si è resi conto che il concorrente non è il forno vicino, ma i prodotti alternativi al pane, e che se è alto il livello complessivo dell’offerta artigianale ci guadagnano tutti. La nuova struttura potrà perciò ospitare anche incontri e seminari di aggiornamento».  
Il corso di panificazione di Castel Rozzone si aggiunge a quelli già attivati da Abf a Bergamo e a Clusone. Aspan, che ha fatto del raccordo con la scuola una sua priorità sin dalla fine degli anni Ottanta, cura inoltre la docenza del percorso che si svolge alla Fondazione Istituto Sordomuti di Torre Boldone e la formazione per i detenuti nel laboratorio di panificazione attrezzato nel carcere di Bergamo.
Nell’attesa della nuova annualità, i ragazzi interessati ad intraprendere questa professione possono segnarsi le date degli open day organizzati da Abf: il 24 novembre e il 19 gennaio a Castel Rozzone, 15 dicembre a Bergamo in via Gleno e a Clusone, dove si replica il 19 gennaio.


Dall’Incubatore al Point, «così le idee
d’impresa potranno crescere ancora»

Come le idee imprenditoriali che nel corso della loro permanenza nell’Incubatore spesso si modificano ed evolvono per centrare al meglio il proprio obiettivo, anche il progetto camerale di accompagnamento alla nascita di imprese giovani ed innovative non è rimasto fermo e nel tempo ha individuato nuovi ambiti e strumenti di sviluppo. Lo ha fatto dotandosi di una sede tutta sua – il Centro formativo per la creazione d’impresa a Brembate Sopra, che ha permesso di raddoppiare il numero di iniziative ospitate – e focalizzando man mano l’attenzione su temi emergenti, come il turismo, le nuove tecnologie e la green economy. Le nuove sfide sono quelle legate al contesto sempre più difficile con il quale le imprese sono chiamate a confrontarsi e alla maggiore complessità dei progetti stessi. L’undicesima annualità, i cui risultati sono stati presentati nei giorni scorsi insieme con il bando per il 2013 (le domande devono essere presentate entro il 7 dicembre, i dettagli su www.incubatore.bergamo.it), ha ospitato 15 realtà, tutte già operative sul mercato, cinque delle quali legate al turismo, cinque alla sostenibilità ambientale ed energetica e 12 caratterizzate da un’impronta tecnologica.
Per molte di loro si tratta della prosecuzione dell’esperienza e talvolta dello sviluppo di un nuovo progetto, magari proprio a partire dall’incontro “alla macchina del caffè” di colleghi con competenze in settori diversi. «Una delle esigenze che più si avvertono ora – ha spiegato il responsabile del progetto, Giovanni Fucili – è quella di un accompagnamento più lungo, perché le idee sono più articolate o si evolvono durante il percorso, il mercato è più difficile e c’è la necessità di farsi comprendere». La permanenza più essere prolungata fino a tre anni, ma c’è anche una nuova prospettiva. «L’obiettivo dell’Incubatore – ha ricordato Giorgio Ambrosioni, componente del CdA di Bergamo Sviluppo, l’azienda speciale della Camera di Commercio che realizza l’iniziativa – non è solo quello di fare emergere l’innovazione ma di darle concretezza, la solidità per rimanere sul mercato e fornire nuovi spunti alla nostra economia. In questo senso il Point, il Polo per l’innovazione tecnologica di Dalmine, appare come una sede privilegiata per le attività nate a Brembate Sopra, un luogo che offre le condizioni e le esperienze per creare sinergie, un’occasione di rigenerazione del Point stesso». «Per molto tempo l’industria è stata il settore portante in Bergamasca, ma può esserlo anche il terziario avanzato ed è grazie alla scommessa che avete fatto – ha detto rivolgendosi ai neoimprenditori – che si può colmare il gap nel nostro sistema produttivo. Ci si interroga sempre più spesso sul futuro del nostro territorio, ebbene, credo che le chiavi si possano già trovare nei vostri progetti».
Intanto a rappresentare qualcosa di più di un buon auspicio per le aziende che prima o poi lasceranno la struttura ci sono le performance sin qui messe a segno. «In dieci anni – ha ricordato il direttore di Bergamo Sviluppo Cristiano Arrigoni – ha selezionato 104 progetti, di cui 84 sono stati realizzati, ossia il 75%. Settanta sono ancora attivi, pari al 90%. Il progetto, unico in Italia portato avanti da una Camera di Commercio, ha ricevuto inoltre numerosi riconoscimenti e si è articolato in nuove iniziative. Tra le ultime, la formazione e l’assistenza per la partecipazione ai concorsi Start Cup Bergamo e Lombardia e la collaborazione con il Rotary Club Bergamo con cui sono stati avviati percorsi di assistenza e mentoring per le imprese in uscita, che richiedevano, appunto, di potersi confrontare con manager, imprenditori e professionisti esperti». L’affiancamento sarà potenziato nel 2013. «È realizzato attraverso il programma Virgilio – ha spiegato Fabio Bergamaschi – che opera da più di vent’anni con tutte le Camere di Commercio d’Italia. A Bergamo gli iscritti al Rotary sono 560 e possono diventare tutor dei nuovi imprenditori». A dare ulteriori stimoli alla struttura ci pensano i partecipanti. «Un grosso problema è trovare finanziamenti – ha rilevato Sergio Cocco di Wineamore – che possono riguardare sia il capitale per far crescere il progetto sia la liquidità. È un peccato che non possano essere messe meglio a frutto le percentuali così alte di successo che l’Incubatore può vantare e il valore rappresentato dalla selezione e dall’accompagnamento realizzati da un ente qualificato e super partes come la Camera di Commercio». Pur riconoscendo di trovarsi già in una posizione privilegiata, che apre molte opportunità, un’altra difficoltà, segnalata da Sergio Forleo di Maply, è quella di farsi ascoltare. «Sembra più che altro un problema di mentalità – afferma -, solo riuscire a parlare al telefono con chi potrebbe essere interessato alla proposta è un’impresa».
 
LE ESPERIENZE
Il portale di moda pensato per i piccoli negozi
 

L’idea di mettere a punto un nuovo prodotto o servizio molto spesso nasce da un proprio bisogno, la classica lampadina che si accende constatando che, in una certa situazione, servirebbe quel certo aiuto. Luca Ubiali, sviluppatore web di 31 anni, non fa mistero di non sapersi destreggiare nella scelta dell’abbigliamento, per questo ha pensato ad un modo per rendere più semplice trovare il proprio look tra le molteplici offerte del settore, utilizzando il canale che più gli è congeniale.
All’interno dell’Incubatore d’Impresa, ha messo a punto www.vestibilia.com, una piattaforma dalla doppia anima. Da un lato è un social network dove le appassionate e gli appassionati di moda possono condividere i propri outfit, mettere cioè in rete, sentendosi un po’ come le blogger diventate vere e proprie guide per lo stile, le fotografie dei capi, degli accessori e degli abbinamenti che si ritiene possano fare tendenza e dove scambiarsi opinioni, consigli e informazioni sugli acquisti. Dall’altro è uno spazio aperto a brand e negozi, che possono allo stesso modo mostrare le proprie proposte, le novità, i prezzi e le offerte. «Andare per negozi senza un obiettivo preciso – confessa -, mi mette in crisi, così ho pensato a qualcosa che permettesse di farsi un’idea in anticipo di quello che può fare al proprio caso, di individuare il prezzo, il punto vendita che lo propone e andare a colpo sicuro».
La parte “social”, gratuita, è funzionale a creare un’ampia platea composta da appassionati di moda, da chi vuole essere sempre aggiornato, chi vuole esprimere la propria creatività nel vestire o semplicemente da chi vuole saperne di più accedendo alle diverse sezioni e categorie. Per i negozi è prevista la possibilità di una presenza “base” gratuita, alla quale possono essere affiancati, a pagamento, funzionalità più avanzate o servizi di supporto. «È un portale – spiega l’ideatore – pensato soprattutto per le piccole attività, che solitamente non riescono a sviluppare la propria presenza on line. Attraverso il sito potranno, ad esempio, avere le statistiche sulle visite, dare visibilità alle offerte, ai marchi, creare pagine personalizzate, ma anche promuovere eventi o contest tra gli iscritti alla piattaforma, il tutto in maniera semplice, proprio perché possa essere curato anche dalle piccole insegne indipendenti». Il servizio partirà su Bergamo, ma è replicabile in altre zone. Al momento si stanno raccogliendo le adesioni – ed i pareri – dei commercianti, la previsione è di aprire lo spazio al pubblico della rete nella prima metà del nuovo anno.
 
Gli AcchiappAnimali voglio aprire nuove sedi
 
La rassegna stampa – che spazia dai quotidiani e dai telegiornali nazionali alle trasmissioni più seguite fino ai periodici per tutte le età – la dice lunga sull’interesse suscitato dall’iniziativa. Ma dietro al clamore per un servizio atteso, anche perché investe spesso le sfera affettiva, ci sono risultati capaci di dargli solidità. A luglio del 2010, sulla soglia dei trent’ani, due educatori cinofili, Andrea Granelli e Luca Spinelli, hanno dato vita all’associazione AcchiappAnimali, portando in Italia, e in Europa, le tecniche per il ritrovamento di animali smarriti apprese a Seattle da Kat Albrecht, la prima pet detective degli Stati Uniti, che con un suo libro li ha “illuminati” su una nuova attività da fare con i cani e per i cani. Il sistema parte dall’analisi del profilo dell’animale scomparso – cani e gatti soprattutto, ma non solo – che porta ad individuare i motivi dell’allontanamento e la zona che potrebbe aver raggiunto e ad intervenire con una serie di strumenti, dai maxiposter facilmente leggibili anche da chi è in macchina agli appostamenti, alle fotografie notturne fino al posizionamento di gabbie di recupero. Nelle ricerca hanno un ruolo fondamentale i loro cani, Napoleone, un Setter irlandese di sette anni, e Grace, Bloodhound di due anni e mezzo, appositamente addestrati a seguire con il loro fiuto le tracce dello scomparso. «In due anni – racconta Andrea – abbiamo seguito 400 casi e il tasso di ritrovamento è dell’80% quando l’intervento è richiesto entro le 48 ore dalla scomparsa e del 70% sul totale delle chiamate». Il loro approdo all’Incubatore è legato alla prospettiva di espansione. «Le richieste sono molte – prosegue – ed essendo solo in due non possiamo soddisfarle tutte. Stiamo pensando di organizzare dei corsi di formazione e dare vita ad altre sedi, in particolare al centro e al sud, dove oggi non riusciamo ad intervenire di persona. Ci siamo rivolti all’Incubatore soprattutto per le consulenze giuridiche e commerciali, sui contratti e le modalità su cui impostare i rapporti con le altre sedi». Andrea e Luca sono impegnati anche nel loro centro cinofilo, Dogzone, in città, l’unico con piscina per la riabilitazione, e stanno mettendo a punto nuove idee per prevenire le fughe, dedicate questa volta ai canili e agli allevatori. «Quella di AcchiappAnimali è comunque un’attività di cui si può vivere – rileva Andrea -. Certo è un lavoro impegnativo, che prevede anche appostamenti notturni o di correre per chilometri, anche lungo una ferrovia o una strada provinciale, quando il cane ha fiutato una pista. Occorre una forte passione per la natura e gli animali, ma le soddisfazioni non mancano». «I costi del servizio di ricerca non sono eccessivi – dice – ma li abbiamo voluti fissare, anziché prevedere la libera donazione, per selezionare in qualche modo, tra i tanti casi di scomparsa che si verificano, i proprietari più motivati, anche perché loro stessi hanno un ruolo attivo nelle operazioni».


«Con le promozioni prima dei saldi
una dannosa guerra ai ribassi»

La liberalizzazione delle vendite promozionali a ridosso dei saldi, adottata in via sperimentale in Lombardia da questa estate, sta creando più di un malinteso, a partire dalla libera associazione “promozioni- anticipo dei saldi invernali”.  La probabile origine di tale equivoco, in cui sono incappati anche i  media nazionali, sta nella sperimentazione che la Regione ha messo in campo, sospendendo il divieto delle vendite promozionali nei trenta giorni antecedenti i saldi.
La stessa Federazione Moda Italia, aderente al sistema Confcommercio, ha precisato, per voce del presidente Renato Borghi, che non può esserci confusione al riguardo e che i saldi invernali partiranno il 5 gennaio prossimo, data unica scelta anche quest’anno sulla scia dell’esempio positivo adottato l’anno scorso grazie all’azione di FederModa e Federdistribuzione intrapresa nell’ambito della conferenza Stato- Regioni.
Ascom intende ribadire agli operatori del settore moda del proprio territorio – ed anche chiarire ai consumatori desiderosi di cogliere le migliori opportunità di acquisto in questo periodo economico di certo non favorevole – che la merce in saldo sarà a disposizione della clientela solo a decorrere dal prossimo 5 gennaio. Nella nostra provincia, come nel resto della Lombardia che ha adottato la via della sperimentazione, non vi sarà alcun divieto di effettuare promozioni a partire dal 5 dicembre. Ma la gelata dei consumi sta surriscaldando il clima di concorrenza tra insegne e non mancano interpretazioni poco ortodosse delle “promozioni”. L’errore fatale nasce infatti dall’interpretazione scorretta delle vendite promozionali, snaturate nella loro essenza e finalità: “Le promozioni nascono per acquisire nuovi clienti e invitare agli acquisti di un capo, o comunque di un numero ristretto di articoli, proposto ad un prezzo scontato per un periodo limitato, come ancora oggi accade nell’elettronica di consumo – sottolinea il presidente del Gruppo Moda e Abbigliamento Diego Pedrali -. E invece si vedono sconti del 40-50 e addirittura 60 per cento. Percentuali mai viste, rare da trovare in occasione dei saldi, che di certo non contribuiscono a salvare la stagione, né tanto meno a rafforzare la categoria, impegnata in un’infruttuosa lotta al ribasso del cartellino. Si stanno creando reazioni a catena e veri e propri effetti domino a danno delle stesse imprese che per timore sperano di risollevare la stagione tagliando i prezzi. E’ importante evitare l’effetto strike a bowling  con un birillo che cadendo fa cadere nello stesso destino tutti gli altri”.
Un Far West all’insegna della deregulation, con sconti e ribassi mai visti: “Un’autoriduzione dei propri margini – da cui non si scappa, tra tasse e contributi da versare e studi di settore – che di certo non contribuisce a risollevare la stagione, ma anzi non fa che affossare l’intero comparto” continua il presidente che ricorda che, ad essere contrari alle vendite promozionali in base a quanto emerge dai sondaggi, sono gli stessi commercianti, il 62,5% degli imprenditori Ascom partecipanti al questionario effettuato dall’Associazione la scorsa estate.
“La richiesta è quella di mantenere il divieto, abrogato sperimentalmente in Lombardia, di effettuare vendite promozionali nei trenta giorni antecedenti ai saldi. Il desiderio espresso dalla categoria è quello di procrastinare la data di inizio dei saldi, nati come vendite di fine stagione e quindi snaturati nella loro essenza, visto che cadono nel cuore, se non all’inizio della stagione”. Le previsioni, con consumi simili al Dopoguerra, invitano all’unione e non alla divisione o alla lotta al ribasso del cartellino: “Le previsioni del nostro Ufficio Studi evidenziano già un Natale gelido per i consumi. Gli acquisti saranno come nel secondo dopoguerra prevalentemente alimentari – continua Pedrali -. Tra i regali di Natale le calzature occupano il nono posto delle priorità degli italiani, l’abbigliamento oscilla tra la 14esima e la 18esima posizione, ricoperta rispettivamente da cappotti, giacconi e giubbini e da abiti e tailleur. Se c’era una stagione in cui dovevamo stare uniti era proprio questa e invece la liberalizzazione ha portato ad un clima di concorrenza aspra, quasi una lotta per la sopravvivenza con il motto “Mors tua, vita mea”. Non è questa l’exit strategy: “La svendita non rappresenta certo lo strumento per rimettere in piedi il settore. Facendo sistema si possono ottenere risultati importanti, ad esempio sul fronte delle forniture  dove le richieste da parte delle case madri sono spesso insostenibili. Sia Federazione Moda Italia che Ascom stanno facendo di tutto per portare avanti, grazie all’azione sindacale, dalla revisione delle condizioni generali di vendita alla richiesta di regolamentazione dei temporary shop alla lotta alla contraffazione” .
Se il presidente di Confcommercio Sangalli ha evidenziato il rischio che si scateni una tempesta perfetta sul Paese, Pedrali rincara la metafora meteo: “Non vorrei che dal Natale freddo, come emerso dai sondaggi sui consumi, si scateni una tempesta che abbiamo contribuito in parte noi stessi a creare. I problemi non mancano e i risvolti sono sempre più drammatici, tra saracinesche abbassate per sempre e imprenditori che arrivano al gesto estremo di togliersi la vita”. Il dato relativo alle chiusure è allarmante: “Nei primi nove mesi dell’anno hanno chiuso 9.500 insegne di moda e abbigliamento  italiane. Negli ultimi due anni, 21mila negozi sono stati costretti ad arrendersi alla crisi”. Anche  i dati più recenti di Sistema Moda Italia danno l’ idea dell’impatto della crisi: “Secondo l'elaborazione, nel 2012 l'industria del Tessile-Moda nazionale registrerà  un fatturato inferiore ai 50,5 miliardi di euro (contro i 52,8 miliardi di euro del 2011), un calo del 4,4% che sfiora i 3 miliardi di euro. Questo significa che si ripercuoterà inevitabilmente sui negozi e sulle attività che operano nel settore”.
 
IL SONDAGGIO / A proposito delle promozioni prima dei saldi
La maggioranza dei commercianticontraria all’abrogazione del divieto

 
Per sondare gli umori dei commercianti del settore abbigliamento e pelletteria nei confronti delle “promozioni libere” svincolate da ogni limite, Ascom ha inviato alle imprese associate un questionario alla fine dello scorso luglio. I commercianti del Gruppo Abbigliamento si sono dichiarati scettici nei confronti della nuova opportunità offerta dalla Regione: il 62,5 % degli imprenditori che ha partecipato al questionario è contrario all’abrogazione del divieto di effettuare le vendite promozionali nei trenta giorni antecedenti i saldi. Solo il 35 % si dichiara favorevole alla nuova opportunità di effettuare promozioni tutto l’anno, mentre il 2,5% si astiene dal prendere una posizione netta. Le vendite promozionali – questo il sentiment emerso dal sondaggio – non solo non hanno acceso i saldi, ma hanno spento le speranze di una ripresa delle vendite – ancorché a prezzi stracciati data l’alta percentuale di sconto effettuata nei saldi estivi – in occasione delle vendite di fine stagione.  La maggior parte delle imprese che hanno risposto al questionario – il 57% – ha scelto di non effettuare promozioni a ridosso dei saldi; solo il 41,3% dei partecipanti al sondaggio non ha esitato a cogliere la nuova opportunità offerta dalla Regione. Chi ha scelto di ridurre il prezzo di cartellino lo ha fatto in larga misura – il 16,3% – su tutti gli articoli; il 7,5% ha scelto di scontare solo un paio o pochi altri articoli in più; ha optato per un mix di promozioni il 7,5% dei partecipanti al sondaggio, mentre il 3,8% ha puntato con decisione ad un solo articolo. I commercianti hanno scelto di riservare gli sconti ai clienti più affezionati (1,3%) e attraverso carte fedeltà (l’1,3 %). Il 5% ha adottato altre strategie di vendita. Dai risultati del questionario emerge l’ormai definitivo superamento di una formula un tempo particolarmente in voga come il  “3 per 2”, che ormai sembra essersi avviata sulla via del tramonto. 


“Brand naming”, quando il successo
di un’azienda comincia dal nome

“Cos'è un nome? Ciò che chiamiamo rosa, con qualsiasi altro nome avrebbe lo stesso profumo” faceva bisbigliare Sir  William Shakespeare  nel cuore della notte ad un Romeo innamorato.  E invece per farci conquistare da un prodotto, da un marchio o da un negozio  il nome conta e parecchio. Del resto se la stessa Giulietta non si fosse chiamata Capuleti le cose- forse- sarebbero andate decisamente meglio.
Beatrice Ferrari, massima esperta di brand naming, disciplina che ha il merito di aver importato in Italia dalla Francia negli anni Novanta, sottolinea come il nome giusto possa fare la differenza nel successo di una nuova marca, dalla piccola impresa alla multinazionale. Un percorso di ricerca lungo e delicato per scongiurare il rischio di incappare in  oltraggi alla proprietà intellettuale –  ormai all’ordine del giorno in un mondo invaso di prodotti, nomi e marchi commerciali depositati- ma soprattutto per garantire  un futuro di successo ad ogni nuovo nato in casa. Un investimento necessario da affrontare con la stessa cura nella scelta del nome di un bebè perché  il prodotto sarà sempre legato al brand, di cui dovrà portare con orgoglio il cognome. Tra casi di successo e nomi da dimenticare, Beatrice Ferrari non manca di fornire preziosi consigli per scegliere un nome coerente  con il brand e che sappia accompagnare la fortuna di un prodotto. Non basta il battesimo perfetto per fare vendere e desiderare un brand o un prodotto, anche se può aiutare molto: un’idea vincente potrà sempre farsi strada anche con un nome sbagliato, mentre un prodotto così -così non avrà lunga vita anche se porta un nome azzeccatissimo.  Inutile affidarsi a lampi di genio: scegliere nomi non è una semplice questione di creatività, è un parto a tutti gli effetti.
E’ stata la prima a fondare una società specializzata in questo ambito. Quando nasce l’idea di specializzarsi in questa disciplina?
“Sono approdata a questa disciplina per caso, dopo la laurea in semiotica conseguita a Parigi, lavorando come collaboratrice per una società specializzata in questo campo, della quale ho aperto la filiale italiana nel 1989: di fronte al bivio Londra o Milano, ho deciso di attraversare le Alpi e non la Manica. Quando sono arrivata dalla Francia all’inizio degli anni ’90 la specializzazione in questa nicchia non esisteva ancora in Italia. Pochi ci credevano, ma il mercato non mancava, anzi. Eppure ancora oggi non è entrata in modo significativo nei corsi universitari, nonostante il tema del branding sia prioritario…”
La scelta del nome è ormai entrata nel budget delle imprese anche in Italia?
“Negli anni si sono fatti passi da gigante e il “brand naming” è ormai entrato nei servizi proposti dalle agenzie di comunicazione e marketing.  La presa di coscienza dell’importanza della scelta del nome è stata favorita  dalla questione legale a tutela della proprietà intellettuale. Questo aspetto viene prima di tutto, perché si può lavorare su un nome brutto e impronunciabile purché sia ben protetto a livello legale.  Poi è altrettanto importante verificare che il nome scelto non abbia connotazioni negative oltre i confini nazionali”.
Il brand naming è appannaggio solo dei grandi gruppi o anche delle piccole imprese italiane?
“Sono tantissime le pmi che investono nello studio di un nome e nell’analisi di un marchio. Sono imprese che operano prevalentemente nel settore dell’abbigliamento e pelletteria e in campo alimentare, da sempre i settori di primo piano per l’export e orgoglio del Made in Italy. La nostra identità va custodita e venduta nel migliore dei modi”.
Quanto conta la scelta del nome per il successo di un prodotto?
“Basti la controprova: quale danno può arrecare al brand il lancio di un prodotto con il nome sbagliato? La verità è che il nome giusto non salverà mai un prodotto sbagliato, mentre un nome non pronunciabile o sbagliato dato ad un prodotto che funziona. Il nome giusto ottimizza e valorizza il brand. E’ sempre importante  distinguere tra il nome e la marca, un aspetto delicato perché il nome diventa la marca”.
Se il nome è sbagliato si può correre ai ripari?
“La storia del brand è piena di casi di  re-naming. La Volkswagen, ad esempio,  ebbe difficoltà nel lanciare la sua “Jetta” (da jet) in Italia  dove il nome richiamava senza grande appeal  sia“gettare” che “jettatura”. Le vendite andarono decisamente meglio grazie ad un’operazione di re-naming, con il nome “Vento”. E ancora, la Mitsubishi” Pajero”  nel mercato spagnolo si chiama “Montero2 per ovviare  così alla gaffe linguistica e a porre fine ad un’imbarazzante allusione sessuale. Allo stesso modo  la  Fiat “Ritmo” ha cambiato il suo nome nel mercato anglosassone perché in inglese il termine richiamava il ciclo mestruale.  E’ evidente che nomi sbagliati limitano le vendite e un’analisi linguistica è fondamentale per portare il prodotto nel mercato internazionale”.
Come si arriva alla scelta del nome giusto? Quanto contano creatività, linguistica, semiotica, marketing, aspetti legali?
“Sono tutti aspetti fondamentali, ma il limite è sempre la disponibilità di un nome sul mercato. la metodologia da seguire è il Naming D.e.s.c: si definisce la questione, in primis cosa si intende comunicare con un nome. A differenza del packaging, il nome accompagna il prodotto in tutta la sua vita”.
Un esempio di nome sbagliato?
“Perlana: grande successo per i prodotti e la marca nonostante il nome sia  limitante e poco lungimirante , visto che non sono solo “per- lana”.  Una scelta dispendiosa perché l’evoluzione del prodotto ha comportato investimenti per comunicare che il nome non significava solo “per-lana”. Il nome invece di supportare il brand ha bisogno in casi come questo di essere supportato e per ovviare al problema si lavora sui concetti, associando a marchio e prodotti “benessere”, “delicatezza” e “morbidezza”.
Tornando alla nascita del nome, dopo la D. di Definizione, si inizia con la E. di Elaborazione creativa?
“Sì, la fase creativa avviene solo dopo un primo studio approfondito; la creatività non basta da sola altrimenti è fine a se stessa. Ma in questo passaggio l’elaborazione creativa non ha limiti, specialmente quantitativi”.
Quanti nomi nascono nella tempesta di idee?
“Tantissimi. Per un lavoro molto piccolo si arrivano a formulare tranquillamente mille nomi e più”.
Scegliere diventa difficile….
“L’attività di selezione, la terza fase ‘S’ del Naming D.e.s.c., arriva almeno dopo un il giorno successivo dalla fase creativa. La selezione è un’attività convergente, mentre quella creativa è divergente, per questo, a differenza di quanto si creda, non si può selezionare mentre si crea, ma bisogna lasciare riposare le idee nel cassetto. Il processo di selezione è ad imbuto, da una rosa ampia si scelgono pochi nomi, effettuando poi dei controlli sui consumatori, analizzando tutte le ricorrenze simili da un punto di vista giuridico… Siamo quindi arrivati alla ‘C’ del Naming D.e.s.c., il Controllo”.
I nomi sono delle creature,  a quale è particolarmente affezionata la “mamma” di Yaris, Moramor Horwarth, Bacardi Bay, Espressamente Illy, giusto per citarne alcune?
“A tutti, ovviamente, ma tengo a citare l’operazione di re-naming  di Polimeri Europa effettuata per Eni insieme all’agenzia InArea di Roma per superare i limiti che il nome portava con sé. La scelta, dopo un lungo studio, è stata di “Versalis”, un nome che evoca “versatilità”, “movimento”, “flessibilità”, ma anche “direzione”. Allo stesso tempo Eni-Versalis richiama “universalità”, “globalità”  e infonde sicurezza”.
Esiste una tendenza  o una moda nel brand naming come avviene per i nomi dei bambini?
“Ce ne sono sempre. Il nuovo millennio si è aperto con le “X” per X-perience e via dicendo. Una scelta scontata e super inflazionata, che per anni ha stancato e stufato…”


Alcolici, scatta il divieto
di vendita agli under 18

Con la conversione in legge del decreto del decreto Balduzzi – “misure urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute”, che ha tra i punti di maggiore impatto la riforma della medicina territoriale – sono state introdotte anche novità in tema di vendita di alcol e tabacco ai minorenni e di giochi, con l’obiettivo di contrastare fenomeni di abuso e patologie. Alcune sono già entrate in vigore lo scorso 11 novembre, giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della legge di conversione (n. 189/2012). A cominciare dal divieto di vendita di bevande alcoliche ai minori di 18 anni, con il contestuale obbligo di richiesta da parte del venditore di un documento di identità, tranne nel caso in cui la maggiore età sia manifesta. In caso di violazione è prevista una sanzione pecuniaria da 250 a 1.000 euro e, se il fatto è commesso più di una volta, la sanzione aumenta (da 500 a 2.000 euro) con la sospensione dell’attività per tre mesi.
Per quanto riguarda la somministrazione, rimane invece fermo quanto stabilito dall’art. 689, comma 1, del codice penale, che prevede il divieto di somministrazione di bevande alcoliche ai minori di 16 anni o ad infermi di mente. I titolari di pubblici esercizi sono perciò tenuti al rispetto del limite della maggiore età solo nel caso di vendita di bevande alcoliche per asporto, con l’obbligo di richiesta del documento, mentre per il servizio di somministrazione al bancone o al tavolo il limite rimane quello dei 16 anni. L’art. 689 del codice penale viene, però, modificato con l’introduzione di due nuovi commi: il primo estende la sanzione prevista per chi somministra bevande alcoliche ai minori di anni 16 anche a coloro che impiegano distributori automatici di alcolici, che non consentano la rilevazione automatica dei dati anagrafici dell’utilizzatore o che non siano presidiati da personale incaricato di effettuare tale controllo; il secondo aggiunge alle pene già previste una sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 a 25.000 euro e la sospensione dell’attività per tre mesi, in caso di più violazioni del divieto di somministrazione di alcolici ai minori di anni 16.
Passando al contrasto delle ludopatie, sempre dallo scorso 11 novembre, è vietata in qualsiasi pubblico esercizio la messa a disposizione di apparecchiature che, attraverso la connessione telematica, consentano ai clienti di giocare sulle piattaforme di gioco on line. Scatterà invece dal primo gennaio 2013 – ad integrazione della norma che prevede l’applicazione sugli apparecchi “newslot” di formule di avvertimento sul rischio di dipendenza e di informazione sulle probabilità di vincita – l’obbligo per i gestori di sale da gioco e di esercizi in cui vi sia offerta di giochi pubblici, o di scommesse su eventi sportivi, anche ippici, e non sportivi, di esporre, all’ingresso e all’interno dei locali, il materiale informativo predisposto dalle aziende sanitarie, diretto a evidenziare i rischi correlati al gioco e a segnalare la presenza sul territorio dei servizi di assistenza pubblici e del privato sociale dedicati alla cura e al reinserimento delle persone con patologie correlate alla G.A.P. (Gioco d’azzardo patologico). Sul tema del gioco è inoltre previsto un aumento dei controlli (da 5mila ad almeno 10mila su base annua) pianificati dall’Aams, d’intesa con la Siae, la Polizia di Stato, l’Arma dei Carabinieri e il Corpo della guardia di finanza, specificatamente destinati al contrasto del gioco minorile, negli esercizi in cui sono installati apparecchi con vincite in denaro. 
Il primo gennaio 2013 entrerà in vigore anche il divieto di vendita dei prodotti del tabacco ai minori di 18 anni. La sanzione per il tabaccaio va da 250 a 1.000 euro, nel caso di recidiva la sanzione sale da 500 a 2.000 euro, fino alla sospensione, per tre mesi, della licenza.
 
Beltrami (Ascom): «Un’arma in più per contrastare l'abuso»

L’introduzione del divieto di vendita di alcol ai minorenni è salutata con favore da parte dei pubblici esercizi, innanzitutto come il riconoscimento di un’idea sostenuta da tempo. «Bar e discoteche – commenta il presidente del Gruppo caffè e bar dell’Ascom Giorgio Beltrami – sono sempre stati additati come gli unici responsabili dell’abuso di alcol tra i giovani e delle sue conseguenze, a cominciare dagli incidenti stradali. Noi non ci siamo sottratti alle nostre responsabilità, ma abbiamo sempre evidenziato delle falle nel contrasto all’alcolismo giovanile, la principale rappresentata, appunto, dalla possibilità di approvvigionarsi di bevande alcoliche in negozi e supermercati. Abbiamo sempre ricordato che, anche soltanto per un fatto oggettivo che è quello dei prezzi, chi voleva bere trovava nella distribuzione commerciale un canale ben più a portata di mano e accessibile rispetto ai pubblici esercizi. Con l’approvazione di questo emendamento – rileva – si tiene finalmente conto delle considerazioni sollevate da tempo e si aggiunge uno strumento alla prevenzione e alla lotta contro l’alcolismo». Il divieto di vendita ai minori di 18 anni riguarda anche gli esercizi. «Non credo che per noi cambierà molto – aggiunge –, dal momento che, proprio per il motivo del costo, capita raramente la richiesta di bottiglie da portare via. Per quanto riguarda invece la somministrazione, mi sento di dire che il limite dei 16 anni è rispettato e che i locali sono comunque in prima fila nel promuovere un approccio consapevole al bere». Beltrami è d’accordo anche sull’amento delle sanzioni in caso di più violazioni del divieto di somministrazione ai minori di anni 16, «proprio perché siamo noi i primi a credere che l’alcolismo giovanile debba essere fermato» e sulle novità legate ai giochi auspica nei colleghi «sensibilità e rispetto delle norme per tenere sotto controllo una nuova emergenza sociale».      
Il cambiamento più netto è, quindi, per negozi, market e supermercati, dove prima non era espressamente previsto il divieto di vendita, nemmeno per i minori di 16 anni, ma erano intervenuti solo dei pareri ministeriali ad equiparare il concetto di somministrazione con quello di vendita, lasciando, di fatto, maglie abbastanza larghe.
«Ora, come dice il testo della nuova legge – evidenzia l’Ascom –, a meno che la maggiore età sia manifesta, per la vendita di alcolici si deve chiedere il documento d’identità». 

 


Distretto del commercio “525”,
urge una promozione più efficace

Il distretto attraverso lo sguardo di chi lo frequenta per gli acquisti o per lavoro e di chi vive ogni giorno il territorio. TradeLab passa ai “raggi x” il distretto del commercio 525 dei comuni di Dalmine, Lallio, Osio Sopra e Treviolo  con un’indagine che raccoglie le valutazioni dei frequentatori dell’isola dello shopping per fornire una valutazione dell’offerta dell’area e individuare possibili aree di miglioramento.  L’indagine prende in considerazione un campione di 300 persone residenti e non nei quattro comuni del distretto.
La  prima criticità è rappresentata dalla conoscenza del distretto, decisamente al di sotto delle aspettative. Solo il 29,3 % degli intervistati (il 26,5% di Dalmine, il 30% di Lallio, il 38,8% di Osio Sopra e il 28 % di Treviolo) sa di passeggiare per le vie del distretto 525, mentre il 70,7 %, nonostante l’apposita segnaletica e la campagna di promozione effettuata in questi anni, ne ignora l’esistenza. L’indagine mostra l’urgenza di una comunicazione mirata in grado di accrescere la conoscenza del distretto e la sua notorietà presso la cittadinanza e al di fuori dei confini. Quanto agli strumenti più efficaci, il passa-parola va per la maggiore: il 27,4% conosce il distretto grazie ad amici e conoscenti, il 22,6% grazie a giornali e riviste locali, il 20,2% dalle comunicazioni delle amministrazioni, il 19 % dai commercianti e il 6% attraverso internet.
I giudizi sull’area sono tendenzialmente positivi. In una scala da 1 a 4, l’accessibilità dell’area riceve in media un bel 2,99, seguita dalla sicurezza, valutata con un 2,80, dall’offerta commerciale, con 2,74, e dal contesto urbano a quota 2,70. Sufficienza risicata agli aspetti legati all’intrattenimento, dall’offerta culturale alle manifestazioni ed eventi. Nel complesso il distretto piace ai frequentatori e riscuote punteggi positivi soprattutto a Lallio (2,96) e Treviolo (2,88). Quanto all’evoluzione del distretto, se il 49% degli intervistati non rileva cambiamenti sostanziali rispetto allo scorso anno un significativo 39,6 % di frequentatori avverte dei miglioramenti.
 
Gli indici di soddisfazione
In cima alla classifica i frequentatori del distretto collocano il costo delle zone di sosta, che soddisfa il 93,9 %. Seguono l’accoglienza dei commercianti (87,8%), l’accesso pedonale e in auto al centro (rispettivamente 85% e 78,2%) e la vicinanza dei parcheggi ai negozi (77,9%). Promossi gli orari di apertura dei negozi (75,9%), l’offerta di bar-ristoranti (74,8%), il senso di sicurezza (73,6%), la pulizia degli spazi pubblici (71,6%) e la qualità complessiva dell’offerta commerciale (67,8%). Le maggiori criticità riguardano i prezzi dei negozi (44,8% di soddisfatti), la varietà dell’offerta commerciale (46,5%), la manutenzione degli spazi pubblici (49%)(, le attività culturali (50,7%) e la manutenzione di insegne e vetrine (50,9%). Se il prezzo per la sosta è più che congruo per chi frequenta il distretto, il numero dei parcheggi a disposizione soddisfa solo  il 64 %.  Senza lode e senza infamia anche il trasporto pubblico, con un indice di soddisfazione pari al 62,3%.

La lista dei desideri
L’offerta commerciale perfetta agli occhi dei frequentatori prevede qualche ritocchino, a partire da una maggiore varietà dei negozi a orari di apertura più estesi a tessere sconto e promozioni. Sul fronte dell’accessibilità, gli intervistati richiedono un aumento del servizio di trasporto pubblico, piste ciclabili e strutture sportive. Da migliorare il calendario degli eventi e la cura nella manutenzione delle aree verdi.

Il comportamento d’acquisto
Sono pochi i consumatori che frequentano per i propri acquisti solo il proprio comune o i comuni del distretto, attratti all’esterno soprattutto dai centri commerciali. L’evasione dei consumi è elevatissima, oltre l’88% per alimentari e prodotti per la casa (percentuale che sale al 94% a Lallio e Treviolo). Non va meglio sul fronte dell’ abbigliamento e calzature: il 93,5% acquista in altri comuni. Dalmine, Osio Sopra e Lallio sono i centri storici più apprezzati per gli acquisti dai residenti (31,5% e 17%). La complementarietà nei luoghi d’acquisto è elevata anche per tutti gli altri prodotti alimentari, con il 79,4% di fughe per gli acquisti.

La prevalenza dei luoghi d’acquisto
Vi è una fortissima evasione dei consumi in particolare verso i centri commerciali di Curno, Orio al Serio, Stezzano e Brembate che si confermano al formula privilegiata per gli acquisti di tutte le categorie di prodotti. L’acquisto di alimentari avviene – in base al sondaggio – per il 98,9% nella Grande Distribuzione; l’acquisto di abbigliamento e calzature per il 90,6% avviene nei centri commerciali; la  quota della Gdo è elevata anche per tutti gli altri acquisti non alimentari, con il 91,4% di preferenze. Dalmine è il comune con maggiore appeal per gli acquisti: trattiene  il 26,5%  degli acquisti dei propri residenti di alimentari e prodotti per la pulizia; il 9,7% di abbigliamento e calzature  e il 29,5% di altri prodotti non alimentari. Segue Osio Sopra: il 10,8 % dei residenti fa acquisti alimentari in paese , il 5,7% si rivolge al negozio di fiducia per abbigliamento e calzature e il 12,1% sceglie il centro storico per tutti gli altri acquisti non alimentari.
Anche chi fa acquisti nel distretto tende a frequentare formule distributive moderne presenti in altri comuni, o i mercati ambulanti. A Dalmine il 76,3% acquista alimentari nei negozi della distribuzione moderna, mentre il 48,2% si affida al negozio sotto casa e il 32,8% ai mercati; per l’abbigliamento e calzature i negozi del centro storico restano di gran lunga i preferiti per gli acquisti, con l’81,1% di preferenze, che, assieme ai mercati ambulanti con il 24,4% di preferenze lasciano alla Gdo un  risicato 1,8%; la riscossa dei negozi di vicinato continua anche per gli altri prodotti non alimentari, con l’84,6% di preferenze (il 22,2% va alla Gdo e il restante 5,1% ai mercati). A Lallio si fanno acquisti nei negozi di alimentari per il 78,9% , mentre il 27,8% nella distribuzione moderna e il 12,9% nei mercati. I negozi tradizionali sono preferiti anche abbigliamento e calzature (59,5%), vanno forte i mercati (32,2%) mentre la distribuzione moderna è scelta dal 15,9%. Tutti acquistano prodotti non alimentari nei negozi del centro (100%), se non al centro commerciale (9,6%). A Treviolo il 78,9% fa spesa alimentare nei negozi di vicinato e per il 39% al centro commerciale e per l’11,4% al mercato. Tutti acquistano abbigliamento e calzature nei negozi del centro storico (100%), ma mercati e distribuzione organizzata attraggono allo stesso modo e pesano il 9,5% degli acquisti. I negozi sono scelti anche per tutti gli altri acquisti non alimentari (100%) assieme alla distribuzione moderna (15,1%). A Osio Sopra il 79,5% acquista alimentari nei negozi sotto casa, per il 39% al centro commerciale e per il 2,9% al mercato. Per l’abbigliamento e calzature si fanno acquisti per l’81,1% nei negozi di fiducia del centro storico, per il 24,4% al mercato e solo per l’1,8% al centro commerciale. Tutti acquistano sotto casa altri prodotti non alimentari (100%) o al centro commerciale (8,7%).


Torna il Salone del Mobile e spegne dieci candeline

Con un layout espositivo elegante e funzionale, torna al Polo fieristico di Bergamo, per due week end lunghi di novembre (dal 17 al 19 e dal 22 al 25), il Salone del Mobile e del complemento d’arredo, l’atteso appuntamento dedicato a uno dei settori merceologici d’eccellenza del nostro territorio.  Lo scorso anno i visitatori della manifestazione si attestarono a 40 mila unità. Gli espositori quest’anno sono una novantina e quasi 400 gli stand, numeri che confermano la validità dell’evento: un palcoscenico esclusivo per gli appassionati e i curiosi, per chi è in cerca di casa e di consigli per l’arredo o per fare un buon affare.
La manifestazione, organizzata da Promoberg, spegne quest’anno le sue prime dieci candeline, presentando come sempre le migliori proposte per arredare la casa. Massima qualità e costanti innovazioni da parte degli espositori per essere competitivi sul mercato e vincere la crisi. Confermati anche gli eventi collaterali, che fanno del Salone del Mobile anche un appuntamento formativo, culturale e artistico. L’appuntamento si ripresenta quale uno degli eventi del settore più importanti del Nord Italia, contraddistinto com’è dall’alta qualità dei prodotti, dall’attenta e accurata selezione espositiva, dalle diverse soluzioni innovative e concept abitativi.
Sui 13mila metri quadrati del Salone, saranno di scena una ventina di categorie merceologiche, che spaziano dalle cucine agli arredi bagno, dalla zona giorno all’illuminazione, dalla zona notte alla domotica, passando per il tessile, gli imbottiti, le opere artistiche e i complementi d’arredo. In un unico spazio moderno e funzionale, i visitatori troveranno il meglio della produzione legata alla casa. Non mancheranno le novità, all’interno di un settore in continuo fermento evolutivo. Inoltre, la presenza di decine di operatori diversi permetterà come sempre alle decine di migliaia di visitatori, di poter valutare e confrontare immediatamente le proposte più ottimali alle esigenze anche più particolari.
Oltre alla ricca parte espositiva, al Salone del Mobile di Bergamo ci sarà spazio, come da tradizione, anche per una serie di eventi collaterali di assoluto livello. Appuntamenti di rilievo che fanno della kermesse anche un appuntamento formativo, culturale e artistico. Tra gli eventi, che non mancheranno di raccogliere consensi tra il pubblico, evidenziamo gli show cooking, e le mostre di designer. Per tutti gli amanti del settore, e per chi è in cerca della soluzione ideale o dell’ultima novità, non resta che annotarsi in agenda già da ora l’appuntamento nel capoluogo orobico.
“Il Salone del Mobile – sottolinea il segretario generale della Promoberg, Luigi Trigona – si muove con novità, anticipazioni, innovazioni, che propone curiosità, nuovi modi per stare insieme, sotto il minimo comun denominatore del piacere di fare casa in una bella casa”. Un concetto, questo, della bellezza, che può essere assunto come slogan del Salone dove “realmente le aziende presenti tendono al raggiungimento di questo obiettivo e dove tutto ciò che è bello intrinsecamente ha anche una sua precisa funzionalità”. “Attento alle esigenze dell’abitare contemporaneo – aggiunge Trigona – il Salone, che dà spazio a soluzioni abitative tra le più raffinate ed esclusive, si pone come obiettivo di soddisfare un pubblico interessato, offrendo ai visitatori un’ampia panoramica sulle ultime tendenze di arredamento e design: un Salone dove tutto “fa casa” e che, di edizione in edizione, ha saputo ritagliarsi uno spazio di rilievo nel panorama fieristico italiano. Il nostro evento, così come tutte le manifestazioni da noi promosse, vuole offrire l’opportunità di poter visionare in un unico grande spazio funzionale, toccando con mano e confrontandosi con i professionisti del settore, proposte di alta qualità presentate in un contesto raffinato. Non a caso lo slogan coniato per questo evento recita: “eleganza e bellezza si fanno casa”, due tratti distintivi dell’assoluta qualità delle proposte. E’ importante – conclude il segretario generale – offrire ai visitatori la possibilità di potersi informare, valutare, confrontare e scegliere le soluzioni qualitativamente più elevate ed economicamente più interessanti. E di farlo in un contesto dove, come ormai sta diventando tradizione, il fattore espositivo si accompagna a quello attrattivo con un corollario qualificato di eventi ed iniziative collaterali, messe in campo anche quest’anno con la funzione di completare e diversificare la visita con un qualificato dentro il Salone”.
Gli orari del Salone del Mobile di Bergamo sono: giorni feriali, 18-23, sabato, 10.30-23: domenica, 10.30-20.